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Digitale terrestre, oltre 15 milioni i dispositivi televisivi da rottamare

















Con l’entrata in funzione del digitale terrestre evoluto, saranno circa 15 milioni i dispositivi da rottamare – tra televisiori e decoder; Aura, azienda che opera nel settore del riciclo dei Raee, spiega come funziona il processo di lavorazione e di recupero di queste apparecchiature elettroniche La data dello swith-off, come si chiama tecnicamente il passaggio dal vecchio sistema di trasmissione televisiva al nuovo – il Dvb-T2 – sistema di digitale terrestre, più avanzato tecnologicamente, è stata spostata in avanti: dal 1° settembre a dopo il 15 ottobre. 

Il nuovo sistema Dvb-T2, evoluzione del Dvb, Digital Video Broadcasting, attiverà tra l’altro l’alta definizione in 8K, permetterà di trasmettere un segnale più pulito e consentirà di coprire una distanza maggiore tra antenna e ricevitore. 

Ma queste migliorie tecnologiche, per il consumatore finale, significano dover sostituire il proprio televisore o il decoder per la ricezione del digitale terrestre; le stime parlano di circa 15 milioni di apparecchi che dovranno essere rottamati e, di conseguenza, smaltiti.

Attraverso la filiera di smaltimento dei Raee di cui Aura, azienda che opera nel settore, ci spiega come funziona il processo di lavorazione e di recupero di queste apparecchiature elettroniche. 

Digitale terrestre: il processo di smaltimento dei dispositivi elettronici e le date del passaggio 

La data iniziale di passaggio, con una comunicazione del Ministero dello Sviluppo Economico dello scorso 27 luglio, è slittata dal 1° settembre 2021 – data in cui sarebbe entrata in vigore la sperimentazzione in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna – e non dovrebbe iniziare prima del 15 ottobre 2021. Di conseguenza, slitterà anche l’inizio della seconda fase della transizione tecnologica che si collocherà presumibilmente in un periodo da giugno 2022 al 1° gennaio 2023. 

Il periodo di transizione allo standard Dvb-T2 Secondo quanto scrive Altroconsumo – in un articolo dettagliato che mostra tutte le conseguenze dell’adozione del nuovo sistema – le date del passaggio al nuovo digitale terrestre saranno le seguenti: fase 1 (passaggio allo standard Mpeg4): fissata prima al 1° di settembre, ora partirebbe dal 15 ottobre su base volontaria; ovvero un’emittente può decidere se continuare a usare il codec Mpeg2 o passare al Mpeg4. 

Chi ha un televisore molto vecchio (acquistato prima del 2010 circa) potrebbe non essere più in grado di visualizzare alcuni canali mentre altri sì, in base al tipo di codec utilizzato dall’emittente fase 2 (spostamento delle frequenze): Sardegna a parte, slitta più in là nel tempo a partire da gennaio 2022. Cambiano quindi le date in cui sarà necessario risintonizzare il proprio Tv fase 3 (passaggio finale): slitta da giugno a gennaio 2023

Lavorazione e smaltimento dei dispositivi rottamati 

Si stima che saranno oltre 15 milioni i televisori da rottamare nei prossimi 15 mesi, in conseguenza al passaggio al nuovo digitale terrestre. La necessità di continuare a vedere le trasmissioni televisive spingerà i consumatori a cambiare il decoder o l’intero televisore – questo perché dal 15 ottobre 2021 chi non avrà un apparecchio in grado di vedere le trasmissioni in alta definizione non potrà più vedere la Tv. 

Un numero enorme di dispositivi elettronici che dovranno essere conferiti negli appositi centri di smaltimento – ci auguriamo che la civiltà dei nostri concittadini non faccia aumentare l’abbandono per strada di questi apparecchi – e che dovranno poi venire lavorati correttamente. 

In che modo questo processo avverrà, lo spiega Aura, società specializzata nel riciclo del Raee, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. 

Gli apparecchi che appartengono alla categoria R3 arrivano nello stabilimento Aura direttamente dalle isole ecologiche o da centri di recupero autorizzati, in contenitori specifici che vengono stoccati all’interno dell’area produttiva, in zone autorizzate. 

