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Terre rare: l’Afghanistan conserva un tesoro che vale 1000 miliardi















Il sottosuolo dell’Afghanistan è ricchissimo di terre rare e minerali del valore di 1000 miliardi di dollari. Una cifra da capogiro se si considera che la superficie di questo Paese non è molto vasta, poco più del doppio dell’Italia

L’Afghanistan conserva 60 milioni di tonnellate di rame, 2,2 miliardi di tonnellate di minerale di ferro, 1,4 milioni di tonnellate di terre rare come lantanio, cerio e neodimio, ma anche alluminio, oro, argento, zinco, mercurio e litio. È quanto stabilito dalle indagini aeree condotte dall’US Geological Survey.

Per fare un esempio, solo il deposito di carbonatite Khanneshin, nella provincia di Helmand, ha un valore di 89 miliardi di dollari.

Cosa sono le terre rare

Le cosiddette terre rare sono 17 metalli, sconosciuti fino a circa 100 anni fa, oggi fondamentali per l’industria tecnologica. La loro importanza è tale da avere un peso anche nei conflitti geopolitici, visto che la Cina ne controlla quasi interamente la produzione mondiale.

Il primo a scoprirle nel 1787 in un villaggio di Ytterby in un’isola dell’arcipelago di Stoccolma, fu il chimico e militare svedese Carl Axel Arrhenius. L’uomo notò un minerale nero mai visto prima, che ribattezzò itterbite. Toccò poi al prof. Johan Gadolin dell’Univeristà finlandese di Turku, circa 10 anni dopo, a capire che si trattava di un mix di ossidi di elementi mai analizzati prima, ai quali iniziò a riferirsi come terre rare. Dal campione nel 1803 si riuscirono a estrarre due elementi, l’ittrio e il cerio. Circa 100 anni dopo venne scoperto il il lutezio, 17esimo e ultimo elemento di quello strano miscuglio scoperto nell’800.

Come mai l’Afghanistan è così ricco di minerali?

La causa è da ricercare nell’urto violento del subcontinente indiano con l’Asia. La US Geological Survey ha iniziato ad ispezionare il Paese nel 2004.

Nel 2006, i ricercatori statunitensi hanno effettuato diverse ispezioni aree, che hanno permesso di accertare la ricchezza del sottosuolo dell’Afghanistan, al cui interno si trovano anche praseodimio, cerio, samario e gadolinio.

Nel 2010, i dati dell’USGS attirarono l’attenzione della Task Force della Difesa Usa, a cui è affidata la ricostruzione dell’Afghanistan. Quest’ultima ha stimato che le risorse minerarie del paese sono pari a 908 miliardi, mentre la stima del governo afghano è pari a 3000 miliardi.

L’AFGHANISTAN È UN PAESE MOLTO, MOLTO RICCO DI RISORSE MINERARIE – HA DETTO IL GEOLOGO JACK MEDLIN, PROGRAM MANAGER DEL PROGETTO USG.

Il governo afgano ha firmato qualche anno fa un contratto di 30 anni per 3 miliardi con il China Metallurgical Group, un’impresa mineraria statale con sede a Pechino, per sfruttare il deposito di rame di Mes Aynak. E non tutti sanno che sia gli Stati Uniti che l’Europa dipendono rispettivamente per l’80% e il 98% dalla Cina per la fornitura di terre rare, materiali senza i quali non sarebbe possibile produrre batterie al litio, pale eoliche e pannelli solari.

Una bella lotta di influenza geopolitica, insomma, su questo martoriato Afghanistan.

fonte: www.greenme.it




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Cewaste, il progetto che punta sui Raee per riscrivere il riciclo delle materie prime critiche

Il progetto europeo, durato due anni e mezzo , mira a recuperare attraverso il riciclo degli apparecchi elettrici ed elettronici quelle materie prime come il cobalto, il litio o le terre rare, definite “critiche” dalla Commissione Europea perché caratterizzate da un elevato rischio di approvvigionamento










Un nuovo schema di certificazione volontaria per la raccolta, il trasporto e il trattamento dei RAEE, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, e delle batterie a fine vita contenenti i CRM, Critical Raw Materials. Questo l’obiettivo raggiunto da CEWASTE, il progetto europeo durato due anni e mezzo che si è concentrato su quelle materie prime come il cobalto, il litio o le terre rare, definite “critiche” dalla Commissione Europea, perché fondamentali per l’economia dell’Unione, ma caratterizzate da un elevato rischio di approvvigionamento.I risultati del programma, con un focus su gestione, sostenibilità, tracciabilità e requisiti tecnici per la raccolta e le strutture logistiche coinvolte, sono stati illustrati in un evento online il 24 marzo a cui hanno partecipato i principali esperti che hanno preso parte al progetto.

I risultati

Laptop, tablet, schede a circuiti stampati da computer, cellulari, batterie agli ioni di litio e batterie al piombo. Questi i dispositivi e i componenti chiave contenenti i CRM selezionati per la stesura dello schema di certificazione Cewaste, come spiegato da Otmar Deubzer dell’Università delle Nazioni Unite. E nell’analisi di oltre 60 documentazioni normative, il principale ostacolo e gap da colmare nei prossimi anni è risultato essere l’assenza di requisiti tecnici specifici per la raccolta e il trasporto funzionali al riciclaggio dei CRM.

