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Pacchetto economia circolare, pubblicato il decreto rifiuti e imballaggi. In Gazzetta Ufficiale anche la direttiva sulle discariche

Recepite due delle direttive che andranno a modificare il Testo Unico Ambientale per quanto riguarda la definizione di rifiuto urbano, di rifiuti speciali assimilabili, di tracciabilità e responsabilità estesa





E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore il prossimo 26 settembre il decreto legislativo 116/20 che recepisce due delle direttive approvate due anni fa dall’Unione europea in materia di rifiuti e imballaggi e, in particolare, quella che tratta la riduzione degli scarti e il recupero di risorse. Tra gli obiettivi del provvedimento, il raggiungimento entro il 2025 del 55% di riciclo dei rifiuti urbani, mentre già nel 2030 per i soli imballaggi bisognerà aver raggiunto complessivamente il 70%. Per quanto riguarda i conferimenti in discarica, il tetto massimo dovrà essere del 10% entro il 2035.

Definizioni di rifiuto e responsabilità estesa - Il decreto pubblicato va a modificare la parte quarta del decreto legislativo 152 del 2006, che si occupa di disciplinare la gestione dei rifiuti. Alla revisione del Testo unico ambientale saranno tenuti ad adeguarsi tutti i soggetti pubblici e privati che producono, raccolgono, trasportano e gestiscono rifiuti. Cambiano molte delle definizioni, a partire da quella di “rifiuto urbano”, così come cambiano le discipline di legge relative al deposito temporaneo, alla classificazione, ai criteri di ammissibilità in discarica dei rifiuti. I rifiuti speciali assimilati a quelli urbani diventano semplicemente urbani quando sono “simili per natura e composizione ai rifiuti domestici”, un'assimilazione che deriva dall'incrocio tra 15 tipologie di rifiuti (dagli organici ad “altri rifiuti non biodegradabili”) con 29 categorie di attività che li producono e che sottrae ai Comuni la possibilità di assimilazione. Ma cambia anche il ruolo dei produttori di beni di consumo, con un rafforzamento dell’istituto della responsabilità estesa, tra i principi cardine dell’impalcatura normativa disegnata dall’Ue e oggi entrata definitivamente nell’ordinamento italiano. L’entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della direttiva europea sui rifiuti riscrive infatti il quadro normativo nazionale in materia, preparando l’avvento del nuovo sistema di tracciabilità, si legge infatti nel decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che sarà “integrato nel Registro Elettronico Nazionale” istituito a seguito della conversione del Decreto Legge n. 135/2018 (e della contestuale abolizione del Sistri) e sarà gestito dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali.

Consorzi - Il nuovo decreto inciderà profondamente sui meccanismi che regolano il sistema italiano di raccolta e gestione. Cambiano, ad esempio, le logiche di finanziamento delle differenziate, con i sistemi Epr, ovvero i consorzi afferenti al Conai nel caso dei rifiuti da imballaggio, che saranno obbligati a coprire il 100% dei “costi efficienti” di gestione (l’80% in deroga) entro il 2024.
Novità sugli impianti, decide il Ministero - Il decreto rifiuti demanda al Ministero dell’Ambiente, con il supporto tecnico di Ispra, la definizione di un “Programma nazionale di gestione dei rifiuti” con gli obiettivi, i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e Province autonome si dovranno attenere nell’elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti. Il programma dovrà contenere, tra l’altro, la “ricognizione impiantistica nazionale”, indicando il fabbisogno di recupero e smaltimento da soddisfare. Una misura che ridimensionerà la potestà degli enti locali, con le Regioni che dal canto loro avranno la possibilità di definire accordi per “l’individuazione di macro aree” che consentano “la razionalizzazione degli impianti dal punto di vista localizzativo, ambientale ed economico, sulla base del principio di prossimità”.

