RIPARARE GLI AEE - a cura di Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero aps
In Francia il bonus riparazione prova a incentivare il riuso

Tramite uno sconto in fattura, la Francia intende
Il nodo delle Materie Prime nella Transizione Energetica
Se la dipendenza dalle materie prime critiche diventa un boomerang per lo sviluppo sostenibile
Riciclare le terre rare dei motori elettrici? Così si può
Anche Nissan si sta
Terre rare: l’Afghanistan conserva un tesoro che vale 1000 miliardi
Il sottosuolo dell’Afghanistan è ricchissimo di terre rare e minerali del valore di 1000 miliardi di dollari. Una cifra da capogiro se si considera che la superficie di questo Paese non è molto vasta, poco più del doppio dell’Italia
L’Afghanistan conserva 60 milioni di tonnellate di rame, 2,2 miliardi di tonnellate di minerale di ferro, 1,4 milioni di tonnellate di terre rare come lantanio, cerio e neodimio, ma anche alluminio, oro, argento, zinco, mercurio e litio. È quanto stabilito dalle indagini aeree condotte dall’US Geological Survey.
Per fare un esempio, solo il deposito di carbonatite Khanneshin, nella provincia di Helmand, ha un valore di 89 miliardi di dollari.
Cosa sono le terre rare
Le cosiddette terre rare sono 17 metalli, sconosciuti fino a circa 100 anni fa, oggi fondamentali per l’industria tecnologica. La loro importanza è tale da avere un peso anche nei conflitti geopolitici, visto che la Cina ne controlla quasi interamente la produzione mondiale.
Il primo a scoprirle nel 1787 in un villaggio di Ytterby in un’isola dell’arcipelago di Stoccolma, fu il chimico e militare svedese Carl Axel Arrhenius. L’uomo notò un minerale nero mai visto prima, che ribattezzò itterbite. Toccò poi al prof. Johan Gadolin dell’Univeristà finlandese di Turku, circa 10 anni dopo, a capire che si trattava di un mix di ossidi di elementi mai analizzati prima, ai quali iniziò a riferirsi come terre rare. Dal campione nel 1803 si riuscirono a estrarre due elementi, l’ittrio e il cerio. Circa 100 anni dopo venne scoperto il il lutezio, 17esimo e ultimo elemento di quello strano miscuglio scoperto nell’800.
Come mai l’Afghanistan è così ricco di minerali?
La causa è da ricercare nell’urto violento del subcontinente indiano con l’Asia. La US Geological Survey ha iniziato ad ispezionare il Paese nel 2004.
Nel 2006, i ricercatori statunitensi hanno effettuato diverse ispezioni aree, che hanno permesso di accertare la ricchezza del sottosuolo dell’Afghanistan, al cui interno si trovano anche praseodimio, cerio, samario e gadolinio.
Nel 2010, i dati dell’USGS attirarono l’attenzione della Task Force della Difesa Usa, a cui è affidata la ricostruzione dell’Afghanistan. Quest’ultima ha stimato che le risorse minerarie del paese sono pari a 908 miliardi, mentre la stima del governo afghano è pari a 3000 miliardi.
L’AFGHANISTAN È UN PAESE MOLTO, MOLTO RICCO DI RISORSE MINERARIE – HA DETTO IL GEOLOGO JACK MEDLIN, PROGRAM MANAGER DEL PROGETTO USG.
Il governo afgano ha firmato qualche anno fa un contratto di 30 anni per 3 miliardi con il China Metallurgical Group, un’impresa mineraria statale con sede a Pechino, per sfruttare il deposito di rame di Mes Aynak. E non tutti sanno che sia gli Stati Uniti che l’Europa dipendono rispettivamente per l’80% e il 98% dalla Cina per la fornitura di terre rare, materiali senza i quali non sarebbe possibile produrre batterie al litio, pale eoliche e pannelli solari.