L’approccio

Per ciò che riguarda, invece, l’approccio generale seguito e i principi che hanno guidato lo sviluppo dei requisiti – come illustrato da Sonia Valdivia del World Resources Forum – fattibilità tecnologica ed economica, verificabilità, raccolta, smistamento e rimozione ottimale dei componenti CRM, sono stati fattori centrali insieme a tracciabilità dei RAEE con i più alti rischi ambientali e sociali.

La struttura dei requisiti

Per quanto concerne le caratteristiche manageriali e di sostenibilità, sono stati analizzati i requisiti legali, il risk management, monitoraggio e ancora comunicazione e sensibilizzazione. I requisiti strettamente tecnici hanno riguardato invece le precondizioni necessarie a livello strutturale, ovvero ricezione, gestione e stoccaggio presso strutture di raccolta e trattamento, trasporto, bonifica, rimozione dei componenti con CRM e trattamento finale.

Il sistema di controllo

Yifaat Baron dell’Oeko-Institut ha invece mostrato gli strumenti creati per controllare l’adeguatezza ai requisiti richiesti per la certificazione. Lo schema Cewaste prevede essenzialmente due parti:
il sistema di garanzia, che specifica regole e procedure da seguire per i vari attori coinvolti nell’implementazione dello schema;
il sistema di verifica, sviluppato invece per supportare i processi affrontati all’interno del sistema di garanzia, dalla verifica degli impianti non rispondenti ai requisiti richiesti da CEWASTE, alla preparazione degli operatori per questi audit.

Il sistema di garanzia a sua volte opererà su tre livelli:
quello delle regole, ovvero il quadro di funzionamento dello schema e degli organismi di certificazione Cewaste;
quello dei processi, ovvero le regole, i modelli e le linee guida che supporteranno l’audit degli impianti nel corso della certificazione;
quello della valutazione, ovvero le regole e i modelli per la revisione dei risultati dell’audit e degli esiti sulla certificazione.

Scenari futuri

Federico Magalini, amministratore delegato di Sofies UK, ha illustrato il potenziale scenario dopo l’implementazione di Cewaste, dichiarando che “a livello legislativo potrebbe essere interessante l’introduzione di un obbligo legale per il recupero e il riciclo dei CRM insieme ad un incentivo economico che ne garantisca la fattibilità per gli operatori”.

La presentazione dell’approccio seguito da Cewaste, progetto finanziato da Horizon 2020 e portato avanti da Erion e il WEEE Forum, l’associazione europea dei Sistemi Collettivi di gestione dei RAEE, è disponibile a questo link.

fonte: economiacircolare.com


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Il Regno Unito ricicla i metalli delle terre rare utilizzati nella produzione di veicoli elettrici

Un nuovo impianto di riciclaggio consentirà al Regno Unito di creare un'economia circolare attorno ai magneti e ai metalli rari necessari per i veicoli elettrici (EV) e la tecnologia rinnovabile.






















L'UKRI ha assegnato all'Università di Birmingham 4,3 milioni di sterline per la realizzazione dell'impianto, che sarà situato a Tyseley Energy Park, una struttura di ricerca e sviluppo dedicata alla fornitura di innovazione energetica pulita.

L'impianto sarà in grado di riciclare materiali da una varietà di flussi di rifiuti contenenti magneti, inclusi veicoli elettrici, prodotti audio e unità disco rigido.

Questi magneti a terre rare sono una componente essenziale di migliaia di prodotti elettrici, dagli altoparlanti e dai dischi rigidi dei computer alle turbine eoliche e ai veicoli elettrici.

Negli ultimi anni il mercato di questi metalli rari è stato dominato dalla Cina, che dispone di grandi riserve di questi materiali.

Si spera che questo impianto di riciclaggio completerà la catena di approvvigionamento con sede nel Regno Unito per magneti sinterizzati e consentirà al Regno Unito di sviluppare un'economia circolare attorno a motori e magneti ad alte prestazioni che darebbero un contributo significativo agli obiettivi netti zero del Regno Unito sulle emissioni di carbonio .

Il professor Allan Walton, co-direttore del Birmingham Centre for Strategic Elements and Critical Materials, che guida il progetto, ha dichiarato: “Questa è un'enorme opportunità per il Regno Unito di diventare un leader mondiale nel riciclaggio dei magneti ad alte prestazioni.

'Con l'espansione del mercato dei veicoli elettrici, la nostra dipendenza da questi componenti aumenterà rapidamente. Stabilire una catena di approvvigionamento end-to-end garantirà non solo di poter sfruttare adeguatamente queste nuove tecnologie, ma garantirà anche un approvvigionamento locale di questi materiali riducendo al contempo in modo significativo il carico ambientale della produzione ".

Nelle notizie correlate, i ricercatori studiano i modi per fornire una fonte sostenibile dei magneti delle terre rare necessari per i veicoli elettrici e ibridi.

Il progetto RaRE (Riciclaggio delle terre rare per macchine elettriche) da 2,6 milioni di sterline, che sarà condotto dall'Università di Birmingham e Bentley Motors ed è stato finanziato dall'Office for Low Emission Vehicles (OLEV), esaminerà i modi per stabilire il prima catena di fornitura end-to-end di magneti in terre rare riciclate nel Regno Unito.

fonte: airqualitynews.com



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Inquinamento: metalli rari nei giocattoli e nei contenitori per cibo

Inquinamento, metalli rari sempre più presenti nella plastica utilizzata per creare giocattoli e contenitori per il cibo



L’inquinamento colpisce anche alcuni oggetti in plastica di uso molto comune, come giocattoli e contenitori per cibo. È quanto rivela un nuovo studio condotto dall’Università di Plymouth e dall’Università dell’Illinois, pubblicato sulla rivista scientifica Science of The Total Environment: molti prodotti in plastica contengono livelli anomali di metalli rari.

