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Avanzi Popolo 2.0, le buone pratiche per contrastare lo spreco alimentare e la loro replicabilità. L’esperienza de ‘La Garra’ a Terlizzi

Paparella: “Il nostro obiettivo è realizzare progetti e azioni che siano utili alla nostra comunità. Fare cose per cambiare le cose”












La Puglia rappresenta da sempre un laboratorio delle buone pratiche, e questa volta la Terra di Bari sta dando il meglio di sé sul contrasto allo spreco alimentare con Avanzi Popolo.

Nato a Bari nel 2014, il progetto si è evoluto realizzando “attività di sensibilizzazione e di educazione rispetto alla gestione delle eccedenze di cibo che rischiano di finire in pattumiera”, creando una piattaforma di foodsharing (www.avanzipopolo.it) ed esportando questa buona pratica fuori dal capoluogo come avvenuto a Triggiano, Terlizzi e Carbonara.

Ed è proprio la replicabilità del progetto un aspetto da non sottovalutare perché rappresenta la chiave di volta per rendere centrale il tema del contrasto allo spreco, non solo all’interno dell’agenda delle istituzioni locali ma soprattutto tra i cittadini andandone a modificare nel concreto i comportamenti.

Per capire meglio, e non solo, come si fa a replicare e mutuare un progetto da un territorio a un altro abbiamo raggiunto Il Circolo Arci ‘La Garra’ di Terlizzi che, nel 2019, ha deciso di replicare l’esperienza dei “cugini” baresi con Avanzi Popolo 2.0.



“L’idea di abbracciare il progetto Avanzi Popolo – dice Gaetano Paparella, presidente de La Garra – nasce con lo stesso spirito con il quale è nata la nostra associazione, ovvero ‘fare delle cose per cambiare le cose’. Il nostro primo obiettivo è quello di realizzare progetti e azioni che siano utili al paese e alla nostra comunità. Siamo partiti dalle buone pratiche già attive attorno a noi per poi provarle a replicare e adattarle al nostro territorio. Nella città di Bari era attivo un bellissimo progetto come quello di Avanzi Popolo 2.0 quindi abbiamo chiesto ai ragazzi di Bari un incontro per confrontarci e provare ad avviare un progetto sul recupero delle eccedenze alimentari anche a Terlizzi. Ci sono voluti quasi quattro mesi per studiare il nostro territorio, capire quali fossero le criticità e creare una rete stabile e virtuosa tra donatori, recuperatori e beneficiari.”

Dove vanno a finire le eccedenze che recuperate?

Se i donatori sono rappresentati dalle attività commerciali, i beneficiari individuati sono la Caritas cittadina (con la quale già durante le prime fasi della pandemia avevamo stretto un accordo per aiutarli durante la distribuzione dei generi alimentari nell’emergenza), le Caritas parrocchiali, alcune famiglie segnalate sempre dalla Caritas e dalle parrocchie alle quali distribuiamo il fresco, ossia tutti gli alimenti deperibili e che quindi consegniamo subito dopo il recupero. Senza dimenticare le derrate che portiamo a Casa Betania, l’unica realtà che a Terlizzi ha una mesa per i bisognosi aperta tutti i giorni a pranzo e a cena e che serve una media di 40 persone.

La parola ora passa ad Elisa, una volontaria de ‘La Garra’, alla quale abbiamo chiesto qualcosa in più su come è strutturato il progetto.

La fase di avvio del progetto come è stata accolta dai commercianti?

Il progetto è partito a Terlizzi a giugno 2019 ma la fase di progettazione è cominciata a febbraio. Quattro mesi di gestazione nei quali, oltre al confronto proficuo con i nostri cugini di Bari, abbiamo dovuto studiare il nostro territorio mappando le potenziali attività commerciali che avrebbero potuto prendere parte al progetto. Andando negozio per negozio, non solo per farsi conoscere ma soprattutto per parlare di spreco alimentare e capire con loro quali potevano essere i potenziali prodotti che si potevano salvare evitando quindi di buttare cibo buono tra i rifiuti.

La risposta della categoria è stata positiva. Sia quando il commerciante decideva di aderire, sia quando non aderiva perché contemporaneamente aveva già attivato una qualche modalità di gestione delle eccedenze e in alcuni casi scoprendo che gli stessi commercianti avevano già creato una micro rete informale di aiuti alimentari.



In quanti siete a far vivere il progetto?

A gestire il progetto siamo circa una trentina. Ci siamo divisi in sotto gruppi così da garantire ogni giorno la presenza e disponibilità di cinque/sei persone per le attività di recupero e ridistribuzione. Va da se che l’orario in cui avviene il grosso delle nostre attività è quello serale dalle 19 alle 22 corrispondente all’orario di chiusura delle attività commerciali.

