RIPARARE GLI AEE - a cura di Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero aps
Se la dipendenza dalle materie prime critiche diventa un boomerang per lo sviluppo sostenibile
La seconda vita dei rifiuti salva lavoro e ambiente. Ma manca il decreto attuativo
Prendiamo spunto anche dalla recentissima interrogazione avanzata dalla parlamentare del MoVimento 5 Stelle Ilaria Fontana che ha il merito di portare all’attenzione dei decisori politici interventi normativi di facile attuazione, in linea con il buon senso attraverso i quali si può “ottenere il massimo con il minimo sforzo” (legge basilare dell’economia). Ma evidentemente nel nostro Paese i “facile diventa difficile se non impossibile” specialmente quando si parla di provvedimenti non sostenuti dai soliti “oligarchi”.
Ebbene, ripercorrere la vergogna della mancata attuazione del Dlgs 205/2010 indigna, visto che essa sarebbe dovuta intervenire appena 6 mesi dopo il decreto approvato. Eppure altrettanta pigrizia non c’è stata per attuare ad intermittenza provvedimenti che hanno sottratto dalla “nozione di rifiuto” il Combustibile Solido Secondario (Css) per essere bruciato nei cementifici, oppure per declassare a “materia prima seconda” i terreni e le rocce di scavo.
Certo, lì ci sono interessi milionari in ballo (si pensi ai fanghi di scavo per l’alta velocità: se vanno smaltiti come rifiuti hanno costi elevatissimi, comunque non certo equiparabili se, invece, “derubricati” a “materiali”).

Eppure, normare la “preparazione per il riutilizzo” significherebbe trattare per esempio elettrodomestici vari, computer, smartphone, biciclette, mobili, oggetti, materassi non come generici materiali al massimo da inviare a riciclo, ma come prodotti da riparare e da riutilizzare, dando loro una seconda vita senza complesse pastoie burocratiche che intervengono sempre quando si ha a che fare con i rifiuti. Basterebbe definire con rigore “semplici procedure” per garantire e standardizzare i processi di riparazione insieme ai prodotti riconquistati a seconda vita.
Ciò ridurrebbe non solo i rifiuti attraverso la realizzazione di centri di riparazione e riuso ma l’intera impronta ecologica necessaria, specialmente se comparata con la necessità di prelievi ed emissioni correlati all’acquisto di nuovi prodotti. Senza sottovalutare, poi, che quest’approccio darebbe impulso a piattaforme di smontaggio e montaggio, di riparazione e di commercializzazione in grado di fornire possibilità di piccole imprese (falegnamerie, sartorie, officine meccaniche, commercio di vintage e di prodotti usati) e quindi di posti di lavoro.
È lo stesso Ministero dell’Ambiente che nel 2015 ha affermato (in base ad uno studio svolto insieme al Centro di Ricerca “Occhio del Riciclone”) che il settore dell’usato, pur senza disporre di nessun aiuto pubblico, già allora “valeva” oltre 80.000 posti di lavoro a livello nazionale. Favorendolo con agevolazioni e semplificazioni crediamo che sia ragionevole prevederne il raddoppio nel giro di appena tre anni. D’altronde, in uno studio svolto nel 2007 da un centro studi negli Usa e riferito ai rifiuti prodotti dalla città di Los Angeles, si è “scoperto” che i rifiuti ingombranti che lì rappresentavano appena il 2% del totale rifiuti della città avevano un valore potenziale del 39% del valore economico dell’insieme di tutti i rifiuti.
In altre parole recuperare elettrodomestici, mobili, biciclette ecc. a livello economico è di gran lunga più remunerabile del riciclo e della vendita di carta, vetro, metalli, polimeri ecc. Ci si accorge così come i “bulky item” (gli ingombranti) siano un’altra di quelle “miniere di valore” indicate dalla stessa Ue per attivare in concreto l’economia circolare.

Ecco perché ancora richiamiamo l’opportunità del Recovery Plan non solo quale opportunità di finanziamento per questo settore (anche la digitalizzazione è funzionale al reperimento, allo scambio e/o vendita di tali prodotti dando sviluppo ad apposite app) ma anche quale necessità di opportune “riforme normative” tra l’altro a costo zero. Così, oltre al decreto attuativo di cui sopra, questa attenzione all’importanza dell’allungamento del ciclo di vita dei prodotti chiediamo che divenga occasione anche per l’approvazione di una legge sul modello di ciò che è avvenuto in Svezia, dove dal 2017 vengono forniti sgravi fiscali dal 25 al 12% per coloro che dimostrano di aver fatto riparare scarpe, biciclette, elettrodomestici, computer ecc.