Successivamente, operatori specializzati trasferiscono i rifiuti all’interno dell’area di smontaggio manuale dove i dispositivi subiscono, dapprima la rimozione delle parti plastiche posteriori e successivamente tutta la componentistica elettronica interna quale schede video, schede audio, schede di potenza e tutti i materiali destinati al recupero. 

Il residuo del televisore viene inviato alla triturazione all’interno di un macchinario chiamato Blubox – ne esistono solo pochi esemplari in tutta Europa – dove un operatore inserisce manualmente, uno per volta, i monitor da trattare. Questo macchinario, che lavora sotto vuoto (procedimento necessario per evitare immissioni di sostanze nocive nell’ambiente, quali per esempio il mercurio), tritura e separa i materiali, restituendoli divisi in metalli, plastiche e vetro.

L’integrazione della fase manuale di separazione dei materiali con l’innovatività della Blubox, garantiscono un recupero della materia prima seconda in percentuali molto elevate, con una stupefacente purezza. 

Attenzione all’impatto ambientale 

Per il successo dell’iniziativa sarà necessario che il settore del trattamento Raee venga messo nelle condizioni di ricevere questo flusso straordinario di televisori e che i processi aziendali dei singoli operatori guardino sia alla massimizzazione delle materie prime seconde sia alla riduzione del conferimento dei rifiuti in discarica. 
“I produttori di apparecchi elettronici che beneficieranno del Decreto Rottamazione dovranno – spiega Italo Soncini, managing director Alvarez & Marsal e presidente esecutivo di Aura – attraverso i consorzi fra gli stessi produttori che oggi gestiscono parte dello smaltimento Raee, concretamente e adeguatamente sostenere lo smaltimento dei televisori pagando quanto necessario a realizzare un processo di recupero in linea con i principi dell’economia circolare. Fino a oggi ciò non è accaduto ma, grazie al Governo Draghi e nell’interesse del sistema Italia, confido che una volta tanto dovrà accadere“.

fonte: www.greenplanner.it



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Cinque misure per ripensare la mobilità urbana nel post coronavirus

Dalle nuove norme per i mezzi pubblici alle piste ciclabili provvisorie, una mini guida per ridisegnare gli spostamenti urbani. Legambiente: “Per superare l’emergenza e per far ripartire le città italiane servono risposte e soluzioni eccezionali”.



Più bici e piste ciclabili, meno auto inquinanti. Più mezzi pubblici ma anche nuove regole per garantire la sicurezza degli spostamenti. Queste alcune delle misure proposte da Legambiente per ridisegnare la mobilità urbana nel dopo-coronavirus

Un “dopo” che non significa essersi lasciati tutto alle spalle, quanto aver trovato un modo per ripartire senza cadere negli errori del passato. Ecco perché, spiega l’associazione ambientalista, per il post Covid19 “servono risposte e soluzioni eccezionali”.

Per dare il giusto ritmo al rilancio della mobilità urbana, Legambiente ha scritto oggi ai sindaci delle città italiane e al presidente dell’Anci Antonio Decaro. In una lettera aperta ha stilato una serie di interventi per ripensare agli spostamenti cittadini in chiave sostenibile. Cinque proposte concrete, per lo più attuabili attuabili in pochi mesi e con risorse relativamente contenute. E senza dimenticare, ovviamente, la sicurezza. “Cari Sindaci, – spiega il cigno verde – non vi limitate all’ordinario, non restituiteci le vecchie città. Il vostro mestiere richiede visione di futuro, soluzioni inedite, capacità di guidare la comunità verso frontiere nuove”.
Le cinque proposte per una mobilità urbana più sicura e sostenibile

Trasporti pubblici – Nel post coronavirus sarà necessario programmare con attenzione le corse e garantire le distanze di sicurezza, ripensando anche agli orari per evitare congestioni nelle ore di punta. “Sarà fondamentale – scrive Legambiente – un continuo e attento monitoraggio di mezzi e stazioni, introducendo controlli e tornelli per contingentare gli ingressi oltre a garantire una quotidiana sanificazione”. Ma soprattutto saranno necessarie risorse per realizzare tutto ciò. Un’idea da replicare? Il governo spagnolo ha stabilito l’obbligo di mascherine su bus e metro, garantendone la distribuzione di nelle stazioni principali.

