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Nel 2019 abbiamo perso un’area di foreste primarie grande come la Svizzera

Il rapporto annuale di Global forest watch illustra le gravi perdite patite nel 2019 dalle foreste di tutto il mondo. A partire da quelle del Brasile.





Nel corso del 2019 le attività umane e gli incendi hanno provocato la distruzione di 38mila chilometri quadrati di foreste vergini, ovvero considerate incontaminate. Per tradurre le cifre in termini più comprensibili, il rapporto annuale dell’organizzazione non governativa Global forest watch ha spiegato che abbiamo perso l’equivalente di un campo di calcio ogni sei secondi. Ovvero un’area grande come la Svizzera. Il che fa dello scorso anno il terzo più negativo di sempre in termini di perdita di foreste primarie nel corso degli ultimi due decenni.
Le perdite più gravi in Brasile e nella Repubblica Democratica del Congo

Il documento è stato pubblicato il 2 giugno scorso e sottolinea come più di un terzo delle foreste distrutte sia concentrato in un’unica nazione: il Brasile. Al secondo e al terzo posto figurano invece la Repubblica Democratica del Congo e l’Indonesia. Seguono poi Perù, Malesia, Colombia, Laos, Messico e Cambogia.

“Un tasso di perdita così elevato è molto preoccupante e arriva in barba agli sforzi condotti da diversi paesi e aziende al fine di ridurre la deforestazione”, ha spiegato Mikaela Weisse, direttrice di Global forest watch, il cui lavoro è stato condotto per conto del think tank americano World resources institute (Wri).





In termini di peggioramento anno su anno, invece, la nazione che presenta i dati più allarmanti è la Bolivia. Il paese latinoamericano ha infatti visto aumentare il tasso di deforestazione dell’80 per cento rispetto al 2018. Ciò in particolare a causa degli incendi, degli allevamenti e della coltura intensiva di soia. Al contrario, in Indonesia si è registrato un calo del 5 per cento (ma i numeri complessivi restano preoccupanti).
Occorreranno decenni, se non secoli, per rigenerare le foreste

Se si considera tuttavia la superficie totale di foreste distrutte, i dati, rispetto a quelle primarie, vanno triplicati. Raggiungendo i 119mila chilometri quadrati. L’attenzione è tuttavia concentrata proprio sulle foreste vergini, in quanto particolarmente preziose, non soltanto per la quantità di biodiversità che ospitano, ma anche per il contributo che garantiscono in termini di assorbimento della CO2 dispersa nel mondo a causa delle attività antropiche. Ad inquietare inoltre è il fatto che gli effetti della deforestazione peseranno a lungo sul Pianeta: “Occorreranno dei decenni, se non dei secoli, prima che tali aree possano tornare al loro stato di origine”, ha aggiunto Mikaela Weisse.

A causare la distruzione delle foreste sono stati in particolare gli incendi. Quelli che hanno devastato il Brasile hanno riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, per via della loro vastità. Ma a quelle legate ai roghi, è probabile che nel 2020 possano aggiungersi altre minacce.
I rischi legati alla ripresa economica post-coronavirus

Il governo guidato dall’ultra-conservatore Jair Bolsonaro ha deciso infatti di rendere più facili le estrazioni minerarie, petrolifere e di gas in aree protette. Così come la conversione di zone boschive in aree adibite ad agricoltura intensiva. Ciò attraverso un progetto di legge approvato a febbraio e che probabilmente peserà fortemente sull’anno in corso.

Non a caso, l’8 maggio scorso l’Istituto nazionale per le ricerche spaziali (Inpe), aveva indicato che nei primi quattro mesi del 2020 sono stati rasi al suolo 1.202 chilometri quadrati di foresta. Il 55 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Prendendo inoltre in considerazione unicamente l’area disboscata nel mese di aprile di quest’anno, pari a circa 405 chilometri quadrati, l’incremento rispetto allo stesso periodo del 2019 è stato del 64 per cento.





Come se non bastasse, poi, la pandemia di Covid-19 potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. “Dal mondo intero ci arriva l’eco di un aumento dello sfruttamento delle aree ricoperte da foreste – spiega Frances Seymour, del Wri -, anche per progetti minerari illegali”. Il rischio è che la necessità di riavviare le economie prevalga anche sulla salvaguardia dei territori. Il che conferma che il mondo è ad un bivio: o scegliere la strada della ripresa ad ogni costo o scegliere una svolta sostenibile. Mai come oggi il destino delle generazioni future è nelle nostre mani.

fonte: www.lifegate.it

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Un aborto ogni quattro donne incinte: la città in cui il glifosato uccide chi non è nato

Gravi malformazioni impediscono ai bambini di venire al mondo. Accade in una cittadina del Brasile, Uruçuí dove addirittura una mamma su quattro perde il proprio piccolo. Secondo i media locali, la colpa sarebbe del glifosato utilizzato nelle grandi piantagioni di soia e mais della zona.
