Ma in Italia i decisori politici sono ancora affascinati dalle “rottamazioni” e dai Black Friday. Ecco perché ho ancora più apprezzato la sollecitazione della parlamentare Ilaria Fontana! Grazie dal Movimento Zero Waste!
fonte: www.ilfattoquotidiano.it
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La mobilità elettrica cresce, ma la circolarità delle batterie è ancora a zero
Metà delle emissioni totali di gas serra nel mondo derivano da attività di estrazione e trasformazione di risorse. Un dato da tenere in debito conto se si vuole raggiungere, confermato pochi giorni fa dal Consiglio Europeo, di ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro dieci anni, per poi arrivare alla neutralità climatica nel 2050.
Riuso di pile e accumulatori, questo sconosciuto
È rivolto a questi obiettivi anche il Piano d’azione strategico per l’economia circolare, orientato a ridurre la produzione di rifiuti ma riconfigurare il mercato interno europeo delle materie prime seconde (mps) di alta qualità. La Commissione Europea, però, ha ritenuto necessario affiancare a strategie e piani d’azione anche un sistema di monitoraggio finalizzato a accelerare in maniera efficiente la transizione circolare. Tra questi ci sono gli End-of-life recycling input rates (in sigla EOL-RIR, Tassi di riciclaggio di input a fine vita), legati proprio alla misurazione dell’uso delle risorse. Questi indicatori promettono di monitorare accuratamente i progressi compiuti in termini di riutilizzo di materia nei processi produttivi. Dalle statistiche fornite da Eurostat su EOL-RIR, emerge che importanti materiali come cobalto e litio, principali elementi utilizzati nelle pile e accumulatori, riportano un tasso di riutilizzo pari a zero. Insomma, mentre la mobilità elettrica e l’industria degli accumulatori si fanno largo sullo scenario globale, anche a suon di incentivi di varia natura, non c’è praticamente traccia di circolarità nella filiera costruttiva delle batterie e dei suoi elementi costitutivi. Siamo ancora in alto mare nel riuso di queste materie prime così preziose e rare e al tempo stesso così intensamente utilizzate e presenti negli oggetti della nostra quotidianità.
L’iniziativa della Commissione Ue
Non a caso la Commissione Europea ha in programma una radicale revisione del quadro normativo in materia, che congiuntamente a una spinta verso il diritto alla riparazione potrebbe contribuire ad arginare il problema e le emissioni climalteranti che ne derivano. Qualche giorno fa la Commissione ha presentato la prima delle iniziativa annunciate nel nuovo Piano d’azione per l’economia circolare: un nuovo quadro normativo per le batterie che punta a rafforzare la sostenibilità dell’intera catena del valore degli accumulatori per la mobilità e incentivare la circolarità di tutte le batterie. Si intende infatti introdurre delle regole sul contenuto riciclato e su i tassi di raccolta e riciclaggio di tutte le batterie. Questo punto vuole incentivare il recupero di materiali ad alto valore aggiunto da poter reinserire nel mercato. Inoltre, il regolamento definisce dei requisiti di sostenibilità per quanto riguarda il processo di produzione, l’approvvigionamento etico delle materie prima e la sicurezza dell’approvvigionamento, tramite il riutilizzo, il riciclaggio e il cambio di destinazione. “Con questa proposta UE innovativa sulle pile e batterie sostenibili stiamo dando il primo grande impulso all’economia circolare nell’ambito del nostro nuovo piano d’azione per l’economia circolare – ha dichiarato Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l’Ambiente, gli oceani e la pesca – Questi prodotti sono pieni di materiali preziosi e vogliamo garantire che nulla vada sprecato: la sostenibilità delle pile e batterie deve crescere di pari passo con il loro numero sul mercato dell’UE.”
Il cobalto si ricicla, ma l’Europa non se n’è accorta
L’indicatore EOL-RIR misura per una data materia quanto del suo input nel sistema produttivo derivi dal riciclaggio di “rottami vecchi”, vale a dire rottami da prodotti a fine vita. Questo indicatore quindi raccoglie non solo l’aspetto del riciclo, ma anche le altre strategie attuabili per portare il sistema alla circolarità, come il riuso o la riduzione (in base al cosiddetto Paradigma delle R).
