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Greenpeace: 300 droni, 1 messaggio: è ora di agire!














In questo video straordinario 300 droni luminosi hanno dato forma agli animali che condividono il Pianeta con noi per inviare un messaggio urgente ai leader del mondo, riuniti al G7 in Cornovaglia: 
STOP ESTINZIONE. È ora di agire! GUARDA E CONDIVIDI IL VIDEO! 

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Ecosistemi in Costituzione

La Commissione affari costituzionali ha varato una sorprendente proposta di modifica di due fondamentali articoli della Costituzione dedicati alla tutela della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali. Se la proposta dovesse passare, sarebbe la prima volta che il Parlamento propone di modificare la prima parte – quella dei principi – della Carta del ‘48. Segno evidente di una maturata sensibilità in tema ambientale, emersa e coltivata dal basso. «L’iter, comunque, sarà lungo… – aggiunge Paolo Cacciari – C’è da rallegrarsi anche del non accoglimento da parte della maggioranza della Commissione affari costituzionali del Senato della proposta, più volte caldeggiata dal neoministro Enrico Giovannini, di introdurre in Costituzione l’ambiguo sintagma dello “sviluppo sostenibile”, che avrebbe concesso una dignità persino costituzionale alle discutibili pratiche della green economy…»




Una inaspettata buona notizia viene dal Senato. La Commissione affari costituzionali ha varato una proposta di modifica di due fondamentali articoli della Costituzione che regolano i diritti e i beni fondamentali della Repubblica. L’Articolo 9 viene modificato con una aggiunta di due commi finali (che qui evidenziamo scrivendoli in corsivo): “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Altre due integrazioni all’Articolo 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

Se la proposta dovesse passare in aula al Senato, sarebbe la prima volta che il Parlamento propone di modificare la prima parte – quella dei principi – della Carta del ‘48. Segno evidente di una maturata sensibilità in tema ambientale che ha raggiunto i vertici delle istituzioni. L’iter, comunque, sarà lungo (doppia lettura in Camera e Senato, eventuale referendum confermativo) e alcune forze politiche (tra cui la Lega) hanno già il mal di pancia.

É ben vero che l’inserimento della tutela della salute potrebbe apparire pleonastico (l’Articolo 32 esiste già) e che gli orientamenti della Corte costituzione includono già la tutela dell’ambiente naturale all’interno del più ampio significato di “paesaggio”. Ma non sempre è facile per i movimenti ecologisti raggiungere in giudizio la Suprema corte e non sempre si sono ottenuti pronunciamenti favorevoli. Il nuovo articolato, quindi, rafforza il principio della tutela degli ecosistemi naturali riconoscendone esplicitamente il loro valore fondamentale per il bene comune del paese. E ciò non può che fare piacere, poiché incoraggia a promuovere una legislazione ambientale più avanzata in un paese massacrato da una industrializzazione e da una urbanizzazione scellerata. Così come fa molto piacere il riconoscimento degli animali non umani e quello delle generazioni future. Non sono quindi solo gli aventi diritto al voto i “sovrani” al potere, ma anche tutti gli esseri viventi, presenti e futuri, con cui va condiviso il mondo.

C’è da rallegrarsi anche del non accoglimento da parte della maggioranza della Commissione affari costituzionali del Senato della proposta, più volte caldeggiata dal neoministro Enrico Giovannini e dalla sua associazione ASviS, di introdurre in Costituzione l’ambiguo sintagma dello “sviluppo sostenibile”, che avrebbe concesso una dignità persino costituzionale alle discutibili pratiche della green economy. Un grazie, doveroso, alla senatrice Loredana De Petris che da qualche decennio ha insistito per adeguare la Carta del ’48 alle nuove evidenze e responsabilità ecologiche.

