In uno studio appena pubblicato su Communications biology, una rivista del gruppo Nature, un team di ricercatori coordinato da Simone Tosi dell’Università di Torino, ha svolto un...
A monitorare le "Iniziative di Azione Collettiva" (CAIs) per la transizione energetica è un progetto europeo che vede partecipe anche l'Italia. Entro fine luglio si possono presentare le proprie iniziative.
Hai lanciato una Iniziativa di Azione Collettiva per la transizione energetica? Vuoi partecipare ad un progetto che sta indagando sulle queste realtà? Un progetto europeo, COMETS, sta mappando queste iniziative in sei paesi europei, compresa l’Italia. E fino alla fine di luglio potrai partecipare presentando la tua iniziativa (vedi più avanti).
Partiamo dalla spiegazione di cosa sono le Iniziative di Azione Collettiva (CAIs) per la transizione energetica: sono piani o progetti che, combinando diversi modelli organizzativi e di business, varie tecnologie e risorse in differenti contesti territoriali e socio-culturali, possono rafforzare il ruolo dei cittadini come parte attiva del sistema energetico producendo un impatto sociale, economico e ambientale
COMETS (Collective Action Models for the Energy Transition and Social Innovation) è, appunto, il progetto europeo che sta monitorando tali iniziative; è finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020 con l’obiettivo di comprendere l’impatto delle Iniziative di Azioni Collettive (CAI) nella transizione energetica a livello locale, nazionale ed europeo.
Un webinar di presentazione è stata l’occasione per illustrare più compiutamente le premesse e gli obiettivi del progetto. COMETS è coordinato dall’Università di Torino e coinvolge 12 partner da 8 paesi europei. Il centro GREEN (Centro di Ricerca sulla geografia, le risorse naturali, l’ambiente, l’energia e le reti) dell’Università Bocconi è il partner italiano.
Problemi, opportunità e prospettive delle CAIs
Nel corso del webinar Alessandro Sciullo e Osmar Arobbio (Unito) hanno condiviso le premesse e gli obiettivi del progetto che si prefigge di sviluppare una solida conoscenza e comprensione dei processi di innovazione sociale promossi dalle CAIs.
Affinché tali iniziative possano prodursi è necessario che i cittadini siano motivati a partecipare, abbiano una quantità e qualità di informazioni che consenta loro di sviluppare una sensibilità rispetto al tema energetico e ambientale. Naturalmente servono competenze esperte e un adeguato supporto finanziario.
Questo, in estrema sintesi, è il presupposto di partenza del progetto, che ha l’ambizione di quantificare il contributo complessivo delle CAIs alla transizione energetica attraverso una indagine che coinvolga tutte le iniziative in corso nei sei paesi europei coinvolti (IT, ES, BE, NL, PL, EE).
Una successiva indagine qualitativa darà risposte circa le condizioni che rendono possibili tali iniziative e gli eventuali ostacoli nonché gli impatti ambientali, economici e sociali che possono produrre.
“La letteratura in materia ha già prodotto risultati in questo senso”, ha detto Arobbio, rilevando che “il contributo delle CAIs è ben poco sfruttato a causa della frammentazione delle iniziative: le CAI energetiche tendono infatti a svilupparsi separatamente le une dalle altre, senza sinergia con altre iniziative in settori differenti da quello energetico. Inoltre, ogni iniziativa è fortemente dipendente dal contesto e l’assenza di una strategia applicabile ovunque ne limita la replicabilità. Infine, si ritiene che ci sia molta ricerca sulle CAIs ma poca ricerca con esse”.
Il progetto, al suo secondo anno dei tre complessivi, sta entrando nella fase di indagine con lo scopo di capire quali sono i fattori determinanti per lo sviluppo delle Iniziative di Azione Collettiva nel settore energetico.
In particolare, quali le innovazioni sociali nel settore energetico sia in termini di prodotto che di processo. Chi promuove e partecipa in queste iniziative e perché; in che senso e misura le CAIs possono essere considerate innovazioni sociali. E, infine, quando possiamo dire che una CAI energetica ha successo, cioè sia sostenibile rispetto all’ambiente, all’economia e alla società.
