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Case in canapa e calce per un abitare davvero sostenibile

È possibile costruire rispettando la natura? Come si può creare armonia tra attività umane e ambiente naturale? Messapia Style, Emilio e i suoi collaboratori cercano di darci una risposta diffondendo teoria e pratica di un modello di edilizia naturale fondato sull'utilizzo di materiali ecologici, tradizionali e anche economici: canapa e calce.








Oggi più che mai l’ambiente ha bisogno di aiuto. L’emergenza climatica sta diventando un problema sempre più rilevante e la necessità di promuovere in ogni campo l’eco-sostenibilità è uno degli obiettivi cardine del ventunesimo secolo. Anche l’edilizia può svolgere un ruolo significativo in questo ambito, cercando di non arrecare danno a ciò che ci circonda. Ed è proprio qui che entra in gioco Messapia Style, una realtà salentina pioniera in Italia dell’edilizia naturale per la realizzazione di case in canapa e calce.

«Nel 2015 ho deciso di costruire per me e mia moglie questa abitazione a Supersano, nella quale tuttora viviamo, con l’uso di materiali ecosostenibili», racconta l’imprenditore bioedile Emilio Sanapo, fondatore dell’azienda. «Ho voluto sperimentare su di me per primo questo sistema innovativo fondato sull’uso della calce/canapa. Il mio obiettivo è proprio quello di non rimanere una goccia nel mare, ma di portare quante più persone possibile a seguire il mio esempio. Se tutti ci impegnassimo sarebbe un vero e proprio toccasana per l’ambiente, anche perché la canapa è un materiale rinnovabile e biodegradabile, cresce in cento giorni e con un ettaro si può costruire una casa».

Emilio Sanapo

L’intento di Emilio e dei suoi collaboratori è quello di promuovere un modo di vivere salutare attraverso la costruzione e la ristrutturazione delle abitazioni facendo uso di materiali naturali che non siano nocivi all’ambiente. La natura è infatti capace di fornirci tutti i mezzi necessari per realizzare case ed edifici che possano durare nel tempo e che siano in grado di fare del bene tanto all’uomo quanto alla natura stessa.

In tutto ciò la canapa riveste un ruolo di primaria importanza. Si tratta di una pianta erbacea a ciclo annuale dalla quale si ricavano semi e fibre. Lo stelo legnoso invece contiene una buona quantità di silice e questo la rende resistente al fuoco e alla decomposizione. La miscela che viene utilizzata per la bioedilizia si realizza impastando con acqua la canapa, la calce idrata (un legante) e un eccipiente naturale che ha la funzione di far indurire quest’ultima in un tempo adeguato.

I materiali edili a base di canapa e calce presentano numerose proprietà, positive sia per l’uomo che per l’ambiente. Innanzitutto, le pareti costituite da questi elementi permettono di gestire in maniera naturale l’umidità, che viene mantenuta a un livello stabile intorno al 50-60%. Inoltre, si tratta di materiali isolanti che permettono di creare una barriera contro il calore, isolando sia dal freddo invernale sia dal caldo estivo. Questi fattori garantiscono costi di climatizzazione particolarmente bassi, per quanto riguarda sia i consumi energetici che la manutenzione degli impianti. La miscela di calce e canapa è del tutto traspirante ed esente da condense e muffe poiché, assorbendo la CO2, si viene a creare un clima interno all’abitazione salubre che tende all’alcalino. Inoltre, essa costituisce un materiale da costruzione ideale sia per il basso consumo di energia, sia per il bassissimo inquinamento in fase di produzione, di installazione e a fine vita. È, infine, un prodotto molto durevole nel tempo, a differenza dei materiali da costruzione sintetici che iniziano a presentare fenomeni di degrado dopo pochi anni.

Emilio e i suoi collaboratori lavorano principalmente in Puglia, ma piano piano stanno esportando la filosofia della bioedilizia in tutta Italia, per insegnare a imprese o a persone normalissime come auto-costruirsi e costruire per altri abitazioni in calce/canapa. «Si tratta però – ci spiega Emilio – di una tecnica che solo parzialmente siamo riusciti a diffondere. Un grosso ostacolo è quello culturale: si è poco propensi a mettersi in gioco e a imparare nuovi modi di costruire anche se, nolenti o dolenti, saremo costretti a reinventarci, perché è l’ambiente a imporcelo. La mia speranza è che a livello politico qualcosa si possa muovere, per favorire innanzitutto lo sviluppo di questo tipo di materiali e penalizzare quelli derivanti dal petrolio e, soprattutto, per agevolare la filiera della bioedilizia, costruendo degli impianti di trasformazione della canapa».