Ci si potrebbe invece rammaricare del mancato esplicito riconoscimento legale dei Rights of Nature. “Il movimento per i diritti della natura sta crescendo – scrive il Right-of-Rivers-Report, redatto da diversi istituti di ricerca: Cyrus R. Vance Center for International Justice, Earth Law Centere International Rivers – È guidato da popoli indigeni, società civile, esperti legali, e giovani, che chiedono una riforma sistemica del nostro modo di rapportarci con la natura”. La Natura viene intesa come soggetto dotato di “personalità giuridica” (esattamente come lo è un ente economico o una società di persone) portatore di diritti ad esistere, evolvere e prosperare. Diritti che possono essere difesi in tribunale tramite organismi di tutela (amministratori, piuttosto che proprietari) composti da gruppi di persone o da enti che hanno questo obbligo legale. Il salto logico e filosofico, etico e politico è evidente. Si tratta di passare dal diritto degli umani ad avere un ambiente salubre, al diritto della natura, in quanto tale, a rigenerarsi. Un passaggio di approccio dall’antropocentrismo all’ecocentrismo.

Esistono ormai esperienze di “costituzionalizzazione” dei diritti di particolari ecosistemi (bacini fluviali, laghi, foreste, montagne…) in molte parti del mondo. Non solo in Sua America (con Ecuador e Bolivia apripista), ma in vari paesi dell’Oceania, in Asia (India, Bangladesh e Filippine), Nord e Centro America (Stati Uniti Stati Uniti, Costa Rica e Messico) e Africa (Uganda). Certo, la giurisprudenza dei diritti della natura è ancora agli inizi, ma è sicuro che solo se i nostri “stati di diritto” sapranno compiere questo salto culturale epocale inclusivo degli animali non umani e del vivente in generale (come lo è stato con l’abolizione della schiavitù o con i diritti politici delle donne) sarà possibile preservare i cicli vitali del pianeta dalla “macro criminalità di sistema”, per usare le parole di Luigi Ferrajoli, e pensare a una vera Costituzione della Terra (www.costituenteterra.it).

fonte: comune-info.net

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I peluche di IKEA “trasformati” per sensibilizzare sui pericoli della plastica negli oceani





Cinque studenti di pubblicità russi hanno realizzato questa campagna che mostra come le parti in plastica possano essere letali per molti animali marini.

Ogni giorno milioni di pezzi di plastica raggiungono l’oceano. L’impatto ambientale derivante da questo problema è terribile e costituisce una seria minaccia per molte specie i cui habitat si stanno deteriorando all’aumentare dell’inquinamento.

Quindi, ci sono sempre più iniziative e movimenti che cercano di ridurre il consumo di plastica. Come questa campagna di sensibilizzazione che sta circolando in questi giorni su Internet, ma che in realtà un gruppo di cinque studenti della MADS (Moscow AAttraverso gli animali di peluche IKEA , questi studenti hanno voluto riflettere la dura realtà che molti animali vivono a causa della plastica negli oceani.


Sotto il nome di Plastic Surgery (Chirurgia Plastica), hanno ridisegnato alcuni dei modelli di peluche per bambini venduti da IKEA.

I poveri animali hanno pezzi di plastica aggrovigliati attorno al collo e agli arti.

Il risultato riflette la realtà che milioni di animali affrontano nel loro habitat naturale, che è stato inondato di plastica.


Sebbene questo annuncio sia in realtà di qualche anno fa, e non sia ufficialmente affiliato a IKEA, invia un messaggio potente sull’importanza di combattere l’inquinamento della plastica.

Fonte: Adsoftheworld


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Cibo per cani e gatti randagi in cambio di bottiglie di plastica! A Istanbul le macchine dispenser amiche di ambiente e animali

















A Istanbul se ricicli la plastica, dai cibo e acqua gratis ai randagi grazie a un sistema semplice che da un lato incentiva la raccolta differenziata e lo smaltimento di rifiuti, dall’altro aiuta gli amici a quattro zampe.

In molte zone della città, da tempo esistono delle macchine che sono sia dispenser di cibo per animali che deposito di bottiglie di plastica in attesa di riciclo. E l’esperimento sembra andare a gonfie vele. L’operazione è facile: quando qualcuno deposita le proprie bottiglie, viene rilasciato del cibo per cani e gatti randagi.





Secondo le statistiche a Istanbul ci sono oltre 150mila animali che vivono per strada e questo causa seri problemi di igiene pubblica e sicurezza, così diverse associazioni hanno fatto rete e creato questo sistema che per evitare una strage di cani e gatti.