Da questa ricognizione COMETS potrà proporre nel breve termine nuovi strumenti per aiutare le CAIs e i decisori locali coinvolgendoli nel progetto.
Nel medio-lungo termine sarà disponibile una Piattaforma di Supporto per nuove iniziative contenente un set di informazioni esaustivo, scenari, roadmaps e modelli oltre a un network di iniziative collettive.
Potranno beneficiarne le CAI esistenti e future, con nuove soluzioni per un ulteriore sviluppo, i cittadini, che acquisiranno consapevolezza sui vantaggi della partecipazione al mercato dell’energia, e i decisori politici locali ed europei, che avranno strumenti basati sull’evidenza a supporto della transizione energetica per lo sviluppo di un sistema energetico più decentralizzato, economico, sicuro, inclusivo e sostenibile.
I primi risultati dell’indagine
Dalle prime risposte ottenute (circa un centinaio che riguardano tutti i paesi coinvolti) emerge che alla base dello sviluppo delle iniziative c’è l’obiettivo di rendere più sostenibili i comportamenti dei cittadini e perseguire un modello di democrazia energetica in alternativa al sistema tradizionali delle fossili.
Veronica Lupi (Green Bocconi), che ha presentato i risultati, rileva che un forte interesse risiede anche nella possibilità di ottenere vantaggi economici per i cittadini e aumentare la generazione di energia a livello locale.
Prevale la collocazione delle iniziative nelle aree urbane, limitatamente ad un unico Comune, ma con poco margine rispetto ad iniziative in ambito rurale e che coinvolgono più comuni, come anche nella stessa regione.
Le CAIs sono state finanziate per la maggior parte dai cittadini oppure con contributi pubblici e sussidi, mentre una componente minore è stata finanziata da banche e crowdfunding.
Le motivazioni principali che incentivano la partecipazione dei cittadini membri sembrano essere il senso di appartenenza alla comunità e la possibilità di investire denaro in energia rinnovabile, insieme alla possibilità di avere un buon ritorno dell’investimento.
La maggior parte delle iniziative sono connesse con la generazione di energia, sia con impianti fotovoltaici che eolici. Quasi la metà delle CAIs offre anche servizi di consulenza sui servizi energetici.
In generale le CAIs sono attive a livello sociale con attività di lobbying, consigli di policy e attività sui media e canali social, supporto ad altri progetti locali e attenzione alla povertà energetica.
Non mancano gli ostacoli alla partecipazione dei cittadini. Tra questi emerge la mancanza di interesse alla transizione energetica e la non comprensione dei benefici che l’iniziativa potrebbe produrre.
Infine, trovare un supporto politico, capire le procedure amministrative, il difficile accesso alla finanza e al rispetto di norme e regolamenti vengono indicati tra i fattori che rendono difficile lo sviluppo e il mantenimento nel tempo delle iniziative. Pare poco o per nulla problematico competere con altre iniziative di azione collettiva, ma in misura maggiore con soggetti energetici strutturati.
Come partecipare all’indagine
Ai soggetti che vorranno partecipare all’indagine compilando il questionario entro la fine di luglio sarà chiesto di specificare il nome dell’iniziativa e come ha avuto origine, quale l’obiettivo che si vuole raggiungere e quale la governance e il livello di partecipazione dei cittadini, l’ambiente in cui opera l’iniziativa, sia a livello geografico che sociale e in riferimento ai partners dell’iniziativa. Il tempo di compilazione del questionario è di circa 25/30 minuti
Prossimi passi
Alla chiusura della survey, grazie all’analisi dei dati raccolti si potrà fare una valutazione delle performance delle CAIs nell’incentivare l’innovazione economica, ambientale e sociale, caratterizzare le varie tipologie di CAI ed effettuare comparazioni tra i paesi partecipanti.
