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Terre rare: l’Afghanistan conserva un tesoro che vale 1000 miliardi















Il sottosuolo dell’Afghanistan è ricchissimo di terre rare e minerali del valore di 1000 miliardi di dollari. Una cifra da capogiro se si considera che la superficie di questo Paese non è molto vasta, poco più del doppio dell’Italia

L’Afghanistan conserva 60 milioni di tonnellate di rame, 2,2 miliardi di tonnellate di minerale di ferro, 1,4 milioni di tonnellate di terre rare come lantanio, cerio e neodimio, ma anche alluminio, oro, argento, zinco, mercurio e litio. È quanto stabilito dalle indagini aeree condotte dall’US Geological Survey.

Per fare un esempio, solo il deposito di carbonatite Khanneshin, nella provincia di Helmand, ha un valore di 89 miliardi di dollari.

Cosa sono le terre rare

Le cosiddette terre rare sono 17 metalli, sconosciuti fino a circa 100 anni fa, oggi fondamentali per l’industria tecnologica. La loro importanza è tale da avere un peso anche nei conflitti geopolitici, visto che la Cina ne controlla quasi interamente la produzione mondiale.

Il primo a scoprirle nel 1787 in un villaggio di Ytterby in un’isola dell’arcipelago di Stoccolma, fu il chimico e militare svedese Carl Axel Arrhenius. L’uomo notò un minerale nero mai visto prima, che ribattezzò itterbite. Toccò poi al prof. Johan Gadolin dell’Univeristà finlandese di Turku, circa 10 anni dopo, a capire che si trattava di un mix di ossidi di elementi mai analizzati prima, ai quali iniziò a riferirsi come terre rare. Dal campione nel 1803 si riuscirono a estrarre due elementi, l’ittrio e il cerio. Circa 100 anni dopo venne scoperto il il lutezio, 17esimo e ultimo elemento di quello strano miscuglio scoperto nell’800.

Come mai l’Afghanistan è così ricco di minerali?

La causa è da ricercare nell’urto violento del subcontinente indiano con l’Asia. La US Geological Survey ha iniziato ad ispezionare il Paese nel 2004.

Nel 2006, i ricercatori statunitensi hanno effettuato diverse ispezioni aree, che hanno permesso di accertare la ricchezza del sottosuolo dell’Afghanistan, al cui interno si trovano anche praseodimio, cerio, samario e gadolinio.

Nel 2010, i dati dell’USGS attirarono l’attenzione della Task Force della Difesa Usa, a cui è affidata la ricostruzione dell’Afghanistan. Quest’ultima ha stimato che le risorse minerarie del paese sono pari a 908 miliardi, mentre la stima del governo afghano è pari a 3000 miliardi.

L’AFGHANISTAN È UN PAESE MOLTO, MOLTO RICCO DI RISORSE MINERARIE – HA DETTO IL GEOLOGO JACK MEDLIN, PROGRAM MANAGER DEL PROGETTO USG.

Il governo afgano ha firmato qualche anno fa un contratto di 30 anni per 3 miliardi con il China Metallurgical Group, un’impresa mineraria statale con sede a Pechino, per sfruttare il deposito di rame di Mes Aynak. E non tutti sanno che sia gli Stati Uniti che l’Europa dipendono rispettivamente per l’80% e il 98% dalla Cina per la fornitura di terre rare, materiali senza i quali non sarebbe possibile produrre batterie al litio, pale eoliche e pannelli solari.

Una bella lotta di influenza geopolitica, insomma, su questo martoriato Afghanistan.

fonte: www.greenme.it




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Clima, per arrivare all’economia net zero bisognerà aprire nuove miniere

Il riciclo delle materie prime non basterà. Bisogna trovare un compromesso tra industria green e sostenibilità ambientale e sociale


















Richard Herrington, del department of Earth sciences del Natural History Museum di Londra (NMH), ha pubblicato su Nature Reviews Materials l’analisi “Mining our green future”, che è il primo di una serie di articoli che lui e altri ricercatori stanno scrivendo sui risultati di una conferenza sull’estrazione mineraria tenutasi a dicembre all’NHM, e nella quale evidenzia che «La rivoluzione dell’energia verde dipende fortemente dalle materie prime, come il cobalto e il litio, che attualmente provengono principalmente dall’estrazione mineraria. Dobbiamo valutare attentamente le forniture accettabili per questi metalli, per garantire che le tecnologie verdi siano vantaggiose sia per le persone che per il pianeta».