Bici – Le due ruote “dolci” non sono solo il mezzo per eccellenza della mobilità urbana sostenibile. Sono anche quello che permette il migliore distanziamento. Ma per iniziare a pedalare fin da subito servono percorsi ciclabili temporanei (con segnaletica orizzontale e verticale) lungo le tratte più frequentate, dotandoli di protezioni e passaggi esclusivi. Con l’obiettivo di trasformarli in futuro in vere e proprie piste ciclabili

Mobilità condivisa – La sharing mobility (auto, bici, scooter e monopattini) offre un’importante alternativa sostenibile all’auto privata e ai tradizionali mezzi pubblici. Legambiente raccomanda ai Comuni di stringere accordi con le imprese per avere più mezzi e coprire più quartieri, a prezzi più contenuti. “Serviranno risorse, ma il servizio potrà avere grande successo e in parte ripagarsi”.

4 Bonus Rottamazione – “Qui – spiega Legambiente – i Sindaci devono farsi sentire, perché le risorse ci sono! Cosa aspetta il Ministero dell’Ambiente a mettere a disposizione i fondi per ‘Programma Buoni di mobilità’ previsti dal decreto Clima approvato a dicembre scorso?” In totale sono stati stanziati 75mln per il 2020 e 180mln per le annualità successive. I fondi serviranno per offrire offrire 1.500 euro a chi rottama un’auto fino alla classe Euro 3 o 500 euro per un motociclo omologato fino alla classe Euro 2 ed Euro 3. Il bonus può essere utilizzato, entro i successivi tre anni, per l’acquisto di abbonamenti al trasporto pubblico, biciclette anche a pedalata assistita o per l’utilizzo dei servizi di mobilità condivisa ad uso individuale.

5. Smart working
– L’associazione chiede ai sindaci di spingere sullo smart working per riorganizzare il lavoro dell’amministrazione pubblica, sostenendo tutte le attività che scelgono di andare in questa direzione. “Serviranno risorse, ma soprattutto idee nuove e andrà coinvolto il Governo, – scrive l’associazione – ma esistono tutte le possibilità per premiare con vantaggi fiscali sia le aziende che i lavoratori che decideranno di puntare su soluzioni innovative di smart working e mobility management di comunità”.

fonte: www.rinnovabili.it


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Ecobonus, dal 2 gennaio la nuova fase di prenotazione

In arrivo contributi per l'acquisto di veicoli a ridotte emissioni. Dalla prenotazione si hanno fino a 180 giorni di tempo per la consegna del veicolo.















Il Ministero delle Sviluppo Economico ha reso noto che dal 2 gennaio 2020 si aprono le prenotazioni dei contributi per i veicoli M1 (automobili) previsti dall'Ecobonus. Per questa fase sono disponibili 40 milionidi euro fino al 30 giugno 2020. 
Ecobonus
 è la misura promossa dal Ministero dello Sviluppo Economico per l’acquisto di Veicoli a Ridotte Emissioni, così come previsto dalla Legge di Bilancio 2019.La misura si rivolge a chi acquista, anche in locazione finanziaria e immatricola in Italia:

  • Veicoli di categoria M1: destinati al trasporto di persone, con almeno 4 ruote e al massimo otto posti a sedere (oltre al sedile del conducente), con i seguenti requisiti:
  • nuovi di fabbrica;
  • producano emissioni di CO2 non superiori a 70 g/km;
  • siano stati acquistati ed immatricolati in Italia dal 1° marzo 2019 al 31 dicembre 2021;
  • il cui prezzo (da listino prezzi ufficiale della casa automobilistica produttrice) sia inferiore a 50mila euro compresi optional (IVA esclusa)
  • Veicoli di categoria L1 e L3: nel primo caso veicoli a due ruote con cilindrata inferiore o uguale a 50 cc e la cui velocità massima non superi i 45 km/h (L1); nel secondo caso veicoli a due ruote la cui cilindrata superi i 50 cc e la cui velocità massima superi i 45 km/h (L3). Gli stessi devono essere:
  • nuovi di fabbrica;
  • elettrici o ibridi;
  • di potenza inferiore o uguale a 11 kW;
  • acquistati ed immatricolati in Italia nell’anno 2019.
fonte: https://www.greencity.it