I metalli rari sono oggi molto richiesti, per via delle loro proprietà fisiche e chimiche che li rendono particolarmente adatti per la produzione di dispositivi elettronici. Eppure, nonostante la loro rarità, questi elementi sono sempre più rilevati in oggetti in plastica di uso molto comune: una contaminazione che, a detta degli esperti, potrebbe avvenire proprio nella fase di produzione di questo materiale o nei processi di riciclo.

Inquinamento, metalli pesanti e oggetti comuni

I ricercatori hanno voluto analizzare i livelli di metalli rari – detti anche REE, Rare Earth Elements – in alcuni oggetti di uso molto comune. Hanno quindi selezionato 31 prodotti, dai giocattoli ai contenitori di cibo, introducendo anche nel campione degli oggetti creati a partire dalla plastica riciclata. I ricercatori sospettavano possibili contaminazioni nel processo di smistamento e recupero di questo materiale. Ancora, gli esperti hanno misurato i livelli di bromo e antimonio, due sostanze impiegate come ritardanti di fiamma.

Il primo dato emerso è come, negli oggetti in plastica riciclata, si registrino livelli di bromo e antimonio insufficienti per avere un effetto davvero ritardante per le fiamme. Ancora, i metalli rari sono stati identificati in 24 su 31 campioni analizzati.

Non è però tutto, poiché i ricercatori hanno voluto anche indagare se i REE fossero presenti anche nella plastica presente in mare, ormai schiarita dall’azione dei sali marini e dall’esposizione al sole. Anche in questo caso, la maggior parte dei campioni riportava vari livelli di contaminazione, sottolineando quindi come l’inquinamento da metalli rari sia ormai “ubiquo e pervasivo”.

Andrew Turner, docente di Scienze Ambientali presso l’Università di Plymouth e principale autore dello studio, ha così commentato i risultati emersi:


I REE hanno applicazioni critiche nella moderna elettrica, per via delle loro proprietà magnetiche, fosforescenti ed elettrochimiche. Tuttavia, non sono appositamente aggiunti nella plastica, poiché non hanno nessuna funzione in questo materiale. Quindi la loro presenza è più probabilmente il risultato di contaminazioni accidentali durante la separazione meccanica e la gestione di componenti riciclabili.

Ma quali conseguenze potrebbe avere sulla salute un’esposizione a questi metalli?

Gli impatti sulla salute dovuti dalla cronica esposizione a piccole quantità di questi metalli non sono noti. Ma oggi si trovano a livelli più alti nel cibo, nell’acqua di rubinetto e in alcuni farmaci, ciò significa che la plastica probabilmente non rappresenta un vettore significativo di esposizione per la popolazione. Tuttavia, potrebbero sottendere la presenza di additivi chimici più noti e maggiormente conosciuti, già oggi causa di preoccupazione.

Fonte: EurekaAlert


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La transizione energetica, tra crescita delle rinnovabili e dipendenza dalle materie prime

Il necessario forte sviluppo delle rinnovabili potrà creare dipendenza da una serie di materie prime e terre rare per buona parte controllate dalla Cina. Quali approcci sono perseguibili?










Finora abbiamo temuto che la forte dipendenza dal carbone della Cina sarebbe stata un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di Parigi. Ora che Xi JinPing ha annunciato di puntare alla neutralità carbonica al 2060, si aprono prospettive decisamente interessanti.

Nei prossimi decenni dovremo però superare un altro ostacolo alla rivoluzione climatica globale, la reale disponibilità delle materie prime necessarie. E ancora una volta fa capolino Pechino.

Ma andiamo con ordine.

Se negli ultimi 100 anni abbiamo visto guerre e colpi di stato per il petrolio, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi cento?

Considerando che i maggiori paesi si sono dati l’obbiettivo di raggiungere la neutralità climatica/carbonica nei prossimi 30-40 anni, è chiaro che il ruolo dei combustibili fossili andrà progressivamente riducendosi.

Ma crescerà invece la dipendenza da una serie di materie prime critiche.

La transizione ecologica dell’economia comporterà infatti la crescita rapidissima non solo di acciaio, rame, cemento, alluminio, ma anche di elementi strategici come il litio, il cobalto e le terre rare che al momento vengono largamente controllati dalla Cina.

Quindi c’è il rischio concreto di passare dalla dipendenza dai paesi arabi a quella da Pechino.

Si consideri, ad esempio, che il 98% delle terre rare utilizzate nelle tecnologie rinnovabili e nella mobilità elettrica in Europa proviene dalla Cina.

Uno scenario che preoccupa anche l’Unione Europea che lo scorso 29 settembre ha lanciato la “Alleanza europea delle materie prime”.

Il vicepresidente della Commissione Maroš Šefčovič ha sottolineato come l’approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime sia un prerequisito per un’economia resiliente.


“Solo per le batterie delle auto elettriche e lo stoccaggio di energia, l’Europa avrà bisogno, ad esempio, di una quantità di litio fino a 18 volte superiore entro il 2030 e fino a 60 volte di più entro il 2050. Costruiremo quindi una forte alleanza per passare da un’elevata dipendenza dall’estero ad un approvvigionamento interno e punteremo alla circolarità e all’innovazione”.