I mattoni, i blocchetti in laterizio e il calcestruzzo utilizzati nelle costruzioni moderne vengono prodotti da impianti industriali che emettono grandi quantità di CO2, inquinanti per l’atmosfera. Per giunta, il cemento stesso contiene molto spesso alcune sostanze che sono tossiche sia per i lavoratori che per gli abitanti delle abitazioni. Messapia Style, Emilio e tutti i collaboratori di questa azienda si battono ormai da anni per cambiare la situazione attuale e per far fronte alle problematiche ambientali e della salute del singolo. Passo dopo passo, stanno diffondendo il loro ideale di edilizia naturale in calce/canapa, mettendosi al servizio dell’ambiente e dimostrando che anche una goccia d’acqua può far sentire la propria presenza in un mare, soprattutto se questa goccia ne ispira molte altre al cambiamento.

fonte: www.italiachecambia.org


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Avanzi Popolo 2.0, le buone pratiche per contrastare lo spreco alimentare e la loro replicabilità. L’esperienza de ‘La Garra’ a Terlizzi

Paparella: “Il nostro obiettivo è realizzare progetti e azioni che siano utili alla nostra comunità. Fare cose per cambiare le cose”












La Puglia rappresenta da sempre un laboratorio delle buone pratiche, e questa volta la Terra di Bari sta dando il meglio di sé sul contrasto allo spreco alimentare con Avanzi Popolo.

Nato a Bari nel 2014, il progetto si è evoluto realizzando “attività di sensibilizzazione e di educazione rispetto alla gestione delle eccedenze di cibo che rischiano di finire in pattumiera”, creando una piattaforma di foodsharing (www.avanzipopolo.it) ed esportando questa buona pratica fuori dal capoluogo come avvenuto a Triggiano, Terlizzi e Carbonara.

Ed è proprio la replicabilità del progetto un aspetto da non sottovalutare perché rappresenta la chiave di volta per rendere centrale il tema del contrasto allo spreco, non solo all’interno dell’agenda delle istituzioni locali ma soprattutto tra i cittadini andandone a modificare nel concreto i comportamenti.

Per capire meglio, e non solo, come si fa a replicare e mutuare un progetto da un territorio a un altro abbiamo raggiunto Il Circolo Arci ‘La Garra’ di Terlizzi che, nel 2019, ha deciso di replicare l’esperienza dei “cugini” baresi con Avanzi Popolo 2.0.



“L’idea di abbracciare il progetto Avanzi Popolo – dice Gaetano Paparella, presidente de La Garra – nasce con lo stesso spirito con il quale è nata la nostra associazione, ovvero ‘fare delle cose per cambiare le cose’. Il nostro primo obiettivo è quello di realizzare progetti e azioni che siano utili al paese e alla nostra comunità. Siamo partiti dalle buone pratiche già attive attorno a noi per poi provarle a replicare e adattarle al nostro territorio. Nella città di Bari era attivo un bellissimo progetto come quello di Avanzi Popolo 2.0 quindi abbiamo chiesto ai ragazzi di Bari un incontro per confrontarci e provare ad avviare un progetto sul recupero delle eccedenze alimentari anche a Terlizzi. Ci sono voluti quasi quattro mesi per studiare il nostro territorio, capire quali fossero le criticità e creare una rete stabile e virtuosa tra donatori, recuperatori e beneficiari.”

Dove vanno a finire le eccedenze che recuperate?

Se i donatori sono rappresentati dalle attività commerciali, i beneficiari individuati sono la Caritas cittadina (con la quale già durante le prime fasi della pandemia avevamo stretto un accordo per aiutarli durante la distribuzione dei generi alimentari nell’emergenza), le Caritas parrocchiali, alcune famiglie segnalate sempre dalla Caritas e dalle parrocchie alle quali distribuiamo il fresco, ossia tutti gli alimenti deperibili e che quindi consegniamo subito dopo il recupero. Senza dimenticare le derrate che portiamo a Casa Betania, l’unica realtà che a Terlizzi ha una mesa per i bisognosi aperta tutti i giorni a pranzo e a cena e che serve una media di 40 persone.

La parola ora passa ad Elisa, una volontaria de ‘La Garra’, alla quale abbiamo chiesto qualcosa in più su come è strutturato il progetto.

La fase di avvio del progetto come è stata accolta dai commercianti?

Il progetto è partito a Terlizzi a giugno 2019 ma la fase di progettazione è cominciata a febbraio. Quattro mesi di gestazione nei quali, oltre al confronto proficuo con i nostri cugini di Bari, abbiamo dovuto studiare il nostro territorio mappando le potenziali attività commerciali che avrebbero potuto prendere parte al progetto. Andando negozio per negozio, non solo per farsi conoscere ma soprattutto per parlare di spreco alimentare e capire con loro quali potevano essere i potenziali prodotti che si potevano salvare evitando quindi di buttare cibo buono tra i rifiuti.

La risposta della categoria è stata positiva. Sia quando il commerciante decideva di aderire, sia quando non aderiva perché contemporaneamente aveva già attivato una qualche modalità di gestione delle eccedenze e in alcuni casi scoprendo che gli stessi commercianti avevano già creato una micro rete informale di aiuti alimentari.



In quanti siete a far vivere il progetto?

A gestire il progetto siamo circa una trentina. Ci siamo divisi in sotto gruppi così da garantire ogni giorno la presenza e disponibilità di cinque/sei persone per le attività di recupero e ridistribuzione. Va da se che l’orario in cui avviene il grosso delle nostre attività è quello serale dalle 19 alle 22 corrispondente all’orario di chiusura delle attività commerciali.