Reazioni - “Recependo il Pacchetto Economia Circolare, il Governo dimostra attenzione nei confronti delle prospettive sostenibili per il futuro del Paese e sensibilità nei confronti delle istanze avanzate durante l’iter legislativo dal settore del recupero e riciclo dei rifiuti. Il principio dell’obbligo della detassazione va nella giusta direzione di sostenere le imprese della Green Economy e contribuisce allo sviluppo di un comparto industriale tra i più competitivi a livello europeo.” Lo dichiara in una nota Francesco Sicilia, Direttore Generale di Unirima, Unione Nazionale Imprese Recupero e Riciclo Maceri.

Nei giorni scorsi erano invece stati pubblicati in Gazzetta i decreti relativi al recepimento delle direttive su veicoli fuori uso, Raee e imballaggi




E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale anche il provvedimento sulle discariche, l’ultimo dei quattro D. Lgs per il recepimento delle direttive Ue del “pacchetto economia circolare” che contiene i decreti relativi anche a veicoli fuori uso, Raee e imballaggi. Il 14 settembre è stato infatti pubblicato il D.Lgs 3 settembre 2020 n. 121 “Attuazione della direttiva Ue 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”.

Il D.Lgs per il recepimento della direttiva 2018/850 introduce una nuova disciplina sul conferimento dei rifiuti per arrivare a una riduzione del ricorso alle discariche. Il decreto (che entra in vigore il 29 settembre) riforma infatti i criteri di ammissibilità dei rifiuti negli impianti. Vengono inoltre definite le modalità, i criteri generali e gli obiettivi, anche in coordinamento con le Regioni, per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla direttiva in termini di percentuali massime di rifiuti urbani conferibili negli impianti.

fonte: https://www.e-gazette.it

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Designer trasforma un vecchio maggiolino Volkswagen in due adorabili mini-moto


















Il designer Brent Walter è riuscito in un’impresa di riciclo creativo davvero notevole: ha trasformato un vecchio Maggiolino Volkswagen in due minimoto.

Cosa fare di un vecchio maggiolino Volkswagen inutilizzato? Solo un brillante designer come Brent Walter, originario di Huntington (Indiana, Stati Uniti), poteva ideare i Volkspods, una coppia di minimoto in cui si notano, inconfondibili, le iconiche curve dell’auto da cui sono ricavate e, per questo, hanno una forma che le rende allo stesso tempo vintage e stilose.

In pratica Walter ha utilizzato i parafanghi del maggiolino, tagliando e unendo insieme l’anteriore e il posteriore che così, insieme, si sono magicamente trasformati nella scocca della minimoto.

I Volkspods sono dotati di un faro di grandi dimensioni che li fa assomigliare un po’ ad un ciclope su ruote. L’ampio manubrio e il sedile ricordano quelli delle biciclette, mentre il logo VW decorato sulla parte anteriore di ogni minimoto ricorda le loro nobili origini.


Le moto hanno un motore da 79 cc e grazie alla vernice verde betulla e blu pastello, i colori originali del Maggiolino VW, viene ancor più accentuato il loro stile retrò.

Qui di seguito potete vedere “sfrecciare” questi piccoli scooter.

fonte: www.greenme.it

Miniere urbane: on line la prima mappa europea

Una mappa delle miniere urbane di tutta Europa, per tracciare le 18 milioni di tonnellate di computer, batterie, frigoriferi, rottami di veicoli e altri rifiuti elettrici ed elettronici che contengono materiali del valore di miliardi di dollari.



