Saranno infine selezionati 5 casi studio per paese che, nell’ottica della ricerca-azione, a partire dal mese di ottobre saranno visitati dal gruppo di ricerca. Da aprile 2021, infine, si costruiranno scenari e roadmaps e modelli.
Iniziative di Comunità energetiche in Italia
Chiara Candelise (Green Bocconi) ha introdotto alcuni casi di comunità energetiche distinguendo quelle della New Wave, cioè nate negli anni 2000, che si caratterizzano come aggregazioni di cittadini per lo sviluppo e investimenti in progetti di rinnovabili, basati sostanzialmente su modelli di business, da quelle storiche sviluppatesi intorno all’idroelettrico nelle zone alpine, e poi da quelle che Candelise definisce comunità tecniche, che si stanno diffondendo in Italia in vista del recepimento della direttiva europea sulle comunità energetiche.
Il caso della Comunità energetica del Pinerolese (tecnica), che è stato illustrato dal professor Angelo Tartaglia, e quelli di Energia Positiva e ènostra, che avevamo intervistato insieme a WeForGreen (modelli di business) rientrano nell’ampio spazio che QualEnergia.it ha dedicato alle esperienze e agli studi sulle Comunità energetiche.
Tra le comunità tecniche ricordiamo quelle sarde di Berchidda e Benetutti oltre all’esperienza di Serrenti, che ha tutte le caratteristiche per evolvere in comunità energetica.
Va evidenziato l’interesse del progetto COMETS riguardo gli ostacoli che possono impedire il pieno dispiegarsi delle iniziative volte a favorire la transizione energetica. Il tema era stato trattato in un interessante studio di Magnani, Osti e Carrosio a proposito della fiducia nella riqualificazione dei condomini e, quanto all’incertezza normativa, nel corso della presentazione del Rapporto Comunità Rinnovabili di Legambiente.
A Torino nasce “ConsegnaTo a domicilio”, una mappa estesa in tutta la città per la consegna di prodotti alimentari e non provenienti direttamente dalle botteghe e dai negozi “sotto casa”, per offrire un servizio gratuito rivolto alle persone sole, alle famiglie e alle fasce deboli.
Da Torino parte un progetto di solidarietà in aiuto alle persone più fragili che, nel momento più difficile dell’emergenza Coronavirus, necessitano di un supporto nelle piccole faccende quotidiane.
Si chiama ConsegnaTO, una mappatura che segnala e mette in rete gli esercizi commerciali di vicinato che si sono dimostrati disponibili ad effettuare consegne a domicilio per sostenere chi, in questo momento di emergenza sanitaria, si trova in una situazione di difficoltà. Si tratta di una mappa interattiva e consultabile che, online, è in grado di facilitare i cittadini ad effettuare una spesa di prossimità attraverso la possibilità di ricevere la consegna dei beni di prima necessità, alimentari e non, direttamente presso la propria abitazione.
Attualmente la piattaforma offre non solo la possibilità di mappare gli esercenti di prossimità ma anche di informare i cittadini su quali sono i negozi aperti attorno a loro, su quali servizi vengono offerti per la consegna a domicilio e sugli orari di consegna.
Il progetto è il risultato della collaborazione tra gli assessorati al Commercio e all’Innovazione del Comune di Torino e dell’Università degli Studi di Torino. Quest’ultima, grazie al contributo di un gruppo di laureandi e ricercatori del Dipartimento di Informatica, ha sviluppato la piattaforma dal nome “FirstLife” che racchiude le realtà mappate con l’obiettivo di incentivare la progettazione partecipata a scala locale, stimolare iniziative di auto-organizzazione, sviluppare pratiche collaborative tra gli attori territoriali pubblici e privati.
Come riporta il sito di Ascom, l’obiettivo dell’iniziativa è quello di dare una risposta collettiva a questa emergenza sanitaria con lo scopo di «valorizzare al massimo la rete del commercio di prossimità come elemento di coesione sociale. Assume quindi sempre più importanza la presenza del negozio o della bottega “sotto casa” che possa offrire un vero e servizio alle famiglie e alle persone sole».