Quando il commerciante, prima della chiusura, si rende conto che della merce è rimasta invenduta (come per esempio pane, focaccia, croissant) ci contatta e noi passiamo a recuperarle. Non è stato semplice far comprendere ai commercianti che il nostro lavoro ha come focus la riduzione degli sprechi. Infatti all’inizio venivamo contattati per recuperare donazioni e quindi, in corso d’opera, la nostra si è trasformata anche in una azione di educazione e sensibilizzazione al contrasto degli sprechi alimentari.

Cosa recuperate e a quanto ammonta lo spreco che riuscite a evitare?

In linea generale recuperiamo pane e prodotti da forno, frutta e verdura, prodotti dolciari, scatolame e imbustati prossimi alla scadenza. Ogni giorno le quantità variano, ma questo è normale. Da giugno 2019 abbiamo realizzato più di 200 interventi di recupero in più di 20 attività commerciali che hanno deciso di aderire al progetto. A queste attività commerciali, in periodo pre-covid, si era aggiunta anche una sala ricevimento che al bisogno ci contattava per ritirare le eccedenze. Solo per fare un esempio di quello che recuperiamo, nel solo mese di gennaio con 23 interventi abbiamo recuperato 150 cornetti, 30 cassette di ortofrutta, 16 kg di focaccia e 15 kg di pane. Tutto cibo buono che sarebbe diventato un rifiuto e che probabilmente sarebbe finito nell’indifferenziata.

Stiamo notando che nell’ultimo anno la quantità di cibo recuperato sta calando, non in maniera drastica, ma il trend è quello. Probabilmente questo significa che il nostro lavoro sta dando i suoi frutti. Infatti notiamo che sono sempre di più i commercianti attenti e sensibili al tema. L’esempio più vistoso è quello dei panifici che nel tempo hanno diminuito le eccedenze perché, a loro detta, si sono concentrati di più sull’ottimizzare la produzione. Per noi questo è un successo, significa che il tema dello spreco alimentare è diventato centrale e sentito.



Scorrendo la vostra pagina Facebook ci si iabatte ne ‘La caccia alla avanzo, cosa è?

Prima della pandemia, con cadenza mensile o quasi, organizzavamo la caccia all’avanzo. Che non è altro che una vera e propria caccia agli sprechi. Grazie alla mappatura che abbiamo realizzato delle attività commerciali, muniti di biciclette, carrelli della spesa e anche con dei risciò giriamo la città recuperando le eccedenze. Vedere più di venti persone rumorose e colorate che si muovono per la città alla ricerca dello spreco non è solo una attività che ci permette di recuperare di più, ma diventa un messaggio a commercianti e cittadini per sensibilizzarli sul tema. Perché la gente quando ci vede in giro ci ferma, ci chiede cosa stiamo facendo e contemporaneamente comincia riflettere o comunque inizia a porsi il problema, e dopo ogni caccia il numero dei commercianti che si uniscono a noi aumenta. Durante l’ultima caccia all’avanzo un cittadino ci ha fermato, conosceva vagamente qualcosa in merito alla nostra attività, ma dopo un veloce scambio di pensieri e riflessioni si è allontanato per poi raggiungerci e donarci due casse di latte prossime alla scadenza dicendoci ‘prendetele voi perché io non riuscirò mai a consumare tutto questo latte’.

Come funziona la ridistribuzione?

La ridistribuzione avviene immediatamente subito dopo l’azione di recupero, semplicemente perché questa è la modalità più sicura per garantire un cibo buono e di qualità ai nostri beneficiari. Ti faccio un esempio. Alle ore 21 riceviamo la chiamata dal panificio, il referente del giorno smista la segnalazione a chi fisicamente si occuperà del recupero. Una volta ritirata l’eccedenza consultiamo i beneficiari e i recuperatori partono alla volta del beneficiario che in quel momento necessita di quel particolare prodotto. Ovviamente ottimizziamo i tempi così quando andiamo dalla signora Maria (nome comune di fantasia) portiamo tutto quello che le mancava integrandolo con le altre derrate recuperate in giornata.



Avete mai provato a fare un calcolo dei beneficiari serviti dal progetto?

Non è facile individuare il numero preciso. Parliamo di una media mensile di 15 famiglie, famiglie delle più disparate. Ci sono coppie con tre, quattro e ancora più figli, ci sono situazioni dove noi consegniamo il cibo a una famiglia di anziani ma capiamo che questa consegna servirà ad aiutare anche le famiglie dei loro figli. A Terlizzi la povertà c’è e ci sono molti più poveri di quelli che possiamo immaginare. Il lockdown ha fatto emergere ancora di più e tutti insieme i problemi delle fasce più deboli della nostra comunità.

Da volontaria cosa significa impegnarsi su queste tematiche?