Per l’Europa, dove aumenta costantemente il numero degli accumulatori al litio in circolazione per la mobilità elettrica, avere un tasso di EOL-RIR pari a zero per il cobalto equivale a bloccare del tutto l’economia circolare nel settore. Ad oggi, in pratica, una batteria a fine vita non ha più niente da offrire al sistema economico, evidentemente perché quest’ultimo non ha messo in campo sistemi di recupero e riutilizzo dei materiali, tutt’altro che impossibili da realizzare. Ad oggi, dunque, nel Vecchio Continente una risorsa rara quanto strategica come il cobalto viene gettata via come se non avesse più alcun valore, mentre in altre parti del mondo questa preziosa materia prima continua ad essere estratta per ricoprire la stessa funzione. Un circolo vizioso in totale contrasto con il Piano d’azione europeo per l’economia circolare, per cui i materiali che si possono riciclare dovrebbe essere reinseriti nell’economia come nuove materie prime.
Verso un boom della domanda
Trovare una soluzione al recupero di cobalto, la cui estrazione quasi sempre coincide con casi estremi di sfruttamenti di lavoratrici e lavoratori, anche minori, è un tema sempre più attuale, proprio perché è ormai presente in quasi tutti gli oggetti tecnologici che utilizziamo quotidianamente. La batteria di uno smartphone contiene dai 5 ai 10 grammi di cobalto, mentre ne servono diversi chilogrammi per un’auto elettrica, che deve a questo metallo raro la capacità di estendere la durata della sua batteria agli ioni di litio e quindi la sua autonomia. Se ancora non è chiara quanto sia alta la domanda di cobalto nel mondo, gli analisti del Swisse Resource Capital AG (SRC), società svizzera di consulenza e analisi nel settore minerario, rendono noto come ci sarà un boom di domanda di cobalto nei prossimi anni che si attende salire oltre le 300mila tonnellate all’anno entro il 2025. Un segnale d’allarme che, anche grazie alle norme a cui sta lavorando l’Esecutivo comunitario, l’Europa potrebbe trasformare in opportunità. Per farlo però, dovrebbe immediatamente rendere operativa la possibilità di tramutare i cumuli di rifiuti elettrici ed elettronici in una vera e propria miniera di cobalto, creando quindi un mercato alternativo in grado di coprire la richiesta sempre maggiore dei grandi produttori asiatici di batterie per vetture elettriche e prodotti elettronici.
L’Italia alla guida del nuovo corso?
La tecnologia attualmente disponibile in Europa per il trattamento delle batterie di auto elettriche a fine vita prevede costi ancora molto alti, soprattutto di tipo energetico, ed è orientata al solo recupero di materie rare e ad alto valore aggiunto, come il cobalto e nichel. Al contrario, le alte temperature del processo danneggiano litio (anch’esso con EOL-RIR uguale a zero) e manganese, che quindi non si possono riutilizzare. Il processo quindi sembra adatto al recupero soltanto di alcune materie, ma non permette di “salvare” tutti gli elementi della cosiddetta black mass, la componente attiva delle batterie. Sul tema della gestione degli accumulatori al litio a fine vita Cobat, consorzio che si occupa anche della gestione dei rifiuti di pile e accumulatore, ha investito in ricerca e sviluppo per individuare insieme al CNR-ICCOM (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Chimica dei Composti Organo Metallici) di Firenze una tecnologia innovativa che non solo permetta un trattamento e riciclo a costi sostenibili ma che massimizzi il recupero di quei materiali, in modo da poterli nuovamente inserire nel mercato come materia prima seconda. Dai risultati incoraggianti dello studio, Cobat è attualmente in attesa di ottenere un brevetto per la realizzazione di un impianto di macinazione da cui recuperare la black mass degli accumulatori. Ma prendere un accumulatore a fine vita e scomporlo in tutte le sue componenti non è l’unica soluzione. Sempre Cobat sta analizzando la possibilità di dare seconda vita agli accumulatori nel settore delle rinnovabili. Le batterie dei veicoli elettrici dopo circa 8 anni hanno una capacità di carica insufficiente ad alimentare una macchina, ma conservano comunque una capacità di carica, sia pur ridotta. Da questa constatazione nasce l’idea di riutilizzare le batterie non più in grado di alimentare veicoli per riassemblarle e renderle adatte a stoccare energia da fonti rinnovabili. Luigi De Rocchi, responsabile ricerca e sviluppo di Cobat spiega come “le case automobilistiche sono fortemente interessate alla second life degli accumulatori utilizzati sulle proprie auto, dal momento che l’allungamento del loro ciclo di vita e la nascita di un business secondario può avere effetti positivi sui costi di gestione degli accumulatori, in questo modo agevolando l’affermazione del mercato dell’elettrico”.