Una bella lotta di influenza geopolitica, insomma, su questo martoriato Afghanistan.
fonte: www.greenme.it
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Cewaste, il progetto che punta sui Raee per riscrivere il riciclo delle materie prime critiche
I risultati
Laptop, tablet, schede a circuiti stampati da computer, cellulari, batterie agli ioni di litio e batterie al piombo. Questi i dispositivi e i componenti chiave contenenti i CRM selezionati per la stesura dello schema di certificazione Cewaste, come spiegato da Otmar Deubzer dell’Università delle Nazioni Unite. E nell’analisi di oltre 60 documentazioni normative, il principale ostacolo e gap da colmare nei prossimi anni è risultato essere l’assenza di requisiti tecnici specifici per la raccolta e il trasporto funzionali al riciclaggio dei CRM.
L’approccio
Per ciò che riguarda, invece, l’approccio generale seguito e i principi che hanno guidato lo sviluppo dei requisiti – come illustrato da Sonia Valdivia del World Resources Forum – fattibilità tecnologica ed economica, verificabilità, raccolta, smistamento e rimozione ottimale dei componenti CRM, sono stati fattori centrali insieme a tracciabilità dei RAEE con i più alti rischi ambientali e sociali.
La struttura dei requisiti
Per quanto concerne le caratteristiche manageriali e di sostenibilità, sono stati analizzati i requisiti legali, il risk management, monitoraggio e ancora comunicazione e sensibilizzazione. I requisiti strettamente tecnici hanno riguardato invece le precondizioni necessarie a livello strutturale, ovvero ricezione, gestione e stoccaggio presso strutture di raccolta e trattamento, trasporto, bonifica, rimozione dei componenti con CRM e trattamento finale.
Il sistema di controllo
Yifaat Baron dell’Oeko-Institut ha invece mostrato gli strumenti creati per controllare l’adeguatezza ai requisiti richiesti per la certificazione. Lo schema Cewaste prevede essenzialmente due parti:
il sistema di garanzia, che specifica regole e procedure da seguire per i vari attori coinvolti nell’implementazione dello schema;
il sistema di verifica, sviluppato invece per supportare i processi affrontati all’interno del sistema di garanzia, dalla verifica degli impianti non rispondenti ai requisiti richiesti da CEWASTE, alla preparazione degli operatori per questi audit.
Il sistema di garanzia a sua volte opererà su tre livelli:
quello delle regole, ovvero il quadro di funzionamento dello schema e degli organismi di certificazione Cewaste;
quello dei processi, ovvero le regole, i modelli e le linee guida che supporteranno l’audit degli impianti nel corso della certificazione;
quello della valutazione, ovvero le regole e i modelli per la revisione dei risultati dell’audit e degli esiti sulla certificazione.
Scenari futuri
Federico Magalini, amministratore delegato di Sofies UK, ha illustrato il potenziale scenario dopo l’implementazione di Cewaste, dichiarando che “a livello legislativo potrebbe essere interessante l’introduzione di un obbligo legale per il recupero e il riciclo dei CRM insieme ad un incentivo economico che ne garantisca la fattibilità per gli operatori”.
La presentazione dell’approccio seguito da Cewaste, progetto finanziato da Horizon 2020 e portato avanti da Erion e il WEEE Forum, l’associazione europea dei Sistemi Collettivi di gestione dei RAEE, è disponibile a questo link.
fonte: economiacircolare.com
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Il Regno Unito ricicla i metalli delle terre rare utilizzati nella produzione di veicoli elettrici
L'impianto sarà in grado di riciclare materiali da una varietà di flussi di rifiuti contenenti magneti, inclusi veicoli elettrici, prodotti audio e unità disco rigido.
Questi magneti a terre rare sono una componente essenziale di migliaia di prodotti elettrici, dagli altoparlanti e dai dischi rigidi dei computer alle turbine eoliche e ai veicoli elettrici.
Negli ultimi anni il mercato di questi metalli rari è stato dominato dalla Cina, che dispone di grandi riserve di questi materiali.
Si spera che questo impianto di riciclaggio completerà la catena di approvvigionamento con sede nel Regno Unito per magneti sinterizzati e consentirà al Regno Unito di sviluppare un'economia circolare attorno a motori e magneti ad alte prestazioni che darebbero un contributo significativo agli obiettivi netti zero del Regno Unito sulle emissioni di carbonio .