Il volontariato è una attività impegnativa. Sottratte del tempo all’io per dedicarlo all’altro che ha bisogno di un aiuto perché da solo non ce la fa, è una sfida che vale la pena abbracciare. Poi se lo si fa in un progetto dalla duplice valenza come questo, da un lato quella ambientale con la lotta agli sprechi e dall’altro quella dell’emergenza alimentare cercando di aiutare il più possibile chi si trova in difficoltà, la fatica è doppia ma doppie sono anche le soddisfazioni.

fonte: www.ecodallecitta.it


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ScartOff, l’ecobottega artigianale di comunità. “Dai rifiuti ricaviamo bellezza”

Dal 2013 il laboratorio artigianale coinvolge cittadini, artigiani e imprese nella sfida di trovare una nuova vita ai materiali di scarto attraverso il design e la creatività. La sua ideatrice, Michela Raciola, racconta la genesi di un progetto giovane e che guarda al futuro: "Tutto nasce in Serbia"



“Dar valore alla pratica del riuso prima del riciclo” è il principio da cui, nella mente di Michela Rociola, muove i primi passi l’idea di un’ecobottega. Passi fatti su una strada, che parte da una discarica in Serbia e arriva a Barletta. È quella dell’upcycling, che unisce valore artistico e funzionalità attraverso il design ecosostenibile. Michela la intravede dopo una laurea in scenografia e un master in progettazione sostenibile.

“L’ho scelta – racconta – per sentirmi più utile dopo un’esperienza importante sia dal punto di vista umano che ambientale. Sono stata selezionata per un progetto di gemellaggio tra l’Accademia delle Belle Arti di Firenze e quella di Belgrado. Per sei mesi abbiamo lavorato in una discarica a cielo aperto con lo scopo di far uscire bellezza da quel cumulo di rifiuti. Quella è stata la mia prima sfida nell’economia circolare. Un conto è quando lo ascolti dai racconti, un altro quanto lo tocchi con mano”. Così è scattata in Serbia la scintilla che ha dato vita all’associazione culturale ScartOff e alla prima ecobottega di artigianato e riuso creativo in Puglia.

Designer e artigiani per la riduzione dei rifiuti

Niente più scarti perché sono risorse: si evince già dal nome, ScartOff, che apre i battenti a Barletta nel 2013. Il recupero dei sottoprodotti e degli oggetti in disuso attraverso la progettazione creativa fanno di questo laboratorio – censito nell’Atlante Italiano dell’Economia Circolare – un chiaro esempio di economia circolare e rigenerativa che unisce le vecchie tecniche artigianali in via di estinzione al valore ambientale intrinseco alle pratiche di upcycling. Un riconoscimento che, ancora prima, arriva per il progetto Ri_fatti non parole, vincitore nel 2012 del bando della regione Puglia Principi Attivi, con cui Michela Rociola, presidente dell’associazione, ha richiamato artigiani, designers, makers e creativi del territorio che si riconoscono nei suoi stessi principi.

Inizia così la produzione di gadget personalizzabili, accessori, complementi d’arredo e allestimenti con materiali di scarto – legno, alluminio, tessuti, plexiglass, pannelli plastici, PVC in fogli, ceramiche, gomma, sughero, sacchi di iuta provenienti dalle torrefazioni e tutto ciò che si presta per essere recuperato – organizzati in 15 settori nel magazzino dietro il negozio. Come spiega Michela “ci lega la passione per l’artigianato, i lavori manuali e la voglia di votare la nostra esperienza professionale alla conservazione dell’ambiente. Il laboratorio è uno spazio sempre aperto a chi vuole condividere idee, competenze e strumenti o esporre le proprie creazioni”.

Un laboratorio di comunità

Alla produzione si affianca la necessità di farsi conoscere e far comprendere un modello produttivo e di progettazione sostenibile, che si ispira all’economia circolare e mira alla riduzione dei rifiuti per il benessere collettivo. Con questa consapevolezza il gruppo di creativi ha avviato da subito un’azione di coinvolgimento dei concittadini, che è passata nelle scuole e nelle piazze.

“Inizialmente è stato difficile far capire che ScartOff non era un mercatino dell’usato ma un posto in cui le cose vengono trasformate e reinventate per dargli una vita nuova” racconta la presidente dell’associazione. Un vecchio vinile, disco rotto, che diventa un orologio per battere un tempo nuovo. Pneumatici dismessi si trasformano in pezzi di arredamento foderato con ritagli di stoffe variopinte. “Di volta in volta abbiamo spiegato come nasce un oggetto all’interno di queste mura, e il dubbio di fronte alla novità si è trasformato in curiosità – prosegue – C’è stata anche una campagna, attraverso una tessera di raccolta punti, ecopunti, per invitare le persone a portare in laboratorio ciò che non usano più”.

Oggi, dopo sette anni, la relazione è consolidata, “molti cittadini hanno accolto anche l’idea di fare formazione dentro l’ecobottega e tanti, prima di buttare qualcosa, ci fanno la stessa domanda: questo vi può servire?” afferma con orgoglio la giovane designer. L’associazione è un filo rosso che, con le sue iniziative, ha attraversato tutta la città raggiungendo circa 50.000 persone.

I numeri del recupero

Nel 2018 si aggiunge un tassello chiave per la mission di ScartOff, il coinvolgimento delle imprese, “grazie alla Camera di Commercio, abbiamo avuto l’opportunità di entrare nell’elenco sottoprodotti come utilizzatori, ovvero un ente che può recuperare gli scarti e gli sfridi delle imprese prima che vengano classificati come rifiuti. Ancora oggi siamo gli unici nella provincia di Barletta-Andria-Trani (BAT)” spiega l’ideatrice di ScartOff. Un percorso passato per la mappatura delle imprese manifatturiere e che, messo a sistema, ha portato alla collaborazione con circa 20 imprese e a un recupero costante dei materiali di scarto, fino ad arrivare a circa 6 tonnellate all’anno. Un peso importante non solo per l’ambiente ma anche per le aziende che così possono evitare i costi di smaltimento.