E’ realtà la prima Urban Mine Platform (Ump) ad accesso libero a livello europeo: un portale web basato su un database centralizzato e aggiornato che fornisce tutti i dati e le informazioni disponibili su giacimenti, scorte, flussi e trattamento di rifiuti elettrici ed elettronici, veicoli fuori uso, batterie a fine vita e rifiuti minerari, per tutti i 28 Stati membri dell’Ue, più Svizzera e Norvegia.
La piattaforma (www.urbanmineplatform.eu) è il risultato del progetto Prosum, avviato nel 2015 e terminato a dicembre 2017, cui Remedia ha preso parte ricoprendo il ruolo di membro Ltp di Weee Forum, l’associazione no-profit che dal 2002 riunisce 34 sistemi collettivi Raee in Europa e nel mondo. Il portale fornisce dati su tutto il ciclo di vita delle principali materie prime critiche, (dalle terre rare ai metalli preziosi) provenienti sia da attività minerarie, sia da attività di riciclo.
“L’Unione Europea affronta una sfida importante per il futuro della sua industria, che passa anche dalla possibilità di approvvigionarsi in modo competitivo di materie prime essenziali per le proprie produzioni strategiche, assicurando così sviluppo e occupazione – dichiara Danilo Bonato, direttore generale di Consorzio Remedia – In questo scenario, siamo lieti di aver contribuito alla realizzazione di una piattaforma integrata per rendere fruibili a tutti gli interlocutori di riferimento dati aggiornati e completi sulla disponibilità delle principali materie prime critiche, provenienti sia dalle attività minerarie sia dai processi di riciclo dei nostri rifiuti, nel promettente contesto dell’economia circolare”.
L’intero progetto ProSum è finanziato dalla Comunità Europea all’interno del programma Horizon 2020, uno dei programmi più rilevanti di ricerca e innovazione a livello europeo con quasi 80 miliardi di euro di finanziamenti disponibili in 7 anni (dal 2014 al 2020).
Alcuni dati di contesto. Ogni anno in Europa vengono generati circa 9 milioni di tonnellate di Raee, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche oltre a 7-8 milioni di tonnellate di veicoli fuori uso e vengono vendute più di 1 milione di tonnellate di batterie. Questi prodotti contengono una significativa quantità di materie prime critiche che possono essere recuperate, dai metalli preziosi alle terre rare. Ad esempio, il 99% del consumo mondiale di gallio è nei circuiti integrati e nei dispositivi optoelettronici, il 74% di indio si trova negli schermi piatti e il 27% di cobalto è contenuto nelle batterie ricaricabili. Attualmente l’Unione Europea importa la maggior parte di queste materie prime.
fonte: http://esper.it

Veicoli fuori uso: da rifiuto a possibile risorsa

I rottami provenienti dagli impianti di demolizione possono contribuire all’attuazione di un’economia circolare se vengono immessi in un processo integrato e condiviso tra soggetti privati e pubblici



