Dunque, il tema delle risorse rappresenta una criticità da non sottovalutare e da affrontare con saggezza e lungimiranza.

Non certo però con il taglio provocatorio del pezzo “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?” comparso l’11 novembre su un blog del Sole 24 Ore. L’articolo, che alterna dati veri e inesattezze, arriva ad ipotizzare soluzioni impraticabili su larga scala come la cattura della CO2 dall’atmosfera.

Utilizzando la tecnologia della svizzera Climeworks, all’avanguardia in questo settore, per rimuovere la CO2 annualmente prodotta dai combustibili fossili, 38 miliardi di tonnellate, si dovrebbe infatti utilizzare metà della produzione mondiale di energia elettrica, oltre ad una quantità di energia termica quattro volte superiore…

“Di circa una decina di materiali alla base della ‘rivoluzione verde’ le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili”, si legge inoltre nel pezzo.

Naturalmente non è così, ma la sfida della domanda dei materiali e dell’impatto ambientale legato alla loro produzione andrà affrontata con grande serietà.

Vediamo quali approcci sono perseguibili.

Un elemento importante per contenere la pressione sugli approvvigionamenti riguarda l’innovazione tecnologica.

Ricordiamo che il contenuto di silicio nelle celle solari è passato dai 16 grammi/Watt nel 2004 ai 4 grammi/W nel 2017. E si potranno aprire nuove frontiere, come con le celle solari organiche ultrasottili.

Oppure, consideriamo il recente annuncio di Tesla di voler produrre batterie prive di cobalto, che altri costruttori già fanno.

C’è poi un secondo filone, molto interessante, che riguarda il recupero dei materiali dai prodotti a fine vita.

Nel caso delle batterie al litio, nel 2018 si sono riciclate quasi 100.000 tonnellate su scala globale, circa il 50% di quelle che hanno raggiunto il “fine vita”.

La percentuale di recupero a livello mondiale delle terre rare è invece a livelli molto bassa, dell’1%, ma si ritiene di potere arrivare a recuperarne un terzo nel medio periodo.

Abbiamo poi le nuove attività di esplorazione.

A settembre, ad esempio, negli Usa è stato presentato il Reclaiming America Rare Earths Act che prevede incentivi fiscali per le compagnie coinvolte nell’estrazione e nel riciclo delle terre rare e di metalli nel territorio americano.

È prevedibile, dunque, l’avvio di nuove iniziative minerarie in diversi paesi, dall’Australia al Canada, dagli Usa all’Europa.

C’è infine una riflessione più di fondo, decisiva.

Le possibili criticità sull’uso delle risorse minerali e idriche impongono non solo una maggiore attenzione alla riduzione dei consumi energetici, ma sollecitano anche una rivisitazione dell’attuale modello economico e lanciano un messaggio ad una maggiore sobrietà.

Sono proprio i temi toccati nel recente summit “Economy of Francesco” nel quale Bergoglio ha tracciato un percorso per la ripresa dopo la pandemia, affemarmando:

“Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile… non possiamo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse”.


fonte: www.qualenergia.it


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Materie Prime Critiche: Un piano d'azione per l'Europa



Smartphone, elettrodomestici, pannelli solari. Ma anche droni, magneti che fanno funzionare gli impianti eolici, batterie e accumulatori per le auto e gli apparecchi elettrici ed elettronici. Sono tutti oggetti che – in modo diretto o indiretto – fanno parte della nostra vita quotidiana, e che hanno una cosa in comune: per funzionare hanno bisogno di componenti che contengono metalli e minerali come il tungsteno, che consente ai cellulari di vibrare, il gallio e l’indio indispensabili per le lampade a Led, o il più famoso di tutti, il silicio dei processori dei computer.
Molti di essi vengono definiti “materie prime critiche” perché, oltre ad avere un ruolo centrale per l’economia e la produzione industriale – un’importanza destinata a crescere sempre di più sulla scia della transizione ecologica e dell’abbandono dei combustibili fossili – la loro catena di approvvigionamento è soggetta a rischi strategici, legati principalmente al fatto che la maggior parte viene estratta in paesi extra-europei, spesso in condizioni sociali problematiche (a partire dallo sfruttamento della manodopera, anche minorenne) e con metodi molto impattanti dal punto di vista ambientale.
La lista europea delle materie prime critiche