L’educazione al riuso e il progetto Loop

Le attività di ScartOff vanno oltre la produzione. Ogni anno vengono realizzati laboratori di educazione ambientale che coinvolgono scuole e altre realtà della città o dedicati alla valorizzazione del talento creativo di soggetti con disabilità. Non mancano i percorsi di formazione per chi vuole imparare il riuso fai da te o per studenti che si incamminano sulla strada dell’eco-design.

Ridurre la produzione dei rifiuti coinvolgendo le nuove generazioni è uno degli obiettivi dell’associazione. E la partnership con le realtà pubbliche e private è stato il trampolino di lancio per partecipare al bando B Circular, fight climate change! – 2 NoPlanetB con il progetto Loop: un circuito virtuoso che porta i progetti di educazione per gli studenti ad avere una ricaduta pratica.

“Loop è stato l’unico selezionato per la Puglia – racconta ancora Rociola – Lo abbiamo realizzato insieme a due partner: l’istituto di istruzione secondaria superiore ‘N. Garrone’ e l’azienda Fabbrica 42, entrambi di Barletta, e con il supporto di Fondazione Con il Sud, Fondazione punto.sud e European Commission – Development & Cooperation – EuropeAid. Abbiamo coinvolto 40 studenti e studentesse dell’indirizzo di grafica e design. Seguendo le linee guida per la realizzazione di oggetti con caratteristiche rispondenti al modello circolare – allungamento alla vita del prodotto, riciclabilità e monomatericità – la classe di design ha progettato gadget ecosostenibili con gli sfridi delle trenta aziende della provincia BAT che hanno aderito all’iniziativa. L’altra anima di Loop è la campagna di sensibilizzazione ideata dalla classe di grafica. I ragazzi e le ragazze hanno elaborato un contest per fotografi, artisti e designer, e una guida al riuso, ricca di consigli e giochi didattici. La campagna si è poi conclusa con un’azione di guerrilla marketing: sotto il palazzo del Comune è stata esposta una clessidra alta tre metri con dentro un mondo che si sgretola diventando rifiuto. Vederli parlare alla città attraverso l’arte e la creatività e spiegare ai passanti incuriositi quale fosse il messaggio di quella installazione è stato coinvolgente”.

Progetti per il futuro

ScartOff è giovane e guarda lontano. “Loop – specifica Rociola – è un progetto pilota che si concluderà con la redazione di un vademecum, grazie anche al supporto dell’albo dei gestori ambientali, utile per rendere l’esperienza replicabile. È stato possibile attuare il progetto perché la regione Puglia, circa due anni fa, ha firmato la Carta Italiana per l’Economia Circolare, anche se poi, di fatto, nulla di simile era ancora stato messo a sistema. Il prossimo passo sarà quello di presentare il vademecum agli enti regionali per estendere l’iniziativa su scala regionale”. L’associazione però, ci confida Michela, insegue anche un altro sogno: aprire un centro del riuso.

fonte: economiacircolare.com


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Clean Up Italia: la rete dei cittadini che ci liberano dai rifiuti abbandonati – Io faccio così #286

Clean Up Italia è una rete informale comprendente circa sessanta associazioni in Italia, composte da quei gruppi di persone che si prodigano attivamente per la rimozione di rifiuti abbandonati nell’ambiente. Gabriele Vetruccio ne è uno dei fondatori, insieme a Gianluca Parodi. In questo articolo e nel video al suo interno, ci spiega le caratteristiche di questa rete e l’esperienza di Clean Up Tricase, il gruppo pugliese di cui Gabriele fa parte.




Ha un sapore beffardo, in queste ore, scrivere questo articolo e montare il video che vedrete qui sotto. Per raggiungere Tricase, comune salentino situato nel Capo di Leuca, abbiamo fatto un viaggio molto lungo da Roma: in queste ore di quarantena forzata rimpiango (fortemente!) questi momenti che abbiamo vissuto. È stato un lungo viaggio, ma ripagato completamente dalla scoperta di un gruppo di persone splendide: quello di Clean Up Tricase e la realtà che ci ospita, lo spazio “Celacanto Bene Comune” del quale vi racconteremo nelle prossime settimane.

Il motore di questo incontro è stato Gabriele Vetruccio, che oltre a essere il Presidente di Clean Up Tricase è il co-fondatore, insieme a Gianluca Parodi, della rete nazionale Clean Up Italia.





«Io ho un’abitudine – ci racconta Gabriele – che è quella di fare il bagno al mare tutto l’anno. Ogni volta che andavo, raccoglievo ogni giorno la stessa quantità di rifiuti. Tramite un post Facebook, proposi un incontro pubblico nella quale parteciparono i primi membri della rete di Clean Up Tricase. Probabilmente questo stesso bisogno credo sia alla base della creazione delle altre realtà territoriali, così come le differenti problematiche legate al tema dei rifiuti nei diversi territori italiani».