Una storia su tutte ha commosso e indignato il mondo. Maria Felix, 21 anni, ha perso il proprio piccolo a sei mesi di gravidanza. Il bambino è morto nel grembo materno a 25 settimane. La causa dell'aborto era una grave malformazione: il bambino aveva l'intestino al di fuori dall'addome e anche una serie di problemi cardiaci.
Secondo quanto riportato da The Intercept Brasil, non è raro che le madri della regione perdano presto i loro figli: il glifosato che garantisce la ricchezza degli agricoltori della città nel sud dello stato sta causando una vera e propria intossicazione che ha gravi ripercussioni sulle mamme e i bambini.
"Si stima che una donna su quattro in gravidanza abbia subito un aborto, il 14% dei bambini viene al mondo con basso peso alla nascita (quasi il doppio della media nazionale)" spiega The Intercept Brasil sulla base dei dati di un sondaggio condotto da Inácio Pereira Lima, che ha indagato le intossicazioni a Uruçuí nella sua tesi di laurea sulla salute delle donne per l'Università Federale del Piauí.
Maria non era in grado di parlare, ma a raccontare la sua triste storia è stata la zia, la funzionaria pubblica Graça Barros Guimarães:
"Il pesticida causa problemi respiratori e allergie. Quindi, se la donna è incinta, anche il bambino può essere infettato. "
Graça ha raccontato che la nipote era sempre stata circondata da allevamenti di soia. La casa in cui vive, a Uruçuí (nello Stato del Piauí), dista circa 15 km da una piantagione. Prima viveva nella zona rurale del comune di Mirador, a Maranhão, anche lì nel cuore di piantagioni.
"Tutto questo è una conseguenza del modello di sviluppo economico in cui è focalizzato solo il profitto, indipendentemente dalle conseguenze negative per la popolazione", ha detto il ricercatore Inácio Pereira Lima, che incolpa l'agrobusiness della malattia della popolazione.
Il glifosato è il pesticida più usato in Brasile. Per via dei suoi effetti sulla salute umana, il paese ne aveva chiesto il divieto di commercializzazione fino a quando le autorità non ne avessero effettuato la rivalutazione tossicologica. Ad agosto, il glifosato è stato bandito ma la sentenza è stata rovesciata in appello poche settimane dopo.
Secondo la dott.ssa Lima, la presenza della sostanza nel latte materno indica potenzialmente due cose: la contaminazione è diretta e le quantità utilizzate nell'attività agricola della regione sono così elevate che l'eccesso non viene degradato dal metabolismo delle piante. Le donne studiate non lavorano nemmeno nei campi. A suo avviso, l'organismo è contaminato dalla pelle e dalle vie respiratorie.

Le donne e i loro bambini, le più grandi vittime

Secondo i registri dell'Ospedale regionale di Uruçuí, gli aborti di solito avvengono nelle donne di età compresa tra i 20 e i 30 anni che arrivano fino alla decima settimana di gestazione. L'elevato numero di casi è citato dall'infermiera Iraídes Maria Saraiva:
"Ci sono molte donne che arrivano con sanguinamento o col feto privo di battito. La maggior parte di questi aborti sono spontanei".
Nel reparto maternità di Floriano, la coordinatore di ostetricia Luiz Rosendo Alves da Silva ha visto molti casi di aborto e crede che la colpa sia dei pesticidi.
"È una contaminazione lenta, graduale e quotidiana. La principale conseguenza è l'atrofia di alcuni organi, principalmente cuore e polmoni ".

Paura e silenzio

Nella città dove quasi tutti si conoscono, nessuno ha voglia di raccontare cosa accade. Se l'intossicazione è più grave, i lavoratori addirittura ne nascondono la possibile causa ai medici. La gente, qui molto povera, ha paura di perdere il lavoro, complice anche la mancanza di informazione sui rischi dei pesticidi.
"Non credono nemmeno che possa verificarsi qualche problema serio perché i danni appaiono solo a lungo termine" spiega Alanne.

Glifosato, danni anche per più generazioni

Proprio oggi arriva una nuova conferma degli effetti del glifosato sull'uomo. I ricercatori della Washington State University hanno scoperto una varietà di malattie e altri problemi di salute nella prole di seconda e terza generazione di topi esposti al glifosato.
Anche se la ricerca è stata condotta sugli animali, ha dimostrato per la prima volta che anche i discendenti sviluppavano malattie della prostata, dei reni e delle ovaie, obesità e anomalie alla nascita.
I ricercatori hanno rivelato di aver visto "aumenti drammatici" di diverse patologie che colpiscono la seconda e la terza generazione. La seconda generazione ha avuto "aumenti significativi" di malattie dei testicoli, delle ovaie e delle ghiandole mammarie, ma anche obesità. Nei maschi di terza generazione, i ricercatori hanno visto un aumento del 30% di problemi alla prostata, tre volte quella di una popolazione di controllo. La terza generazione di femmine ha avuto un aumento del 40% di malattie renali. Inoltre, più di un terzo delle madri di seconda generazione ha avuto gravidanze non riuscite.
"La capacità del glifosato e di altre sostanze tossiche ambientali di influenzare le nostre generazioni future deve essere presa in considerazione," hanno dettogli autori dello studio.
A dir poco inquietante...
fonte: www.greenme.it

Curitiba -- la citta' del Brasile senza monnezza











 Jaime Lerner

Curitiba, stato del Parana'. 