Attualmente i negozi e gli esercizi commerciali individuabili sulla mappa sono circa duecento e in costante aggiornamento. Il principio è quello di mettere a disposizione dei servizi gratuiti specialmente per quelle fasce di cittadini che più sono penalizzati dalle conseguenze dell’epidemia come famiglie con bambini o anziani, per fare in modo che in quest’emergenza nessuno resti solo.
Grande partecipazione di tecnici, coltivatori e amministratori locali ai due workshop organizzati da Arpa Piemonte, Ispra e Università̀ di Torino.
Per la transizione verso un’agricoltura che faccia sempre meno ricorso all’uso di fitofarmaci, soprattutto nei vigneti e risaie, e sia più compatibile con la tutela della biodiversità, diventa prioritario riflettere sulle strategie da adottare in linea con il Piano d’Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (DM 22/1/2014).
Questo il tema al centro dei due workshop organizzati il 16 gennaio a Boca (NO) e il 17 presso il Castello di Rovasenda (VC). Un’occasione per presentare le migliori pratiche ad oggi adottate in vigneti e risaie, per riflettere sulle strategie e migliorare la resistenza dei cultivar alle fitopatologie. Così come sulla gestione delle “infestanti” e la rigenerazione di un suolo che oggi soggetto a fertilizzazione non sempre adeguata e a ripetute lavorazioni e passaggi di mezzi agricoli.
I temi del workshop
E’ emerso nei due incontri quanto sia necessario mantenere la presenza della componente erbacea sia ai margini e all’interno dei coltivi e di fasce inerbite con specie autoctone e appetite agli impollinatori, nonché la disponibilità di habitat e la diversificazione colturale sia all’interno dell’azienda che a livello territoriale, soprattutto nei contesti di monocoltura intensiva.
Con buone pratiche, a partire dalla riscoperta di quelle che hanno storicamente accompagnato il ciclo naturale del riso e della vite, fino alle sperimentazioni di tecniche innovative al servizio della piena assicurazione della fertilità naturale, l’agricoltore ha in mano la custodia di un paesaggio di alto valore ereditato da generazioni precedenti e la chiave per aumentare la resilienza nei confronti delle minacce future, grazie anche ai servizi ecosistemici offerti dalla biodiversità, fra cui in primis quello dell’impollinazione.
Gli organizzatori
Questi i temi fondanti nei due workshop organizzati da ARPA Piemonte in collaborazione con ISPRA e Università̀ di Torino (DBIOS), nell’ambito del progetto coordinato da ISPRA dal titolo “Sperimentazione di misure previste dalle linee guida per l’attuazione del PAN per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari in Siti Natura 2000”, finanziato dal Ministero dell’Ambiente.
Il workshop sui vigneti a Boca (NO) è stato realizzato in collaborazione con il Consorzio Nebbiolo Alto Piemonte e il Parco Regionale piemontese Monte Fenera, dove viene custodita una delle ultime stazioni della rara vite selvatica (Vitis vinifera sylvestris), il cui patrimonio genetico potrebbe essere molto utile in futuro per salvaguardare dalle avversità le varietà coltivate.
Il workshop sulle risaie del 17 gennaio, presso il Castello di Rovasenda (VC), ha avuto il patrocinio del Comune di Rovasenda, territorio che si distingue per la presenza della Riserva naturale delle Baragge e del Sito Natura 2000 “Isoetes maliverniana”, che custodisce nei canali irrigui delle sue risaie, le ultime stazioni in cui è presente questa felce acquatica endemica.
Entrambi gli appuntamenti sono stati molto partecipati e hanno destato un notevole interesse tra tecnici, coltivatori, fra cui quelli che hanno partecipato al progetto di sperimentazione delle misure del PAN, e amministratori locali.