Gabriele ci introduce così alla scoperta di Clean Up Italia, una rete informale e virtuale che si prefigge di accogliere al suo interno tutti quei gruppi di persone che si prodigano attivamente per la rimozione di rifiuti abbandonati nell’ambiente. Provenienti da diverse parti d’Italia, le circa sessanta associazioni attive nella rete, tramite una pagina Facebook e un gruppo Whatsapp, si scambiano così informazioni, conoscenze ed esperienze e si attivano con i propri membri per ripulire i luoghi invasi dai rifiuti, per valorizzare alcune aree delle città e dei paesi abbandonate al degrado e soprattutto per sensibilizzare i cittadini ad agire piuttosto che a subire questa pratica criminale nei territori.

«Anziché cercare di trovare scusanti, abbiamo deciso di passare all’azione e Clean Up Italia è il contenitore di tutte queste realtà che hanno in comune questa visione», ci spiega Gabriele. «L’obiettivo è unire le forze, mantenendo ognuno la propria indipendenza organizzativa, per essere più incisivi anche a livello nazionale riguardo le possibili soluzioni dal basso per risolvere il problema dei rifiuti abbandonati».

Le linee guida: spinta dal basso e Bene Comune

A Tricase ci accoglie e conosciamo una parte attiva degli oltre cento iscritti alla rete Clean up locale. Una parte di attivisti del gruppo, solitamente ogni due domeniche del mese, si riunisce per andare a pulire un’area, precedentemente individuata, dove ci sono dei rifiuti abbandonati. Oppure per riqualificare una parte del paese che versa in stato di malora. Inoltre, Clean Up Tricase incontra le scuole e la cittadinanza per sensibilizzare costantemente su questo tema.

L’intervento di pulizia, solitamente, viene comunicato anticipatamente all’amministrazione comunale, ma Gabriele ci tiene a specificare un messaggio che è molto importante anche per la rete nazionale: «Non ci interessa sopperire ad una mancanza di tipo amministrativo: anche quando ci arrivano delle segnalazioni da parte dei cittadini riguardo probabili interventi da effettuare, noi solitamente rispondiamo loro di creare un gruppo, che si prende poi la responsabilità di intervenire in prima persona. Noi forniamo tutto l’aiuto di cui la nostra rete è capace: l’obiettivo è che l’iniziativa porti alla responsabilità delle persone, non che si deleghi tutto a noi per poi non agire».

Questo perché uno degli obiettivi principali di ogni gruppo che fa parte della rete di Clean Up è quello di educare le persone alla scoperta del valore del Bene Comune: «Il fatto che solitamente si pulisca fino alla soglia della propria casa, disinteressandosi della strada antistante, significa che non abbiamo ben chiaro il concetto di Bene Comune. La strada è di tutti noi, quello che ci circonda è di tutti, è nostro dovere lasciare pulito».
Il gruppo di Clean up Tricase è oggi un gruppo molto variegato, sia in termini di età (si va dai venti ai settantacinque anni) che in termini di status sociale.

«L’obiettivo, oltre all’espansione della nostra rete al quale stiamo lavorando costantemente, è quello di far capire alle persone che, oltre all’Istituzione, non esiste solo la lamentela ma anche la possibilità di cambiare le cose, impegnandosi con responsabilità in prima persona per risolvere i drammi legati all’abbandono dei rifiuti. Bisogna recuperare la cultura della Bellezza e, se ci focalizziamo solamente sulla paralisi che a volte sembrano dimostrare le amministrazioni in alcune aree delle nostre città, viene meno il nostro ruolo di cittadinanza attiva e, peggio ancora, il problema rimane. È un nostro punto fisso: la promozione delle attività di rimozione rifiuti dei singoli gruppi, al fine di stimolare la partecipazione locale delle rispettive iniziative».

fonte: www.italiachecambia.org

Pannelli solari a chi non può pagare le bollette: in Puglia è legge il reddito energetico regionale. Pronti 5,6 milioni

Il provvedimento proposto dal M5s è passato all'unanimità in consiglio regionale: stanziati 5,6 milioni. Contributi per fotovoltaico e mini eolico a famiglie (prima a quelle indigenti) e condomini: come funziona










C’è l’ok definitivo: in Puglia, prima regione in Italia, il reddito energetico è legge. Dopo l’approvazione con il pieno di voti favorevoli, a marzo, in una seduta congiunta delle commissioni Industria ed Ecologia, anche il consiglio regionale ha detto la sua sulla proposta di legge del M5s, a prima firma del consigliere regionale Antonio Trevisi per l’istituzione del reddito energetico regionale. “Siamo orgogliosi – commenta l’esponente pentastellato – che la Puglia sia la prima Regione in Italia a dotarsi di una legge per l’istituzione del Reddito energetico e ringrazio i colleghi per l’approvazione all’unanimità (anche in commissione la proposta aveva ricevuto i voti favorevoli anche da parte degli esponenti del Pd delle due commissioni)”. La legge arriva dopo l’inaugurazione, a gennaio 2019, del primo progetto di fondo rotativo fotovoltaico, in Italia, inaugurato in via sperimentale dal sindaco di Porto Torres Sean Wheeler con la benedizione del vicepremier Luigi Di Maio e del ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro. “Auspichiamo – aggiunge Trevisi – che presto questa iniziativa sia replicata anche nelle regioniitaliane e a livello europeo”.