E' una citta' del Brasile che nel 1989 stava letteralmente soffocando nell'immondizia. Scene come quelle che vediamo oggi nei fiumi dell'Indonesia, nei mari di Santo Domingo e a volte anche nelle nostre civilissime citta' italiane.

Cosa fare?

Trenta anni fa hanno avuto la brillante idea di iniziare con la raccolta differenziata "spinta", coinvolgendo per prima cosa i ragazzini, con gioco, con scambi di immondizia per bonus da spendere sul cibo, soldi per l'autobus, sussidi per cancelleria scolastica, regalini di Natale.

E quei ragazzini del 1989 hanno insegnato la lezione ai loro genitori, ma anche ai loro figli.

Qualcuno di loro e' diventato impegnato in politica, altri hanno avuti ruoli di responsabilita', ma il seme dell'importanza del recupero della monnezza e' rimasto.

Oggi il 70% dell'immondizia di Curitiba, una citta' di 3 milioni di persone e' reciclato, e quasi tutto viene raccolto. Ci sono circa 10,000 impegnati nella gestione dei rifiuti. Le spese per infrastruttura e' molto diminuita nel corso degli anni, perche' e' la gente e' impegnata da se. 

Ad esempio, servono sempre meno camioncini dell'immondizia.



Il 100% delle famiglie fa la raccolta differenziata.

Un altro risvolto dell'impegno personale dei cittadini nel gestire la propria immondizia e' che il numero di infezioni da zanzare infettive e' calato del 99%.

Tutto questo e' nato da un progetto del sindaco della citta' del tempo, un architetto dal nome Jaime Lerner che volle rendere la sua citta' un laboratorio ambientale. 

Nel 1960 il famoso archietto brasiliano Oscar Niemeyer aveva costruito la capitale, Brasilia, una citta' pensata a tavolino, ordinata, precisa, diversa dal caos delle altre citta' del paese.

Curitiba si trova a 1500 chilometri di distanza, ma volevano anche loro fare la stessa cosa, ordinare la citta'. Costruirono strade, demolirono edifici vecchi e storici per far spazio al nuovo, e la citta' scopri' viadotti nuovi sfreccianti nel cielo, incuranti di tutto quello che c'era sotto. 

Al tempo era una cittadina che gravitava attorno a San Paolo, con un passato agricolo non troppo lontano. E infatti era nata sulla scia dei tanti immigrati europei, tedeschi, italiani, polacchi, ukraini, che si sono qui stabiliti verso il 1870. Accanto ai campi agricoli hanno portato i loro ristoranti, le loro aree di culto, i loro negozi. 

La crescita della citta' continuo' senza sosta, finche' negli anni 1940 divenne troppo grande. La macchinizzazione della cultura di soia porto' disoccupazione a tanti contadini che si riversarono nella citta', e la popolazione raddoopio, fino a raggiungere 360mila persone nel 1960. 

Favela, traffico, aria sporca avevano preso il posto delle chiesette e dei piccoli negozi degli immigranti della prima ora. 

Nel 1964 ci fu un colpo di stato in Brasile. La giunta militare decise di portare ordine a tutto il paese. 

Il sindaco Ivo Arzua di Curitiba volle appunto prendere spunto da Brasilia, con crescita ordinata, verso l'alto, e dare spazi maggiori al re della strada, la macchina. 

Tutta questa spinta verso il modernismo svincolato dal passato non piaceva a Lerner, che voleva invece conservare l'aspetto originale della sua citta'. Un giorno sarebbe stato il sindaco della cittadina ma al tempo era solo uno studente di architettura.

Pian piano Lerner costrui' la sua carriera come pianficatore urbano.

Nel frattempo non ci furono passi concreti verso la "modernizzazione" come pensata da Ivo Aruza, a causa di burocrazia, parole, carte, documenti. 

Ed e' stata una fortuna perche' finalmente nel 1972 Lerner divento' sindaco lui di Curitiba. Inizio' a spingere per una citta' fluida, cercando di unire lavoro e residenza, tempo libero e traffico, ricchi e poveri, futuro e passato, in spazi che possono coesistere.