È a questi problemi che guarda il Piano d’azione sulle materie prime critiche elaborato dalla Commissione Europea e reso noto giovedì 3 settembre, assieme all’aggiornamento della lista comunitaria di questi materiali e a uno studio più approfondito che traccia le prospettive sul ruolo delle materie prime critiche per le nuove tecnologie e i settori industriali strategici nel periodo 2030-2050.
La nuova lista – aggiornata sulla base dei dati degli ultimi cinque anni riguardo all’importanza economica/industriale dei materiali e alle criticità relative al loro approvvigionamento – elenca trenta materie prime (erano 14 nella prima versione di nove anni fa). Oltre a metalli come Cobalto e Tungsteno e alle cosiddette “terre rare”, per la prima volta compaiono la Bauxite e il Litio, componente indispensabile delle batterie degli apparecchi elettronici e dei mezzi a propulsione elettrica.
Il Piano, invece, partendo dalla constatazione che “l’accesso alle risorse è una questione di sicurezza strategica” per le ambizioni europee di realizzare il Green New Deal, fin dall’introduzione avverte del rischio che “la transizione verso la neutralità climatica” sostituisca l’attuale dipendenza dell’economia europea dai combustibili fossili con quella “dalle materie prime, molte delle quali provenienti dall’estero e per le quali la competizione globale sta diventando più agguerrita”.
“Se nel lungo periodo vogliamo continuare a godere i benefici dei prodotti moderni”, ha detto presentando il documento il vicepresidente della Commissione con delega alle relazioni interistituzionali e alle prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, “dobbiamo cambiare radicalmente il nostro approccio nei confronti delle materie prime critiche, assicurando un approvvigionamento sicuro e sostenibile in grado di rispondere alle necessità delle nuove tecnologie pulite e digitali”, che nei prossimi anni continueranno a crescere: entro il 2050, ha spiegato infatti il commissario slovacco, il fabbisogno europeo di Cobalto e Litio aumenterà rispettivamente di 15 e 60 volte “solo per le vetture elettriche e lo stoccaggio di energia. E nello stesso periodo la domanda di terre rare usate nei magneti che sono cruciali per i generatori eolici potrebbe crescere fino a dieci volte”. A ciò si aggiunge il fatto che l’Unione “dipende fortemente da un numero limitato di paesi extra UE per le sue materie prime: ad esempio, otteniamo tra il 75 e il 100% della maggior parte dei metalli dall'esterno dell'UE, mentre la Cina ci fornisce il 98% delle terre rare”.


Fonte: European Commission report on the 2020 criticality assessment
Il piano della Commissione UE

Da qui i quattro obiettivi che si pone il Piano d’azione: “sviluppare catene di valore resilienti per gli ecosistemi industriali dell'UE; ridurre la dipendenza dalle materie prime critiche primarie attraverso l'uso circolare di risorse, prodotti sostenibili e innovazione; rafforzare l'approvvigionamento interno di materie prime nell'UE; diversificare l'approvvigionamento da paesi terzi ed eliminare le distorsioni al commercio internazionale, nel pieno rispetto degli obblighi internazionali dell'UE”.
Risultati da raggiungere – si legge sempre nel documento – attraverso la costituzione di un’Alleanza europea per le materie prime che coinvolgerà “tutti i soggetti interessati” e si occuperà in particolare di “aumentare la resilienza dell’UE nelle catene del valore delle terre rare e dei magneti, vitali per la maggior parte degli ecosistemi industriali dell'UE, come l'energia rinnovabile, la difesa e spazio”. Ma anche sviluppando “partenariati internazionali strategici per garantire l'approvvigionamento di materie prime essenziali non presenti in Europa” e mappando “il potenziale delle materie prime critiche secondarie provenienti dalle scorte e dai rifiuti dell'UE per identificare progetti di recupero fattibili entro il 2022”. Come ha spiegato Šefčovič, infatti, “ogni anno nell'UE vengono prodotti 9 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche”. Circa il 30% viene raccolto e riciclato, ma il recupero delle materie prime critiche da questi rifiuti elettronici è inferiore all'1%. Lo sfruttamento di queste miniere urbane, ovvero il recupero di materie prime dai rifiuti urbani attraverso il riciclaggio, potrebbe alla fine soddisfare gran parte della domanda dell'UE di materie prime essenziali”.


Fonte: European Commission
Una spada a doppio taglio

Un ultimo punto illustrato nel Piano – forse quello più critico – prevede l’identificazione all’interno dei paesi dell’Unione di “progetti di estrazione e trasformazione che possono essere operativi entro il 2025”, con un focus particolare “riservato alle regioni carbonifere e ad altre regioni in transizione, con speciale attenzione alle competenze e abilità rilevanti per l'estrazione, l'estrazione e la lavorazione delle materie prime”. Già ora sono attivi quattro iniziative industriali per la loro estrazione e lavorazione sostenibile, che valgono quasi 2 miliardi di euro. La Commissione stima che entro il 2025 soddisferanno l’80% del fabbisogno comunitario di litio nel settore delle batterie (oggi coperto per il 78% dal Cile).
“Un certo numero di materie prime sono essenziali affinché l'Europa possa guidare la transizione verde e digitale e rimanere il primo continente industriale del mondo”, ha detto il Commissario al Mercato interno, Thierry Breton: “Diversificando l'approvvigionamento da paesi terzi e sviluppando la capacità dell'UE di estrazione, lavorazione, riciclaggio, raffinazione e separazione delle terre rare, possiamo diventare più resilienti e sostenibili. L'attuazione delle azioni che proponiamo oggi richiederà uno sforzo concertato da parte dell'industria, della società civile, delle regioni e degli Stati membri".
Il rischio, avverte però il network di cittadini e organizzazioni non governative European Environmental Bureau (EEB), è che la strategia europea sulle materie prime critiche si riveli “una spada a doppio taglio”, soprattutto per quanto riguarda i costi ambientali e sociali dell’estrazione mineraria: primo tra tutti, l’inquinamento delle falde o la riduzione della portata dei bacini idrici. “Trasferendo l'attività mineraria in Europa, è probabile che importiamo anche il danno ambientale che è stato inflitto alle comunità in Sud America, Asia e Africa per decenni”, ha spiegato Diego Francesco Marin, che per l’EEB si occupa dei progetti di giustizia ambientale: “La Commissione europea deve garantire che le comunità locali e i gruppi della società civile entrino a far parte di un processo di consultazione globale in modo che possano sollevare preoccupazioni sui nuovi progetti minerari vicino alle loro case prima che sia troppo tardi”.
Preoccupazioni rincarate da un altro esponente del network, il responsabile delle politiche sull'efficienza delle risorse Jean-Pierre Schweitzer, secondo cui “aprire semplicemente le porte a nuovi progetti minerari in Europa sarebbe in contraddizione con l'ambizione della Commissione di mantenere il consumo di risorse entro i confini planetari, come stabilito nel piano d'azione per l'economia circolare dello scorso marzo. Ciò di cui abbiamo bisogno sono batterie più efficienti, riciclabili e durevoli prodotte con materiali di provenienza responsabile per alleviare il carico sul pianeta”.