Il tutto non ha alcun costo per i cittadini, mentre il cibo viene fornito direttamente dalla società di smaltimento rifiuti. Non è la prima volta che parliamo di Istanbul come città amica dei animali, nei giorni di gelo ad esempio alcuni centri commerciali aprono le loro porte per dare spazio a cani e gatti o ancor,a esiste un sistema gratuito, il Vetbus dove un equipe di veterinari cura gratuitamente gli animali di strada.




Questo piano si chiama, invece, Pugedon ed è della società JSC Yucesan che ha installato distributori nei parchi e nei giardini pubblici in un’ottica che incoraggia le persone a prendersi cura dei randagi, ma anche li educa a tutelare l’ambiente.Sempre per non sprecare nulla, prima del riciclo, le persone possono versare l’acqua residua dalle loro bottiglie negli abbeveratoi degli animali.


Ma non solo, la macchina funziona a energia solare e come dicevamo le crocchette vengono acquistate dalla società con i fondi ricavati dal deposito della plastica. In Italia per adesso abbiamo i distributori che riciclano la plastica e offrono ticket o buoni in cambio, un esempio è quello di Roma che ha già riciclato oltre 11mila bottiglie di plastica.

fonte: www.greenme.it

Mediterraneo: 50.000 esemplari di 116 specie diverse hanno ingerito plastica














Almeno 116 specie diverse nel Mediterraneo hanno ingerito plastica (l'ingestione è il principale effetto noto della plastica in mare); il 59% di queste sono pesci ossei. inclusi in questa percentuale anche quelli di interesse commerciale come sardine, triglie, orate, merluzzi, acciughe, tonni, scampi, gamberi rossi; il restante 41% è costituito da altri animali marini come mammiferi, crostacei, molluschi, meduse, tartarughe, uccelli.
Questi alcuni dei risultati di uno studio, condotto anche da ricercatori dell’Ispra, incluso nel capitolo del libro "Plastics in the Aquatic Environment - Current Status and Challenges" pubblicato dalla Springer Nature, in cui si aggiorna la letteratura scientifica disponibile per descrivere l'impatto dei rifiuti sulla vita marina nel Mediterraneo, un ecosistema sensibile, caratterizzato da elevata biodiversità ma anche uno degli ecosistemi più minacciati al mondo dai rifiuti marini, su scala globale composti principalmente da plastica.
Sono stati analizzati 128 documenti che riportavano impatti dei rifiuti marini su 329 categorie di organismi del Mediterraneo. Si tratta ad oggi dello studio più ampio ed aggiornato sull’intero Mediterraneo. Se c’è troppa plastica nello stomaco dei pesci, accade anche che buste e bottigliette diventino vettore di trasporto o ambiente di vita per diverse specie. Sono state rintracciate 168 categorie di organismi marini trasportati da oggetti galleggianti (principalmente di plastica), anche in ambienti in cui non erano stati rintracciati prima; tra questi, ci sono anche batteri patogeni che possono causare malattie nei pesci che li ingeriscono. Gli organismi più comuni trasportati dai rifiuti marini sono gli artropodi (crostacei) e gli Cnidari (gorgonie, coralli).
I rifiuti marini, in particolare lenze e reti da pesca, possono inoltre distruggere, ferire e soffocare colonie di coralli e gorgonie anche in ambienti molto profondi e remoti. La produzione mondiale di plastica è passata dai 15 milioni del 1964 agli oltre 310 milioni attuali, e ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate finiscono negli oceani del mondo. La plastica raggiunge il mare a causa di una cattiva gestione dei rifiuti, ma anche per la sovrapproduzione di imballaggi e prodotti monouso che vengono messi in circolazione dall’industria alimentare e non solo.
Per limitare i danni, l’Unione europea ha approvato una direttiva contro la plastica monouso, che rappresenta una delle principali tipologie di plastica trovate nel Mediterraneo. La plastica può colpire gli organismi marini attraverso l'ingestione e l’intrappolamento e gli impatti variano a seconda del tipo e delle dimensioni. Almeno 44 specie marine sono soggette ad intrappolamento nella plastica, in particolare reti da pesca.
L'intrappolamento spesso determina la morte per affogamento, strangolamento o denutrizione, soprattutto per i mammiferi marini; la tartaruga marina Caretta caretta è la specie mediterranea più soggetta ad intrappolamento ed è anche una delle principali specie del Mediterraneo note per ingerire plastica (le prime evidenze di ingestione di rifiuti da parte della Caretta risalgono a metà anni '80): è infatti stata identificata come specie indicatrice dell'ingestione di rifiuti nell'ambito della Strategia Marina.
Diverse specie minacciate e quindi incluse nella Lista Rossa dell'International Union for Conservation of Nature (IUCN) - dal corallo rosso, passando per il tonno rosso, lo spinarolo, e arrivando al capodoglio - risultano compromesse dai rifiuti marini. Mentre dallo studio emergono gli effetti diffusi dei rifiuti marini, e in particolare della plastica, sugli organismi marini del Mediterraneo, al contrario, non ci sono evidenze scientifiche di effetti negativi dell'ingestione di microplastiche nei pesci, nè tantomeno del trasferimento delle microplastiche fino all'uomo.