È stato presentato il Report dell’Associazione Industriale Riciclatori di Auto (AIRA) per l’annualità 2018, contenente alcune possibili indicazioni per poter partecipare attivamente alla realizzazione di un’economia circolare.
Le stime confermano che i Veicoli Fuori Uso (VFU) ogni anno conferiti presso gli impianti di smaltimento superano la quota di 1.000.000 di tonnellate. Il D.Lgs. n. 209 del 24.06.2003 prevedeva di raggiungere almeno l’85% di reimpiego e riciclaggio ed il 95% di reimpiego e recupero complessivo sul totale dei VFU asseverati come rifiuto.
Rispetto ai limiti sopra indicati, l’Italia deve individuare delle soluzioni se intende soddisfarli, considerato che nel 2015 il nostro Paese ha raggiunto l’84,6% di reimpiego e riciclaggio e l’84,7% di reimpiego e recupero, mentre nel 2016 tali valori hanno registrato un’ulteriore diminuzione attestandosi rispettivamente ad un 82,5 di reimpiego e riciclaggio ed 82,6 di reimpiego e recupero. Le cifre indicano che se nel settore del riciclo dei Veicoli Fuori Uso (VFU) l’Italia vuole migliorare le sue prestazioni deve individuare le criticità per apportare dei miglioramenti nelle fasi di processo di reimpiego, riciclaggio e recupero, concetti, questi, fondamentali dell’economia circolare.
Se da un lato le radiazioni per le demolizioni hanno confermato una diminuzione anche per il 2017 dovuta ad un oggettivo calo di vendite del nuovo, dall’altro una serie di fenomeni descrivono una zona grigia che dirotta i veicoli radiati (VFU) fuori da un corretto conferimento agli impianti di smaltimento preposti.
La diminuzione della “materia prima” da trattare ha una ricaduta economica di un certo rilievo per le aziende che operano nella gestione di veicoli fuori uso (VFU) tanto da far rilevare gli apparati di smaltimento non adeguatamente dimensionati per la reale quantità di rifiuti conferiti, rendendo in ultima analisi antieconomici gli investimenti, spesso assai onerosi, fatti dagli imprenditori per raggiungere performances ambientali sempre migliori.
Sono infatti le radiazioni per l’esportazione a “dirottare” ingenti quantità di autovetture, specialmente di grossa cilindrata, nei paesi extra UE. Questi veicoli obsoleti ed inquinanti sono esportati principalmente nei Paesi dell’Est Europa, spesso non per essere re-immatricolati, ma per essere smantellati ed utilizzati per i pezzi di ricambio, con enormi perdite di carattere economico perché vanno ad alimentare mercati illeciti dei ricambi e confluendo poi in centri di raccolta stranieri. Questo comporta una perdita di competitività nazionale per gli impianti di autodemolizione, per quelli di frantumazione e per il comparto siderurgico nazionale ad essi strettamente collegato. Vengono in questo modo sottratte centinaia di migliaia di tonnellate di rottami di ferro che confluirebbero nelle lavorazioni del comparto siderurgico nazionale e che la stessa è poi obbligata ad importare da altri Stati.
Una proposta di soluzione per arginare tale fenomeno potrebbe essere quella di subordinare la radiazione, che vuole dire la cancellazione dall’archivio nazionale dei veicoli e del Pubblico Registro Automobilistico (PRA), a condizione che il veicolo sia stato sottoposto a revisione, con esito positivo, in data non anteriore a sei (6) mesi rispetto alla data di richiesta di cancellazione.
Nel pacchetto dell’economia circolare viene introdotto anche “il regime di responsabilità estesa del produttore” che prevederebbe l’impegno economico di quest'ultimo per la gestione del prodotto quando giunge a fine vita e diventa rifiuto.
Questa filiera di presidio responsabile (EPR) Extended Producer Responsibility ha il limite di non assere accompagnata e sostenuta da un sistema sanzionatorio, rendendo quindi debole se non inesistente il principio medesimo di responsabilità. La disciplina dell’EPR è demandata a regolamenti pattizi e/o all’iniziativa privata, senza prevedere, in caso di mancato accordo o di prolungata inerzia, un potere d’intervento sostitutivo da parte delle istituzioni pubbliche.
A tutto quanto appena esposto si aggiunge un regime dei prezzi delle materie prime più basso di quelle derivanti da processi di riciclo con evidenti problematiche di collocazione di queste ultime, pregiudicando la tenuta economica dei processi industriali.
auto-vecchia.jpgRisulta dunque di fondamentale importanza l’istituzione di un regime di responsabilità estesa del produttore che definisca in maniera chiara ed inequivocabile i ruoli e le responsabilità di tutti gli attori coinvolti, compresi i produttori. Il regime di responsabilità estesa lungo tutto l’arco di vita dei veicoli dovrà fondarsi su un sistema integrato che presidi e monitori la gestione dei VFU proponendo soluzioni a criticità che possono presentarsi durante la fasi della procedura di riciclo ed è per questo che il rapporto auspica la costituzione di un Comitato di Vigilanza presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con funzioni di controllo sull’intera gestione dei veicoli fuori uso.
Nel sistema integrato, i costruttori di veicoli, dovrebbero affidare la gestione dei veicoli fuori uso solo a centri di raccolta che dimostrino performance ambientali elevate sia in riferimento alle operazioni per la messa in sicurezza (rimozione degli accumulatori, di tutti i liquidi e disattivazione degli air bag) dei VFU che per l’attività di demolizione.
Già oggi sono operative le procedure di riciclo per cui i veicoli fuori uso possono fornire materiale da riavviare a processi produttivi, ne sono un esempio il “proler” che è un rottame ferroso già selezionato attraverso magneti dall’alluminio, oppure il “car fluff” formato da frammenti plastici derivanti dalle plastiche delle guarnizioni, dalla cavetteria, dall’imbottitura dei sedili. Quest’ultimo, il “car fluff”, sarebbe stato individuato dalla ricerca come un combustibile solido secondario (CSS) ottenuto da plastiche, carta e fibre tessili il cui impiego sarebbe adatto per impianti industriali esistenti in sostituzione ai combustibili tradizionali ma anche per gli impianti di produzione di energia elettrica. Tuttavia, proprio la composizione eterogenea di questo materiale ne rappresenta un limite e, insieme alle continue incertezze legate alla normativa sulla classificazione dei rifiuti, frena anche gli ingenti investimenti economici che sarebbero necessari per sviluppare tecnologie adatte al trattamento del “car fluff”, al fine di giungere ad un protocollo produttivo condiviso per la trasformazione in combustibile solido secondario.
Per approfondimenti: leggi il Report Il contributo dei frantumatori all’economia circolare
fonte: http://www.arpat.toscana.it