L’Università di Torino, anche questa volta, non perde occasione per far parlare di sé conquistando i primi posti tra gli atenei come buon esempio in fatto di sostenibilità, per le sue azioni e politiche attuate per ridurre i consumi e migliorare il suo impatto ambientale e sociale.
L’Università di Torino è il secondo Ateneo italiano all’interno di una classifica internazionale che valuta la sostenibilità ambientale e sociale di circa 800 campus universitari. Nell’edizione appena pubblicata del “GreenMetric 2019” l’Ateneo torinese si è piazzato al secondo posto, confermando la posizione dello scorso anno, tra le 29 università italiane partecipanti, preceduto solo da quello di Bologna. A livello internazionale, inoltre, si è classificato al 41° posto su 780 università partecipanti testimoniando una crescita progressiva: nel 2018 aveva raggiunto la 47° posizione, nel 2017 la 55°, come dichiarato nel comunicato stampa di UniTo.
La classifica assegna un punteggio in base ai dati inviati dagli atenei sulle azioni e sulle politiche attuate per ridurre i consumi e migliorare la sostenibilità, mettendo in luce gli sforzi ecologici compiuti dalle università e suggerendo possibili aree di intervento, che spesso richiedono il coinvolgimento degli altri enti e attori locali.
La classifica prende in considerazione gli indicatori relativi a diversi ambiti quali infrastrutture (dati generali dell’ateneo, aree verdi e budget dedicato alla sostenibilità), energia (consumi e politiche per ridurne l’impatto), rifiuti (trattamento e riciclo), acqua (conservazione e riciclo), trasporti (politiche per la mobilità sostenibile nelle sedi universitarie), didattica e ricerca (corsi, progetti e prodotti di ricerca in materia di sostenibilità e diffusione delle conoscenze alla società).
Quest’anno, in particolare, ai primi cento posti di GreenMetric 2019 sono presenti ben 4 Atenei italiani: oltre all’Università di Torino, figurano Bologna (1° italiana, 14° globale), Venezia Ca’ Foscari (3° italiana, 99° globale) e Milano Bicocca (4° italiana, 101° globale).
Come spiegato nella nota stampa, per velocizzare e migliorare la transizione verso un “mondo verde”, nel 2016 l’Università di Torino ha varato il progetto UniToGO – Green Office di Ateneo, ora parte integrante della struttura amministrativa, con l’obiettivo di progettare e promuovere iniziative in tema di sostenibilità ambientale attraverso un network multidisciplinare che unisce e docenti, ricercatori e ricercatrici, personale tecnico e amministrativo, studenti e studentesse.
Foto tratta da UniToGO
L’Università di Torino, inoltre, aderisce da sei anni alla classifica degli atenei eco-sostenibili creata dall’Università indonesiana di Jakarta con l’obiettivo di spingere decisori e stakeholders a impegnarsi nella lotta ai cambiamenti climatici con una gestione efficiente di acqua e energia, riciclaggio dei rifiuti e mobilità sostenibile, e di promuovere nella società comportamenti maggiormente attenti alla tutela ambientale.
Al centro della giornata una raccolta straordinaria di piccoli Rifiuti Elettrici ed Elettronici (RAEE R4), tappi di sughero e di plastica, rifiuti normalmente non conferibili presso l’Ateneo, e momenti di informazione, coinvolgimento e formazione che rivolti a studenti, personale universitario e cittadinanza nell’arco dell’intera giornata:
Performance artistiche dell’associazione Artemovimento con gli oggetti elettronici raccolti;
La realtà aumentata per scoprire il percorso dei tappi di plastica raccolti da Emergency per sostenere progetti di cooperazione internazionale;
Coinvolgimento non convenzionale delle associazioni R-Eact e Azione Gea sulla riduzione e gestione dei rifiuti;
Opportunità e benefici del commercio senza imballaggi di Ecologos;
Diversi approfondimenti sulle filiere dei rifiuti saranno offerti da UniToGO.
Liberate i vostri cassetti da piccoli Rifiuti Elettrici ed Elettronici (RAEE R4) e portateli a noi insieme a tappi di sughero e di plastica per dare loro una nuova vita.
