Economia circolare: End of Waste, il cerchio è chiuso?



















Economia circolare: End of Waste, il cerchio è chiuso?


L’economia circolare è definizione “elastica” di un modello economico basato sul recupero, riciclo e riutilizzo del rifiuto, che viene, appunto, rimesso in circolazione in un (quasi) circuito chiuso.
Secondo l’accreditata definizione della Ellen MacArthur Foundation di Chicago, l’economia circolare «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera».
Nell’ottica di favorire la “circolarità” dei rifiuti, è stato previsto il trattamento degli stessi, attraverso la c.d. “cessazione della qualifica di rifiuto” (End of Waste). Il rifiuto viene preventivamente sottoposto ad un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, che, sebbene le stesse possano consistere anche in operazioni di cernita e di selezione di beni (così, di recente, Cassazione Penale, sez. III, 26 febbraio 2020 n.7589; Cassazione Penale, Sezione III, 2 luglio 2018 n. 29652), fin tanto che non si sono esaurite non comportano né la cessazione della attribuzione della qualifica di rifiuto né, tantomeno, la estraneità di essi alla disciplina in materia di rifiuti. Quindi, solo al termine di dette operazioni, il rifiuto cessa di essere formalmente tale e può essere riutilizzato e rimesso in circolazione.
L’End of Waste è disciplinata, a livello sovranazionale, dunque da normativa gerarchicamente superiore alla legislazione nazionale, all’art. 6 della Direttiva Rifiuti 2008/98//CE (come modificata dalla direttiva 2018/851/UE)[1].

La norma comunitaria, sopra trascritta, è stata recepita dal legislatore nazionale all’articolo 184 ter del D.lgs. 152/2006 (Testo Unico dell’Ambiente).
Tale articolo è stato modificato, da ultimo, nell’ottica di incentivare la cessazione della qualifica di rifiuto, dalla legge di conversione del D.L. 3 settembre 2019 n. 101 (“recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”), entrata in vigore il 3 novembre 2019 [2].