Vecchie auto diesel: è l’Africa la nuova discarica del mondo?

Con l’irrigidimento delle normative sulle emissioni dei nuovi veicoli nei paesi industrializzati, le vecchie automobili non più in grado di soddisfare i nuovi standard vengono perlopiù esportate in Africa. E la qualità dell’aria ne risente
















I bambini si divertono e giocano nel giardino di Uhuru - un parco nel centro della capitale del Kenya, Nairobi – ma sono ignari dei pericoli che corrono respirando l'aria che li circonda. È un’atmosfera carica di inquinanti tossici, che sono diventati una delle principali cause dello sviluppo di malattie respiratorie nel paese africano. 
Il problema è serio e non riguarda soltanto il Kenya. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni giorno nel corso del 2016 sono deceduti nel mondo 15.000 bambini sotto i cinque anni a causa di malattie respiratorie. A livello globale, l’agenzia ONU con sede a Ginevra stima che circa 7 milioni di persone muoiono ogni anno a causa dell'esposizione all'aria inquinata. E dei 4,2 milioni di malattie respiratorie croniche acquisite ogni anno, circa 3,3 milioni si verificano nei paesi a basso o medio reddito.
 
Non sorprende, dunque, che il fenomeno stia assumendo una dimensione rilevante in Africa. Secondo l’Environmental Compliance Institute di Nairobi, il settore dei trasporti sta diventando una delle principali fonti di inquinamento atmosferico nelle città africane, dove sono registrate concentrazioni sempre più elevate di particolato, ossido di idrogeno, idrocarburi e monossido di carbonio. 



















Qual è la causa? Parallelamente all’irrigidimento delle normative sulle emissioni inquinanti in Giappone, Unione Europea e Stati Uniti, aumenta il numero di auto in circolazione che, sebbene ancora funzionanti, non rispetta gli standard richiesti. L’effetto di tale gap ha attivato un flusso migratorio al contrario: la maggior parte di questi veicoli sono esportati in Africa. Un recente rapporto del Centro per la scienza e l'ambiente di Nuova Delhi punta il dito contro quattro paesi – Cina, Germania, Giappone e Stati Uniti – dai quali provengono il 29% di tutte le auto usate trasportate nel continente africano.
 