Nel 1972 trasformo' una delle vie piu' grandi della citta', Rua Quinze de Novembro in una strada pedonale. I negozianti non ne vollero sapere ma lui ando avanti, certo che sul lungo andare sarebbe stato un successo. 

La trasformazione da strada a via pedonale del primo tratto della strada avvenne in un weekend, in silenzio, da Venerdi' a Lunedi.

Poco democratico, certo, ma a quel tempo di democratico in Brasile c'era poco.

Al Lunedi' mattina i negozianti furono sopresi (e arrabbiati!) dalla chiusura al traffico automobilistico, ma ancora di piu' dal traffico pedonale che non solo si era riversato in strada, ma che perdurava anche dopo le ore di chiusura degli uffici. In poco tempo gli altri negozianti chiesero di pedonalizzare tutta la strada e cosi fu. 

Nel 1974 introdussero per la prima volta corsie dedicate agli autobus, con l'ingresso da pensiline centro della strada in modo da non fermare il traffico ai margini, seguirono metodi di prepagamento del biglietto, tratte speciali piu' veloci con meno fermate, ed autobus piu' lunghi,  tutte novita' per l'epoca, partite tutte da Curitiba.

Per esempio, fu Lerner ad ingaggiare la Volvo affinche' costruissero autobus snodabili e piu' lunghi in modo da portare piu' persone. Quando li vediamo nelle nostre citta', e' da Curitiba che arriva l'idea. 

Oggi l'85% dei residenti della citta' usa l'autobus, e il sistema delle fermate limitate e' stato copiato in mezzo mondo, anche Londra che prese ispirazione da Curitiba, e piu' di recente da Shanghai.

Allo stesso tempo si penso' di incentivare il verde pubblico. Nel 1971 Curitiba aveva un solo parco pubblico. Oggi ne ha varie decine, con circa 50 metri quadri a persona. Un numero enorme per l'America Latina, considerato che per esempio a Buenos Aires il numero e' di 2 metri quadri a persona.

Tutto fu fatto in modo sostenibile usando il legno di vecchi pali dismessi dalle ditte di elettricita', piantando alberi, incoraggiando la gente ad averne cura.





E cosi' non e' raro nel centro della citta' vedere pappagalli, uccelli, alberi rigogliosi. 

Dove hanno trovato la terra? Al tempo c'era l'idea di cementificare il vicino fiume Iguazu, quello delle cascate, per le troppe esondazioni. La citta' compro' le terre vicino al fiume, le bonifico' e le trasformo' in parchi. Una soluzione eccellente: piu' spazi verdi e sistema ecologico protetto, e minor paura delle esondazioni. 



Il centro della citta' fu preservato dalla scure dei modernisti estremisti.

Sopratutto la citta' venne consegnata ai cittadini, con l'idea che gli spazi erano *di tutti* e che *tutti* ne erano responsabili.  Sta qui la chiave di tutto secondo me, che tutti sentiamo di essere parti della res publica, quale che sia il nostro ruolo nella societa'.

E veniamo alla monnezza, un grande problema per la citta' negli anni 1980, quando la popolazione per la prima volta raggiunse il milione di abitanti.





Era difficile fare la raccolta tradizionale dell'immondizia, specie nelle favela: tanta gente, strade strette, monnezza gettata a casaccio, pure nei fiumi, incuranza.

Nel 1989 l'assistente di Lerner, Nicolai Kluppe, penso' di creare un sistema di incentivi per il recupero della monnezza. Era molto semplice: immondizia in cambio di gettoni per l'autobus.
Il sindaco accetto di provare l'idea. Non avevano soldi, e questo esperimento era a basso rischio. 

Dopo quattro mesi, anche le zone piu' difficili di Curitiba, erano state ripulite dai residenti stessi.
  
E da li altre idee: non solo gettoni per l'autobus ma anche da spendere su cose utili. E cosi' a scelta, quattro chilogrammi di immondizia danno diritto ad un buono di un chilogrammo di verdura, uova e frutta. E poi ancora con il tempo a libri, e pure biglietti per il cinema.

Il sistema funziona a tuttoggi.  

Certo, a partecipare in questo programma sono stati per primi i piu' poveri, ma nel tempo si sono coinvolti i ragazzi e con loro le scuole, gli adulti, le generazioni. Reciclare, non sprecare, e' diventato un modo di pensare.

Anche nei centri commerciali si usano le forchette di metallo, il polystirolo e' essenzialmente inesistente, il riuso e' diffuso.

I 10,000 raccoglitori di immondizia sono ora ben organizzati con uniformi, metodi diversi per la raccolta di vetro, metallo, olio usato e pure materiale contaminato.  Qualcuno di loro ha il compito di scopare le strade, di raccogliere le cicche, di trasportare la monnezza nei posti appropriati di smaltimento o di reciclaggio.

