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Con il boom del fotovoltaico ci sarà un forte aumento della domanda di metalli



Il consumo globale di alluminio, rame e zinco per l'industria solare è destinato a crescere moltissimo al 2030-2040. Le stime di Wood Mackenzie.

La crescita del fotovoltaico su scala globale avrà un impatto rilevante sulla domanda di alcuni metalli, soprattutto nello scenario di ...

Aerogel multiuso dal riciclo dei rifiuti metallici

Gli ingegneri della National University di Singapore hanno sviluppato una tecnica ecologica per trasformare i rifiuti metallici in nuovi materiali da costruzione



I metalli sono tra i materiali più utilizzati al mondo. Con una domanda in continua crescita, per questo settore è sempre più necessario promuovere soluzioni e metodi sostenibili per il riciclo dei suoi rifiuti. Gli approcci convenzionali, infatti, richiedono molta energia e, in alcuni casi, generano sottoprodotti dannosi per l’ambiente. Una soluzione ecocompatibile arriva oggi dell’Università Nazionale di Singapore (NUS). Qui un gruppo di scienziati ha riciclato alcuni scarti metallici nella produzione di un aerogel multiuso.

“Il nostro approccio è più economico, non rilascia elementi pericolosi, consuma meno energia ed è più rispettoso dell’ambiente dei metodi di riciclo convenzionali”, spiega il professore Duong Hai-Minh, a capo del gruppo di ricerca. La nuova tecnica, sottolineano gli scienziati, è stata impiegata per convertire rifiuti di alluminio e magnesio in aerogel multifunzionali di alto valore; ma, potenzialmente, potrebbe essere applicata a tutti i tipi di rifiuti metallici in polvere.

Il processo richiede una prima fase di macinazione e successiva aggiunta alla polvere di reticolanti chimici. La miscela viene, quindi, riscaldata in forno, congelata e poi liofilizzata per creare l’aerogel. Il risultato? Un prodotto dotato di elevata stabilità termica e meccanica. “Sono candidati promettenti per l’isolamento termico e acustico in ambienti difficili con temperature elevate o impatto meccanico elevato”, ha aggiunto il professore.

La durata del nuovo processo può variare leggermente a seconda del metallo coinvolto. In media, sono necessari da uno a tre giorni per trasformare la polvere metallica in aerogel, rispetto ai tre-sette giorni dei metodi convenzionali. Ciò significa anche poter abbassare il prezzo di produzione. Utilizzando la tecnica, sviluppata dal team NUS, produrre un pezzo di aerogel a base di metallo di 1 mq di ampiezza e 1 cm di spessore costerebbe meno di 6,50 euro.

Aerogel a base di metallo, materiali da costruzione versatili

Questi prodotti sono altamente assorbenti, estremamente leggeri e hanno eccellenti capacità di isolamento termico e acustico. In un lavoro precedente, Duong e il suo team avevano dimostrato che le proprietà degli aerogel possono essere alterate grazie ad un rivestimento chimico. Ad esempio possono diventare idrorepellenti o resistenti al fuoco, prestandosi a interessanti applicazioni in ambito edilizio.

“Il nostro aerogel di alluminio è 30 volte più leggero e isola il calore 21 volte meglio del calcestruzzo”, ha affermato Duong. “Aggiungendo delle fibre ottiche durante la fase di miscelazione, possiamo creare un materiale traslucido per migliorare l’illuminazione naturale” sei volte più leggero e isolante del traslucido commerciale (LiTraCon). E 120 volte più economico. Quando rivestiti con una sostanza chimica chiamata metiltrietossisilano (MTEOS), gli aerogel di alluminio possono invece respingere l’acqua divenendo un materiale da costruzione autopulente. Gli aerogel a base metallica sono adatti anche come pannelli ignifughi, materiali isolanti termici in edifici e sistemi di tubazioni, per l’assorbimento di contaminanti aerodispersi e per la pulizia di fuoriuscite di petrolio.

fonte: www.rinnovabili.it


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Il Regno Unito ricicla i metalli delle terre rare utilizzati nella produzione di veicoli elettrici

Un nuovo impianto di riciclaggio consentirà al Regno Unito di creare un'economia circolare attorno ai magneti e ai metalli rari necessari per i veicoli elettrici (EV) e la tecnologia rinnovabile.






