E la tendenza appare inesorabilmente destinata ad aumentare. L’esplosione demografica, insieme alla strutturale assenza di infrastrutture e trasporti pubblici, sta determinando il progressivo aumento della domanda di automobili tra gli africani. Così 25 paesi sono corsi ai ripari, fissando dei limiti all’importazione di veicoli usati. Ma l’applicazione della legge è blanda e i controlli sulle emissioni inefficaci. Altri stati, undici in totale, hanno optato per l’adozione degli standard Euro 4, imposti in Europa dal 2006, che prevedono un limite superiore di 50 ppm (parti per milione) di zolfo per le vetture diesel. Attualmente, nella maggior parte dei paesi africani i livelli sono compresi tra 2.500 e 10.000 ppm, mentre in Giappone e Unione Europea il tetto massimo è sceso a 10 ppm.  
  
Se anche i limiti fossero più rigidi resterebbe comunque il problema. Infatti, il gasolio utilizzato è particolamente sporco e un carburante più pulito ha un maggiore costo di produzione, che al momento i governi africani non sembrano interessati a incentivare.
 
Nelle economie avanzate, invece, importanti passi in avanti sono stati compiuti: oltre ad aver elevato gli standard minimi, i test vengono ora effettuati su strada e la tecnologia ha consentito di ridurre ulteriormente l’impatto delle auto sull’ambiente. Resta il fatto che sarebbe auspicabile sostenere con più convinzione la mobilità “alternativa”, senza dimenticare che surriscaldare ulteriormente l’Africa, portando lì un esercito di vecchie auto inquinanti, non rappresenta una soluzione. 

fonte: http://www.lastampa.it

Riciclaggio dei metalli: le vecchie auto sono miniere preziose

Ogni anno il mercato europeo butta fino a 20 tonn d’oro nascoste nei veicoli fuori uso. L’Urban Mine Platform ha tracciato il percorso dei metalli rari e preziosi nel settore auto
















veicoli fuori uso costituiscono delle vere e proprie miniere urbane di materiali preziosi ad oggi per lo più ignorate. Lo rivela un nuovo studio condotto dalla Chalmers University of Technology, in Svezia, e dedicato al riciclaggio dei metalli delle vecchie auto. I risultati del lavoro svedese confluiranno nel database Urban Mine Platform, lo strumento creato dal Progetto Prosum per mostrare il percorso dei metalli critici nel mercato europeo, dall’inizio alla fine. La piattaforma è l’unica al mondo a classificare i metalli che potrebbero essere riciclati a partire da auto, apparecchiature elettriche e dispositivi elettronici.
Si scopre così che, nonostante l’automotive europea continui ad aumentare la quantità di materiali preziosi e rari impiegati (e per lo più importati), la maggior parte è ancora costretta a un destino da rifiuto. Ogni anno, ad esempio, il mercato europeo butta fino a 20 tonnellate d’oro nascoste nell’urban mining delle vecchie auto.

“Questi metalli sono necessari per far procedere la transizione verso tecnologie più ecologiche, come auto elettriche, celle solari, illuminazione a LED ed energia eolica, quindi qualsiasi rischio di approvvigionamento costituisce un problema strategico ed economico per l’Unione Europea”, spiega Maria Ljunggren Söderman, ricercatrice presso Environmental Systems Analysis dell’ateneo svedese. “Inoltre, queste sono risorse limitate che devono essere utilizzate in modo sostenibile”. Comprendere il contributo dei veicoli a fine vita nei confronti del riciclaggio dei metalli, soprattutto se preziosi o rari, diventa quindi fondamentale.


Söderman ha analizzato 260 milioni di veicoli leggeri della flotta europea, determinando le quantità di metalli critici presenti nei mezzi e i rifiuti prodotti. Uno degli elementi che salta subito all’occhio, assieme al progressivo aumento degli scarti, è la crescita nell’utilizzo di nuovi materiali critici.
Questo è principalmente dovuto al fatto che stiamo costruendo mezzi sempre più avanzati, con una grande quantità di elettronica, materiali leggeri e convertitori catalitici. L’aumento del numero di veicoli elettrici si aggiunge a questo sviluppo, anche se finora rappresentano solo una piccola parte della flotta”, aggiunge la ricercatrice.