Si parla spesso della teoria dei vetri rotti - cioe' che piu' degrado c'e', piu' il degrado cresce. Qui invece e' la teoria della citta' bella - cioe' che piu' e' bella la citta', piu' la gente ne avra' cura.

E ha funzionato.

I centri di recupero monnezza di Curitiba sono 23 in tutta la citta' e operano come non profit. Creano materiale da isolamento da materiale da costruzione, vetro torna ad essere vetro e cosi pure metalli e carta. La plastica diventa sedie da giardino. C'e' pure materiale per i tetti fatto di tubi di dentifricio con garanzia quinquennale.

Tutto quello che ricavano viene usato per comprare sedie a rotelle per chi ne ha bisogno. 

Jaime Lerner divenne sindaco nel 1972 lo fu fino al 1992 con alcune pause intermedie. Fu poi nel governatore dello stato di Parana, di cui Curitiba e' capitale dal 1994 al 2002.  Ha anche creato un istituto per la pianficazione urbana di Curitiba, l'Instituto de Pesquisa e Planejamento Urbano de Curitiba che esiste tuttora e che funziona da laboratorio di idee.

Qui ha implementato le stesse idee di coinvolgimento della gente per il recupero dei fiumi e dei laghi inquinati.

Le regioni confinanti hanno preso un mutuo dal Fondo Monetario Internazionale per ripulire i loro fiumi. Lerner ha preso zero soldi, ma ha convinto la sua gente a farlo.

E' stato davvero intelligente. Per esempio, coinvolse i pescatori: quando le condizioni meteo erano cattive per catturare pesci, convinse loro di catturare monnezza in acqua. Lo stato li avrebbe pagati, proprio come a Curitiba.  E qui la strategia ha davvero funzionato, perche' non solo fiumi e laghi sono diventati piu' puliti, ma senza monnezza e' aumentato anche il numero di pesci e la pesca ne ha beneficiato enormemente. 

Jaime Lerner ha vinto ogni sorta di premio ambientale possibile.

Dice che occorre partire dal basso, rendere tutti partecipi, iniziare le cose e avere poi il coraggio di riadattarle, di migliorarle, ascoltando la gente. 


Ovviamente Curitiba e il Parana' non sono dei paradisi assoluti. Anche oggi, circa l'8% di Curitiba vive nelle favela, il traffico negli ultimi anni e' aumentato, e cosi pure il crimine, i graffiti. Pero' e' certo che se paragonata alle altre citta' del Brasile, Curitiba e' rimasta piu' umana, un po speciale e piu' bella. 

Sopratutto trenta anni dopo l'esperimento dei biglietti dell'autobus, Curitiba e' una citta' ad immondizia zero.


fonte: https://dorsogna.blogspot.com/

Brasile: Eliminazione graduale dell'usa e getta


















Mentre in Italia non si muove foglia nel mondo ...
In Brasile la Commissione per l'Ambiente ieri ha approvato un disegno di legge che prevede l'eliminazione graduale dell'usa e getta. Secondo il testo approvato, la plastica dovrebbe essere sostituita nel 20% degli utensili entro due anni dall'eventuale validità della legge. Questo requisito salirà al 50% dopo 4 anni; al 60% dopo 6 anni; e all'80% dopo 8 anni. La plastica dovrebbe essere completamente bandita dopo dieci anni.



fonte: Umbria verso Rifiuti Zero

Un vero successo il tour rifiuti zero di Alessio Ciacci in Brasile.













Incontri con le massime istituzioni del paese per l’avvio di politiche di riciclo dei materiali
Si è concluso oggi il tour di Alessio Ciacci in Brasile, chiamato a illustrare le migliori esperienze italiane di raccolta differenziate e riciclo, alle massime autorità statali e cittadine nella capitale brasiliana. In cinque giorni Ciacci, Presidente di ASM Rieti e ACSEL Val di Susa, ha partecipato come relatore a sette convegni e numerosi incontri bilaterali per presentare e promuovere il modello italiano “Rifiuti Zero” adottato nel 2007 da Capannori come primo comune italiano e che oggi annovera oltre 270 comuni per oltre 6 milioni di cittadini coinvolti.
Il Tour, organizzato dall’Istituto brasiliano “Lixo Zero” e dal suo presidente, Rodrigo Sabatini, è stato anche l’occasione per la presentazione del primo Congresso Mondiale Città Rifiuti Zero che si terrà a Brasilia dal 5 al 7 di Giugno e vedrà la partecipazione di decine di città da tutto il mondo nonché dal Presidente della Repubblica del Brasile. Importanti incontri sono stati inoltre organizzati con l’azienda di gestione rifiuti della capitale e l’associazione nazionale dei comuni brasiliani, interessati ad approfondire i risultati costruiti in Italia grazie a politiche di riciclo, tariffazione puntuale e riduzione degli scarti. Un’altra parte del tour si è svolta a Florianopolis dove sono stati organizzati incontri presso la Camera di Commercio con aziende locali, presso il Parlamento federale dello stato di Santa Caterina e presso l’Università in occasione della firma di un importante accordo di cooperazione universitaria su Rifiuti Zero. Il primo al mondo di questo tipo.
“E’ stato un vero onore essere il testimonial –afferma il Presidente Alessio Ciacci – dei migliori esempi di un modello italiano di raccolta differenziata, riciclo e riduzione che fa sempre più scuola nel mondo. Una vera soddisfazione percepire tanto interesse internazionale per i risultati che stiamo raggiungendo. Unire le forze a livello planetario per costruire politiche di sostenibilità è sempre più urgente ed importante.”.
“Il modello italiano di gestione Verso Rifiuti Zero è rivoluzionario, poiché si concentra sulla responsabilità dei cittadini, promuove la valorizzazione delle risorse naturali e ha una importante sostenibilità economica, – afferma Rodrigo Sabatini. È il modello ideale per i paesi in via di sviluppo come il Brasile, basato sul cambiamento di processo e capitale umano e invece di capitale finanziario intensivo. Il modello italiano –conclude Sabatini- è la migliore applicazione del concetto di rifiuto zero, una metodologia etica, economica, efficiente e visionaria, ormai collaudata.”








