Quando il commerciante, prima della chiusura, si rende conto che della merce è rimasta invenduta (come per esempio pane, focaccia, croissant) ci contatta e noi passiamo a recuperarle. Non è stato semplice far comprendere ai commercianti che il nostro lavoro ha come focus la riduzione degli sprechi. Infatti all’inizio venivamo contattati per recuperare donazioni e quindi, in corso d’opera, la nostra si è trasformata anche in una azione di educazione e sensibilizzazione al contrasto degli sprechi alimentari.

Cosa recuperate e a quanto ammonta lo spreco che riuscite a evitare?

In linea generale recuperiamo pane e prodotti da forno, frutta e verdura, prodotti dolciari, scatolame e imbustati prossimi alla scadenza. Ogni giorno le quantità variano, ma questo è normale. Da giugno 2019 abbiamo realizzato più di 200 interventi di recupero in più di 20 attività commerciali che hanno deciso di aderire al progetto. A queste attività commerciali, in periodo pre-covid, si era aggiunta anche una sala ricevimento che al bisogno ci contattava per ritirare le eccedenze. Solo per fare un esempio di quello che recuperiamo, nel solo mese di gennaio con 23 interventi abbiamo recuperato 150 cornetti, 30 cassette di ortofrutta, 16 kg di focaccia e 15 kg di pane. Tutto cibo buono che sarebbe diventato un rifiuto e che probabilmente sarebbe finito nell’indifferenziata.

Stiamo notando che nell’ultimo anno la quantità di cibo recuperato sta calando, non in maniera drastica, ma il trend è quello. Probabilmente questo significa che il nostro lavoro sta dando i suoi frutti. Infatti notiamo che sono sempre di più i commercianti attenti e sensibili al tema. L’esempio più vistoso è quello dei panifici che nel tempo hanno diminuito le eccedenze perché, a loro detta, si sono concentrati di più sull’ottimizzare la produzione. Per noi questo è un successo, significa che il tema dello spreco alimentare è diventato centrale e sentito.



Scorrendo la vostra pagina Facebook ci si iabatte ne ‘La caccia alla avanzo, cosa è?

Prima della pandemia, con cadenza mensile o quasi, organizzavamo la caccia all’avanzo. Che non è altro che una vera e propria caccia agli sprechi. Grazie alla mappatura che abbiamo realizzato delle attività commerciali, muniti di biciclette, carrelli della spesa e anche con dei risciò giriamo la città recuperando le eccedenze. Vedere più di venti persone rumorose e colorate che si muovono per la città alla ricerca dello spreco non è solo una attività che ci permette di recuperare di più, ma diventa un messaggio a commercianti e cittadini per sensibilizzarli sul tema. Perché la gente quando ci vede in giro ci ferma, ci chiede cosa stiamo facendo e contemporaneamente comincia riflettere o comunque inizia a porsi il problema, e dopo ogni caccia il numero dei commercianti che si uniscono a noi aumenta. Durante l’ultima caccia all’avanzo un cittadino ci ha fermato, conosceva vagamente qualcosa in merito alla nostra attività, ma dopo un veloce scambio di pensieri e riflessioni si è allontanato per poi raggiungerci e donarci due casse di latte prossime alla scadenza dicendoci ‘prendetele voi perché io non riuscirò mai a consumare tutto questo latte’.

Come funziona la ridistribuzione?

La ridistribuzione avviene immediatamente subito dopo l’azione di recupero, semplicemente perché questa è la modalità più sicura per garantire un cibo buono e di qualità ai nostri beneficiari. Ti faccio un esempio. Alle ore 21 riceviamo la chiamata dal panificio, il referente del giorno smista la segnalazione a chi fisicamente si occuperà del recupero. Una volta ritirata l’eccedenza consultiamo i beneficiari e i recuperatori partono alla volta del beneficiario che in quel momento necessita di quel particolare prodotto. Ovviamente ottimizziamo i tempi così quando andiamo dalla signora Maria (nome comune di fantasia) portiamo tutto quello che le mancava integrandolo con le altre derrate recuperate in giornata.



Avete mai provato a fare un calcolo dei beneficiari serviti dal progetto?

Non è facile individuare il numero preciso. Parliamo di una media mensile di 15 famiglie, famiglie delle più disparate. Ci sono coppie con tre, quattro e ancora più figli, ci sono situazioni dove noi consegniamo il cibo a una famiglia di anziani ma capiamo che questa consegna servirà ad aiutare anche le famiglie dei loro figli. A Terlizzi la povertà c’è e ci sono molti più poveri di quelli che possiamo immaginare. Il lockdown ha fatto emergere ancora di più e tutti insieme i problemi delle fasce più deboli della nostra comunità.

Da volontaria cosa significa impegnarsi su queste tematiche?