fonte: www.greencity.it

Cervo muore con 4 kg di plastica nello stomaco

Un cervo è stato rinvenuto senza vita, con 4 kg di plastica nello stomaco: succede in Giappone e la causa è l'inquinamento prodotto dai turisti.





L’inquinamento da plastica non sta minacciando solo la fauna marina – come balene, capodogli e tartarughe – ma anche tante specie comuni da bosco. È quanto dimostra la triste storia di un cervo, rinvenuto in Giappone senza vita e con oltre quattro chili di rifiuti nel suo stomaco. Un problema sempre più frequente, che dimostra come le attività umane siano la primissima causa di danneggiamento della biodiversità e della sopravvivenza delle specie animali.

Il tutto accade a Nara, dove i cervi sono considerati praticamente sacri e da secoli condividono gli spazi cittadini con l’uomo. Un tempo capitale nipponica, la località ama e salvaguarda questi animali, in onore di una vecchia leggenda: il protettore della città, infatti, sarebbe proprio un cervo bianco. Per questa ragione, gli esemplari vengono alimentati con cibo speciale, come fibre di riso, appositi cracker e mangimi disponibili praticamente in qualsiasi negozio locale. Eppure, nonostante una simile dedizione, la plastica sta minacciando la loro sopravvivenza.

Di recente è stato rinvenuto un esemplare senza vita, con lo stomaco pieno di residui in plastica – oltre 4 chilogrammi – capaci di bloccare la digestione e impedire l’alimentazione. Non si tratta di un caso isolato: sono ben sei i cervi uccisi dalla plastica dallo scorso marzo. Secondo le autorità locali, in particolare la Nara Deer Welfare Association, la causa di questo aumento nei decessi sarebbe da attribuire alla crescita di turisti: questi ultimi, oltre ad alimentare in modo non consentito gli esemplari presenti, abbandonerebbero rifiuti lungo i parchi e le strade cittadine, poi ingeriti dagli erbivori. Gli animali scambierebbero gli oggetti in plastica – in particolare sacchetti e involucri – per erba e verdure.

L’associazione ricorda come ai cervi dovrebbero essere forniti solo i “cracker senbei”, uno speciale alimento preparato appositamente per questi animali, a base di riso e di altre fibre vegetali.