Il professor Allan Walton, co-direttore del Birmingham Centre for Strategic Elements and Critical Materials, che guida il progetto, ha dichiarato: “Questa è un'enorme opportunità per il Regno Unito di diventare un leader mondiale nel riciclaggio dei magneti ad alte prestazioni.
'Con l'espansione del mercato dei veicoli elettrici, la nostra dipendenza da questi componenti aumenterà rapidamente. Stabilire una catena di approvvigionamento end-to-end garantirà non solo di poter sfruttare adeguatamente queste nuove tecnologie, ma garantirà anche un approvvigionamento locale di questi materiali riducendo al contempo in modo significativo il carico ambientale della produzione ".
Nelle notizie correlate, i ricercatori studiano i modi per fornire una fonte sostenibile dei magneti delle terre rare necessari per i veicoli elettrici e ibridi.
Il progetto RaRE (Riciclaggio delle terre rare per macchine elettriche) da 2,6 milioni di sterline, che sarà condotto dall'Università di Birmingham e Bentley Motors ed è stato finanziato dall'Office for Low Emission Vehicles (OLEV), esaminerà i modi per stabilire il prima catena di fornitura end-to-end di magneti in terre rare riciclate nel Regno Unito.
fonte: airqualitynews.com
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Inquinamento: metalli rari nei giocattoli e nei contenitori per cibo

L’inquinamento colpisce anche alcuni oggetti in plastica di uso molto comune, come giocattoli e contenitori per cibo. È quanto rivela un nuovo studio condotto dall’Università di Plymouth e dall’Università dell’Illinois, pubblicato sulla rivista scientifica Science of The Total Environment: molti prodotti in plastica contengono livelli anomali di metalli rari.
I metalli rari sono oggi molto richiesti, per via delle loro proprietà fisiche e chimiche che li rendono particolarmente adatti per la produzione di dispositivi elettronici. Eppure, nonostante la loro rarità, questi elementi sono sempre più rilevati in oggetti in plastica di uso molto comune: una contaminazione che, a detta degli esperti, potrebbe avvenire proprio nella fase di produzione di questo materiale o nei processi di riciclo.Inquinamento, metalli pesanti e oggetti comuni
I ricercatori hanno voluto analizzare i livelli di metalli rari – detti anche REE, Rare Earth Elements – in alcuni oggetti di uso molto comune. Hanno quindi selezionato 31 prodotti, dai giocattoli ai contenitori di cibo, introducendo anche nel campione degli oggetti creati a partire dalla plastica riciclata. I ricercatori sospettavano possibili contaminazioni nel processo di smistamento e recupero di questo materiale. Ancora, gli esperti hanno misurato i livelli di bromo e antimonio, due sostanze impiegate come ritardanti di fiamma.
Il primo dato emerso è come, negli oggetti in plastica riciclata, si registrino livelli di bromo e antimonio insufficienti per avere un effetto davvero ritardante per le fiamme. Ancora, i metalli rari sono stati identificati in 24 su 31 campioni analizzati.
Non è però tutto, poiché i ricercatori hanno voluto anche indagare se i REE fossero presenti anche nella plastica presente in mare, ormai schiarita dall’azione dei sali marini e dall’esposizione al sole. Anche in questo caso, la maggior parte dei campioni riportava vari livelli di contaminazione, sottolineando quindi come l’inquinamento da metalli rari sia ormai “ubiquo e pervasivo”.
Andrew Turner, docente di Scienze Ambientali presso l’Università di Plymouth e principale autore dello studio, ha così commentato i risultati emersi:
I REE hanno applicazioni critiche nella moderna elettrica, per via delle loro proprietà magnetiche, fosforescenti ed elettrochimiche. Tuttavia, non sono appositamente aggiunti nella plastica, poiché non hanno nessuna funzione in questo materiale. Quindi la loro presenza è più probabilmente il risultato di contaminazioni accidentali durante la separazione meccanica e la gestione di componenti riciclabili.
Ma quali conseguenze potrebbe avere sulla salute un’esposizione a questi metalli?