L'UKRI ha assegnato all'Università di Birmingham 4,3 milioni di sterline per la realizzazione dell'impianto, che sarà situato a Tyseley Energy Park, una struttura di ricerca e sviluppo dedicata alla fornitura di innovazione energetica pulita.

L'impianto sarà in grado di riciclare materiali da una varietà di flussi di rifiuti contenenti magneti, inclusi veicoli elettrici, prodotti audio e unità disco rigido.

Questi magneti a terre rare sono una componente essenziale di migliaia di prodotti elettrici, dagli altoparlanti e dai dischi rigidi dei computer alle turbine eoliche e ai veicoli elettrici.

Negli ultimi anni il mercato di questi metalli rari è stato dominato dalla Cina, che dispone di grandi riserve di questi materiali.

Si spera che questo impianto di riciclaggio completerà la catena di approvvigionamento con sede nel Regno Unito per magneti sinterizzati e consentirà al Regno Unito di sviluppare un'economia circolare attorno a motori e magneti ad alte prestazioni che darebbero un contributo significativo agli obiettivi netti zero del Regno Unito sulle emissioni di carbonio .

Il professor Allan Walton, co-direttore del Birmingham Centre for Strategic Elements and Critical Materials, che guida il progetto, ha dichiarato: “Questa è un'enorme opportunità per il Regno Unito di diventare un leader mondiale nel riciclaggio dei magneti ad alte prestazioni.

'Con l'espansione del mercato dei veicoli elettrici, la nostra dipendenza da questi componenti aumenterà rapidamente. Stabilire una catena di approvvigionamento end-to-end garantirà non solo di poter sfruttare adeguatamente queste nuove tecnologie, ma garantirà anche un approvvigionamento locale di questi materiali riducendo al contempo in modo significativo il carico ambientale della produzione ".

Nelle notizie correlate, i ricercatori studiano i modi per fornire una fonte sostenibile dei magneti delle terre rare necessari per i veicoli elettrici e ibridi.

Il progetto RaRE (Riciclaggio delle terre rare per macchine elettriche) da 2,6 milioni di sterline, che sarà condotto dall'Università di Birmingham e Bentley Motors ed è stato finanziato dall'Office for Low Emission Vehicles (OLEV), esaminerà i modi per stabilire il prima catena di fornitura end-to-end di magneti in terre rare riciclate nel Regno Unito.

fonte: airqualitynews.com



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Inquinamento: metalli rari nei giocattoli e nei contenitori per cibo

Inquinamento, metalli rari sempre più presenti nella plastica utilizzata per creare giocattoli e contenitori per il cibo



L’inquinamento colpisce anche alcuni oggetti in plastica di uso molto comune, come giocattoli e contenitori per cibo. È quanto rivela un nuovo studio condotto dall’Università di Plymouth e dall’Università dell’Illinois, pubblicato sulla rivista scientifica Science of The Total Environment: molti prodotti in plastica contengono livelli anomali di metalli rari.

I metalli rari sono oggi molto richiesti, per via delle loro proprietà fisiche e chimiche che li rendono particolarmente adatti per la produzione di dispositivi elettronici. Eppure, nonostante la loro rarità, questi elementi sono sempre più rilevati in oggetti in plastica di uso molto comune: una contaminazione che, a detta degli esperti, potrebbe avvenire proprio nella fase di produzione di questo materiale o nei processi di riciclo.

Inquinamento, metalli pesanti e oggetti comuni

I ricercatori hanno voluto analizzare i livelli di metalli rari – detti anche REE, Rare Earth Elements – in alcuni oggetti di uso molto comune. Hanno quindi selezionato 31 prodotti, dai giocattoli ai contenitori di cibo, introducendo anche nel campione degli oggetti creati a partire dalla plastica riciclata. I ricercatori sospettavano possibili contaminazioni nel processo di smistamento e recupero di questo materiale. Ancora, gli esperti hanno misurato i livelli di bromo e antimonio, due sostanze impiegate come ritardanti di fiamma.

Il primo dato emerso è come, negli oggetti in plastica riciclata, si registrino livelli di bromo e antimonio insufficienti per avere un effetto davvero ritardante per le fiamme. Ancora, i metalli rari sono stati identificati in 24 su 31 campioni analizzati.