Etica e profitto, una sfida
Recuperare materiali rari come il cobalto da li accumulatori non sarebbe solo un’opportunità economica ma avrebbe anche un valore etico. Da una parte abbiamo l’avvento della mobilità a bassissime emissioni con auto e moto elettriche, dall’altro però si deve fare i conti con una disponibilità limitata di materie prime e condizioni economiche e sociali sfavorevoli nei territori in cui queste materie prime critiche vengono estratte. Il caso del cobalto ne è un esempio, dal momento che le aree di estrazione sono poche e spesso instabili. La maggior parte delle riserve sono concentrate in regioni politicamente fragili, come la Repubblica democratica del Congo, fornitore del 55% del cobalto totale a livello globale. Questo mercato diventa così emblema dei danni dell’economia lineare: per fornire un materiale utile prevalentemente al mondo globalizzato si sottraggono risorse e diritti a popolazioni che vivono in estrema povertà, limitando i vantaggi a una élite spesso corrotta. Incentivare il recupero di materiali come il cobalto dalle batterie dismesse potrebbe portare ad allentare la presa nei confronti delle risorse “altrui”, creando una filiera domestica – la cosiddetta “miniera urbana” – in grado di dare valore ai cumuli di apparecchiature elettroniche e accumulatori esausti che invadono i punti di raccolta e le discariche di tutta Europa, Italia compresa. In questo modo ci si potrebbe aspettare un’impennata dell’indicatore EOL-RIR per cobalto, litio e molti altri materiali che costituiscono una batteria.
Potenzialità delle materie prime seconde
La Commissione Europea è al lavoro anche per aggiornare il quadro di monitoraggio dell’economia circolare, che fa già riferimento a numerosi indicatori basati su diversi aspetti del sistema economico, tra cui EOL-RIR per le materie prime seconde. C’è anche l’ulteriore obiettivo di creare nuovi indicatori che terranno conto di aspetti del Piano d’azione per l’economia circolare e delle relazioni tra circolarità, neutralità climatica e obiettivo “inquinamento zero”. Per quanto riguarda le materie prime seconde , il Piano d’azione per l’economia circolare prevede diverse misure a sostegno di una loro maggiore competitività in termini di costo e disponibilità, così da portare equilibrio tra domanda e offerta e permettere l’espansione del settore, per esempio con l’introduzione dell’obbligo di contenuto riciclato minimo nei prodotti. Spingere in questa direzione rafforzerebbe la crescita del mercato delle materie prime seconde e aumenterebbe la responsabilità nei produttori. Questi ultimi potrebbero così vedere rivalutati i loro magazzini, che in un’ottica circolare costituiscono un patrimonio non indifferente di materie utili e preziose.
L’Italia ha di fronte a sé una grande sfida, quella di sfruttare le sue grandi potenzialità nella raccolta e riciclo di rifiuti di pile e accumulatori per divenire un importante fornitore di materia prima seconda, valorizzando così ancora una volta la sua capacità di aggirare l’ostacolo della mancanza di materie prime puntando su recupero, riutilizzo e riciclo.
fonte: economiacircolare.com
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Firenze città circolare
Il problema esiste e va affrontato sia con politiche di prevenzione ma anche con una maggiore e migliore raccolta differenziata. Alia Servizi Ambientali SpA lancia il progetto Firenze Città Circolare, per rendere il capoluogo toscano una “miniera urbana": la città da grande produttrice di rifiuti a serbatoio di importanti risorse da impiegare in molteplici processi produttivi.
Il concetto di urban mining (miniera urbana), di cui si parla da qualche anno, riguarda tutte le attività ed i processi relativi al recupero di materia e energia da prodotti e rifiuti. In ottica di economia circolare, l’urban mining e il riciclaggio sono complementari e tese a garantire l’approvvigionamento in sostituzione delle materie vergini.
Rifiuti come la carta, la plastica, il vetro, i RAEE, i metalli, gli scarti alimentari e tanto altro possono essere utili in diversi comparti industriali, che possono avvalersi di queste materie seconde al posto di quelle vergini. Questo comporta la costruzione di un solido rapporto con i settori industriali presenti sul territorio, in modo da costruire delle filiere corte, toscane, volte al riciclo...