Da quanto si legge, la norma, così come oggi vigente, al comma 3, riconosce alle autorità locali (in particolare alle Regioni), competenti al rilascio e al rinnovo delle autorizzazioni ambientali, di autorizzare l’“End of waste”, per quelle tipologie di rifiuto, che mancano di Regolamenti UE o Decreti nazionali di specie. Seppure, nel rispetto delle condizioni generali previste dal comma 1 e dei criteri a protezione dell’ambiente dei cinque punti elencati dalla lett. a) a e), si riconosce alla Regione, non anche allo Stato, la competenza di determinare, per le suddette tipologie di rifiuti, la cessazione della loro qualifica, rimettendoli, di fatto, in circolazione, come, a titolo esemplificativo non esaustivo, sotto forma di ammendanti (si pensi ai fanghi), combustibili solidi secondari (da rifiuti plastici ecc. ...).
L’intento del legislatore dovrebbe essere, prima di tutto, quello di evitare o, quantomeno, ridurre la produzione e, quindi, anche le operazioni di recupero dei rifiuti, altrimenti destinati in discarica o negli impianti d’incenerimento.
Il rischio, nelle operazioni End of Waste, è infatti che la mancanza di una normativa esclusivamente statale, che garantisca controllo e tutela in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, possa arrecare un vulnus alla protezione dell’ambiente e, dunque, della salute.
Eppure, proprio in riguardo alla cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell'autorità competente dello Stato membro, era già intervenuta la Corte Giustizia UE, con la sentenza, sez. II, 28/03/2019 n.60, fornendo un’interpretazione autentica del citato articolo 6 della Direttiva 2008/98/CE, “stella polare” per il Legislatore Nazionale: “L'art. 6, par. 4, della direttiva 2008/98/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, deve essere interpretato nel senso che esso: - non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, qualora non sia stato definito alcun criterio a livello dell'Unione europea per la determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto per quanto riguarda un tipo di rifiuti determinato, la cessazione di tale qualifica dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale, e non consente a un detentore di rifiuti, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, di esigere l'accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell'autorità competente dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro” (in Foro it. 2019, 6, IV, 325).
Ciò a sottolineare, ulteriormente, la competenza legislativa esclusiva dello Stato (ad esempio attraverso la potestà regolamentare statale) ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lett. s), della Costituzione, non anche delle autorità locali, in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza caposaldo del 28 febbraio 2018 n. 1229, aveva dichiarato che: “…può, dunque, affermarsi che se, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria, nondimeno questa ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione – si ripete, solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse – dandone informazione alla Commissione.
Il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione.
La stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.
Ciò è quanto ha fatto il legislatore statale, attribuendo tale potere al Ministero dell’Ambiente, ed anzi fornendo una lettura del “caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria.
D’altra parte, la previsione della competenza statale in materia di declassificazione “caso per caso” del rifiuto appare del tutto coerente, oltre che con la citata Direttiva UE, anche con l’art. 117, comma secondo, lett. s) della Costituzione che, come è noto, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva (e, dunque, anche alla potestà regolamentare statale), la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
E’ del tutto evidente che, laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni”.
La delega alle Regioni non trova adeguata risposta neppure nei controlli. Il comma 3-ter dell’art. 184 ter prevede che l'ISPRA o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente effettuino controlli a campione, non controlli estesi a tutti i gestori degli impianti. A fronte di una deroga, di dubbia legittimità costituzionale, alla competenza esclusiva dello Stato, si sarebbe, quanto meno, auspicato un rafforzamento dei controlli sulla tracciabilità e trasparenza nella gestione dei rifiuti con l’End of Waste, al fine di prevenire violazioni autorizzative e la commissione di reati, purtroppo frequenti in questo settore.
Con il DM 14 febbraio 2013 n. 22, è stata disciplianta la cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), in assenza di criteri comunitari riguardanti l’End of Waste dei Combustibili Solidi Secondari (CSS).
Il D.lgs. n. 152 del 2006, sempre al fine di recepire la direttiva quadro sui rifiuti (direttiva 2008/98/CE), all’articolo 183, comma 1, lettera cc), contiene la seguente definizione di “combustibile solido secondario (CSS)": il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l'applicazione dell'articolo 184-ter, il combustibile solido secondario, è classificato come rifiuto speciale”.
Tra i materiali ammessi per la produzione di CSS vi sono rifiuti urbani e speciali non pericolosi, materiali non classificati come rifiuti, purché non pericolosi in forza del Regolamento (CE) n. 1272/2008 CLP (Classification, Labelling and Packaging).
Con il DM 20 marzo 2013, è stato modificato l’allegato X “Disciplina dei combustibili” della Parte Quinta del D.lgs.152/2006 ed è stato inserito il CSS–Combustibile nell’elenco dei combustibili, di cui è consentito l’utilizzo negli impianti indicati al Titolo I della medesima Parte Quinta.
Si arriva al primo aprile 2020, quando, in piena emergenza Covid 19, il Ministro dell’Ambiente comunica di aver firmato il decreto End of Waste sugli pneumatici fuoriuso (PFU) e prodotti assorbenti per la persona.
La ratio legis è di per sé ineccepibile, se suffragata da estesi effettivi controlli su tutto il territorio e diretta all’utilizzo del CSS, ad esempio, come granulo negli asfalti stradali, nell’impiantistica sportiva, nell’edilizia, nell’arredo urbano. In questi casi, il cerchio dell’economia, fondata sul rifiuto, può effettivamente ritenersi chiuso, perché il rifiuto cessa nella sostanza di essere tale. Timori permangono, invece, per la pubblica salute, laddove il CSS, solo formalmente non più rifiuto per aver cambiato nomen iuris, venga usato come CSS-combustibile negli impianti di produzione e impiego del CSS-combustibile (termovalorizzatori, cementifici) e, per l’effetto, disperso nell’ambiente. L’uso come combustibile, nei cementifici e nelle centrali termoelettriche del CSS-Combustibile End of Waste, non elimina, infatti, la produzione di altri rifiuti, tra l’altro tossico-nocivi (si pensi ai composti organici volatili -COV, metalli pesanti, ceneri ecc. …).
Non è la forma che tutela l’ambiente, ma la sostanza nei contenuti e nei controlli, ancora una volta obliterati. 

Avv. Valeria Passeri
#WWFPerugia #RifiutiZeroUmbria @Cru_rz


[1] “1. Gli Stati membri adottano misure appropriate per garantire che i rifiuti sottoposti a un'operazione di riciclaggio o di recupero di altro tipo cessino di essere considerati tali se soddisfano le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto è destinata/o a essere utilizzata/o per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. [I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto].
2. La Commissione monitora l'evoluzione dei criteri nazionali per la cessazione della qualifica di rifiuto negli Stati membri e valuta la necessità di sviluppare a livello di Unione criteri su tale base. A tale fine e ove appropriato, la Commissione adotta atti di esecuzione per stabilire i criteri dettagliati sull'applicazione uniforme delle condizioni di cui al paragrafo 1 a determinati tipi di rifiuti.
Tali criteri dettagliati garantiscono un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute umana e agevolano l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Essi includono:
a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero;
b) processi e tecniche di trattamento consentiti;
c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario;
d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso; e
e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità.
Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura di esame di cui all'articolo 39, paragrafo 2.
In sede di adozione di tali atti di esecuzione, la Commissione tiene conto dei criteri pertinenti stabiliti dagli Stati membri a norma del paragrafo 3 e adotta come punto di partenza quelli più rigorosi e più protettivi dal punto di vista ambientale.
3. Laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione ai sensi del paragrafo 2, gli Stati membri possono stabilire criteri dettagliati sull'applicazione delle condizioni di cui al paragrafo 1 a determinati tipi di rifiuti. Tali criteri dettagliati tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente e sulla salute umana della sostanza o dell'oggetto e soddisfano i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e).
Gli Stati membri notificano alla Commissione tali criteri in applicazione della direttiva (UE) 2015/1535 ove quest'ultima lo imponga.
4. Laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale ai sensi, rispettivamente, del paragrafo 2 o del paragrafo 3, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al paragrafo 1, rispecchiando, ove necessario, i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e), e tenendo conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente e sulla salute umana. Tali decisioni adottate caso per caso non devono essere notificate alla Commissione in conformità della direttiva (UE) 2015/1535.
Gli Stati membri possono rendere pubbliche tramite strumenti elettronici le informazioni sulle decisioni adottate caso per caso e sui risultati della verifica eseguita dalle autorità competenti.
5. La persona fisica o giuridica che:
a) utilizza, per la prima volta, un materiale che ha cessato di essere considerato rifiuto e che non è stato immesso sul mercato; o
b) immette un materiale sul mercato per la prima volta dopo che cessa di essere considerato un rifiuto, provvede affinché il materiale soddisfi i pertinenti requisiti ai sensi della normativa applicabile in materia di sostanze chimiche e prodotti collegati. Le condizioni di cui al paragrafo 1 devono essere soddisfatte prima che la normativa sulle sostanze chimiche e sui prodotti si applichi al materiale che ha cessato di essere considerato un rifiuto”.