Non è però tutto, poiché i ricercatori hanno voluto anche indagare se i REE fossero presenti anche nella plastica presente in mare, ormai schiarita dall’azione dei sali marini e dall’esposizione al sole. Anche in questo caso, la maggior parte dei campioni riportava vari livelli di contaminazione, sottolineando quindi come l’inquinamento da metalli rari sia ormai “ubiquo e pervasivo”.

Andrew Turner, docente di Scienze Ambientali presso l’Università di Plymouth e principale autore dello studio, ha così commentato i risultati emersi:


I REE hanno applicazioni critiche nella moderna elettrica, per via delle loro proprietà magnetiche, fosforescenti ed elettrochimiche. Tuttavia, non sono appositamente aggiunti nella plastica, poiché non hanno nessuna funzione in questo materiale. Quindi la loro presenza è più probabilmente il risultato di contaminazioni accidentali durante la separazione meccanica e la gestione di componenti riciclabili.

Ma quali conseguenze potrebbe avere sulla salute un’esposizione a questi metalli?

Gli impatti sulla salute dovuti dalla cronica esposizione a piccole quantità di questi metalli non sono noti. Ma oggi si trovano a livelli più alti nel cibo, nell’acqua di rubinetto e in alcuni farmaci, ciò significa che la plastica probabilmente non rappresenta un vettore significativo di esposizione per la popolazione. Tuttavia, potrebbero sottendere la presenza di additivi chimici più noti e maggiormente conosciuti, già oggi causa di preoccupazione.

Fonte: EurekaAlert


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I rifiuti che il Tevere porta in mare: l’80% plastica, l’8% carta e cartone

I risultati di uno studio europeo sul monitoraggio dei rifiuti fluviali realizzato nel canale di Fiumicino 



















Gran parte dei rifiuti marini  che danneggiano l’ecosistema marino vengono portati dai fiumi e tra le ormai molte iniziative che si occupano di marine litter  e della necessità di avere degli indicatori e dei valori base sul  numero dei rifiuti che dai fiumi finiscono nel mare  c’è anche il Riverine Litter Observation Network (Rimmel) al quale partecipano  36 istituti di ricerca europei, coordinati dal Joint research centre (Jrc) della Commissione europea,  che utilizza un protocollo di monitoraggio sperimentale  per censire i rifiuti più grandi di 2,5 cm che galleggiano alle foci dei fiumi.  Di Rimmel fanno parte anche diversi istituti e Ong  italiani che  monitorano  fiumi come  il Tevere e l’Arno e tra questi c’è l’Accademia del Leviatano che dal 2016 monitora dal pedonale di Fiumicino, tutti i rifiuti che dal ramo più piccolo del Tevere entrano in mare. All’Accademia del Leviatano spiegano che «La ricerca è stata portata avanti dai ricercatori volontari dell’associazione esperti nelle tecniche di monitoraggio rifiuti e da studenti che hanno usufruito delle borse di studio della Regione Lazio “Torno Subito”». Alla raccolta di dati, che  saranno utilizzati dal Jrc  per analizzare i valori base ed i trend del quantitativo di rifiuti che dai fiumi giungono al mare, ha partecipato anche l’Associazione Discesa Internazionale del Tevere. I risultati serviranno anche per valutare l’effetto delle politiche ambientali legati ad importati Direttive Europee come la Direttiva Rifiuti e la Strategia Marina. Lo studio, sarà presentato a dicembre ad un convegno sui rifiuti marini organizzato dall’Accademia dei Lincei a Roma
Una delle ricercatrici responsabili del monitoraggio, Miriam Paraboschi, sottolinea che «I rifiuti che finiscono nel mare si frammentano in particelle più piccole che rischiamo di entrare nella catena alimentare del mare; altri, invece, sono riportati dalle mareggiate sulle spiagge diventando così rifiuti urbani la cui gestione è a carico del Comune di Fiumicino nonostante siano stati prodotti altrove», La Paraboschi ricorda anche «Il potenziale rischio di ingestione della plastica da parte di cetacei e tartarughe che frequentano le acque circostanti».
Per un anno, circa ogni 10 giorni, sono stati raccolti dati e dai risultati è emerso che «ogni ora dal canale di Fiumicino entrano in mare 85 oggetti di rifiuti galleggianti più grandi di 2,5 cm. L’80% di questi rifiuti sono di plastica mentre l’8% sono di carta/cartone. Gli oggetti più comuni censiti sono pezzi di plastica più piccoli di 50 cm (e tra questi cicche di sigaretta ed i “bastoncini di plastica” sia dei cotton fioc sia dei “leccalecca”), pezzi di polistirolo, bottiglie, buste, coperchi e confezioni. Presenti tra i rifiuti anche oggetti di gomma e di metallo …numerose anche le scarpe! Frequente anche la presenza di boe, pezzi di rete da pesca, e scatole di polistirolo, presumibilmente legate alla flotta peschereccia locale».
Secondo la responsabile scientifica dell’Accademia del Leviatano, Ilaria Campana,  «I risultati sono in linea con quanto ottenuto dai monitoraggi effettuati in mare aperto da traghetti, in aree prospicienti, a conferma che i fiumi sono le principali vie di immissione di rifiuti in mare». Un dato confermato anche da un recente studio coordinato dall’Ispra.