fonte: http://www.ciaccimagazine.org

Il mondo salvato dagli spazzini


















“Qui, ogni giorno, lavoriamo insieme”. Almir ha il volto scavato, un berretto blu in testa e le idee molto chiare: quando durante una video-intervista (Südwind, 2015) gli chiedono di raccontare cosa fa la cooperativa di catadores (raccoglitori di immondizia) Coopmare di San Paolo, spiega come la vita di migliaia di persone è cambiata perché hanno smesso di lavorare da soli.
Coopamare – Cooperativa dos Catadores Autônomos de Papel, Aparas e Materiais Reaproveitáveis – è una delle esperienze più importanti di raccolta di rifiuti riciclabili dell’America latina. Nata a San Paolo trent’anni fa su spinta dell’organizzazione non governativa di ispirazione cristiana OAF (Organização de Auxilio Fraterno), ha riunito persone senzatetto che già autonomamente svolgevano un lavoro di raccolta di rifiuti e riciclaggio.
Il rifiuto di un’assistenza dall’alto
Il problema centrale di questi lavoratori, poveri e senzatetto, naturalmente era, ed è ancora in molti casi, la mancanza di capitali da investire. Capitali non solo finanziari, ma anche sociali e culturali. L’organizzazione collettiva nella forma della cooperativa, basata su principi di solidarietà e democrazia interne, ha permesso creare relazioni sociali diverse all’interno ma anche di ricevere sostegni da agenzie statali e organizzazioni non governative dall’esterno, come una sede, camion, una pressa per comprimere i rifiuti differenziati. Tuttavia, il cuore di questa esperienza resta la totale autogestione dei lavoratori e delle lavoratrici, il loro rifiuto di un’assistenza paternalistica dall’alto, il loro desiderio di riprendere in mano la propria vita.