Gli impatti sulla salute dovuti dalla cronica esposizione a piccole quantità di questi metalli non sono noti. Ma oggi si trovano a livelli più alti nel cibo, nell’acqua di rubinetto e in alcuni farmaci, ciò significa che la plastica probabilmente non rappresenta un vettore significativo di esposizione per la popolazione. Tuttavia, potrebbero sottendere la presenza di additivi chimici più noti e maggiormente conosciuti, già oggi causa di preoccupazione.
Fonte: EurekaAlert
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La transizione energetica, tra crescita delle rinnovabili e dipendenza dalle materie prime
Nei prossimi decenni dovremo però superare un altro ostacolo alla rivoluzione climatica globale, la reale disponibilità delle materie prime necessarie. E ancora una volta fa capolino Pechino.
Ma andiamo con ordine.
Se negli ultimi 100 anni abbiamo visto guerre e colpi di stato per il petrolio, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi cento?
Considerando che i maggiori paesi si sono dati l’obbiettivo di raggiungere la neutralità climatica/carbonica nei prossimi 30-40 anni, è chiaro che il ruolo dei combustibili fossili andrà progressivamente riducendosi.
Ma crescerà invece la dipendenza da una serie di materie prime critiche.
La transizione ecologica dell’economia comporterà infatti la crescita rapidissima non solo di acciaio, rame, cemento, alluminio, ma anche di elementi strategici come il litio, il cobalto e le terre rare che al momento vengono largamente controllati dalla Cina.
Quindi c’è il rischio concreto di passare dalla dipendenza dai paesi arabi a quella da Pechino.
Si consideri, ad esempio, che il 98% delle terre rare utilizzate nelle tecnologie rinnovabili e nella mobilità elettrica in Europa proviene dalla Cina.
Uno scenario che preoccupa anche l’Unione Europea che lo scorso 29 settembre ha lanciato la “Alleanza europea delle materie prime”.
Il vicepresidente della Commissione Maroš Šefčovič ha sottolineato come l’approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime sia un prerequisito per un’economia resiliente.
“Solo per le batterie delle auto elettriche e lo stoccaggio di energia, l’Europa avrà bisogno, ad esempio, di una quantità di litio fino a 18 volte superiore entro il 2030 e fino a 60 volte di più entro il 2050. Costruiremo quindi una forte alleanza per passare da un’elevata dipendenza dall’estero ad un approvvigionamento interno e punteremo alla circolarità e all’innovazione”.
Dunque, il tema delle risorse rappresenta una criticità da non sottovalutare e da affrontare con saggezza e lungimiranza.
Non certo però con il taglio provocatorio del pezzo “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?” comparso l’11 novembre su un blog del Sole 24 Ore. L’articolo, che alterna dati veri e inesattezze, arriva ad ipotizzare soluzioni impraticabili su larga scala come la cattura della CO2 dall’atmosfera.
Utilizzando la tecnologia della svizzera Climeworks, all’avanguardia in questo settore, per rimuovere la CO2 annualmente prodotta dai combustibili fossili, 38 miliardi di tonnellate, si dovrebbe infatti utilizzare metà della produzione mondiale di energia elettrica, oltre ad una quantità di energia termica quattro volte superiore…
“Di circa una decina di materiali alla base della ‘rivoluzione verde’ le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili”, si legge inoltre nel pezzo.
Naturalmente non è così, ma la sfida della domanda dei materiali e dell’impatto ambientale legato alla loro produzione andrà affrontata con grande serietà.
Vediamo quali approcci sono perseguibili.
Un elemento importante per contenere la pressione sugli approvvigionamenti riguarda l’innovazione tecnologica.
Ricordiamo che il contenuto di silicio nelle celle solari è passato dai 16 grammi/Watt nel 2004 ai 4 grammi/W nel 2017. E si potranno aprire nuove frontiere, come con le celle solari organiche ultrasottili.
Oppure, consideriamo il recente annuncio di Tesla di voler produrre batterie prive di cobalto, che altri costruttori già fanno.
C’è poi un secondo filone, molto interessante, che riguarda il recupero dei materiali dai prodotti a fine vita.