Nel 2020, durante la crisi del Covid-19, la World Economic Forum’s Great Reset initiative ha evidenziato i che, nella ricostruzione post-pandemia, l’umanità si troverà di fronte a diversi bivi che riguarderanno le scelte da fare sia rispetto alle emergenze climatiche e planetarie e le ambizioni di un nuovo contratto sociale inclusivo. «L’idea – ricorda Herrington – è che l’industria energetica venga trasformata e ricostruita in modo resiliente, equo e sostenibile, sfruttando al contempo le innovazioni della quarta rivoluzione industriale. L’impegno della “corsa allo zero” delle Nazioni Unite per ridurre le emissioni di carbonio a zero entro il 2050, adottato allo stesso modo con entusiasmo dai governi e dall’industria, richiede un’ulteriore trasformazione in energia proveniente da tecnologie sostenibili piuttosto che dalla combustione di combustibili fossili, che ha alimentato le prime tre rivoluzioni industriali. Tuttavia, queste tecnologie verdi comportano un intenso fabbisogno di minerali».

Infatti, la tecnologia green richiede materie prime non rinnovabili provenienti da risorse geologiche primarie (miniere) o da rifornimenti secondari (riutilizzo o riciclaggio). «L’ambizione – spiega ancora Herringto – è quella di un’economia completamente circolare, nella quale la domanda può essere soddisfatta mediante il riutilizzo e il riciclaggio; tuttavia, non siamo ancora a quel punto. Le scorte di forniture secondarie e i tassi di riciclaggio sono inadeguati a soddisfare la domanda. Anche per i metalli, come l’alluminio e il cobalto, per i quali il riciclaggio a fine vita arriva fino al 70%, l’offerta secondaria rappresenta ancora solo il 30% della loro crescente domanda; nel caso del litio, come evidenziato nel recycling rates of metals status report of the International Resource Panel , il riciclaggio attualmente rappresenta solo l’1% della domanda attuale. La sostituzione di alcuni di questi metalli potrebbe essere possibile con soluzioni tecnologiche alternative per ridurre la dipendenza da materie prime specifiche, ma questo è difficile da ottenere in un lasso di tempo così breve. Tali alternative, ad esempio le batterie agli ioni di metallo multivalenti senza litio per sostituire le batterie agli ioni di litio, sono meno mature nel loro sviluppo e richiederanno tempo per industrializzarsi. Come risultato di queste sfide di approvvigionamento, l’attività mineraria resta necessaria per fornire soluzioni tecniche convalidate necessarie per la rapida decarbonizzazione richiesta dall’impegno».

L’analisi fa l’esempio del Regno Unito, dove i veicoli con motore a combustione interna (ICEV) sono i maggiori responsabili delle emissioni di carbonio e dove, come ha detto anche il Committee on Climate Change, per raggiungere le emissioni net zero bisogna eliminare gli ICEV. Ma, come sottolineano i ricercatori britannici in una lettera nella quale evidenziano la sfida rappresentata dalle risorse per arrivare al net zero, per passare dai 31,5 milioni di ICEV britannici ai veicoli elettrici a batteria (BEV), ci vorrebbero circa 207.900 tonnellate di cobalto, 264.600 tonnellate di carbonato di litio, 7.200 tonnellate di neodimio e disprosio e 2.362.500 tonnellate di rame. Herrington fa notare che «Questa quantità è il doppio dell’attuale produzione mondiale annuale di cobalto, è la produzione mondiale di neodimio per un intero anno e tre quarti della produzione mondiale di litio. La sostituzione degli 1,4 miliardi di ICEV stimati in tutto il mondo richiederebbe 40 volte queste quantità. Inoltre, la rivoluzione energetica verso le energie rinnovabili, ovvero eolica, solare, del moto ondoso, delle maree, idroelettrica, geotermica e nucleare, insieme alle infrastrutture di nuova costruzione per la loro consegna, dipendono fortemente dalle tecnologie basate sui minerali».