I VANTAGGI DELLA LEGGE – Molte Regioni, infatti, si sono interessate alla proposta che, oltre a promuovere la cultura delle energierinnovabili, può contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici grazie a un maggiore rispetto dell’ambiente. “Grazie a questa legge – spiega il consigliere regionale – coniugheremo l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili con l’inclusione sociale, favorendo principalmente i soggetti meno abbienti”. Verranno poi premiati gli utenti che provvederanno a eseguire interventi per la rimozione dell’amianto dai tetti. Il prossimo passo? “Ora speriamo che la Giunta in tempi brevi predisponga il regolamento di attuazione per dare concreto avvio alla misura” con criteri di selezione dei beneficiari per favorire i nuclei in stato di indigenza, i più numerosi e le giovani coppie. Per le utenze condominiali, saranno previsti punteggi in base a diversi criteri, come il numero di appartamenti ad uso residenziale presenti nell’edificio.

COME FUNZIONA – La misura del reddito energetico prevede la concessione di contributi da parte della Regione per ciascun intervento di acquisto e installazione di impianti fotovoltaici o microeolici a servizio delle utenze domestiche. Parte del contributo potrà anche essere utilizzato per l’installazione di impianti solaritermici per la produzione di acqua calda sanitaria. È, inoltre, prevista la possibilità per i condomini di accedere a contributi per l’installazione di impianti fotovoltaici o microeolici e di sistemi di accumulo a servizio delle utenze condominiali. L’energia autoprodotta potrà essere consumata dai beneficiari e quella non utilizzata verrà immessa in rete, mediante il contratto di scambio tra i singoli e il Gestore dei servizi energetici. I beneficiari si impegneranno a cedere alla Regione i crediti così maturati nei confronti del gestore, con cui l’Ente potrà finanziare l’installazione di nuovi impianti, ampliando la platea dei beneficiari.

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/

La Puglia vieta la plastica nei lidi. È la prima Regione in Italia




L'estate pugliese sarà finalmente libera dalla plastica. Dalla prossima stagione estiva 2019 infatti sarà vietata nei lidi la somministrazione di cibo e bevande in materiale monouso non compostabile. La Puglia è la prima regione in Italia: tutti gli stabilimenti balneari dovranno rinunciare alla plastica monouso in favore di materiale ecocompatibile.
“È un risultato prezioso per l’equilibrio futuro del nostro ambiente marino”, ha detto il presidente Michele Emiliano.

La decisione è stata presa durante un incontro con ambientalisti e balneari. I rappresentanti degli stabilimenti hanno condiviso all’unanimità la decisione sin da questa stagione estiva. È un risultato storico per la difesa dell’ambiente e del mare. Oltre l’80% dei rifiuti marini è infatti costituito da plastica e oltre il 27% da attrezzi da pesca smarriti o abbandonati in acqua, come le reti e i fili.

La decisione pugliese è in linea con la proposta della Commissione Europea, approvata pochi mesi fa, di vietare dal 2021 la vendita di articoli in plastica monouso: grazie alla nuova direttiva, si eviterebbe l’emissione di 3,4 milioni di tonnellate di CO2, danni ambientali pari a 22 miliardi di euro entro il 2030 e si produrrà un risparmio per i consumatori di 6,5 miliardi di euro.
“Così come già previsto dalla legge di bilancio approvata lo scorso dicembre, la Regione Puglia metterà a disposizione una dotazione finanziaria di 250mila euro per i Comuni e gli organizzatori di eventi che, in occasione di sagre e altre manifestazioni pubbliche, si impegneranno a ridurre la produzione dei rifiuti e ad incrementare la raccolta differenziata“. Lo ha annunciato l’assessore all’Ambiente della Regione Puglia, Gianni Stea.
Il contributo potrà essere concesso per eventi, sagre, feste patronali e ogni altra manifestazione ricreativa, culturale, sportiva purché plastic free.
fonte: http://www.facemagazine.it