Tutto questo va chiaramente nella direzione della transizione verde, che è tra gli obiettivi dell’Unione Europea, come chiaramente indicato nel New Green Deal, ma anche del nostro Paese, tanto da farne, di recente, uno dei pilastri del rilancio economico post Covid19, nel Piano governativo di ripresa e resilienza (PNRR).
Firenze non vuole perdere quest’opportunità e si candida ad essere una protagonista dello sviluppo industriale legato alla valorizzazione dei rifiuti, accelerando il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata contenuti nelle direttive UE sull’economia circolare.
Nelle aree collinari e a bassa densità abitativa, verrà introdotto il sistema di raccolta porta a porta, mentre nelle zone centrali della città, verranno collocati nuovi cassonetti, suddivisi per tipologia di rifiuto con la possibilità di apertura e conferimento esclusivamente per chi è iscritto a ruolo per la TARI o, per i soli utenti occasionali, tramite apposita App o un A-Pass temporaneo.
Il nuovo sistema porterà dei benefici, consistenti in aumento delle raccolte differenziate e raggiungimento anticipato degli obiettivi previsti dall’UE, in particolare, smaltimento in discarica ridotto a meno del 10% raggiunto al 2025 anziché al 2035, incremento della quantità (70%) e qualità della raccolta differenziata e raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio previsti dalle direttive UE, diminuzione dei costi di smaltimento dell’indifferenziato miglioramento delle qualità delle raccolte differenziata con aumento dei ricavi dalle singole frazioni, ottimizzazione dei servizio di raccolta con minori oneri di gestione. riduzione CO2 prodotta dagli spostamenti dei mezzi per la raccolta differenziata.
Il sistema di riconoscimento dell'utenza fornisce inoltre la possibilità di introdurre sistemi premianti per i cittadini virtuosi e va nella direzione di responsabilizzare i cittadini e premiare chi mostra di essere attento all’ambiente e ai necessari cambiamenti richiesti dalla “rivoluzione verde”.
Alia ha, infine, previsto, anche dei servizi a supporto della qualità delle raccolte differenziate, prevedendo le ecotappe, gli ecofurgoni e i punti di raccolta di oli alimentari.
Per sapere “quanto e come” la zona di proprio interesse sarà coinvolta in questo processo di cambiamento, che terminerà nel 2023, è possibile consultare il sito www.firenzecittacircolare.it, inserendo il proprio indirizzo di casa e/o lavoro, si può già conoscere quando è previsto il cambiamento e quale servizio arriverà nella zona di proprio interesse.
Con questo progetto, si può affermare che Firenze entra a fare parte del gruppo di città che, in Europa, stanno sperimentando la “miniera urbana”, come Amsterdam, che ha vinto il premio World Smart Cities nel novembre 2017, e Bruxelles; in entrambe sono attive strategie circolari, che rispondono agli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030 previsti dalle Nazioni Unite e che stiamo cercando di attuare anche nel nostro Paese.
Ulteriori informazioni su Firenze Città Circolare e anche sul sito Web del Comune di Firenze - Direzione Ambiente
fonte: www.arpat.toscana.it
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Economia circolare, nei nostri dispositivi elettrici c’è una miniera per la transizione ecologica

Nonostante una lunga pausa dalla crescita economica, viviamo in Italia un’epoca piena di benessere e novità nel campo tecnologico rispetto al passato anche recente. Infatti, per quanto le differenze siano enormi in termini di ricchezza tra il famoso 1% e il resto della popolazione, la quasi totalità di noi ha accesso ad un frigorifero, un cellulare e possibilmente un computer. Tutti i beni di largo consumo direttamente alimentati ad elettricità sono considerati Electrical and electronic equipment (Eee). Questi beni sono rilevanti per svariati motivi.
In primis ci permettono di mantenere standard di vita impensabili fino a sessant’anni fa. Il loro accumulo non è stato più veloce della crescita delle nostre economie. In termini di peso, dove il cittadino medio dei paesi europei deteneva in media circa 37 Kg, ad oggi ne possiede circa 730 Kg.
Ma non è tutto oro quello che luccica. In aggiunta ad aver indirettamente aiutato ad allungare la vita umana grazie alla conservazione alimentare e migliori strumenti medici, gli Eee possono portare nuovi problemi. Poiché l’usura tende a comprometterne le prestazioni, anche questi beni sono destinati al cassonetto. Tuttavia, un incauta gestione dei rifiuti può generare impatti seri.