Il rapporto “Minerals for Climate Action: The Mineral Intensity of the Clean Energy Transition”, pubblicato nel 2020 dalla Banca mondiale, ha evidenziato le 17 materie prime minerali che sembrano essenziali per la transizione all’energia. La Banca Mondiale ha analizzato l’aumento della domanda di metalli o minerali dai quali dipende la tecnologia green e gli scenari di modellazione che limitano il cambiamento climatico a un aumento della temperatura di 2° C dimostrano tutti una futura dipendenza dall’energia solare ed eolica e un previsto aumento della domanda per le 12 materie prime più coinvolte.

Herrington sottolinea che «Le celle fotovoltaiche richiedono alluminio, rame, argento e acciaio (e sabbia silicea) oltre ad altri elementi, come indio, selenio e tellurio, a seconda del tipo di tecnologia. L’energia eolica richiede acciaio, rame, alluminio, zinco e piombo, nonché neodimio per i magneti delle turbine. L’energia idroelettrica richiede cemento e acciaio per le infrastrutture di base oltre a rame e alluminio per la trasmissione di energia. Lo stoccaggio dell’energia sarà necessario per la generazione di elettricità eolica e solare, nonché per le BEV. Per le batterie BEV all’avanguardia è necessaria una miscela di grafite, litio, cobalto, nichel e manganese (90% della domanda prevista per l’accumulo di energia), mentre il vanadio è il metallo preferito per l’accumulo di energia statica per le esigenze dell’industria, come parchi solari ed eolici (rapporto della Banca mondiale nel 2020). Sono allo studio una serie di tecnologie per le batterie e di opzioni alimentate a idrogeno, che consentono la sostituzione di uno o più di questi metalli e minerali; tuttavia, è improbabile che queste tecnologie facciano importanti passi avanti per sostituire le attuali tecnologie delle batterie agli ioni di litio fino, al più presto, al 2030. Sebbene l’aumento percentuale previsto della domanda dei principali metalli sia relativamente piccolo, è significativo in termini assoluti; ad esempio, un aumento del 9% dell’alluminio entro il 2030 significherebbe l’estrazione di 103 milioni di tonnellate in più di alluminio (più della produzione annuale totale mondiale del 2019; Rapporto della Banca mondiale nel 2020)».

Lo scienziato britannico fa notare che «Nel breve-medio termine, il riciclaggio non può soddisfare questa domanda. Tuttavia, entro il 2035, potrebbero esserci 245 milioni di veicoli elettrici su strada che, dati i tassi medi di rottamazione delle auto del 6,9%, potrebbero fornire i rottami di 17 milioni di veicoli all’anno. Se vengono soddisfatte le ambizioni della Global Battery Alliance on battery specifications, con appropriate strategie di riciclaggio (progetto EU H2020 CROCODILE), questi veicoli potrebbero fornire metalli recuperabili per una percentuale mondiale considerevole dei nuovi BEV».

Secondo l’Union of Concerned Scientists, con tassi di riciclaggio ottimali, dopo il 2035 il 30-40% del fabbisogno degli Usa, sia di litio che di cobalto, potrebbe essere soddisfatto ricicland, ma resterebbe comunque un forte deficit.

Herrington evidenzia che «Sebbene non ci stiamo esaurendo in termini assoluti, ci sono certamente sfide nell’offerta di materie prime, come grafite, cobalto e litio, per le quali sono previsti aumenti della domanda prossimi al 500%». L’US Geological Survey on Mineral Commodity Summaries for graphite avverte che il 62% della produzione annua mondiale totale di grafite proviene dalle miniere cinesi e la Banca Mondiale aggiunge che nel 2050 il mercato avrà bisogno di circa 68 milioni di tonnellate di grafite. La buona notizia è che la Cina può fornirne circa la metà e che altra grafite potrebbe provenire da nuove miniere in Brasile, Mozambico e Madagascar.