fonte: www.greenreport.it

La rivoluzione delle auto elettriche sconvolgerà i mercati dei metalli



Secondo Bloomberg Technology, la rivoluzione dei veicoli elettrici è destinata a sconvolgere l’industria, dall’energia alle infrastrutture, e sta già creando vincitori e perdenti nei più grandi mercati dei metalli del mondo.
La cosa strana è che alcuni giganti minerari, come Glencore Plc, che hanno un portafoglio di investimenti diversificato, anche se sostengono che i combustibili fossili svolgono ancora un ruolo energetico essenziale, alla fine avranno grandi vantaggi da un passaggio alle auto elettriche, dato che richiedono più cobalto, litio, rame, alluminio e nichel.
Mentre Norvegia, Gran Bretagna, Francia e Olanda annunciano che nei prossimi anni metteranno al bando le auto a benzina e diesel e Volvo dice che si prepara a fare concorrenza a Tesla,  Bloomberg New Energy Finance è sicura che le auto elettriche entro 20 anni costeranno quanto i loro equivalenti petroliferi.
Intanto l’aumento delle auto elettriche sta già avendo un forte impatto sul mercato dei metalli, a cominciare dal cobalto e dal litio, la cui estrazione è aumentata negli ultimi due anni. Ma le auto elettriche contengono circa tre volte più rame di un veicolo normale e litio, cobalto, grafite e manganese vengono utilizzati nelle batterie e vedranno una crescente richiesta.
Gli investitoi minerari a lungo termine hanno già sentito odore di soldi e si sono buttati nell’affare a capofitto. I mercati hanno subito rispsto e il prezzo del cobalto quest’anno è salito del 70% al  London Metal Exchange, dopo una crescita del 37% nel 2016. Balzi in avanti che non sono estranei all’acuirsi dei conflitti armati per le risorse in posti come la Repubblica democratica del Congo.  Negli ultimi anni i prezzi del litio sono continuati a crescere e nel 2017 è cresciuto del 14% anche il prezzo del rame.
Invece i produttori di piombo potrebbero essere costretti ad adattarsi alla nuova era che prevede un sempre minor utilizzo di questo metallo nelle batterie. Anche se non sembrerebbe, visto che il prezzo del piombo quest’anno è aumentato del 17%.
Anche l’acciaio rischia perché per le auto elettriche sono richiesti metalli leggeri come l’alluminio per permettere alle auto di viaggiare di più con meno energia. Non a caso la richiesta di alluminio è cresciuta in media del 2,7%  all’anno dal 2013 al 2016, con un trend globale che sembra destinato ad accelerare.
Quest’anno la richiesta di alluminio è cresciuta del 14% , grazie soprattutto all’aumento della domanda da parte dell’industria automobilistica cinese.
I produttori di acciaio cercano di reagire: AK Steel Holding collabora  con General Motors per cercare di utilizzare la nanotecnologia per realizzare carrozzerie leggere per le auto, mentre ArcelorMittal e Tata Steel Europe stanno sviluppano leghe leggere e forti per sfidare la concorrenza dell’alluminio.
Anche il preziosissimo platino potrebbe essere vittima della fine del petrolio. Quasi la metà del platino venduto nel 2w016 è finito nell’industria automobilistica per produrre convertitori catalitici per ridurre l’inquinamento da diesel e se le auto  diesel verranno messe al bando anche il platino sarà meno richiesto»
Bernard Dahdah, un analista che si occupa di materie prime per la Natixis SA di Londra spiega: «Non è che le materie prime, complessivamente, diventeranno meno rilevanti, ma nei prossimi 15 anni vedremo una riorganizzazione in termini di ciò che è importante».
Il principale perdente dell’inizio della rivoluzione elettrica sembra essere il diesel e i prossimi perdenti potrebbero essere le industrie di estrazione e trasformazione dei minerali che non riusciranno a capire i mutamenti del mercato, che rischiano di essere più veloci di quanto oggi si possa pensare».