Bonus-malus auto, come migliorare la misura e spingere i veicoli elettrici

Alla luce della recente misura governativa per il finanziamento di auto con basse emissioni di CO2, si dovrebbe soprattutto ragionare su come sviluppare la produzione nazionale di veicoli elettrici e ibridi e trovare risorse per incentivare la loro domanda. Ecco alcune idee.

















In attesa di capire come verrà modificata la proposta governativa per finanziare auto con basse emissioni di CO2 (elettriche, ma non solo) che prevedeva un bonus compreso tra 1.500 e 6.000 € a fronte di un aggravio compreso tra 150 e 3.000 € per l’acquisto di auto sulla base delle emissioni di CO2, è utile inquadrare il tema cercando di capire come si può migliorare la misura.
Innanzitutto, va chiarito come solo il 47% delle auto acquistate sarebbe toccata dal provvedimento, ed è probabile che nel decreto finale la quota coinvolta verrà ulteriormente ridotta.
Certo, l’emendamento poteva essere impostato meglio, e in questo articolo elenchiamo alcune proposte. Ma, soprattutto è preoccupante il fatto che si faciliti l’acquisto di auto a basse emissioni senza che ci sia uno sforzo (visibile) altrettanto significativo nel creare opportunità per un’industria nazionale della mobilità elettrica – bus, auto, moto – e per le imprese della componentistica.
Pensiamo alla produzione di veicoli elettrici
La rivoluzione della mobilità elettrica sarà inarrestabile, ma vedrà vincitori e vinti. Un esempio viene dalla Cina, che avendo difficoltà a competere con le case straniere nella produzione di autoveicoli convenzionali si è lanciata sulla mobilità elettrica divenendo in pochi anni leader. Nei primi sei mesi di quest’anno ha venduto 350.000 auto elettriche e sulle sue strade viaggia un terzo del totale del parco mondiale di queste auto, oltre a 300.000 autobus elettrici.
Dopo aver sostenuto con efficacia questo comparto, il governo ha imposto obblighi di vendita di veicoli elettrici nel gigantesco mercato interno di 25 milioni di auto l’anno.
Il meccanismo delle quote, già introdotto con successo in California, prevede che nel 2019 l’8% delle vendite dovranno essere elettriche, un valore che passerà al 12% nel 2020 (la percentuale pesa in modo diverso le elettriche pure e quelle plug-in). Questa mossa ha spiazzato le case occidentali, in particolare Volkswagen che ha avuto la sfortuna di imbattersi nello scandalo Dieselgate troppo tardi per avviare il necessario cambio di strategia.
Un altro strumento importante per orientare le strategie delle case produttrici consiste nella definizione di una data oltre la quale non sarà più possibile vendere auto a benzina o diesel, come hanno fatto diversi paesi fra cui India, UK, Norvegia e Francia.
L’attenzione al mondo della produzione è dunque centrale e dovrebbe riguardare gruppi industriali e governi. L’Italia su questo fronte è rimasta molto defilata, con FCA che ha sempre snobbato l’elettrico e i governi che non se ne sono occupati, se si esclude la breve esperienza del programma “Industria 2015” lanciato nel 2007.
Questo ritardo oggi si paga e sono francamente poco sensate le lamentazioni di coloro – forze politiche, imprese, sindacati – che attaccano il decreto perché penalizzerebbe la nostra industria.
Mi ricorda l’analoga situazione di una ventina di anni fa quando al Ministero dell’Ambiente volevamo incentivare frigoriferi efficienti per fare evolvere il mercato, trovando la ferma opposizione delle nostre imprese.
All’ultima dichiarazione dei vertici FCA che mettono in dubbio gli investimenti in Italia a seguito del provvedimento del governo, si potrebbe rispondere alzando la soglia delle emissioni per togliere alibi alla casa e non metterla troppo in difficoltà, ma contemporaneamente si dovrebbe indicare una quota di auto elettriche/ibride che tutti i gruppi che vogliono vendere in Italia dovranno garantire.