Dall’US Geological Survey on Mineral Commodity Summaries for graphite emerge che oltre il 60% della fornitura mondiale di cobalto proviene da un sottoprodotto dell’estrazione del rame nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) e viene raffinato principalmente in Cina. Un approvvigionamento che produce un forte sfruttamento della manodopera, anche minorile corso (rapporto della BBC sui bambini minatori nella Repubblica Democratica del Congo), e che ha subito spesso interruzioni a causa delle guerre per le risorse in RDC. In alternativa, il cobalto può essere recuperato dai materiali di scarto delle miniere esistenti. Da stime del 2012, risulta che il cobalto non recuperato delle miniere di nichel esistenti in Europa potrebbe fornire il 50% del metallo necessario per l’entrata in funzione degli impianti europei di batterie agli ioni di litio (rapporto UE 2018 sul cobalto). Herrington dice che «La geologia dell’Europa è favorevole a una serie di nuove potenziali fonti per il metallo.

L’iniziativa “Future ocean resources: metal-rich minerals and genetics” della Royal Society propone la risorsa più controversa: i noduli oceanici di profondità che potrebbero offrire all’industria tutto il cobalto e il manganese, nonché la maggior parte del rame e del nichel di cui potremmo aver globalmente bisogno per i BEV. Ma le miniere di profondità hanno enormi impatti ambientali su habitat in gran parte ancora sconosciuti e organizzazioni come Greenpeace e il Wwf contrastano con forza le miniere sottomarine.

Per l’US Geological Survey on Mineral Commodity Summaries for lithium, circa la metà del litio mondiale proviene dai depositi di hardrock in Australia, il resto proviene dai salar Cile, Bolivia e Argentina, sebbene l’estrazione nel fragile deserto di Atacama costituisca un grosso pron blema ambientale (rapporto Earthworks). Il litio non è un metallo raro e la ricerca esplora la possibilità di trovare diverse nuove fonti anche in Europa, dove alcune aree di Regno Unito, Portogallo e Germania mostrano un grande potenziale per l’approvvigionamento di litio. Bisogna vedere se l’Europa riuscirà ad autorizzare ulteriori attività estrattive interne per garantire il nostro futuro verde.

Comunque, bisogna rifornire di materie prime spesso rare quello che gli scienziati chiamano il “Great Reset”. Herrington conclude: «Le tecnologie e le infrastrutture pulite di un futuro low carbon comportano intense richieste di minerali. Un’economia circolare sarebbe realizzabile prima del 2050, se i governi e il settore privato introducessero l’innovazione lungo la catena di approvvigionamento e garantissero che i prodotti, come le batterie, possano essere facilmente smontati e riciclati. Tuttavia, le tendenze di crescita suggeriscono che l’estrazione mineraria può ancora svolgere un ruolo, perché la domanda di metalli aumenterà man mano che il mondo in via di sviluppo raggiungerà lo stesso utilizzo pro capite di materiali del mondo sviluppato. L’ambizione resta quella di riciclare e riutilizzare quanto più possibile; tuttavia, per abilitare le tecnologie e le infrastrutture verdi, a breve termine saranno necessarie le nuove risorse estratte. Ci sono risorse geologiche sufficienti per fornire i metalli richiesti, ma dobbiamo bilanciare attentamente la necessità di estrarre con la necessità di affrontare le questioni di governance ambientale e sociale e di raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, assicurando che i risultati siano benefici sia per le persone che per il pianeta . In passato, i veri valori della perdita di biodiversità non sono stati inclusi nelle valutazioni dei progetti minerari ed è necessario un nuovo approccio che abbracci i principi delineati nel recente rapporto Dasgupta. Pertanto, dobbiamo garantire con attenzione, creatività e sistematicità una gamma diversificata di fonti accettabili per i metalli che richiediamo. Nuove frontiere per l’approvvigionamento dovrebbero includere i rifiuti trascurati e la ricerca di aree minerarie più regolamentate nel nostro cortile, piuttosto che fare affidamento su fonti con catene di approvvigionamento meno controllabili, fragili e problematiche. Il dibattito sull’estrazione mineraria nel nostro oceano profondo, come alternativa alle fonti terrestri, deve essere risolto. Sulla base di un’analisi così ampia, possiamo quindi fare scelte sociali equilibrate sulla fornitura di metalli e minerali per rifornire il ““Great Reset”, con un buon accordo per le persone e il pianeta».