Fonte: Quartz

Glifosato: tracce di pesticida anche nel cibo per cani e gatti


















Il glifosato anche negli alimenti per cani e gatti. A dirlo sono i ricercatori della Cornell University di Ithaca che, in nuovo studio, pubblicato su Environmental Pollution hanno analizzato alcune marche di cibo per Fido e Fuffi e c’hanno trovato dentro il pesticida Roundup della Monsanto più venduto al mondo.
Il glifosato è ormai dappertutto: nella pasta, nella birra, perfino nei pannolini dei nostri bambini e adesso si scopre, attraverso l’urina, che anche i nostri amici a quattro zampe non sono immuni.
I ricercatori hanno fatto esaminare 18 varietà di cibo per gatti e cani e in tutti sono state trovate tracce di glifosato. Secondo i dati del team guidato da Anthony Hay, i valori variavano da 80 a 2mila microgrammi di glifosato per chilogrammo. I 18 alimenti erano tutti miscele di ingredienti vegetali e di carne, mentre un prodotto era certificato senza OGM.
"È difficile trovare un prodotto che non contenga il glifosato, perfino in quelli per cuccioli", afferma Anthony Hay, professore di microbiologia.
I valori misurati comunque inferiori ai limiti per un uomo.
"Se un essere umano dovesse mangiare questo cibo ogni giorno, la quantità di glifosato sarebbe ancora al di sotto degli attuali livelli di sicurezza. Mentre non sembra esserci alcun rischio immediato, c'è ancora incertezza sulle conseguenze croniche delle basse dosi", spiega Hay.
Il glifosato com’è finito nel cibo per animali? Probabilmente attraverso le verdure e i cerali che sono contenuti nel prodotto, infatti più fibra conteneva un mangime, maggiore era il glifosato.
I risultati, quindi, mostrano che i residui di erbicidi provengono da materiale vegetale. Il glifosato, come sappiamo, è stato classificato come "probabilmente cancerogeno" dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Attualmente sul piano degli animali domestici non ci sono abbastanza dati, il team ha stimato che l’esposizione media di un cane o un gatto al glifosato sarebbe pari allo 0,7%.
Cosa deve sapere il proprietario di un cane o gatto?
"Probabilmente non c’è nessun rischio immediato, ma a livello cronico è ancora da valutare. È difficile trovare un prodotto che non contenga il glifosato”, chiosa Hay. 
I ricercatori adesso passeranno allo step due, quello di capire se questi livelli di glifosato influiscono sulla salute dei nostri amici a quattro zampe.
fonte: www.greenme.it

Cannucce di plastica: Marevivo chiede lo stop. Inquinano il mare e finiscono nello stomaco di uccelli e tartarughe. Appello a bar e ristoranti













Nel mondo si utilizzano di un miliardo di cannucce di plastica al giorno (la metà circa negli  Stati Uniti). In Europa è disponibile il dato di Londra dove si arriva a circa 2 miliardi l’anno. Purtroppo molte di queste cannucce usate soltanto una volta per pochi minuti, poi finiscono in mare, dove restano per centinaia di anni, sminuzzandosi in pezzi sempre più piccoli che vengono ingeriti dai pesci per poi entrare nella catena alimentare. Le cannucce figurano infatti nella classifica dei rifiuti maggiormente raccolti sulle coste. Secondo le ricerche citate dallo Strawless Ocean Movement, nello stomaco del 71% degli uccelli marini e nel 30% delle tartarughe è stata trovata plastica.  Partendo da questi elementi l’Evening Standard ha lanciato una petizione su Change.org per chiedere ai produttori di trovare soluzioni eco sostenibili entro il 2018. In Italia l’associazione  Marevivo, dopo aver vinto la battaglia per le microplastiche e i cotton fioc, ha deciso di avviare una nuova iniziativa per ridurre l’invasione delle cannucce. Marevivo chiede agli esercenti di bar e ristoranti di non distribuirle ai clienti, di non inserirle automaticamente nelle bevande invitando a utilizzare, se è proprio necessario – cannucce biodegradabili in carta, vetro, acciaio o bambù.
«La plastica usa e getta negli ultimi anni è entrata a far parte della nostra vita quotidiana  – spiega Rosalba Giugni, Presidente di Marevivo – e non ci siamo resi conto dei danni devastanti che stava causando alla fauna marina e al suo habitat. Le cannucce entrano nelle narici delle tartarughe e nell’esofago degli animali. Abbiamo così deciso di lanciare questa campagna perché le abitudini dell’uomo non possono sempre avere ripercussioni sugli animali e l’ambiente, soprattutto quando esistono valide alternative».