Si potrebbe partire con una quota dell’1,5% nel 2020, alzando poi la percentuale negli anni successivi. Sarebbe un segnale potente che potrebbe far riflettere i vertici FCA ed orientare gli investimenti produttivi in Italia.
Incentivare le auto elettriche: fondamentale partire col piede giusto
Sottolineata l’importanza di dedicare la giusta attenzione sul versante dell’offerta, è certamente importante interessarsi delle infrastrutture di ricarica e della incentivazione della domanda e la decisione del governo va quindi apprezzata.
L’emendamento bonus-malus poteva essere impostato diversamente? Certo, si potevano adottare altre soluzioni. Come quella proposta da Motus-e, l’associazione di aziende, università, ambientalisti impegnata nello sviluppo della mobilità elettrica, che aveva tra l’altro il vantaggio di essere stata preventivamente validata da gruppi automobilistici.
Motus-e suggerisce un incremento della tassa di circolazione, modulata in funzione delle emissioni di CO2. Un esborso che essendo spalmato su un numero molto maggiore di attori, risulta più leggero. Inoltre, sul fronte degli incentivi prevede contributi più elevati per l’acquisto di un auto elettrica da parte di chi rottama un veicolo Euro 0/2 (o in alternativa viene proposto un voucher di 600 € da spendere per la mobilità sostenibile, trasporti pubblici, car sharing.)
Ci sono poi le osservazioni di un gruppo di associazioni ambientaliste – Legambiente, Wwf, Kyoto Club e Transport&Environment – le quali, pur sostenendo il provvedimento del governo, esprimono la preoccupazione che nella fascia dei 70-90 gr/km vengano incentivate auto diesel di piccola taglia che comporterebbero un peggioramento della qualità dell’aria. Le associazioni chiedono inoltre che gli incentivi vengano erogati solo a fronte della rottamazione di veicoli vecchi.
Per ricavare risorse destinate al decollo della mobilità elettrica ci sarebbe anche un’altra soluzione, più complessiva. Parliamo di una carbon tax che avrebbe il vantaggio di essere connessa ai consumi: i mezzi più efficienti e le percorrenze limitate sarebbero avvantaggiate.
Questa soluzione, peraltro, anche se pochi lo sanno, è già presente in Italia. Nel 1999 infatti, il ministro Ronchi propose una piccola tassazione del carbonio il cui aumento progressivo venne poi congelato a causa delle evoluzioni del prezzo del petrolio. Resta il fatto che ancora oggi entrano nelle casse dello Stato risorse che potrebbe essere utilizzate per compensazioni fiscali e per sostenere la mobilità elettrica, come avvenne nel 2000 quando 180 milioni di € vennero destinati ad interventi ambientali.
Introducendo una tassa di 10 €/t CO2, il suo impatto sarebbe proporzionale ai consumi penalizzando le auto energivore. Mediamente l’incremento sarebbe di soli 5-15 centesimi € al giorno, 3 caffè al mese, e l’incasso da destinare alla mobilità sostenibile supererebbe il mezzo miliardo di euro l’anno, una cifra che potrebbe servire anche per eventuali compensazioni.
Certo una carbon tax avrebbe più senso se applicata a livello europeo, soprattutto se estesa alle industrie non coinvolte nell’ETS, ma per ottenere questo risultato occorrerebbe il consenso di tutti gli Stati, motivo che spiega la mancata adozione di questo strumento.
Gianni Silvestrini
fonte: www.qualenergia.it

Veicoli “fossili”: la rottamazione non sarà cosa da poco

Il bando alla circolazione di diesel e benzina è stato annunciato in diversi Paesi del mondo. Italia non pervenuta. Ma il tempo stringe. La rubrica di Stefano Caserini