Nel caso delle batterie al litio, nel 2018 si sono riciclate quasi 100.000 tonnellate su scala globale, circa il 50% di quelle che hanno raggiunto il “fine vita”.
La percentuale di recupero a livello mondiale delle terre rare è invece a livelli molto bassa, dell’1%, ma si ritiene di potere arrivare a recuperarne un terzo nel medio periodo.
Abbiamo poi le nuove attività di esplorazione.
A settembre, ad esempio, negli Usa è stato presentato il Reclaiming America Rare Earths Act che prevede incentivi fiscali per le compagnie coinvolte nell’estrazione e nel riciclo delle terre rare e di metalli nel territorio americano.
È prevedibile, dunque, l’avvio di nuove iniziative minerarie in diversi paesi, dall’Australia al Canada, dagli Usa all’Europa.
C’è infine una riflessione più di fondo, decisiva.
Le possibili criticità sull’uso delle risorse minerali e idriche impongono non solo una maggiore attenzione alla riduzione dei consumi energetici, ma sollecitano anche una rivisitazione dell’attuale modello economico e lanciano un messaggio ad una maggiore sobrietà.
Sono proprio i temi toccati nel recente summit “Economy of Francesco” nel quale Bergoglio ha tracciato un percorso per la ripresa dopo la pandemia, affemarmando:
“Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile… non possiamo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse”.
fonte: www.qualenergia.it
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Materie Prime Critiche: Un piano d'azione per l'Europa

Smartphone, elettrodomestici, pannelli solari. Ma anche droni, magneti che fanno funzionare gli impianti eolici, batterie e accumulatori per le auto e gli apparecchi elettrici ed elettronici. Sono tutti oggetti che – in modo diretto o indiretto – fanno parte della nostra vita quotidiana, e che hanno una cosa in comune: per funzionare hanno bisogno di componenti che contengono metalli e minerali come il tungsteno, che consente ai cellulari di vibrare, il gallio e l’indio indispensabili per le lampade a Led, o il più famoso di tutti, il silicio dei processori dei computer.
Molti di essi vengono definiti “materie prime critiche” perché, oltre ad avere un ruolo centrale per l’economia e la produzione industriale – un’importanza destinata a crescere sempre di più sulla scia della transizione ecologica e dell’abbandono dei combustibili fossili – la loro catena di approvvigionamento è soggetta a rischi strategici, legati principalmente al fatto che la maggior parte viene estratta in paesi extra-europei, spesso in condizioni sociali problematiche (a partire dallo sfruttamento della manodopera, anche minorenne) e con metodi molto impattanti dal punto di vista ambientale.
La lista europea delle materie prime critiche
È a questi problemi che guarda il Piano d’azione sulle materie prime critiche elaborato dalla Commissione Europea e reso noto giovedì 3 settembre, assieme all’aggiornamento della lista comunitaria di questi materiali e a uno studio più approfondito che traccia le prospettive sul ruolo delle materie prime critiche per le nuove tecnologie e i settori industriali strategici nel periodo 2030-2050.
La nuova lista – aggiornata sulla base dei dati degli ultimi cinque anni riguardo all’importanza economica/industriale dei materiali e alle criticità relative al loro approvvigionamento – elenca trenta materie prime (erano 14 nella prima versione di nove anni fa). Oltre a metalli come Cobalto e Tungsteno e alle cosiddette “terre rare”, per la prima volta compaiono la Bauxite e il Litio, componente indispensabile delle batterie degli apparecchi elettronici e dei mezzi a propulsione elettrica.
Il Piano, invece, partendo dalla constatazione che “l’accesso alle risorse è una questione di sicurezza strategica” per le ambizioni europee di realizzare il Green New Deal, fin dall’introduzione avverte del rischio che “la transizione verso la neutralità climatica” sostituisca l’attuale dipendenza dell’economia europea dai combustibili fossili con quella “dalle materie prime, molte delle quali provenienti dall’estero e per le quali la competizione globale sta diventando più agguerrita”.