fonte: www.greenreport.it

Libri gratis con il riciclo, l’iniziativa green che arriva dal Cilento

Michele Gentile, il proprietario di una libreria di Polla in provincia di Salerno, dà la possibilità ai suoi clienti di acquistare i volumi gratuitamente portando in negozio l’equivalente in materiale di metallo in disuso. Così, in un colpo solo, promuove cultura e riciclo


















LIBRI GRATIS CON IL RICICLO –

Lattine di alluminio, ferro, piombo e altri rifiuti di altro genere in cambio di libri. È l’iniziativa promossa da Michele Gentile, titolare della libreria Ex Libris Café di Polla, in provincia di Salerno, che ha deciso di puntare sul binomio riciclo – cultura. Da circa un anno infatti i suoi clienti e non solo possono in un solo colpo: dare una mano all’ambiente, risparmiare e avere un libro in più da leggere. L’iniziativa di chiama “Non rifiutiamoci” e “l’idea è nata un giorno mentre ero in macchina con un amico e ho visto ai bordi della strada i resti abbandonati di un cancello di ferro – spiega Michele – allora mi sono chiesto ‘quanti libri si possono acquistare semplicemente riciclando rifiuti di questo tipo?’”. Da questa semplice domanda è nata un’iniziativa strutturata che grazie al passaparola e ai social network sta prendendo sempre più piede in questo paese del Cilento.

NON RIFIUTIAMOCI LIBRERIA –

Grazie alla collaborazione con la Metalfer di Antonio Coppola, una piattaforma di raccolta di rifiuti di metallo, Michele Gentile ha dato vita ad un originale baratto “green”. I clienti, infatti, portando in libreria oggetti di alluminio, ferro, ottone o piombo ricevono in cambio dei libri del valore corrispettivo al peso dei materiali. Portare, ad esempio, 18/20 chilogrammi di lattine in alluminio dà diritto a un libro da dieci euro mentre con 10 chilogrammi di ottone si può acquistare un vocabolario e così via. Il materiale raccolto ovviamente viene smaltito dalla Metalfer. L’iniziativa è talmente piaciuta da aver raccolto adesioni anche nella scuola media di Sala Consilina, un comune vicino a Polla. I suoi giovani studenti sono riusciti a raccogliere circa 100 chilogrammi di alluminio, passando al setaccio bar, pub e pizzerie, in cambio di decine di libri che sono entrati a far parte della biblioteca della scuola. Un modo semplice ed efficace per riuscire a vendere libri, in un epoca in cui è sempre più difficile, e allo
 stesso tempo promuovere il riciclo e il rispetto per l’ambiente. “Da questa esperienza è nato un nuovo modello di libreria” spiega Michele che in un prossimo futuro spera di riuscire ad avviare una “rete di librerie del riciclo” motivo per il quale sta cercando dei ragazzi giovani che abbiano voglia di appassionarsi a uno dei lavori più belli del mondo.