Nello stomaco del 71% degli uccelli marini e nel 30% delle tartarughe è stata trovata plastica

Già nel Regno Unito tantissime catene di pub, bar e ristoranti hanno rinunciato alla cannucce tradizionali preferendo quelle ecologiche. Marriott International, l’aeroporto di London City, Eurostar sono tra le ultime aziende che hanno aderito. Le cannucce in plastica per volere della Regina Elisabetta saranno bandite dalle proprietà reali, nei ristoratori interni di Buckingham Palace, del Castello di Windsor e del Palazzo di Holyroodhouse. Lo stesso nei caffè, bar e mensa del Parlamento scozzese e anche il Museo di storia naturale di Londra ha deciso di eliminarne l’uso. Ma c’è di più: proprio in questi giorni, secondo il Daily Telegraph, sarebbe allo studio da parte del governo britannico, una proposta di legge per bandirle su tutto il territorio nazionale.
Misure simili sono state adottate anche negli Stati Uniti, a Malibu, in California, a Seattle e in Florida come sottolinea l’organizzazione attivista Strawfree.org. In Scozia saranno al bando dal 2019, a Taiwan la misura è programmata per il 2030. Consapevoli che un buon cocktail non si misura dalla decorazione anche in Italia è possibile rinunciare alle cannucce di plastica, si tratta di un piccolo passo, da cui tutti possiamo partire.
Il filmato qui sotto mostra l’operazione per estrarre una cannuccia da una tartaruga di mare




fonte: www.ilfattoalimentare.it

Pesticidi nel 75% del miele mondiale





















What this shows is the magnitude of the contamination
Edward Mitchell, University of Neuchatel, Svizzera


È uno studio appena pubblicato su Science ed eseguito da un gruppo di scienziati dell’Università di Neuchatel in Svizzera guidato da Edward Mitchell, biologo. Le conclusioni sono inquietanti: i tre quarti del miele prodotto in tutto il mondo contiene tracce di pesticidi, ben pochi sono gli angoli del pianeta esenti da questo tipo di inquinamento.
Mitchell e i suoi colleghi hanno analizzato duecento campioni di miele alla ricerca di pestidici, quelli più comuni sono chiamati neo-nicotinoidi e contengono composti chimici simili alla nicotina. Chi li ha inventati? La Shell, ditta petrolifera, negli anni Ottanta, poi seguiti dalla Bayer. Fra queste sostanze c’è la cosiddetta Imidacloprid che in questo momento è l’insetticida più usato del mondo.




Già a partire dalla fine degli anni Novanta si puntò il dito contro questi neo-nicotinoidi per i loro impatti ambientali. Si collegò subito l’uso di questi insetticidi al Colony collapse disorder (Ccd), cioè la moria di api, e alla perdita successiva di animali più grandi, come per esempio gli uccelli, a causa della riduzione degli insetti che rappresentavano il loro cibo.
In Europa in questo momento esiste un divieto parziale contro alcuni di questi neo-nicotinoidi, dal 2013.
In questo studio Mitchell trova che: nel Nord America, l’86 per cento dei campioni è inquinato dai neo-nicotoidi; in Asia, l’80 per cento; in Europa il 79 per cento; in Africa il 73 per cento; in Australia il 71 per cento; in Sud America il 57 per cento. Di questi campioni la maggior parte conteneva almeno due i più neo-nicotoidi e il 10 percento dei campioni aveva quattro tipi diversi di inquinanti.





Che effetti ha questa roba sulla salute umana? Forse non più di quanto possa causare una mela contaminata da quattro tipi di pesticidi diversi. Ma il problema è molto più grave per le api stesse, perché le api usano il miele per cibarsi durante i periodi invernali senza fiori.
Circa un terzo dei campioni, cioè quasi tutti quelli contaminati da pesticidi, avevano concentrazioni di neo-nicotoidi dannosi alle api.

Il consumo di neo-nicotoidi porta a problemi di apprendimento e di memoria nelle api, che fa si che si confondano quando cercano cibo e si organizzano tutte assieme per andare verso zone con cibo abbondante. Oltre ai problemi nella ricerca di cibo, e anche se le concentrazioni di pesticidi non sono letali, l’esposizione ai neo-nicotoidi porta a danni alla crescita delle api, al sistema immunitario, al sistema neurologico, riproduttivo e respiratorio. La regina può ammalarsi e non sopravvivere e questo a volte porta al collasso dell’intera colonia di api.
È tutto esagerato? Beh, non proprio. Nel 2014, uno studio a livello mondiale di neo-nicotinoidi concluse che l’uso di questi pesticidi stava avendo gravi impatti sulla produzione di cibo. La conclusione fu che “the consequences are far reaching and cannot be ignored any longer“.
Senza api non c’è l’impollinazione. Senza impollinazione non c’è l’agricoltura cosi come la conosciamo