“Se nel lungo periodo vogliamo continuare a godere i benefici dei prodotti moderni”, ha detto presentando il documento il vicepresidente della Commissione con delega alle relazioni interistituzionali e alle prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, “dobbiamo cambiare radicalmente il nostro approccio nei confronti delle materie prime critiche, assicurando un approvvigionamento sicuro e sostenibile in grado di rispondere alle necessità delle nuove tecnologie pulite e digitali”, che nei prossimi anni continueranno a crescere: entro il 2050, ha spiegato infatti il commissario slovacco, il fabbisogno europeo di Cobalto e Litio aumenterà rispettivamente di 15 e 60 volte “solo per le vetture elettriche e lo stoccaggio di energia. E nello stesso periodo la domanda di terre rare usate nei magneti che sono cruciali per i generatori eolici potrebbe crescere fino a dieci volte”. A ciò si aggiunge il fatto che l’Unione “dipende fortemente da un numero limitato di paesi extra UE per le sue materie prime: ad esempio, otteniamo tra il 75 e il 100% della maggior parte dei metalli dall'esterno dell'UE, mentre la Cina ci fornisce il 98% delle terre rare”.

Fonte: European Commission report on the 2020 criticality assessment
Il piano della Commissione UE
Da qui i quattro obiettivi che si pone il Piano d’azione: “sviluppare catene di valore resilienti per gli ecosistemi industriali dell'UE; ridurre la dipendenza dalle materie prime critiche primarie attraverso l'uso circolare di risorse, prodotti sostenibili e innovazione; rafforzare l'approvvigionamento interno di materie prime nell'UE; diversificare l'approvvigionamento da paesi terzi ed eliminare le distorsioni al commercio internazionale, nel pieno rispetto degli obblighi internazionali dell'UE”.
Risultati da raggiungere – si legge sempre nel documento – attraverso la costituzione di un’Alleanza europea per le materie prime che coinvolgerà “tutti i soggetti interessati” e si occuperà in particolare di “aumentare la resilienza dell’UE nelle catene del valore delle terre rare e dei magneti, vitali per la maggior parte degli ecosistemi industriali dell'UE, come l'energia rinnovabile, la difesa e spazio”. Ma anche sviluppando “partenariati internazionali strategici per garantire l'approvvigionamento di materie prime essenziali non presenti in Europa” e mappando “il potenziale delle materie prime critiche secondarie provenienti dalle scorte e dai rifiuti dell'UE per identificare progetti di recupero fattibili entro il 2022”. Come ha spiegato Šefčovič, infatti, “ogni anno nell'UE vengono prodotti 9 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche”. Circa il 30% viene raccolto e riciclato, ma il recupero delle materie prime critiche da questi rifiuti elettronici è inferiore all'1%. Lo sfruttamento di queste miniere urbane, ovvero il recupero di materie prime dai rifiuti urbani attraverso il riciclaggio, potrebbe alla fine soddisfare gran parte della domanda dell'UE di materie prime essenziali”.

Fonte: European Commission
Una spada a doppio taglio
Un ultimo punto illustrato nel Piano – forse quello più critico – prevede l’identificazione all’interno dei paesi dell’Unione di “progetti di estrazione e trasformazione che possono essere operativi entro il 2025”, con un focus particolare “riservato alle regioni carbonifere e ad altre regioni in transizione, con speciale attenzione alle competenze e abilità rilevanti per l'estrazione, l'estrazione e la lavorazione delle materie prime”. Già ora sono attivi quattro iniziative industriali per la loro estrazione e lavorazione sostenibile, che valgono quasi 2 miliardi di euro. La Commissione stima che entro il 2025 soddisferanno l’80% del fabbisogno comunitario di litio nel settore delle batterie (oggi coperto per il 78% dal Cile).
“Un certo numero di materie prime sono essenziali affinché l'Europa possa guidare la transizione verde e digitale e rimanere il primo continente industriale del mondo”, ha detto il Commissario al Mercato interno, Thierry Breton: “Diversificando l'approvvigionamento da paesi terzi e sviluppando la capacità dell'UE di estrazione, lavorazione, riciclaggio, raffinazione e separazione delle terre rare, possiamo diventare più resilienti e sostenibili. L'attuazione delle azioni che proponiamo oggi richiederà uno sforzo concertato da parte dell'industria, della società civile, delle regioni e degli Stati membri".