fonte: www.greenreport.it


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Auto elettriche, Volkswagen ricicla le batterie

Auto elettriche, Volkswagen avvia un piano di riciclo delle batterie per recuperarne circa il 90% dei materiali e minerali.



Importanti novità per l’universo delle auto elettriche e della sostenibilità ambientale, grazie a un progetto targato Volkswagen. La società automobilistica ha infatti avviato un piano per il riciclo delle batterie usate, affinché se ne possano recuperare gran parte delle componenti. Fra questi anche minerali e metalli preziosi, che potranno essere impiegati per la produzione di nuovi accumulatori.
Il progetto è stato avviato presso l’impianto di Salzgitter e mira, nel primo anno di attività, a riciclare quasi 4.000 batterie, per circa 1.500 tonnellate di materiali gestiti.

Auto elettriche, il riciclo delle batterie

Le batterie delle auto elettriche rappresentano una risorsa davvero preziosa. Produrle è complesso e i minerali impiegati per il loro funzionamento non sono semplici da recuperare. Per questo motivo. Volkswagen ha deciso di avviare un progetto innovativo, per recuperare circa il 90% di tutte le componenti delle batterie.

Normalmente le batterie godono di una seconda vita: estratte dalle vetture, finiscono in accumulatori domestici – ad esempio abbinate a pannelli solari – per garantirne ancora molti anni di utilità. Ma cosa farne quando il ciclo di vita si conclude definitivamente? Volkswagen ha quindi elaborato una tecnologia all’avanguardia per lo smontaggio di questi componenti, affinché minerali, metalli e plastica possano essere impiegati nella produzione di nuovi componenti dalla medesima efficacia.

Dopo essere state smontate, le batterie vengono sottoposte a un processo di triturazione. Se ne ricavano quindi dei granuli, contenenti materiali come alluminio, rame e plastica, ma anche la famosa “black powder”: la polvere nera ricca di componenti preziose come litio, nichel, manganese, cobalto e grafite. Non viene invece impiegato un altoforno, scelta sostenibile poiché limita le emissioni di CO2 per l’intero processo.

Thomas Schmall, Membro del Consiglio di Amministrazione del Gruppo Volkswagen, responsabile per la Divisione Tecnica e Presidente del CdA di Volkswagen Group Components, ha così commentato:

Volkswagen Group Components ha compiuto un ulteriore passo avanti verso la propria responsabilità end-to-end sostenibile per la batteria come componente chiave dell’e-mobility. Stiamo implementando il ciclo sostenibile per i materiali riciclabili e abbiamo un ruolo pionieristico nell’industria su un tema futuro con un grande potenziale in termini di protezione del clima e approvvigionamento delle materie prime.

fonte: www.greenstyle.it


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Scoperto un nuovo minerale blu per le batterie di nuova generazione

Arriva dal paesaggio lavico del Kamchatka, la nuova promessa per le batterie ricaricabili a ioni di sodio










Bello da vedere e con molta probabilità anche utile a livello energetico: è il nuovo minerale scoperto da un gruppo di ricerca dell’Università di San Pietroburgo. La “petrovite“, così chiamata in onore del cristallografo russo Tomas Petrov, è stato rinvenuto in una colata lavica. E per il team che lo ha portato alla luce, il cristallo potrebbe rivelarsi utile nelle batterie di nuova generazione.

La petrovite si presenta come si presenta sotto forma di aggregati globulari blu di cristalli esagonali con inclusioni gassose. È composto da atomi di ossigeno coordinati in maniera insolita, zolfo, sodio e rame, a formare tra loro una struttura rara e altamente porosa. Ed è proprio questa impalcatura, composta da spazi vuoti e canali, a poter dare una mano all’energy storage.