Uno di questi materiali è il Neodimio, metallo appartenente al gruppo delle terre rare, molto utilizzato nella produzione di componenti magnetici di microfoni e auricolari. L’elemento sta trovando sempre più spazio anche nell’industria automobilistica, motori dei veicoli elettrici in primis. Si stima che entro il 2020 ci saranno circa 18.000 tonnellate di Neodimio nella flotta europea, nove volte la quantità presente nel 2000. I prezzi di questo metallo (così come di altre terre rare) stanno crescendo progressivamente con l’aumento della domanda di mercato, ma hanno subito una vera impennata nel 2017, quando la Cina – primo produttore al mondo – ha chiuso diverse miniere illegali.
Allo stato attuale il riciclaggio dei metalli delle terre rare è parecchio in ritardo e non sempre il recupero è visto come la strategia d’elezione su cui puntare. La Toyota, ad esempio, sta cercando di correre al riparo realizzando i primi magneti per motore elettrico, in cui una parte del Neodimio sia sostituita con Lantanio e Cerio (terre rare a basso costo).

L’oro è un altro esempio e i ricercatori sono rimasti letteralmente sorpresi delle quantità di questo elemento nascoste nei veicoli: nel 2015 si contavano circa 400 tonnellate del prezioso metallo nella flotta europea in circolazione e altre 20 nei mezzi dismessi.
Söderman spera che i risultati della ricerca stimolino un cambiamento. “I produttori di automobili e le industrie del riciclaggio dei metalli devono collaborare per garantire che qualcosa accada. Deve essere possibile fare di più di quello che facciamo al momento, dopotutto lo si fa già con le apparecchiature elettriche ed elettroniche”.

fonte: http://www.rinnovabili.it

Residui rottamazione veicoli, in vista recupero come "Css"
















Il MinAmbiente ha aperto alla valorizzazione energetica tramite produzione di
combustibile solido secondario (Css) dei materiali ottenuti dalla frantumazione
veicoli ("fluff").
Lo ha comunicato il 15 novembre 2017 Fise Unire (Unione nazionale imprese di
recupero) in esito a un convegno organizzato dall'Associazione nazionale demolitori in
occasione di Ecomondo 2017. In Italia l'85% dei materiali provenienti dal trattamento
dei veicoli da demolire viene avviato a reimpiego e riciclo. Per raggiungere il target Ue
del 95% di recupero complessivo una strada percorribile secondo il MinAmbiente è
quella della valorizzazione energetica dei materiali ottenuti dalla frantumazione
(cosiddetto "fluff").
Il Ministero ha annunciato l'emanazione di un atto amministrativo teso ad ammettere
l'utilizzo del "fluff" per la produzione di combustibile solido secondario
(Css)destinato a cementifici e termovalorizzatori, in quanto formalmente non escluso
dal Dm 22/2013 che regola l'End of Waste del Css-combustibile. Questo intervento del
Ministero consentirebbe a tale materiale una volta opportunamente trattato in impianti
autorizzati e certificati, di divenire un combustibile "End of Waste" e andare a
potenziare la sostenibilità ambientale ed economica del settore della demolizione
veicoli.


documenti di riferimento


Area Normativa / Rifiuti / Normativa Vigente
Dm Ambiente 14 febbraio 2013, n. 22
Regolamento recante disciplina della della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di
combustibili solidi secondari (Css) - Attuazione articolo 184-ter del Dlgs 152/2006


 
http://www.reteambiente.it

Gestire i rifiuti, dove la convenienza della legalità rischia di diventare un “spot” pubblicitario