fonte: https://www.renewablematter.eu/


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Un enzima batterico per estrarre le terre rare in modo ecologico

Una ricerca della LMU è stata in grado di mostrare operativamente come estrarre selettivamente alcune lantanoidi senza la necessità di solventi organici potenzialmente pericolosi o altri additivi.



Le terre rare sono elementi essenziali e indispensabili per molte delle moderne tecnologie. Tuttavia, si tratta di materie difficili da estrarre, che spesso si presentano in miscele con elementi radioattivi come l’uranio e il torio. Per questa ragione, i chimici della LMU di Monaco hanno lavorato negli ultimi anni su un enzima batterico in grado di estrarre selettivamente dalle miscele alcune terre rare in modo ecologicamente sostenibile.

Questi elementi mostrano proprietà chimiche molto simili tra loro, il che rende la loro separazione un compito piuttosto difficile: ad alta intensità energetica e, di conseguenza, problematico dal punto di vista ambientale. Il team della LMU, guidato dalla professoressa Lena Daumann, è riuscito a dimostrare che un cofattore enzimatico, chiamato pirrolochinolina chinone (PQQ), tende a legarsi selettivamente ad alcune terre rare e può essere utilizzato per separarle dalle miscele.

Già circa 10 anni fa è stato dimostrato che alcuni tipi di batteri possono assorbire selettivamente dall’ambiente i cosiddetti lantaniodi, cioè 15 degli elementi che costituiscono il gruppo delle terre rare, per incorporarli negli enzimi da utilizzare come catalizzatori metabolici.

Adesso, però, il gruppo di ricerca è stato in grado di individuare nel dettaglio quali siano i meccanismi biologici dietro questi processi, mostrando operativamente una selettività d’estrazione senza la necessità di solventi organici potenzialmente pericolosi o altri additivi. Nella pratica, il team ha dimostrano che pirrolochinolina chinone è in grado di rimuovere alcuni lantanoidi mediante precipitazione da soluzioni acquose contenenti miscele dei loro sali. E ha scoperto che il PQQ si lega preferenzialmente agli elementi più grandi del gruppo, incluso il neodimio.

Fino ad ora, non era chiaro perché i batteri selezionassero preferenzialmente i lantanidi più grandi per le funzioni biochimiche. Sulla base dei loro risultati, i ricercatori sospettano che questo abbia a che fare con la struttura specifica del PQQ. Adesso, lo sforzo del team sarà fare in modo che le nuove scoperte – pubblicate su Chemistry: A European Journal – possano stimolare un ulteriore interesse per l’uso di batteri per il riciclaggio delle terre rare.

fonte: www.rinnovabili.it


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Impatto ambientale della tecnologia alle stelle, il lato oscuro dell'era digitale


















Consumo di elettricità, estrazione e lavorazione di Terre Rare, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche: l'impatto ambientale delle tecnologie digitali è alle stelle, occorre un cambio di paradigma.

Non solo strumenti di comunicazione al servizio di noi utenti tecnologicamente alfabetizzati. La tecnologia invade e pervade la quotidianità, con una quantità e una frequenza di utilizzo che non possono che impattare altamente sul nostro modo di vivere e sull'ambiente.
L'elettricità richiesta per le operazioni di elaborazione dei dati che qualsiasi attività effettuata comporta è la voce di maggiore dispendio energetico. In un  documento diffuso da Euroactiv, la Commissione Europea stima che il settore utilizzi tra  il 5-9% del consumo totale di elettricità del mondo e sia responsabile di oltre il 2% di tutte le emissioni. Secondo dati MteC, il funzionamento della rete che gestisce le attività dei 7 miliardi di smartphone sul Pianeta, genera 200 milioni di tonnellate di carbonio all’anno.
Altra questione spinosa, i RAEE - Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche. Con 12 milioni di tonnellate all’anno, i RAEE sono la tipologia di rifiuti in più rapida crescita in Europa”, si legge nel documento della Commissione. Ricicliamo solo il 35% dei rifiuti elettronici e si perde molto valore quando un dispositivo non può essere riparato, quando una batteria non può essere sostituita o quando il software non è più supportato”.
In Italia, la raccolta di tale tipologia di rifiuti è migliorata sensibilmente nel 2019: sono state 146.019 le tonnellate di rifiuti tecnologici -principalmente tv e monitor- gestite dalle 2.300 aziende del Consorzio Remedia, con un incremento del 17% rispetto al 2018 (124.818 tonnellate). Tuttavia, con l’arrivo del nuovo standard del digitale terrestre, sono attesi milioni di vecchi televisori da smaltire.
  