Per le sue ricerche il gruppo, guidato da Stanislav Filatov, professore presso il Dipartimento di Cristallografia dell’Università russa, si è concentrato su un terreno molto prezioso. Il cristallo proviene dal paesaggio vulcanico formatosi in seguito alle grandi eruzioni del Tolbachik negli anni ’70 e negli anni ’10 di questo secolo, nel Kamchatka. “Questo territorio è unico nella sua diversità mineralogica. Negli ultimi anni, i ricercatori hanno scoperto qui dozzine di nuovi minerali, molti dei quali sono unici al mondo”, ha spiegato l’Ateneo.

Cosa ha da offrire la petrovite alle batterie di nuova generazione? Per ora è prematuro fornire numeri precisi, ma la particolare struttura del minerale ha rivelato interessanti potenzialità per la tecnologia d’accumulo a ioni di sodio. Proprio come le più famose batterie ricaricabili al litio, quelle al sodio funzionano inviando ioni avanti e indietro tra una coppia di elettrodi in un elettrolita liquido. Tuttavia i modelli attuali hanno alcuni limiti. Uno di questi è che con le versioni moderne durante il ciclo di carica e scarica, i cristalli di sodio inattivi tendono ad accumularsi sulla superficie del catodo; un problema che può velocemente degradare le prestazioni e la funzionalità.

Per i ricercatori la struttura della petrovite risulta promettente per la conduttività ionica e potrebbe essere utilizzata come materiale catodico per batterie agli ioni di sodio. “Al momento, il problema più grande per questo uso è la piccola quantità di un metallo di transizione – il rame – nella struttura cristallina del minerale. Potrebbe essere risolto sintetizzando in laboratorio un composto con la stessa struttura della petrovite”, ha affermato Filatov. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Mineralogical Magazine (testo in inglese).

fonte: www.rinnovabili.it


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Finlandia, nuovo sistema modulare per recuperare metalli dai RAEE

Un gruppo di ricercatori finlandesi ha sviluppato un approccio modulare al riciclo delle diverse tipologie RAEE


















Un gruppo di ricercatori dell’Università di Jyväskylä, in Finlandia, ha sviluppato un approccio modulare al riciclo delle diverse tipologie di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).
Il nuovo processo di recupero è basato sull’idrometallurgia, una tecnica che si basa sulla chimica in soluzione acquosa per ricavare metalli da minerali, da minerali arricchiti o da materiali riciclati o residui. All’idrometallurgia gli scienziati hanno accoppiato la raffinazione tramite elettrolisi del rame e moderne tecnologie scavenger (lo scavenger è una sostanza chimica aggiunta a una soluzione allo scopo di rimuovere impurità indesiderate nei prodotti di reazione) per i metalli.
Ciò significa che i rifiuti elettronici trattati termicamente vengono lavorati in più fasi per separare i metalli. Il rame viene recuperato tramite estrazione per elettrolisi classica, mentre i metalli nobili vengono estratti usando un un nuovo metodo liquido combinato con scavenger di metallo all’avanguardia.


“Stiamo producendo oro, argento, palladio, rame e platino con tassi di recupero e purezza molto elevati e metalli delle terre rare come ossidi”, spiega a Recycling International il capo del progetto Ari Väisänen, docente del dipartimento di chimica dell’Università di Jyväskylä e co-autore della ricerca.
Il progetto ha avuto inizio tre anni fa grazie anche al sostegno delle industrie tecnologiche finlandesi e del fondo di innovazione Sitra.
Un aspetto fondamentale del progetto di ricerca consiste nella capacità di analizzare la presenza di metalli critici in diverse fonti, in particolare nelle acque reflue e nelle ceneri volanti, anche a livelli di concentrazione molto bassi, sottolinea Väisänen. I ricercatori sono anche riusciti a identificare singole nanoparticelle di argento.

fonte: www.rinnovabili.it