Il volontariato è una attività impegnativa. Sottratte del tempo all’io per dedicarlo all’altro che ha bisogno di un aiuto perché da solo non ce la fa, è una sfida che vale la pena abbracciare. Poi se lo si fa in un progetto dalla duplice valenza come questo, da un lato quella ambientale con la lotta agli sprechi e dall’altro quella dell’emergenza alimentare cercando di aiutare il più possibile chi si trova in difficoltà, la fatica è doppia ma doppie sono anche le soddisfazioni.

fonte: www.ecodallecitta.it


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La rete genovese che rivoluziona il riciclo delle eccedenze alimentari: la storia di Ricibo

Un progetto per il recupero e la ridistribuzione delle eccedenze alimentari, attivo sul territorio genovese dal 2017. Grazie alla piattaforma che incrocia domanda e offerta, Ricibo ha dato vita a una fitta rete che lega pubblico e privato con profit e non-profit perseguendo un obiettivo semplice, ma ambizioso: puntare a una città a spreco zero.











Ogni settimana sprechiamo poco meno di 5 euro in alimenti che non riusciamo a gestire adeguatamente, il che ci porta a un dato nazionale di 6,5 miliardi di euro “sprecati” dalle famiglie italiane. Un dato in calo del 25% rispetto all’ultimo Rapporto Waste Watcher 2019, che registrava un valore di circa 6,60 euro di cibo sprecato settimanalmente. Un buon risultato, certo, ma si può fare ancora di meglio.

A Genova un progetto coordinato dalla Comunità di San Benedetto abbassa la media nazionale: si chiama Ricibo e mette in rete le associazioni attive nella ridistribuzione di cibo a sostegno alle persone in situazione di disagio economico, offrendo strumenti per migliorare l’efficacia del proprio intervento e, allo stesso tempo, implementare il recupero delle eccedenze alimentari.

Abbiamo incontrato Marco Malfatto, il responsabile della rete RICIBO, che ci ha raccontato com’è nato e come si sta sviluppando il progetto.



COSA FA RICIBO

«Delle quasi diecimila tonnellate di cibo sprecato annualmente a Genova, Ricibo ne raccoglie circa 180 tonnellate. Si tratta di prodotti freschi e di altissima qualità, provenienti da mercati, rosticcerie, negozi, traghetti, mense scolastiche e industrie alimentari». A Genova ci sono almeno duecento realtà che si occupano di raccolta e ridistribuzione di cibo a mense sociali, case famiglia e persone in difficoltà e si contano più di 170 servizi tra mense, social market, centri di consegna dei pacchi alimentari: spesso, però, queste associazioni non si conoscono tra loro, con il risultato che il recupero di eccedenze alimentari è complessivamente molto più basso rispetto a quello potenziale.

UNA RETE, UNA COMUNITÀ, UN PROGETTO: INSIEME SI VA PIÙ LONTANO

«Nato da un accordo di rete promosso dal Comune di Genova, proprio per ovviare alle carenze logistiche e organizzative delle singole associazioni attive sul territorio, Ricibo segue fedelmente una logica di “comunità” ed è la cooperazione ad aumentare la sinergia tra i vari progetti in corso, raggiungendo con sempre maggiore capillarità le fasce più fragili dei luoghi in cui abitiamo». La rete è anche un progetto, sostenuto dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione Carige, con la Comunità di San Benedetto come capofila, che opera in stretta collaborazione con sette partner che hanno raccolto l’istanza del Comune, sottoscrivendo l’accordo insieme ad altre cinquanta associazioni del territorio.

L’APP

Bring the food è l’App che è stata progettata per semplificare la procedura per la donazione degli alimenti: oltre a preparare in anticipo tutta la documentazione ai fini degli sgravi fiscali previsti, agevola l’incrocio di domanda e di offerta, collegando il profilo del negozio o del ristorante a quello dell’associazione e dei volontari che ritireranno in loco le donazioni. Per poterla scaricare, però, occorre inviare una mail all’indirizzo info@ricibo.org, indicando i dati dell’azienda (ragione sociale, indirizzo P. Iva e mail).

LA MATRICE IDENTITARIA

«Ricibo costruisce un senso di identità delle associazioni aderenti rispetto al tema del cibo: le realtà che aderiscono sono consapevoli di essere all’interno di un rete che funziona e che consente di conoscersi, collaborare e creare reti dentro le reti». In questo modo, i valori e la filosofia di ogni singola realtà si fondono insieme, mantenendo la propria identità, ma riconoscendosi in un obiettivo comune. Attraverso la sua rete, Ricibo mette, quindi, insieme i tasselli di una comunità solidale a tutto tondo. Per cambiare il mondo, un chilo di cibo recuperato alla volta.

fonte: www.italiachecambia.org


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