Ultime ma non meno importanti a livello di impatto, sono le Terre Rare necessarie alla realizzazione di dispositivi come gli smartphone. Con il termine si fa riferimento a un gruppo di elementi della tavola periodica, di cui fanno parte 15 lantanoidi, lo Scandio e l'Ittrio. Contrariamente a quanto si può pensare, la loro rarità è dovuta non tanto alla scarsa disponibilità quanto alla enorme difficoltà di lavorazione ed estrazione del minerale. Non trovandosi in forma pura, tendono a legarsi tra di loro e agli altri minerali. L’estrazione e la separazione delle Terre Rare è pertanto laboriosa e altamente inquinante.
Le Terre Rare, infatti, devono essere disciolte a più stadi in acidi, poi filtrate e infine ripulite tramite processi che rilasciano sostanze tossiche e persino radioattive. Metodi poco sostenibili che, se applicati a una produzione massiccia come quella tecnologica, aggiungono un peso notevole alla già imponente impronta ecologica del settore.
E così, per invertire la rotta, la chiave è -ancora una volta- l'economia circolare. Che punta a una produzione responsabile basata sul riciclo, la decarbonizzazione e la riduzione a monte dei rifiuti tramite il recupero e l'innovazione.

fonte: https://www.nonsoloambiente.it

Recuperare Terre Rare e metalli dai RAEE senza incenerimento: intervista a Rista

Rista è un’azienda che ha avviato, in collaborazione con uno spin-off del Politecnico di Torino, uno studio innovativo per recuperare Terre Rare e metalli dai Raee senza l’uso di incenerimento




















Rista è un’azienda che ha avviato, in collaborazione con uno spin-off del Politecnico di Torino, uno studio innovativo per recuperare Terre Rare e metalli dai Raee. Il progetto si chiama RaeeIntegra, e oltre a vantaggi economici ed ambientali, ha impatti positivi anche dal punto di vista sociale. Abbiamo intervistato Fabrizio Rista, Responsabile Tecnico dei Trasporti e dell’ Impianto dell’azienda:  
Quando avete iniziato ad occuparvi di gestione dei rifiuti?
Rappresento la quarta generazione di questa impresa. Ci occupiamo di gestione dei rifiuti da tempi lontani, ancora prima della Seconda Guerra Mondiale. Ci siamo strutturati come impresa nel corso degli anni ‘50 quando c’erano le prime attività di ritiro di rifiuti urbani. Oggi, ovviamente, la gestione dei rifiuti è cambiata e la nostra azienda ha sviluppato una visione moderna, non più soltanto finalizzata allo smaltimento dei materiali, ma alla valorizzazione del prodotto cercando di massimizzare la ricerca e il recupero di materie prime secondarie.
Recuperare Terre Rare e metalli dai RAEE senza incenerimento: intervista a Rista








Qual è la tipologia di rifiuto che oggi trattate maggiormente?
Attualmente il nostro core business è legato al recupero di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Si tratta di oggetti fondamentali, data l’era tecnologica.
Cosa fate con questi rifiuti?
Dai Raee generalmente si tolgono i metalli (ferrosi e non ferrosi) e le plastiche. Noi abbiamo deciso di andare un po’ più in profondità. Dallo scorso anno abbiamo avviato una collaborazione con spin-off del Politecnico di Torino con il quale stiamo facendo innovazione e ricerca. Il progetto ha come primo obiettivo lo studio delle cosiddette “terre rare”, componenti infinitesimali, quasi impercettibili, che servono per fare i semiconduttori delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Si tratta, come dice il loro nome, di elementi molto rari che si trovano soprattutto in giacimenti dislocati in Estremo Oriente e in Africa di proprietà cinese. Il mondo occidentale sta cercando di slegarsi dalla dipendenza dal mercato cinese per l’approvvigionamento delle Terre Rare e ha promosso incentivi alla ricerca universitaria e industriale per raggiungere questo obiettivo.
In quest’ottica stiamo studiando dei macchinari specifici che ci permetteranno di estrarre, soprattutto dalle schede elettroniche, questi materiali. Questo è l’obiettivo finale della sperimentazione. In mezzo c’è una ricaduta industriale, per noi fondamentale, che consiste nel recupero di ulteriori componenti come rame e stagno, ma anche metalli nobili (oro, palladio, argento), con l’utilizzo di trattamenti meccanici (es. triturazione).
Recuperare Terre Rare e metalli dai RAEE senza incenerimento: intervista a Rista









Lei ha parlato di arrivare all’utilizzo di trattamenti meccanici. Attualmente come avviene il recupero dei metalli nobili dai Raee?
Il recupero di metalli nobili è una pratica già utilizzata ma che avviene in un modo completamente diverso, con metodi ad altissimo impatto ambientale. Sono modalità che vanno a distruggere i materiali piuttosto che recuperarli. Le schede, ad esempio, vengono bruciate in modo tale da recuperare i metalli dalle ceneri. Oppure vengono fatti dei trattamenti con delle sostanze chimiche particolari che producono considerevoli emissioni in atmosfera.  E’ più facile attaccare usando il fuoco o gli agenti chimici, ma le conseguenze ambientali sono nefaste. Il nostro scopo, invece, con questo progetto-studio, è quello di arrivare, attraverso una dissaldatura e alla macinazione selettiva, al recupero meccanico delle componenti in essi contenuti.
Il progetto si chiama RaeeIntegra e non si ferma solo agli aspetti ambientali. Ci può spiegare le altre ricadute?