LIBRO SOSPESO –

Non rifiutiamoci, però, non è l’unica iniziativa messa in campo Ex Libris Café di Polla. Michele ha dato vita anche a una versione da libreria del “caffè sospeso”: i suoi clienti possono scegliere di acquistare un libro da donare ai ragazzi tra i 10 e i 18 anni. Il volume, sul quale si può lasciare una dedica, viene esposto in un’apposita bacheca dove i giovani lettori possono scegliere il libro che più li ispira. Un’iniziativa dedicata alle nuove generazioni e ai giovani, nei quali Michele crede molto per costruire un mondo più pulito e sostenibile, attraverso la lettura di qualche libro in più


fonte: http://www.nonsprecare.it

Batterie ad alte prestazioni da scarti di ottone e acciaio



La tecnologia attuale che riguarda il mondo delle batterie è sempre più alla ricerca di nuovi materiali per arrivare ad un prodotto a minor impatto ambientale, in cui l’efficienza sia però garantita e che riesca allo stesso tempo ad avere meccanismi di funzionamento semplici, tanto semplici da poter essere facilmente riprodotti.

Questa è la nuova frontiera: una batteria, realizzata possibilmente a partire da materiali di scarto, che ciascuno possa realizzare a casa propria, riuscendo a rendersi più indipendente dalla rete elettrica. Un team di ricercatori della Vanderbilt University (Nashville, Tennessee) è riuscito a realizzare una batteria creata con scarti di due dei metalli più comuni: acciaio e ottone.
Hanno utilizzato come elettrolita una soluzione di idrossido di potassio, una sale a basso costo che si può trovare comunemente in commercio anche se di solito viene utilizzato in ambito industriale. I risultati ottenuti dai loro studi sono stati spiegati in un articolo uscito sulla rivista scientifica ACS Energy Letters, con il titolo “From the Junkyard to the Power Grid: Ambient Processing of Scrap Metals into Nanostructured Electrodes for Ultrafast Rechargeable Batteries”.

Un sistema quindi che, con le dovute attenzioni, può essere replicato all’interno delle proprie mura domestiche, anche perché non ha bisogno di temperature elevate, e che per di più, raggiunge livelli di efficienza da top di gamma: si riesce ad arrivare a tensioni fino a 1.8 V e a densità di energia fino a 20 Wh/kg.
Particolare attenzione merita la longevità del congegno: questa batteria è stata testata per 5.000 cicli di ricarica consecutivi, corrispondenti a 13 anni di ricarica quotidiana, e ha dimostrato di mantenere il 90% della capacità originaria fino alla fine.
Il merito della qualità di queste performance, secondo gli esperti, è dell’anodizzazione: con questo processo si creerebbero delle “reti di dimensioni nanometriche di ossido metallico” che reagirebbero con l’elettrolita immagazzinando e rilasciando energia. Nel documento pubblicato si legge:
La semplicità di questo approccio, portato avanti con l’utilizzo di prodotti chimici comunemente disponibili in una famiglia, permette un semplice percorso verso il recupero a livello locale, la trasformazione e l’assemblaggio di sistemi di storage che fanno riferimento a materiali che altrimenti sarebbero scartati.
Questi materiali, invece di pesare sull’ambiente come rifiuti, diventerebbero risorse preziose per un efficiente uso dell’energia, non solo a livello della singola famiglia, ma anche della comunità, dando nuove possibilità per l’alimentazione energetica off-grid.

