Visualizzazione post con etichetta #Alia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Alia. Mostra tutti i post

L’inceneritore non si farà più, al suo posto un impianto di riciclo

Case Passerini, addio al progetto


Il rendering di come sarebbe stato l'inceneritore

Firenze. Inceneritore addio. Dopo anni di tira e molla, guerre a suon di carte bollate, tensioni fra enti locali, proteste di piazza, comitati, ricorsi e controricorsi, ora l’addio all’impianto di Case Passerini, a Sesto Fiorentino, è stato messo nero su bianco. Lo sancisce un protocollo d’intesa fra Regione Toscana, Ato Toscana Centro e Alia Servizi Ambientali firmato nelle scorse settimane e recepito anche in una delibera regionale. Un atto cruciale, ma passato sotto silenzio in questi giorni di attenzione totale all’emergenza Coronavirus. Nel documento, le parti dichiarano di aver "preso atto che l’impianto di Case Passerini non è stato realizzato nella tempistica prevista dal Piano regionale rifiuti e bonifiche, lasciando insoddisfatte le esigenze di interesse pubblico sottese alla pianificazione e localizzazione dell’impianto, quali la realizzazione di un sistema impiantistico d’ambito efficiente e adeguato all’autosufficienza dell’Ato nella gestione dei rifiuti urbani non pericolosi; l’efficienza economica; il rispetto delle condizioni del conferimento in discarica". Alla luce di questi presupposti, prosegue la delibera "Regione, Ato Centro ed Alia Spa, sono tutti chiamati a soluzioni industriali e tecnologiche alternative allo smaltimento in termovalorizzazione, riducendo i quantitativi di Rsu da trattare tali e quali".

Cosa significa in concreto? In parole più semplici, al posto dell’inceneritore dovrebbe nascere un impianto di trattamento e recupero dei rifiuti, i cui dettagli sono in via di definizione, ma che si inserirebbe nell’ottica dell’economia circolare, recentemente sancita anche da una legge ad hoc approvata dal consiglio regionale toscano. L’obbiettivo è fare in modo che un numero sempre maggiore di scarti torni a essere materia prima inseribile all’interno delle filiere produttive. Non a caso, il progetto sottoscritto tra Regione, Ato Centro ed Alia Spa parla di "sviluppo di progetti di economia circolare per la valorizzazione e il recupero/riciclo dei rifiuti". Insomma si passerebbe da un inceneritore che doveva bruciare gli scarti per creare energia, a una "fabbrica di materiali", in grado di ricavarli dagli scarti. Le conseguenze pratiche sul futuro dell’area, ma anche sugli assetti di Q.Thermo (la società nata per costruire il termovalorizzatore) sono importanti.

«La Regione – si legge nel documento - si impegna a adottare tutti i provvedimenti necessari a portare a compimento le procedure di modifica degli atti di pianificazione di settore o territoriali, per individuare le alternative industriali e di filiera alla realizzazione del termovalorizzatore" ma anche a "individuare interventi di sostegno finanziario ed economico da riconoscere ad Ato, finalizzati a investimenti pubblici". Ato, da parte sua, deve "effettuare un’analisi dei costi/benefici conseguenti alle strategie alternative allo scopo di assicurare che queste non determinino costi aggiuntivi" ma dovrà anche "indicare la possibilità di procedere al superamento della convenzione 17 ottobre 2016 per la realizzazione del termovalorizzatore, destinando ad Alia i contributi finalizzati a investimenti pubblici". Alia infine dovrà "rilevare con oneri a proprio carico la partecipazione societaria del privato Q.Thermo e valutarne la riconversione produttiva". Q.Thermo, società pubblico-privata creata per costruire e gestire l’inceneritore, è infatti partecipata al 60% da Alia e al 40% dal Gruppo Hera, società a partecipazione pubblica quotata in borsa, che gestisce impianti di termovalorizzazione in tutta Italia.

fonte: https://www.lanazione.it


#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Rifiuti, c’è poco da fare: la bioplastica è cara e non riciclabile. Ed è un bel problema