Il sistema legale a cui facciamo riferimento circa la classificazione dei rifiuti è inquadrato dalla direttiva sulla restrizione delle sostanze pericolose 2002/95/EC, entrata in vigore nel 2003 (da questa legislazione deriva la classifica evidenziata nella prima illustrazione). La ragione di questo dispositivo legale è la minimizzazione degli impatti: questi sono dovuti alla complessa composizione materiale dei prodotti che noi usiamo tutti i giorni. Molti di essi, come piombo, nickel e plastica possono avere effetti dannosi se disperse nell’ambiente. Ma con l’avvento di una visione circolare dell’economia, abbiamo compreso che gli stessi scarti possono essere riconvertiti in risorse.
Dove un computer non può essere riconvertito per problemi di hardware, può infatti essere comunque considerato un piccolo deposito di oro, cobalto, nickel, litio e altro ancora. Per quanto possa sembrare riduttivo pensando al nostro computer di casa, facendo riferimento a tutti gli Eee, in media un cittadino europeo è in possesso di circa 160 Kg di materiale riciclabile. Tra questi troviamo tra ferro, rame, argento, oro, palladio, alluminio ed altri ancora. Secondo la best available technology (BAT), il potenziale di riciclo di alcuni di questi materiali (in particolare i rari come oro) raggiunge il 90%. Sommato tutto quello attualmente classificato, potremmo riciclare circa il 20% del peso del nostro stock.
Questa è una stima potenziale iniziale e solo per 16 materiali, come mostra lo studio Estimating total potential material recovery from EEE in EU28. Si tratta in poche parole di un valore totale di 71.761.633 tonnellate annuali. Per quanto possa sembrare un grande numero, bisogna tenere a mente che la sola produzione di rame nel mondo è nell’ordine delle milioni di tonnellate annuali. Allora perché sarebbe rilevante questa dinamica? E quanto costerebbe essere circolari solo nell’ambito degli Eee?
Adottando un approccio da economisti minerari, la ricchezza di un deposito è spesso dipendente dal grado di roccia o “ore grade”. Un geologo potrebbe alzare la mano avanzando giustamente perplessità. Ci sono svariate accezioni di questo temine. Per semplicità, viene chiamata “ore grade” la percentuale di minerale che si può estrarre da un deposito. Questo valore ha fatto più volte discutere gli esperti in quanto è in caduta libera da decenni. Eppure l’estrazione non sembra diminuire.
Se noi applichiamo lo stesso principio sul “deposito” di Eee, il fenomeno accade nella stessa maniera; poiché si tratta di una variabile insita in manufatti, potremmo definirla artificiale (“Artificial Ore Grade” o AOG in inglese). E anche la percentuale di AOGche possiamo recuperare è in caduta da oltre vent’anni.
Tuttavia, buona parte dei minerali presenti in depositi naturali non ha i livelli di “ore grade” comparabili a quelli artificiali. Se guardiamo ad esempio al rame, i ricchi depositi cileni si misurano in valori millesimali. In Europa sarebbero invece in valori percentuali.
Sebbene in quantità assolute minori, l’habitat umano (chiamato antroposfera) è, secondo questa ipotesi, ricco di risorse. Gli stessi minerali verdi (green minerals) come litio, cobalto, nickel che potrebbero garantirci i materiali per la transizione ecologica sono già qui in Europa.
Poiché però la composizione degli Eee è in cambiamento in favore di parti plastiche per ragioni ergonomiche, la quantità di metallo estraibile si riduce (da notare la seconda immagine). Sarebbe meglio avere beni più ricchi di minerali preziosi e riciclare di più? No, l’abbassamento dell’Aog non è un problema, in quanto come per i depositi naturali è controbilanciato da uno stock massiccio di beni da trattare. Con questa logica la riduzione della dipendenza dai minerali vergini si ridurrebbe drasticamente.
Questo avrebbe un impatto duplice. Il primo di tipo ambientale e sociale, in quanto l’estrazione mineraria estera è spesso correlata con violazioni dei diritti umani (si pensi al Coltan in Congo). Secondo, riduce la dipendenza da produttori esteri. Una logica di recupero a livello europeo (magari tramite grandi hot-spot di raccolta) darebbe le basi ad una strategia comune. Ci sarebbero inoltre positive risvolti occupazionali.
In termini di prospettiva, dovremmo forse guardare alle nostre economie più in termini materiali e di peso piuttosto che di valore.
fonte: www.greenreport.it
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