fonte: http://www.greenstyle.it/

Metalli puri estratti dalle batterie

Metalli puri estratti dalle batterie
I ricercatori della Lappeenranta University of Technology (LUT) hanno portato il valore dell’urban mining ad un livello mai raggiunto fino a oggi. L’urban mining è il processo di recupero di composti ed elementi preziosi nei prodotti di scarto, per lo più RAEE, altrimenti destinati alla discarica. In questo contesto gli scienziati finlandesi sono riusciti a mettere a punto una tecnologia che estrae dalle batterie esauste, metalli con un grado di purezza molto vicino al 100%.
In un perfetto processo circolare, litio, nichel e cobalto potranno essere recuperati dai vecchi dispositivi di accumulo ed essere direttamente reimpiegati nella fabbricazione di nuove batterie, senza bisogno di ulteriori passaggi. Come spiega il ricercatore Sami Virolainen, che ha condotto lo studio, la purezza dei metalli utilizzati come materia prima nella produzione delle batterie è di fondamentale importanza. “Le nuove pile richiedono elementi di purezza particolarmente elevata. Se, ad esempio, la purezza del litio è inferiore 99,5 per cento, non può essere usato così come è”.
Gli scienziati non sono riusciti a toccare esattamente il 100 % ma ci sono andati abbastanza vicino: la loro tecnologia permette di estrarre cobalto puro al 99,6 per cento, nichel al 99,7 per cento e litio a 99,9 per cento.
Al di là del risultato scientifico, lo studio risponde ad una delle preoccupazioni più pressanti dell’attuale periodo energetico. Focalizzando l’attenzione sulla disponibilità delle materie prime necessarie a sostenere la futura produzione di batterie e dispositivi di energy storage, ci accorgiamo come il mercato di litio e cobalto si troverà inevitabilmente sotto stress nei prossimi anni. Anche se esistono riserve sufficienti nel mondo per soddisfare una crescita della domanda di questi metalli non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda la capacità di trasformazione, che richiede un know-how specifico per riuscire a rendere utilizzabile la materia grezza. L’estrazione di elementi puri risolverebbe i problemi a monte. In un esperimento su piccola scala, gli scienziati hanno separato i metalli attraverso un processo di estrazione liquido-liquido: le due fasi liquide non si dissolvono l’una nell’altra e permettono di separare facilmente dalla soluzione tutte le impurità.