Qualche giorno fa Alia, la più grande società toscana che gestisce i rifiuti urbani, ha invitato i cittadini a mettere i rifiuti in bioplastica nel contenitore dei rifiuti non differenziati. Questo ha colto molta gente di sorpresa: come è possibile che un materiale “bio” non si possa riciclare? Il risultato è stato una bella polemica estiva in cui Alia è stata accusata di incompetenza, impreparazione e varie altre nefandezze. Ma, ahimè, quando si parla di rifiuti, le cose non sono mai come uno si aspetta. La bioplastica non è e non può essere il toccasana che poteva sembrare. E il problema non è solo toscano: è lo stesso in tutta Italia.
Cominciamo col dire che il riciclo dei rifiuti organici urbani richiede impianti complessi e costosi. Tutti gli anni porto i miei studenti a visitare gli impianti di compostaggio di Alia vicino a Firenze. E’ un’esperienza formativa: possono toccare con mano (letteralmente) e anche annusare di persona i rifiuti durante i vari stadi del processo. Si rendono anche conto di quanti maleducati ci sono in giro che buttano ogni sorta di robaccia nel contenitore dell’organico, dalle scarpe ai palloni da calcio. Tutte cose che vanno laboriosamente separate dal vero organico prima di avviarlo alle celle di compostaggio. Ma gli impianti funzionano e producono compost di buona qualità. E’ un bel passo avanti verso il concetto di “economia circolare”.
Ovviamente, gli impianti di compostaggio non possono riciclare la plastica ordinaria, quella prodotta con i combustibili fossili. Per quella esiste un’altra filiera separata, ma con grossi limiti pratici. Un problema è che non riusciamo a riciclare più del 25% della plastica in commercio. E siccome si parte da materiali non rinnovabili, non è veramente un ciclo: la plastica la possiamo riutilizzare solo una volta, forse due, ma non di più. Alla fine, deve andare per forza all’inceneritore, in discarica, oppure dispersa nell’ambiente, da dove poi ce la ritroveremo nel piatto in forma di microscopiche particelle. Per non parlare dei danni in termini di riscaldamento globale: la maggior parte di questa plastica finirà per diventare CO2 addizionale nell’atmosfera. Ed è una quantità enorme: circa 380 milioni di tonnellate di plastica prodotte nel mondo tutti gli anni.
L’unica soluzione che abbiamo trovato sembra che sia la magica parola “bioplastica”. Infatti, qualcuno ha annusato l’affare e la bioplastica sta invadendo il mercato, in particolare quello degli usa e getta. Ma, a parte che la bioplastica costa cara e produrla su larga scala andrebbe a intaccare la produzione alimentare, questa roba non è pensata per gli impianti di compostaggio esistenti, perlomeno non nei tempi di processo attuali.
A parte i sacchetti del supermercato, che sono abbastanza sottili da essere compostabili, il resto è un problema: una forchetta di bioplastica non è la stessa cosa di un gambo di carciofo o una foglia di insalata. Piatti, bicchieri, bottiglie e altri oggetti in bioplastica rimangono in gran parte interi o si frammentano in micropezzetti che rendono il compost inutilizzabile. E’ un notevole danno, sia economico sia per la salute di tutti.
Ovviamente, i produttori di bioplastica si sono affrettati a difendere il loro mercato facendo notare che in Italia già esiste qualche impianto in grado di compostare la bioplastica. Certo, è possibile, ma bisogna pensare a una nuova filiera specifica, tutta da costruire. Sarebbe un’ulteriore complicazione del sistema di gestione dei rifiuti, un maggiore impegno per i cittadini, e nuovi investimenti i cui costi vanno necessariamente a ricadere sulla comunità.
Siamo sicuri di voler fare una cosa del genere? Non sarebbe tanto più semplice andare alla fonte, ovvero ridurre la quantità di plastica e di bioplastica che entra nel mercato? Questo si può fare per via legislativa a costo zero o quasi, evitando perlomeno gli sprechi più evidenti. Ovviamente, non si può abolire completamente la plastica per tante ragioni ma, per una volta, potremmo pensare a semplificarci la vita invece che a renderla più complicata.
Nel frattempo, c’è poco da fare: la bioplastica che non è in forma di sacchetti sottili va messa nel bidone dell’indifferenziato da dove poi finirà in discarica o all’inceneritore. Quindi, meglio di tutto, non usatela o usatene il meno possibile.
Ugo Bardi
fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Mamme No Inceneritore: “Alia e il compostabile, una sconfitta figlia di 15 anni di arretratezza”


