Sembra uno scherzo. Brutto, ma uno scherzo. E invece è tutto vero.
Per la X Sezione penale del Tribunale di Milano (sentenza 12077/2016), gestire
autoveicoli fuori uso in un parco agricolo senza autorizzazione ed esportare pezzi di
ricambio come merci in Egitto non costituisce reato. Infatti, l’imputato “ha agito in
buona fede ritenendo di non essere tenuto a munirsi di autorizzazione ambientale, sul
presupposto che la merce esportata non fosse qualificabile come rifiuto”.
Del resto, la “non sufficiente chiarezza del dato normativo” fa sì che un imprenditore
straniero che in Italia ha solo la sede secondaria della sua azienda egiziana, non può
subire alcun addebito perché “il fatto non costituisce reato”. Una complessità normativa
che fa scattare l’eccezione alla regola della sua obbligatoria osservanza (sic!).
Uno schiaffone dato alle migliaia di imprese che, nonostante provino ad essere in
regola, sistematicamente subiscono sanzioni amministrative e penali anche perché sono
costrette a misurarsi con una normativa difficile, difficilissima. Ma nessuno si è mai
preoccupato del livello di complessità. Anzi, tutti armati fino ai denti per colpire, il più
a fondo possibile, anche chi dimentica una crocetta. Chi per classificare i rifiuti sbaglia,
lo fa non solo perché le norme sono complesse, ma anche (e forse soprattutto) perché
sono gestite da una … non gestione: consulenti vari delle Procure, Arpa varie, regioni e
province varie. Un narcisismo della differenza, dove ognuno ha la sua verità spesso non
condivisa neanche all’interno dello stesso ufficio. Ma queste imprese il giudice
buonista, preoccupato di uno Stato che fa leggi incomprensibili, non lo trovano mai.
Trovano sempre e solo la presunzione di colpevolezza per il semplice fatto che, dotate
di autorizzazioni, di personale specializzato, di investimenti e fideiussioni altissimi, di
piattaforme sindacali, di registrazioni europee e marchi di qualità, in aree industriali e
non in aree protette osano produrre e gestire rifiuti.
Frammenti di gesti quotidiani dove si inserisce un Giudice che nella sentenza registra
“l’assenza di giurisprudenza di legittimità come di merito sul punto”. E qui lo stupore:
come può quel Giudice ignorare l’infinito numero di sentenze (tutte di segno opposto al
suo) della Corte di Giustizia Ue e della Corte di Cassazione adottate negli anni? È
giusto che il dentista, il meccanico, l’agricoltore e l’industria conoscano a menadito
tutta la giurisprudenza, per poter lavorare e difendersi. Ma perché il Giudice della X
Sezione penale del Tribunale di Milano non la conosce? Cosa ha motivato davvero
questa decisione? Sembrerebbe una volontà beffarda, ma sarebbe terribile.
Perché il Giudice della X Sezione penale del Tribunale di Milano ha trovato sentenze
comunitarie che spiegano come deve essere scritta e interpretata la legge penale e non
ha trovato (lamentandone, anzi, la carenza) le “mitiche” sentenze Arco, Niselli, Palin
Granit Oy dove la Corte Ue, come una giaculatoria, ricorda che per non pregiudicare
l’efficacia della direttiva 2008/98 “la nozione di rifiuto non può essere interpretata in
senso restrittivo”?

Dell’imputato, la sentenza scrive che “seppur imprenditore e quindi soggetto
qualificato, è cittadino straniero”.
L’affermazione appare pesante, quasi a voler considerare un cittadino egiziano come un
“minus habens” e invece, è solo un furbacchione che ha affondato i suoi acuminati
artigli, nel ventre molle della sciatteria buonista. I furbacchioni non hanno bandiera.
Questa sentenza è una sconfitta per tutti perché allenta i legami tra persone e istituzioni,
dove la prima vittima è il cammino verticale dell’approfondimento e della
comprensione.
Un altro duro colpo alla tenuta del tessuto di convenienza della legalità, sostenuta solo
da belle parole e pochi fatti. Non posso non ripetere quanto Corrado Alvaro scrisse nel
suo Ultimo diario “la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il
dubbio che vivere rettamente sia inutile”. Un’esuberanza del disagio.


Paola Ficco

fonte: http://www.reteambiente.it