Norvegia: 2025; Germania: 2030; India: 2030; Irlanda: 2030; Israele: 2030; Paesi Bassi: 2030; Scozia: 2032; Gran Bretagna: 2040; Francia: 2040; California: 2040; Taiwan: 2040. Questo l’elenco dei Paesi che hanno annunciato l’intenzione di introdurre un divieto di vendita di automobili alimentate a combustibili fossili. Si tratta di annunci, non ancora seguiti da atti legislativi definitivi, ma in alcuni i divieti non si sono limitati all’effetto annuncio, sono stati inseriti nei lavori dei governi e dei parlamenti. In alcuni casi il divieto riguarda solo i due combustibili più usati, benzina e diesel, in altri anche GPL e metano; in qualche Stato il divieto si estende ai mezzi commerciali leggeri.

La Norvegia potrebbe essere la prima ad attuare questo divieto, fra meno di 8 anni, e questo obiettivo ha il supporto dei quattro maggiori partiti politici. Il 2025 è davvero vicino, ed è legittimo che per qualcuno questi annunci sembrino incredibili, nel senso “non credibili”. In fondo la produzione e vendita su scala industriale di veicoli alimentati a combustibili fossili avviene da più di un secolo ed è diffusa in modo capillare nel mondo, generando profitti giganteschi. Rottamarla in qualche decennio non sarà cosa da poco: i dubbi sono legittimi.


2025, l’anno in cui in Norvegia sarà vietata la vendita di veicoli alimentati a benzina e diesel

A questi annunci se ne aggiungono altri, che riguardano la circolazione dei veicoli diesel: Città del Messico, Atene, Parigi, Madrid hanno annunciato l’intenzione di introdurre divieti di circolazione per questi veicoli nel 2025. Il motivo alla base in questi casi non è il cambiamento climatico, ma l’inquinamento dell’aria: i veicoli diesel hanno maggiori emissioni di ossidi di azoto e di polveri fini rispetto ai veicoli a benzina. Certo, gli ultimi modelli dotati di dispositivi per abbattere una parte delle emissioni di questi inquinanti (De-NOx e filtri antiparticolato) hanno ridotto un po’ il problema, ma non basta, tanti sono i diesel inquinanti ancora circolanti.

Anche in questi casi si tratta di annunci importanti, perché un divieto sulla circolazione agisce molto più rapidamente di un divieto sulla produzione dei veicoli, che permette la circolazione per molti anni dei veicoli già prodotti.

E l’Italia? Non pervenuta, a livello nazionale, sui divieti alla vendita. A livello di città, sia Milano sia Roma hanno annunciato l’intenzione di vietare la circolazione dei diesel, rispettivamente dal 2025 e dal 2030. Il divieto però sarebbe limitato solo al centro città, che nel caso di Milano è un’area piuttosto esigua, circa 9 chilometri quadrati. I divieti maggiori in Italia continuano a riguardare singole categorie di veicoli (euro 2, 3, 4, ecc.), con categorie e date che cambiano da zona a zona, in modo non sempre comprensibile e giustificato. Si tratta di divieti che a volte colpiscono veicoli prodotti poco più di una decina d’anni prima, e nel caso dei diesel i reali vantaggi del passaggio da una categoria euro alla successiva sono stati, in passato, discutibili.

L’area della pianura padana in cui vivo, in cui le condizioni meteorologiche sono davvero sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti, sarebbe una delle aree del mondo che avrebbe più da guadagnare da un bando dei veicoli a combustibili fossili. Solo con una politica decisa contro i combustibili fossili si potrebbero raggiungere quei limiti così ambiziosi di qualità dell’aria. I tempi della crisi climatica non permettono di continuare con la lentezza e le inerzie degli ultimi 20 anni. Servono segnali precisi e diretti ai produttori, serve fare capire loro che è necessario cambiare in modo rapido il sistema dei trasporti. Anche in Italia.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2016)

fonte: https://altreconomia.it/



Residui rottamazione veicoli, in vista recupero come "Css"
