fonte: http://www.zerowasteitaly.org

Recupero metalli: il settore strategico vittima della burocrazia

riciclo metalli
Autodemolizioni e recupero metalli. Due settori che alzano il Pil del Paese con la loro attività di raccolta, smaltimento e recupero ma sui quali grava come una zavorra un elenco di difficoltà di natura burocratica e normativa che appesantiscono e sviliscono il lavoro degli addetti. È questa, in estrema sintesi, la cornice che inquadra un intero comparto che da solo rimpingua l’industria siderurgica italiana, in grado di conservare, nonostante tutto, il secondo posto in Europa per esportazioni. Ed è solo grazie all’abilità e alla tenacia di chi in questo settore opera da generazioni, che l’Italia riesce a salire sul podio dei Paesi esportatori pur senza contare su riserve naturali di materia prima e, soprattutto, subendo la concorrenza sleale dell’export cinese, col Dragone che negli ultimi anni ha letteralmente inondato il mercato europeo di metalli (soprattutto acciaio) a bassissimo costo.
Basterebbe davvero poco a rendere più semplice la vita di chi da anni opera nel settore. Basterebbe dipanare il groviglio normativo e alleggerire dalla solita farraginosa burocrazia italiana gli addetti, basterebbe snellire l’iter procedurale di chi lavora ogni giorno per l’ambiente per far sì che anche l’economia italiana diventasse a tutti gli effetti circolare. «Un primo equivoco da cui sgomberare il campo, sarebbe quello di rivedere la definizione stessa di rifiuto che viene attribuita a ogni sorta di materiale ferroso e non ferroso che arriva presso gli impianti di recupero. Non dovrebbe qualificarsi “rifiuto” ciò che ha un valore di mercato in quanto destinato a lavorazione e recupero certo» spiega da tempo l’ingegnere Nicola Giovanni Grillo, presidente Airmet, l’associazione italiana dei recuperatori di metalli.
Ma il legislatore ha così disposto e allora metalli, ferrosi e non ferrosi, raccolti dalle cantine o presso imprese che li scartano dal loro ciclo di produzione, sono assoggettati a tutta una serie di normative che ne complicano il percorso di conferimento e recupero. E si sa, quando si parla di rifiuti in Italia, tutto si complica. Il primo esempio? I formulari. Mentre nel resto d’Europa un semplice documento chiamato Allegato 7″ basta ad accompagnare i rottami nel loro percorso di recupero a nuova vita, in Italia chi ha a che fare con questi materiali, deve compilare scrupolosamente i formulari che, qualora manchino di qualche piccola parte per errore o distrazione, espongono i redattori a gravi sanzioni. Gli stessi formulari inoltre, vanno bollati e ribollati con aggravio di spesa e di tempo per gli addetti.
Ma nonostante tutte queste difficoltà, il settore produce profitto e spesso chi ci lavora, vorrebbe investire per allargare la propria attività. Ma anche qui, la tenacia degli imprenditori di settore, si scontra con una burocrazia che scoraggia anche i più impavidi. «L’iter per ottenere una banale autorizzazione da parte deli Enti preposti, è più tortuoso di quanto si pensi» spiega il titolare di uno storico impianto romano. Intanto bisogna trovare un’area che non sia sottoposta a nessun tipo di vincolo, ma i piani regolatori delle grandi città non sono sempre benevoli verso questo tipo di condizione. Una volta individuata l’area, occorrerà redigere un progetto preliminare, ovviamente a spese dell’imprenditore. Ma prima che il progetto preliminare venga solo valutato dalle amministrazioni competenti, passeranno da uno a due anni. Ottenuto l’eventuale benestare, occorrerà chiedere la Via (Valutazione di impatto ambientale) alla Regione di riferimento. Contestualmente occorrerà chiedere il permesso allo scarico delle acque al Comune competente e quella alle emissioni in atmosfera al Comune/Provincia. Anche per questi tre distinti passaggi, passeranno almeno due anni. Insomma, salvo intoppi, sempre frequenti, e a dispetto della tenacia di chi investe, occorrono anche 5 anni prima di riuscire a mettere in moto un impianto. Ma in 5 anni la legge cambia, e spesso, quello per cui si è investito e lavorato tanto, non è più al passo con quello che chiede il mercato.
Questo spiega perché diverse persone abbiano deciso di emigrare insieme alla loro attività. «In Austria – spiega un gestore – basta presentare richiesta al Comune nel quale si sceglie di avviare la propria attività, il Comune si pronuncia nel giro di poche settimane sul progetto presentato e se il parere è favorevole, non solo rilascia le autorizzazioni a vista, ma concede al richiedente i suoli sui quali avviare l’attività con un prestito che in parte è a fondo perduto, e l’attività ha inizio senza distinzioni di sorta tra il tipo di metallo, ferroso o non ferroso, che viene avviato a recupero presso quell’impianto». In Italia invece, esistono diversi codici di rifiuto per i vari tipi di rottame, e le autorizzazioni a gestirli non sempre vengono rilasciate dallo stesso Ente. Quindi capita che per un tipo di rottame si debba presentare richiesta al Comune, per un altro tipo invece alla Provincia o alla Regione. Di conseguenza i tempi si dilatano come pure le possibilità di incappare in qualche reato involontario e sanzione sicura. Ovviamente, ogni Regione recepisce la normativa vigente a modo suo quindi gli impianti italiani affrontano difficoltà diverse a seconda del territorio nel quale hanno la fortuna (o la sfortuna) di risiedere.
In ultimo, altra questione spinosa che complica la vita degli addetti, è quella degli ambulanti. Allo stato, il trasporto e la raccolta ambulante dei rottami rappresenta la prima fonte di approvvigionamento per gran parte dei recuperatori, di sicuro la prima forza di recupero di questo tipo di materiali che, diversamente, rischierebbero di finire abbandonati per strada. Ma sulla questione ambulanti si apre un altro capitolo assai controverso della questione. La normativa recente prevista dalla legge “Green economy”, ha inteso disciplinarne la funzione prevedendo che soltanto chi è regolarmente autorizzato dall’Albo nazionale gestori ambientali possa dedicarsi a questo tipo di attività. Ad oggi, quasi nessun ambulante è iscritto ad alcuna categoria e questo significa che, di fatto, quasi tutti operano all’ombra della legge. Nonostante l’importanza del lavoro che svolgono dunque, a breve potrebbero sparire dal mercato e gli effetti di questa normativa approvata a febbraio scorso e che entrerà in vigore a gennaio prossimo, iniziano già a farsi sentire con lo stop al conferimento presso gli impianti di recupero da parte degli ambulanti, confusi dalla legge e preoccupati dalle conseguenze di eventuali controlli. Cosa accadrà a gennaio 2017 quando entrerà in vigore il riformulato articolo 188 del D leg. 1452/2006 non è dato saperlo. Per ora, il presidente dell’Albo gestori ambientali Eugenio Onori ha annunciato una importante novità che potrebbe, almeno in parte, alleggerire il settore dalla zavorra normativa che vorrebbe disciplinarlo. Chi vivrà vedrà.

fonte: http://www.riciclanews.it