Il gesto dell'uomo primitivo che si tirava dietro la schiena le ossa degli animali di cui si era nutrito o i noccioli dei frutti appena mangiati sembra essere rimasto nel nostro Dna se gettare in terra biglietti dell'autobus, mozziconi di sigaretta, scontrini e altri rifiuti minori è un fenomeno ancora molto diffuso in Italia a tutte le latitudini e trasversale alle varie fasce d'età. E non è un caso se questa cattiva abitudine, che in inglese viene definita 'littering', in italiano non ha una traduzione. Chi più, chi meno, chi con più senso di colpa, chi meno, siamo tutti un po' 'litterer' (colui o colei che fa littering, cioè abbandona piccoli rifiuti senza far uso degli appositi contenitori) e lo dimostra una recente indagine e relative linee guida nazionali per la comunicazione elaborate dall'AICA Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale, sulla base di una ricerca universitaria condotta dall’Università degli Studi di Torino che ha indagato il profilo sociologico del “litterer” italiano. Presentata in un convegno a Roma al ministero dell'Ambiente che si proponeva di analizzare il fenomeno dandogli una chiave interpretativa che potesse contribuire a ridurlo. Un dato positivo dell'indagine, che ha previsto una fase di osservazione e una di interviste, è che si è litterer a tempo determinato. L'occasione, una determinata circostanza, un particolare contesto ambientale, ci porta a compiere un'azione che normalmente condanneremmo. Ciò significa che in un'altra condizione e in un contesto diverso la stessa persona potrebbe non compiere la stessa azione. In pratica ''un'area con evidenti segni di degrado è territorio fertile per il littering''. Questo tipo di 'devianza' ecologica e civica predilige le aree antistanti gelaterie e tabaccherie, istituti scolastici, università e stazioni ferroviarie, così come le aree periferiche o i raduni all'aperto. E si addice di più agli uomini: l'indagine rileva, infatti, che la propensione ad avere comportamenti corretti, cioè non littering, è per il 69,4% tra le donne e solo per il 60% tra gli uomini. La fascia d'età più scorretta risulta essere quella 20-24 anni. Il rifiuto più disperso nell'ambiente sono le sigarette: su 100 fumatori osservati 70 hanno abbandonato il mozzicone per terra dimostrando come questo tipo di littering sia diffusamente tollerato e giustificato anche tra chi giudica, in generale il littering un fenomeno grave dal punto di vista ambientale e civico e su una scala di gravità da 1 a 10 lo giudica superiore a 7.
Per capire quanto l'abitudine del gettare la sigaretta a terra sia diffusa basti pensare che solo un terzo delle persone con in mano un potenziale litter(rifiuto) diventano poi litterer(cioè lo gettano fuori dagli appositi contenitori) mentre quasi due terzi delle persone che hanno tra le mani un mozzicone lo buttano o lasciano cadere disinvoltamente al suolo. Un gesto così comune da diventare quasi una caratteristica personale per un personaggio famoso come il commissario Maigret che Simenon, nei suoi romanzi, descrive spesso nello sbrigativo gesto di vuotare la pipa battendo il fornello sul tacco della scarpa, ovunque lui sia, al chiuso o all'aperto. Altra peculiarità del littering è l'abbassamento del controllo sociale in gruppi numerosi che fa da contraltare all'innalzamento di tale forma di controllo se si parla di piccoli gruppi. Le iniziative messe in campo per contrastare il fenomeno, oltre a campagne di sensibilizzazione, sono numerose, tra le più efficaci quelle adottate da tempo in Svizzera dove classi scolastiche o anche singole persone diventano 'padrini' di un determinato spazio, lo curano e tengono pulito. A Lucerna ha ben funzionato un accordo tra il Comune ed una catena di fast food che si è impegnata a pulire le aree circostanti alle filiali e i parchi pubblici delle vicinanze. fonte: www.ansa.it