[2] “Art. 184 ter - (Cessazione della qualifica di rifiuto)
1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.
2. L'operazione di recupero puo' consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformita' a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o piu' decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.
3. In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III-bis della parte seconda del presente decreto, per lo svolgimento di operazioni di recupero ai sensi del presente articolo, sono rilasciate o rinnovate nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, e sulla base di criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori, che includono:
a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero;
b) processi e tecniche di trattamento consentiti;
c) criteri di qualita' per i materiali di cui e' cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario;
d) requisiti affinche' i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualita', l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso;
e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformita'.
In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, continuano ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.
3-bis. Le autorita' competenti al rilascio delle autorizzazioni di cui al comma 3 comunicano all'ISPRA i nuovi provvedimenti autorizzatori adottati, riesaminati o rinnovati, entro dieci giorni dalla notifica degli stessi al soggetto istante.
3-ter. L'ISPRA, o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente delegata dal predetto Istituto, controlla a campione, sentita l'autorita' competente di cui al comma 3-bis, in contraddittorio con il soggetto interessato, la conformita' delle modalita' operative e gestionali degli impianti, ivi compresi i rifiuti in ingresso, i processi di recupero e le sostanze o oggetti in uscita, agli atti autorizzatori rilasciati nonche' alle condizioni di cui al comma 1, redigendo, in caso di non conformita', apposita relazione. Il procedimento di controllo si conclude entro sessanta giorni dall'inizio della verifica. L'ISPRA o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente delegata comunica entro quindici giorni gli esiti della verifica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Al fine di assicurare l'armonizzazione, l'efficacia e l'omogeneita' dei controlli di cui al presente comma sul territorio nazionale, si applicano gli articoli 4, comma 4, e 6 della legge 28 giugno 2016, n. 132.
3-quater. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 3-ter, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nei sessanta giorni successivi, adotta proprie conclusioni, motivando l'eventuale mancato recepimento degli esiti dell'istruttoria contenuti nella relazione di cui al comma 3-ter, e le trasmette all'autorita' competente. L'autorita' competente avvia un procedimento finalizzato all'adeguamento degli impianti, da parte del soggetto interessato, alle conclusioni di cui al presente comma, disponendo, in caso di mancato adeguamento, la revoca dell'autorizzazione e dando tempestiva comunicazione della conclusione del procedimento al Ministero medesimo. Resta salva la possibilita' per l'autorita' competente di adottare provvedimenti di natura cautelare.
3-quinquies. Decorsi centottanta giorni dalla comunicazione all'autorita' competente, ove il procedimento di cui al comma 3-quater non risulti avviato o concluso, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare puo' provvedere, in via sostitutiva e previa diffida, anche mediante un commissario ad acta, all'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3-quater. Al commissario non e' dovuto alcun compenso per lo svolgimento delle funzioni attribuite ai sensi del presente comma e il medesimo commissario non ha diritto a gettoni, rimborsi di spese o altri emolumenti, comunque denominati.
3-sexies. Con cadenza annuale, l'ISPRA redige una relazione sulle verifiche e i controlli effettuati nel corso dell'anno ai sensi del comma 3-ter e la comunica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 31 dicembre.
3-septies. Al fine del rispetto dei principi di trasparenza e di pubblicita', e' istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il registro nazionale per la raccolta delle autorizzazioni rilasciate e delle procedure semplificate concluse ai sensi del presente articolo. Le autorita' competenti, al momento del rilascio, comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i nuovi provvedimenti autorizzatori emessi, riesaminati e rinnovati nonche' gli esiti delle procedure semplificate avviate per l'inizio di operazioni di recupero di rifiuti ai fini del presente articolo. Con decreto non avente natura regolamentare del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono definite le modalita' di funzionamento e di organizzazione del registro di cui al presente comma. A far data dall'effettiva operativita' del registro di cui al presente comma, la comunicazione di cui al comma 3-bis si intende assolta con la sola comunicazione al registro. Alle attivita' di cui al presente comma le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
4. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo e' da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n 209, dal decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dal decreto legislativo 120 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti.
5. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.