La questione della sopravvivenza è una delle ragioni forti che portano molte persone a questo lavoro, dal momento che i catadores non sono accettati dal mercato del lavoro, finiscono per essere esclusi dalla società e restare “vite di scarto” (Bauman, 2005). Per questo, uno degli obiettivi di Coopamare, messa su inizialmente con un gruppo di venti spazzini, è rendere i raccoglitori, ma anche la società e le istituzioni, consapevoli dell’importanza di questo mestiere.
Molti catadores in questi anni sono stati in grado di migliorare la loro qualità di vita e di trovare un tetto, altri continuano a vivere in strada ma attraverso Coopamare possono soddisfare i loro bisogni di base come lavarsi, mangiare, studiare. Tutti hanno la possibilità di ricostruire relazioni di solidarietà, cooperazione e affetto.
Inoltre, a causa dell’esplosione del problema dei rifiuti, comune a tutte le grandi città del mondo, ong, istituzioni e perfino imprese sono state costrette ad ascoltare il loro punto di vista. Pur non essendo il loro principale obiettivo, resta sorprendente come nel giro di pochi anni i catadores sono stati in grado di incidere anche nelle leggi dello Stato brasiliano. Di certo, nella maggior parte delle metropoli di tutto il mondo, come racconta in un interessante reportage da Città del Messico Pietro Luppi, “il sistema di raccolta dei rifiuti si regge, sia dal punto di vista logistico che economico, in base a meccanismi non ufficiali che nel corso degli anni hanno raggiunto la perfezione di un orologio” (Luppi, 2012).
Cosa significa autogestione collettiva?
L’attività quotidiana di Coopamare consiste nella raccolta di rifiuti riciclabili nelle strade di San Paolo (tramite i raccoglitori, che lavorano in autonomia), differenziazione, compressione (con una pressa), immagazzinamento e vendita ad altre compagnie capaci di processare il materiale. Il logo scelto dai lavoratori per la cooperativa è un omino che trascina un carretto carico di oggetti recuperati.
Ma cosa significa che l’autogestione della cooperativa è collettiva? Ad esempio che tutti hanno la stessa paga oraria, inclusi coloro che non lavorano direttamente con i rifiuti, come i lavoratori del servizio di guardiania e quelli dell’amministrazione. L’organo sovrano è l’assemblea, che si riunisce almeno una volta a mese. Il consiglio di amministrazione si limita alla routine quotidiana e a preparare l’assemblea. Insomma, Coopamare resta innanzitutto una comunità tra pari (Susy, 2017).
Il ruolo delle donne
Chiaramente esistono ancora grandi problemi da gestire e risolvere: lavorare con l’immondizia è visto sempre come un lavoro non desiderabile e come un impiego temporaneo, ciò spiega l’alto turn-over di lavoratori. Inoltre le donne sono il 70 per cento e rimangono nella cooperativa più a lungo, di fatto è grazie a loro se Coopamare è stata sostenibile nel tempo. Essere lavoratrici della Coopamare permette probabilmente di coniugare cura della famiglia e lavoro fuori casa: il che vuol dire che donne casalinghe ottengono un ingresso e si rendono più autonome, ma dall’altro è segno di una società che scarica tutto il peso della casa sulle donne, mentre gli uomini cercano lavori più “prestigiosi”.
Ma soprattutto le paghe sono ancora basse, per quanto migliorate con la cooperativa, del resto si basano solo sulla vendita di rifiuti differenziati a industrie di riciclaggio (la municipalità non paga per l’opera di pulizia che compiono). E con queste paghe, e con la scarsità di capitali da investire, è difficile rimanere competitivi sul mercato.
Oficina Escola
Uno dei progetti più nuovi a cui Coopamare tiene di più è senza dubbio l’Oficina Escola, cioè il Laboratorio-Scuola di Arti e riciclaggio dedicato agli adolescenti. Con la collaborazione di un gruppo di artisti, i giovani imparano a produrre carta a mano, creare prodotti e sviluppare oggetti d’arte e decorazione da materiale riciclabile. “Ci sono due tipi di corsi – spiegano on line (Coopamare.wordpress.com, 2017) – Ci sono corsi per la formazione di manodopera qualificata (riservata ai figli e alle figlie di spazzini e basso reddito, i giovani di età compresa tra i quattordici e diciassette anni), che insegna la produzione di carta fatta a mano. Il secondo tipo è aperto invece al pubblico: utilizzando lo spazio fisico e l’esperienza pratica del Laboratorio-Scuola, gli studenti partecipano al processo di produzione della carta realizzato dalla cooperativa”.
Economia solidale
Come diverse altre esperienze brasiliane, la storia di Coopamare si nutre soprattutto di autogestione, democrazia interna e principi di solidarietà. La cooperativa di San Paolo è dunque uno dei numerosi esempi della cosiddetta Economia sociale e solidale (ESS) che in Brasile, tra inevitabili limiti e contraddizioni, continua a essere comunque un fenomeno vasto, cresciuto negli anni ’90, nato dai poveri e i poverissimi. Quando parliamo di Economia sociale e solidale in Brasile, la differenza principale tra le imprese tradizionali e quelle solidali è che i lavoratori ne sono i proprietari: insomma, la distinzione tra padroni e lavoratori termina di esistere. Il principio guida è quindi l’auto-organizzazione collettiva attraverso l’esplicito requisito di un processo decisionale democratico. Come accennato, tutti i lavoratori coinvolti hanno pari diritto di voto, e le differenze di salario sono minori rispetto alle convenzionali imprese capitaliste.