Grazie al lavoro giornalistico di Lady Radio abbiamo scoperto che ALIA non è in grado di gestire una importante quantità di prodotti venduti in commercio e correttamente dichiarati 100% compostabili.
In particolare ALIA, tramite il suo amministratore delegato Alessia Scappini, afferma che “le bioplastiche negli impianti di compostaggio vengono scartate oppure finiscono in frammenti che contaminano il compost finale, che a quel punto non potrà essere utilizzato in agricoltura ma dovrà essere trattato come un rifiuto!”. 
Durante l’intervista ALIA si spinge oltre e arriva a dichiarare che “l’unica cosa che al momento possiamo indicare è che questo tipo di rifiuto venga messo nell’indifferenziato”.
Avete sentito bene, uno dei gestori di rifiuti piu’ grandi d’Italia, che copre le province di Firenze, Prato e Pistoia, con contratto ventennale per 5 Miliardi di euro, invece di attivarsi per operare bene come gestore, invita i cittadini a non differenziare bene i rifiuti!
Questo è troppo! L’unico appello corretto  che abbiamo sentito è quello di invitare a usare SOLO STOVIGLIE DUREVOLI o, in deroga, piatti e bicchieri di carta e forchettine di legno compostabili al 100% in tempi rapidi. Ma una grossa azienda come Alia  deve affrontare il problema. Le BIOPLASTICHE in commercio oggi non sono certamente perfette e non combattono la pratica nefasta per l’ambiente dell’USA E GETTA, ma sono un prodotto che esiste e rispetta le normative vigenti in tema di  biodegradabilita’ e compostabilita’ e quindi devono poter essere gestite nella filiera dell’organico.
Noi riteniamo che l’atteggiamento di ALIA sia completamente sbagliato. Studiando il modo di comportarsi di decine di gestori dei rifiuti in Italia (e dei comuni da loro coperti), abbiamo verificato che chi lavora bene ha tre regole semplici e basilari:
– la responsabilità delle buone pratiche è equamente divisa tra 3 attori: cittadini e aziende, amministrazioni locali e gestori dei rifiuti;
– al cittadino va chiesto di fare una buona raccolta differenziata, e per farlo il gestore deve offrire un buon servizio domiciliare e le amministrazioni devono premiare tramite un sistema di tariffazione puntuale;
– il gestore deve occuparsi della raccolta, dell’avvio a riciclo dei materiali differenziati e dello smaltimento dei rifiuti residui. Sta al gestore, insieme alle amministrazioni, decidere quali soluzioni adottare, se costruire impianti o affidare ad altre aziende alcune attività.
Fino ad oggi la quasi totalità dei comuni dell’ATO Toscana Centro, con Firenze in testa, ha impedito ad ALIA di dotarsi della impiantistica per una corretta gestione dei rifiuti. Fino a qualche mese fa  si era pronti a buttare via 170 Milioni di Euro per la costruzione di un nuovo inceneritore, e per questo non si è fatta ad esempio la ristrutturazione, nell’area di Sesto Fiorentino, dell’impianto di Trattamento Meccanico Biologico, dotandolo di un migliore filtro anti-odori (vedere impiantistica del Consorzio Contarina nel trevigiano) o la costruzione di fabbriche del riciclo avanzate.
Alle amministrazioni e ad ALIA lanciamo un semplice appello:
– investire rapidamente in impiantistica in grado di selezionare il materiale bioplastico rigido nel percorso di gestione del rifiuto organico in modo da ottenere COMPOST di qualità da utilizzare in agricoltura e non un altro rifiuto.
–  nel medio termine costringere i produttori di bioplastiche ad investire in impiantistica in grado di recuperare i materiali da loro prodotto;
Suggeriamo inoltre di ELIMINARE tutti i cassonetti: con il sistema a cassonetto non si può avere una raccolta differenziata di qualità; nel cassonetto dell’organico ad esempio, oltre alle BIOPLASTICHE RIGIDE, ci vanno a finire tanti altri rifiuti non biodegradabili né compostabili!
In conclusione: concordiamo sul fatto che l’USA E GETTA deve essere bandito, sia in plastica che in bioplastica: è ambientalmente insostenibile. Un piatto/bicchiere/forchetta in bioplastica è sicuramente di difficile gestione in impianti industriali e, qualora abbandonato nell’ambiente, ha tempi di degradazione di alcuni anni. Ma questo non toglie la responsabilità alle amministrazioni e ad ALIA.
Ora sta al gestore, che è in ritardo di almeno 10 anni, dotarsi di impiantistiche o soluzioni che indirizzino questo tipo di rifiuti verso cicli virtuosi.
Mamme No Inceneritore
fonte: https://tuttosesto.net

I piatti usa e getta compostabili? “Gettateli nell’indifferenziato”

















Presentate come un’alternativa ecologica, creano più problemi di quelli che risolvono: le stoviglie monouso compostabili – piattini, bicchieri e posate che da qualche tempo riempiono gli scaffali dei supermercati – stanno provocando parecchi guai negli impianti di compostaggio. Sul caso sollevato da Lady Radio nei giorni scorsi è intervenuta Alessia Scappini, amministratore delegato della società Alia che gestisce il ciclo di rifiuti nell’area Firenze-Prato-Pistoia. Nell’intervista Scappini conferma il problema: le bioplastiche negli impianti di compostaggio vengono scartate oppure finiscono in frammenti che contaminano il compost finale, che a quel punto non potrà essere utilizzato in agricoltura ma dovrà essere trattato come un rifiuto. Il problema, spiega Scappini, è che le condizioni per la degradabilità delle bioplastiche “non sono le stesse che si verificano nei processi di compostaggio e questo crea un rischio di ritrovarsi queste bioplastiche negli scarti o, peggio ancora, i frammenti di plastiche rigide vanno a vanificare quel percorso virtuoso di recupero del rifiuto organico”. Quindi le stoviglie usa e getta compostabili non diventano compost, ma anzi contaminano il compost rendendolo inservibile; non possono essere riciclate – a differenza delle plastiche fossili – perché ancora non sono stati messi a punto dei processi adatti; diventano, insomma, rifiuti indifferenziati e come tali vanno anche smaltiti: “In questo momento – spiega Scappini – l’unica cosa che possiamo indicare è che questo tipo di rifiuto venga messo nell’indifferenziato”. Il vero comportamento ecologico, alla fine, resta quello di non comprare l’usa e getta e di usare stoviglie lavabili.
Ascolta l’intervista.
fonte: www-ladyradio-it