Oltre alla ricaduta ambientale già sottolineata e all’integrazione di un processo industriale innovativo nel settore del recupero, la nostra attenzione e concentrata su un percorso d’integrazione sociale. Nel contesto già evidenziato in cui le maggiori potenze economiche si appropriano e sfruttano le risorse dei paesi più poveri come l’Africa, tra cui i giacimenti di estrazione delle Terre Rare, mi sento personalmente debitore nei confronti di questi rifugiati a cui si toglie tutto. Il mio personale percorso d’impegno sociale extralavorativo mi ha fatto conoscere l’esperienza della micro ospitalità attiva nella Valle di Susa, in cui vivo. Gli immigrati vengono ospitati in numero “integrato” alla popolazione in modo da creare sostenibilità ed equilibrio. Con queste prerogative ho ritenuto di contribuire a restituire a questi ragazzi quanto gli viene tolto. Nel percorso di formazione e integrazione possono imparare a recuperare, anche in misura infinitesimale, parte di quella “terra” che ogni giorno gli viene sottratta e da cui sono dovuti fuggire per ricostruire la loro dignità di uomini.
fonte: www.ecodallecitta.it

Riciclaggio dei metalli: le vecchie auto sono miniere preziose

Ogni anno il mercato europeo butta fino a 20 tonn d’oro nascoste nei veicoli fuori uso. L’Urban Mine Platform ha tracciato il percorso dei metalli rari e preziosi nel settore auto
















veicoli fuori uso costituiscono delle vere e proprie miniere urbane di materiali preziosi ad oggi per lo più ignorate. Lo rivela un nuovo studio condotto dalla Chalmers University of Technology, in Svezia, e dedicato al riciclaggio dei metalli delle vecchie auto. I risultati del lavoro svedese confluiranno nel database Urban Mine Platform, lo strumento creato dal Progetto Prosum per mostrare il percorso dei metalli critici nel mercato europeo, dall’inizio alla fine. La piattaforma è l’unica al mondo a classificare i metalli che potrebbero essere riciclati a partire da auto, apparecchiature elettriche e dispositivi elettronici.
Si scopre così che, nonostante l’automotive europea continui ad aumentare la quantità di materiali preziosi e rari impiegati (e per lo più importati), la maggior parte è ancora costretta a un destino da rifiuto. Ogni anno, ad esempio, il mercato europeo butta fino a 20 tonnellate d’oro nascoste nell’urban mining delle vecchie auto.

“Questi metalli sono necessari per far procedere la transizione verso tecnologie più ecologiche, come auto elettriche, celle solari, illuminazione a LED ed energia eolica, quindi qualsiasi rischio di approvvigionamento costituisce un problema strategico ed economico per l’Unione Europea”, spiega Maria Ljunggren Söderman, ricercatrice presso Environmental Systems Analysis dell’ateneo svedese. “Inoltre, queste sono risorse limitate che devono essere utilizzate in modo sostenibile”. Comprendere il contributo dei veicoli a fine vita nei confronti del riciclaggio dei metalli, soprattutto se preziosi o rari, diventa quindi fondamentale.


Söderman ha analizzato 260 milioni di veicoli leggeri della flotta europea, determinando le quantità di metalli critici presenti nei mezzi e i rifiuti prodotti. Uno degli elementi che salta subito all’occhio, assieme al progressivo aumento degli scarti, è la crescita nell’utilizzo di nuovi materiali critici.
Questo è principalmente dovuto al fatto che stiamo costruendo mezzi sempre più avanzati, con una grande quantità di elettronica, materiali leggeri e convertitori catalitici. L’aumento del numero di veicoli elettrici si aggiunge a questo sviluppo, anche se finora rappresentano solo una piccola parte della flotta”, aggiunge la ricercatrice.

Uno di questi materiali è il Neodimio, metallo appartenente al gruppo delle terre rare, molto utilizzato nella produzione di componenti magnetici di microfoni e auricolari. L’elemento sta trovando sempre più spazio anche nell’industria automobilistica, motori dei veicoli elettrici in primis. Si stima che entro il 2020 ci saranno circa 18.000 tonnellate di Neodimio nella flotta europea, nove volte la quantità presente nel 2000. I prezzi di questo metallo (così come di altre terre rare) stanno crescendo progressivamente con l’aumento della domanda di mercato, ma hanno subito una vera impennata nel 2017, quando la Cina – primo produttore al mondo – ha chiuso diverse miniere illegali.
Allo stato attuale il riciclaggio dei metalli delle terre rare è parecchio in ritardo e non sempre il recupero è visto come la strategia d’elezione su cui puntare. La Toyota, ad esempio, sta cercando di correre al riparo realizzando i primi magneti per motore elettrico, in cui una parte del Neodimio sia sostituita con Lantanio e Cerio (terre rare a basso costo).

L’oro è un altro esempio e i ricercatori sono rimasti letteralmente sorpresi delle quantità di questo elemento nascoste nei veicoli: nel 2015 si contavano circa 400 tonnellate del prezioso metallo nella flotta europea in circolazione e altre 20 nei mezzi dismessi.
Söderman spera che i risultati della ricerca stimolino un cambiamento. “I produttori di automobili e le industrie del riciclaggio dei metalli devono collaborare per garantire che qualcosa accada. Deve essere possibile fare di più di quello che facciamo al momento, dopotutto lo si fa già con le apparecchiature elettriche ed elettroniche”.

fonte: http://www.rinnovabili.it