Guardando il rapporto 2013 del SENAES – Segreteria Nazionale dell’Economia Solidale – appare evidente come il fenomeno dell’ESS sia ampio (33,518 imprese censite, stima al ribasso, visto che le più piccole potrebbero non essersi registrate) e riguardi soprattutto i poveri: infatti il 40 per cento delle imprese è nel nord-est (più povero), è prevalentemente rurale (55 per cento a livello nazionale, tranne nella regione fortemente urbanizzata di San Paolo dove è il contrario, 61 per cento sono in città), e chi ci lavora ha un grado di istruzione basso (47 per cento non ha completato nemmeno la scuola primaria, il 13 per cento ha solo completato la scuola primaria, il 24 per cento le superiori – “ensino médio completo” – e solo il 7 per cento ha una laurea, sotto la media del Brasile).
Se nelle campagne l’ESS è costituita da agricoltura familiare, nelle città l’attività più importante è proprio quella delle cooperative di raccoglitori di immondizia.
Dal 2003 con l’arrivo al potere del Pt anche i governi nazionali hanno cominciato ad appoggiare alcune esperienze dell’ESS: Lula nel 2003 ha istituito la Segreteria Nazionale all’Economia Solidale (SENAES, con Paul Singer sottosegretario), che anche se con un budget piccolo, ha promosso un lavoro di rete tra le tante esperienze di economie solidali, creando anche vari forum di partecipazione.
Nel 2011 inoltre continuerà la sua opera, distribuendo verso l’economia solidale (soprattutto il settore dell’agricoltura familiare) parte dei finanziamenti del piano “Brasile senza miseria”, ideato da Dilma Roussef per l’inclusione sociale.
È interessante osservare, infine, come il movimento dell’ESS sia cambiato negli ultimi anni. Oggi rispetto agli anni ’90 per esempio hanno preso molta importanza i concetti di “Buen Vivir” e “Vivir Bien”, promosso dai movimenti indigeni boliviani ed ecuadoriani, avvicinandosi e influenzando i movimenti ecologisti (Susy, 2017).
Mettersi in rete
Di certo fondamentale, per esperienze come Coopamare, è stato mettersi in rete: nel 2001 è nato il Movimento Nazionale dei Raccoglitori di Materiali Riciclabili (MNCR), attraverso il quale si intessono anche relazioni internazionali, in particolare durante i Forum sociali, momenti importanti di condivisione di saperi e “co-educazione”.
Tramite la rete di cooperative sociali e solidali raccolte nel MNCR, “i più esclusi tra gli esclusi” hanno acquisito un ruolo politico importante, soprattutto con i governi del Pt. Nel 2002, per esempio, una legge riconosce la categoria lavorativa dei raccoglitori di rifiuti riciclabili: non più “poveri” che hanno bisogno di assistenza (paternalistica), ma lavoratori che svolgono un lavoro essenziale per la società brasiliana e la sostenibilità ambientale. Nel 2003, l’MNCR viene inclusa nella commissione interministeriale per l’inclusione dei raccoglitori (CIISC). Nel 2010 il MNCR partecipa alla stesura della nuova legge sui rifiuti solidi PNRS, legge che testualmente prevede “l’incentivo alla creazione e allo sviluppo di cooperative di raccoglitori di materiali riutilizzabili o riciclabili” tra gli strumenti politici a disposizione.
Per un punto approfondimento più generale e per un punto vista critico sugli ultimi anni della vita politica e sociale in Brasile rimandiamo ad alcuni articoli dello scrittore e giornalista Raúl Zibechi, pubblicati su Comune e segnalati nella bibliografia (Zibechi, 2016; Zibechi, 2017).
Qualcosa di buono per il pianeta
Ma l’insieme di azioni che accrescono la capacità di controllare e migliorare la propria vita di queste lavoratrici e lavoratori non passa soltanto per la democrazia interna e per la capacità di farsi ascoltare dai governi; passa, prima di tutto, attraverso per la consapevolezza di fare un lavoro essenziale per la sostenibilità della società brasiliana: l’agenzia governativa IPEA calcola che l’80 per cento dei rifiuti riciclati sono raccolti dai raccoglitori di materiali riciclabili. “Oggi sappiamo che facciamo qualcosa di buono per la società e per il pianeta”, dice sorridendo Maria Dulciniera Silvia, tesoriera di Coopamare, in un’intervista (Südwind, 2015)”.
Già, il pianeta soffoca per la quantità di rifiuti prodotti. Non si tratta soltanto di incentivare la riduzione della produzione dei rifiuti alla fonte e la raccolta differenziata e dunque il riuso e riciclo, ma più in generale di ripensare il rapporto con gli oggetti. Del resto, da sempre donare, scambiare, condividere, recuperare, riutilizzare, riciclare sono azioni della vita di ogni giorno che possono aiutare a svelare la realtà del nostro rapporto con le cose (la cui importanza non dipende solo dal valore d’uso o di scambio). Quel rapporto è quasi sempre carico di senso e affetti ben più delle pulsioni o dei ragionamenti che guidano all’usa e getta, all’acquisto del nuovo (diventato sinonimo di bello, migliore, importante…), dove prevalgono invece sensazioni e scelte imposte dal mercato. È evidente a tutti ovunque: abbiamo bisogno di una cultura dell’usato, di una “civiltà del riuso”, per dirla con Guido Viale, e questa sarà tanto più in grado di agire in profondità quanto più sarà promossa da esperienze del basso come Coopamare. “Una vera promozione dell’usato richiede una grande operazione culturale: riportare al centro delle attenzioni di tutti il valore della memoria, della continuità, con il passato o con contesti sociali e culturali diversi dal nostro… Sono gli stessi oggetti che ci sono stati lasciati o ceduti a offrirci una testimonianza non scritta ma loquace del loro mondo e promuovere una contaminazione di gusti, culture e abitudini” (Viale, 2010).
fonte: https://comune-info.net/