UN DECRETO DI VELENI IN PUGLIA A CIELO APERTO
















Nel centro-sud della Puglia stiamo vivendo momenti tragici dal punto di vista ambientale e salutare e abbiamo bisogno di far girare quanto sta avvenendo quaggiù perché solo così potremmo far cambiare le cose. A causa al Decreto Martina del 13.02.2018 a partire dal mese di maggio 2018, comincerà l'irrorazione FORZATA di insetticidi, a base di Neonicotinoidi, che si protrarrà da Maggio ad Agosto per 2 interventi più altri 2 fino a dicembre, per tutto il territorio agricolo compreso tra l'Adriatico e lo Ionio e da Martina F. Locorotondo e Fasano fino al Capo di Lecce, 4.2 Milioni di litri di insetticida x 700.000 Ettari circa di territorio. Sia l'aria che i prodotti alimentari Pugliesi saranno potenzialmente contaminati da insetticidi a base di Neonicotinoidi, neurotossici per insetti impollinatori, Molto tossici per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata (H410).
In più il decreto:  ( gazzettaufficiale.it/eli/gu/2018/04/06/80/sg/pdf ) obbliga a mezza regione Puglia, da Martina F. - Fasano a S. Maria di Leuca, l'aratura e/o diserbo, meccanico o chimico di tutti i campi urbani ed extra-urbani. Una misura del genere in un periodo di piena fioritura come Aprile, mese in cui le Api e Bombi fanno il "pieno" alimentare in vista della stagione secca e siccitosa estiva, provoca la sicura decimazione (o estinzione) dei pronubi in mezza Puglia, e della biodiversità delle piante selvatiche da cui provengono le verdure che oggi mangiamo.
Dal 2013 ad oggi ci sono una marea di situazioni incredibilmente paradossali ma forzate dai "Teatranti" (per es. le prove scientifiche prodotte dal CNR di Bari che dimostrano la correlazione di causalità tra batterio Xylella e Disseccamento Rapido in realtà dimostrano il contrario per imporre delle misure fortemente invasive. E' chiaro che il vero "regista " non si vede, ma in questo momento storico, in cui c'è un vero e proprio assalto alla diligenza Italia grazie all'avvento Neoliberista, è facile intuire quali multinazionali abbiano potuto creare il l'opera.
I danni causati dalle pratiche agricole imposte dal Decreto Martina, cioè l'uso indiscriminato di insetticidi nicotinoidi unito alle lavorazioni meccaniche (arature) e chimiche (erbicidi) in aprile causerebbero un danno incalcolabile e dalle conseguenze non prevedibili (come dice EFSA) in quanto la decimazione degli insetti impollinatori provocherebbe non solo il crollo di produzione di frutti di alberi, legumi e ortaggi allogami ma causerebbe l'estinzione delle piante Orwellianamente definite "infestanti" ma che costituiscono la fonte di biodiversità da cui deriva la nostra attuale alimentazione vegetale. Nel solo Sud Italia esiste il 30% di biodiverstà europea, oltre all'incalcolabile danno al turismo, che si troverebbe a villeggiare in mezzo alle irrorazioni di insetticidi e isole desertiche di ulivi eradicati a causa del provvedimento.
Comunque, anche se questa epidemia di Xylella fosse vera, diventa sicuramente di secondaria importanza rispetto al dramma di vivere in una regione "gasata" da insetticida "per Decreto", si tratta di un provvedimento davvero inquietante per il futuro Agricolo e Faunistico di questa regione. No, a queste misure nocive, perché saremo perduti se dimenticassimo che: "I frutti della Terra appartengono a tutti e la Terra non appartiene a nessuno. J.J.Rousseau"

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Eccedenze alimentari: nasce il modello pugliese per il recupero

Siglato il protocollo tra la Regione, l’Anci e varie organizzazioni del settore. Al via nuovi fondi per finanziare le attività di recupero delle risorse alimentari e dei prodotti farmaceutici



















La Puglia inaugura il primo modello regionale di recupero e riutilizzo delle eccedenze alimentari ai fini di solidarietà sociale. Una buona pratica sostenuta dal protocollo d’intesa firmato in questi giorni dal presidente della Regione Michele Emiliano con il vicepresidente dell’Anci regionale Francesco Crudele e varie Organizzazioni del Terzo Settore. L’intesa ha un preciso obiettivo: dare attuazione alla legge regionale n. 13/2017, provvedimento nato per tutelare le fasce più deboli della popolazione incentivando la riduzione degli sprechi sia sul fronte alimentare che su quello dei prodotti farmaceutici.


Nel dettaglio la legge prevede di ridurre l’impatto ambientale causato in questi due settori, attraverso il recupero e la redistribuzione delle eccedenze e attività di informazione e sensibilizzazione degli operatori dei due comparti e dei consumatori. “La Regione Puglia – spiega Emiliano – è stata tra le prime Regioni a dare impulso a una propria normativa sulla riduzione degli sprechi alimentari, raccogliendo gli indirizzi della Legge Gadda, perché siamo convinti che queste attività costituiscono uno dei supporti indispensabili per la rete degli interventi di contrasto alla povertà estrema e di pronto intervento sociale. La legge nazionale del 2016 infatti nella sostanza rende più facile la raccolta degli alimenti al limite della scadenza, per poi restituirli alle famiglie che ne abbiano bisogno”.

In questo contesto il nuovo protocollo fissa gli impegni delle parti al fine di creare un vero e proprio modello solidale: si va dalla collaborazione per lo snellimento delle pratiche fiscali, igienico-sanitarie e assicurative relative sia alle procedure di recupero che alle pratiche di redistribuzione e foodsharing, alla promozione di iniziative locali di informazione, educazione e sensibilizzazione sui temi della legge regionale. Per sostenere l’operazione l’amministrazione territoriale ha approvato anche  nuove risorse economiche destinate ai progetti sul tema. “Abbiamo stanziato per il 2017, – continua Emiliano – un primo finanziamento pilota di 600mila euro, destinato per il momento alle sei città capoluogo di provincia, per contribuire alla logistica per la movimentazione delle merci”.
“Nel bilancio di previsione del 2018, – ha aggiunto il consigliere regionale Ruggiero Mennea – c’è un altro finanziamento, oltre a quello che stiamo già spendendo di 600mila euro del 2017, di circa un milione di euro  destinato all’attuazione del protocollo”.

fonte: www.rinnovabili.it