Il rischio, avverte però il network di cittadini e organizzazioni non governative European Environmental Bureau (EEB), è che la strategia europea sulle materie prime critiche si riveli “una spada a doppio taglio”, soprattutto per quanto riguarda i costi ambientali e sociali dell’estrazione mineraria: primo tra tutti, l’inquinamento delle falde o la riduzione della portata dei bacini idrici. “Trasferendo l'attività mineraria in Europa, è probabile che importiamo anche il danno ambientale che è stato inflitto alle comunità in Sud America, Asia e Africa per decenni”, ha spiegato Diego Francesco Marin, che per l’EEB si occupa dei progetti di giustizia ambientale: “La Commissione europea deve garantire che le comunità locali e i gruppi della società civile entrino a far parte di un processo di consultazione globale in modo che possano sollevare preoccupazioni sui nuovi progetti minerari vicino alle loro case prima che sia troppo tardi”.
Preoccupazioni rincarate da un altro esponente del network, il responsabile delle politiche sull'efficienza delle risorse Jean-Pierre Schweitzer, secondo cui “aprire semplicemente le porte a nuovi progetti minerari in Europa sarebbe in contraddizione con l'ambizione della Commissione di mantenere il consumo di risorse entro i confini planetari, come stabilito nel piano d'azione per l'economia circolare dello scorso marzo. Ciò di cui abbiamo bisogno sono batterie più efficienti, riciclabili e durevoli prodotte con materiali di provenienza responsabile per alleviare il carico sul pianeta”.
fonte: https://www.renewablematter.eu/
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Un enzima batterico per estrarre le terre rare in modo ecologico

Le terre rare sono elementi essenziali e indispensabili per molte delle moderne tecnologie. Tuttavia, si tratta di materie difficili da estrarre, che spesso si presentano in miscele con elementi radioattivi come l’uranio e il torio. Per questa ragione, i chimici della LMU di Monaco hanno lavorato negli ultimi anni su un enzima batterico in grado di estrarre selettivamente dalle miscele alcune terre rare in modo ecologicamente sostenibile.
Questi elementi mostrano proprietà chimiche molto simili tra loro, il che rende la loro separazione un compito piuttosto difficile: ad alta intensità energetica e, di conseguenza, problematico dal punto di vista ambientale. Il team della LMU, guidato dalla professoressa Lena Daumann, è riuscito a dimostrare che un cofattore enzimatico, chiamato pirrolochinolina chinone (PQQ), tende a legarsi selettivamente ad alcune terre rare e può essere utilizzato per separarle dalle miscele.
Già circa 10 anni fa è stato dimostrato che alcuni tipi di batteri possono assorbire selettivamente dall’ambiente i cosiddetti lantaniodi, cioè 15 degli elementi che costituiscono il gruppo delle terre rare, per incorporarli negli enzimi da utilizzare come catalizzatori metabolici.
Adesso, però, il gruppo di ricerca è stato in grado di individuare nel dettaglio quali siano i meccanismi biologici dietro questi processi, mostrando operativamente una selettività d’estrazione senza la necessità di solventi organici potenzialmente pericolosi o altri additivi. Nella pratica, il team ha dimostrano che pirrolochinolina chinone è in grado di rimuovere alcuni lantanoidi mediante precipitazione da soluzioni acquose contenenti miscele dei loro sali. E ha scoperto che il PQQ si lega preferenzialmente agli elementi più grandi del gruppo, incluso il neodimio.
Fino ad ora, non era chiaro perché i batteri selezionassero preferenzialmente i lantanidi più grandi per le funzioni biochimiche. Sulla base dei loro risultati, i ricercatori sospettano che questo abbia a che fare con la struttura specifica del PQQ. Adesso, lo sforzo del team sarà fare in modo che le nuove scoperte – pubblicate su Chemistry: A European Journal – possano stimolare un ulteriore interesse per l’uso di batteri per il riciclaggio delle terre rare.
fonte: www.rinnovabili.it
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