Il MinAmbiente ha aperto alla valorizzazione energetica tramite produzione di
combustibile solido secondario (Css) dei materiali ottenuti dalla frantumazione
veicoli ("fluff").
Lo ha comunicato il 15 novembre 2017 Fise Unire (Unione nazionale imprese di
recupero) in esito a un convegno organizzato dall'Associazione nazionale demolitori in
occasione di Ecomondo 2017. In Italia l'85% dei materiali provenienti dal trattamento
dei veicoli da demolire viene avviato a reimpiego e riciclo. Per raggiungere il target Ue
del 95% di recupero complessivo una strada percorribile secondo il MinAmbiente è
quella della valorizzazione energetica dei materiali ottenuti dalla frantumazione
(cosiddetto "fluff").
Il Ministero ha annunciato l'emanazione di un atto amministrativo teso ad ammettere
l'utilizzo del "fluff" per la produzione di combustibile solido secondario
(Css)destinato a cementifici e termovalorizzatori, in quanto formalmente non escluso
dal Dm 22/2013 che regola l'End of Waste del Css-combustibile. Questo intervento del
Ministero consentirebbe a tale materiale una volta opportunamente trattato in impianti
autorizzati e certificati, di divenire un combustibile "End of Waste" e andare a
potenziare la sostenibilità ambientale ed economica del settore della demolizione
veicoli.


documenti di riferimento


Area Normativa / Rifiuti / Normativa Vigente
Dm Ambiente 14 febbraio 2013, n. 22
Regolamento recante disciplina della della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di
combustibili solidi secondari (Css) - Attuazione articolo 184-ter del Dlgs 152/2006


 
http://www.reteambiente.it

DAL TAR STOP A INCENTIVI ESPORTAZIONE VEICOLI: VITTORIA DI AIRA








Incentivare la rottamazione per favorire il rinnovo del parco veicolare del Paese, è un aiuto di Stato lodevole. Una misura a favore dell’ambiente. Lo è meno se esso viene concesso indistintamente a chi il veicolo lo distrugge e a chi il veicolo invece lo esporta all’estero. In quest’ultimo caso infatti, esportare significa spostare oltre confine la fonte di inquinamento, contravvenendo alle norme più semplici di tutela ambientale, valide su scala internazionale.
È sostanzialmente questa la motivazione con la quale la Terza Sezione del Tar Lazio, con sentenza del 7 settembre 2017, accoglie il ricorso di Aira, l’Associazione dei Frantumatori Italiani, contro il Ministero dei Trasporti che, con dm del 7 luglio 2016, aveva stabilito l’ammontare degli incentivi e le modalità di erogazione, a quanti favorissero la rottamazione dei veicoli giunti a fine vita. «Abbiamo vinto una battaglia a favore dell’ambiente» spiega Mauro Grotto, presidente Aira, che si dice tuttavia rammaricato per averla combattuta senza il sostegno dell’intera filiera. «I demolitori – dice - hanno preso le distanze dalla nostra scelta di impugnare il decreto ministeriale, forse perché essi stessi coinvolti nel business delle esportazioni, o forse per non inimicarsi le case costruttrici/concessionari per le quali l’esportazione dei veicoli usati, è un’importante voce di bilancio».
A suffragare l’ipotesi dei frantumatori, il fatto che nella memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato, ci sia un passaggio che fa espresso riferimento al fatto che le principali associazioni delle case costruttrici italiane e straniere, abbiano partecipato ai tavoli ministeriali aperti per stabilire gli importi degli incentivi da elargire per la rottamazione. La battaglia di Aira, è passata attraverso varie interrogazioni parlamentari che sposavano le motivazioni del ricorso. Poi la sentenza grazie alla quale l’Italia dice “stop” all’esportazione di inquinamento.
«Inoltre – dice soddisfatto Grotto – l’industria siderurgica è salva. Se il Paese avesse continuato a prediligere la via dell’esportazione a quella della demolizione, la nostra industria avrebbe dovuto affacciarsi su mercati esteri piuttosto che sfruttare quello interno per approvvigionarsi dei rottami e ricavarne materia prima seconda. Dunque – chiosa il presidente - non è solo la vittoria di Aira, ma è quella di un pezzo di industria, di migliaia di posti di lavoro e dell’ambiente».

fonte: https://www.ricicla.tv