Maria Rita D'orsogna

fonte: https://comune-info.net/

Il vero eroe dell’economia circolare? È la formica

Per la prima volta uno studio quantifica il contributo delle formiche alla rimozione dei rifiuti organici nelle foreste pluviali e alla ridistribuzione dei nutrienti


















Anche le formiche, nel loro piccolo, spazzano. Sono arrivati a questa comica conclusione i ricercatori britannici dell’Università di Liverpool, dopo una lunga ricerca sulla rimozione dei rifiuti nella foresta pluviale del Borneo malese. Secondo lo studio, oltre metà dei residui organici presenti nell’area viene rimossa dalla vasta famiglia dell’insetto imenottero, mentre il resto viene gestito dal rimanente (e vasto) regno animale: mammiferi, uccelli e altri vertebrati e invertebrati. Tra le categorie di rifiuti trattate dalle formiche rientrano corpi di animali morti, semi e frutta.

“La movimentazione, il consumo e il riciclo di materiale organico morto negli ecosistemi – spiega Kate Parr, dell’Università di Liverpool – sono importanti perché facilitano la redistribuzione dei nutrienti e la decomposizione. Le formiche, che raccolgono rifiuti e li portano nei loro formicai, di riflesso creano degli hotspot di sostanze nutrienti per le piante e i microbi, arricchendo il terreno.”

Lo studio ha dimostrato che, in assenza delle formiche, non c’è nessun altro animale che può compensare il loro ruolo. Insomma, se questi insetti non ci fossero, il materiale organico morto si decomporrebbe molto più lentamente lì dove si trova creando un terreno meno eterogeneo.

Questo lavoro – aggiunge Hannah Griffiths, autrice della ricerca – è importante perché le foreste pluviali tropicali sono gli ecosistemi più minacciati del pianeta e stanno perdendo specie animali a una velocità allarmante. Comprendere esattamente che ruolo i diversi animali giocano nell’ecosistema è funzionale al mettere assieme i pezzi di un puzzle estremamente complesso. Più pezzi abbiamo sul tavolo, meglio vediamo il quadro nel suo intero. Questo ci permette di predire le conseguenze della perdita di una specie e creare misure per mitigare l’impatto negativo dell’uomo sugli ecosistemi”.

Lo studio dell’Università di Liverpool è stato portato avanti con il Museo di Storia Naturale di Londra.

fonte: www.rinnovabili.it

Ecologicpoint: Food ReLOVution - Terni - 24 Marzo

"Food ReLOVution" è un coinvolgente e rivelatore documentario che esamina le conseguenze della cultura della carne in vista della crescente preoccupazione per gli impatti sulla salute, sulla fame nel mondo, sul benessere degli animali e sull'ambiente.


L'obbiettivo è mostrare come questi problemi globali riguardino tutti e siano correlati tra loro.
Oggi anche sapere cosa si compra e cosa si mangia, è il primo importantissimo passo verso un mondo migliore.
Il film vuole essere uno strumento stimolante di comprensione e di informazione, che ci ricorda che abbiamo il potere di cambiare le cose se vogliamo davvero, a cominciare da noi stessi.

ecologicpoint

Ecologicpoint: Food ReLOVution - Terni - 24 Marzo

"Food ReLOVution" è un coinvolgente e rivelatore documentario che esamina le conseguenze della cultura della carne in vista della crescente preoccupazione per gli impatti sulla salute, sulla fame nel mondo, sul benessere degli animali e sull'ambiente.




L'obbiettivo è mostrare come questi problemi globali riguardino tutti e siano correlati tra loro.
Oggi anche sapere cosa si compra e cosa si mangia, è il primo importantissimo passo verso un mondo migliore.
Il film vuole essere uno strumento stimolante di comprensione e di informazione, che ci ricorda che abbiamo il potere di cambiare le cose se vogliamo davvero, a cominciare da noi stessi.

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