Uno studio condotto da ricercatori cinesi ha trovato prove che i prodotti erbicidi commerciali a base di glifosato, come il RoundUp della Bayer-Monsanto, sono dannosi per le api mellifere anche alle concentrazioni raccomandate o inferiori alla stessa. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Report del network di Nature e mostrano come l’azione del glifosato sugli insetti più operosi ne riduca proprio le capacità operative.
I ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze agricole di Pechino e del Chinese Bureau of Landscape and Forestry, hanno affermato di aver riscontrato una serie di effetti negativi sulle api mellifere esponendole al Roundup. In particolar modo la memoria delle api era “significativamente compromessa dopo l’esposizione a Roundup”, suggerendo che l’esposizione cronica delle api mellifere al famigerato erbicida “può avere un impatto negativo sulla ricerca e la raccolta di materia prima e sul coordinamento delle attività di foraggiamento” per la produzione del miele. Dall’esposizione al glifosato sarebbe compromesso anche la capacità di “arrampicata” delle api, cioè la capacità di risalita degli impollinatori.
I ricercatori hanno concluso stabilendo che c’è bisogno di un “sistema di allarme rapido in caso di irrorazione di erbicidi” perchè troppo “frequenti sono gli episodi di avvelenamento delle api da miele”.
fonte: https://ilsalvagente.it
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Glifosato. La multinazionale tedesca Bayer ha raggiunto accordi verbali per risolvere una parte sostanziale delle circa 125.000 cause per cancro per l’uso del diserbante Roundup.
La notizia arriva dall’agenzie giornalistica Bloomberg, parlando di fonti confidenziali e spiegando che sono tra 50.000 e 85.000 gli accordi in questione, che farebbero parte dei 10 miliardi di dollari con cui Bayer prevede di mettere fine a questa battaglia legale, ereditata con l’acquisto di Monsanto.
L’accordo, che per ora è solo verbale e che sarà firmato nelle prossime settimane, è stato da subito considerato rassicurante dal mercato che ha registrato un salto in su del 7,7% (a 62,1 euro) delle azioni Bayer alla Borsa di Francoforte.
Con il patteggiamento, la multinazionale tedesca punta a risolvere le azioni legali che potrebbero portare ulteriori danni economici per la multinazionale.
Sono già 125.000 in totale le cause intentate alla Bayer ed ereditate con l’acquisizione della Monsanto nel 2018.
Quella dei contenziosi che rischiano di finire nelle aule dei tribunali è diventata una priorità per Bayer e per questo l’ad, Werner Baumann, consapevole dei precedenti casi legali finiti male e costati già miliardi di dollari anche a causa del crollo del valore delle azioni della società, ha deciso di destinare 10 miliardi di dollari pur di scrivere la parola fine alla questione.
Si tratta di una scelta vantaggiosa per la Bayer, dal momento che con l’acquisizione della Monsanto non solo ha ‘ereditato’ questi contenziosi ma le sue azioni hanno perso circa un terso del loro valore, bruciando oltre 30 miliardi di dollari.
In particolare, 8 miliardi di dollari andrebbero alle cause già in corso mentre i restanti altri 2 miliardi verrebbero riservati per le richieste future da parte di persone che hanno usato Roundup ma che potrebbero non aver ancora sviluppato il linfoma non Hodgkin.
fonte: https://www.teleambiente.it
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Bayer e BASF rischiano di essere travolte da una nuova ondata di cause legali. Già impegnata sul fronte del Roundup e della contaminazione da PCB, la multinazionale tedesca rischia un assedio che potrebbe costarle molto caro
Il giganti tedeschi Bayer e BASF sono alle prese con una nuova ondata di azioni legali intraprese da più parti negli Stati Uniti. Al centro delle cause ci sarebbe il Dicamba, erbicida “ereditato” da Monsanto eritenuto responsabile della distruzione di diverse colture.
L’attenzione dei giudici – che sabato hanno imposto una sanzione per danni ambientali di 265 milioni di dollari a causa della distruzione di un’intera coltura di peschi – si concentra in particolare su Bayer, già “impegnata” sul fronte del Roundup, diserbante dannoso e potenzialmente cancerogeno. Al momento, non è chiaro in che modo saranno ripartite le rispettive responsabilità: nell’aprile del 2018, la compatriota BASF, produttrice dell’erbicida a base di Dicamba per l’uso su semenze geneticamente modificate, aveva infatti firmato un accordo per acquisire da Bayer ulteriori business e asset nel settore della protezione delle colture. In ogni caso, al di là delle sanzioni e dei risarcimenti milionari a cui le aziende rischiano di andare incontro, i crescenti problemi legali sono costati a Bayer un calo del 3,3% nelle azioni, con conseguente perdita per il CEO Werner Baumann del voto di fiducia degli azionisti.
A tutto questo, andranno nei prossimi mesi a sommarsi anche le nuove cause legali riguardanti la dannosità del Dicamba. La decisione di sabato di imporre 250 milioni di dollari di multai oltre ai 15 per risarcire l’agricoltore Bill Bader potrebbe infatti incoraggiare altri coltivatori dell’Arkansas e dell’Illinois ad intraprendere simili azioni legali.
Le aziende si sono difese affermando che dei danni alle colture sarebbero responsabili gli agricoltori, colpevoli d’aver applicato la sostanza chimica in modo errato sia in fatto di procedure che di formulazioni. Bayer ha promesso un ricorso, ma, come dichiarato da uno degli avvocati di Bader, il verdetto dei giudici sembrerebbe in ogni caso inviare un messaggio molto chiaro: “Non esiste un gigante tanto grande dal potersi sottrarre alla legge”.
Il Lussemburgo ha annunciato la messa al bando di tutti i prodotti a base di glifosato, entro la fine del 2020.
Il Lussemburgo diventerà la prima nazione dell’Unione europea ad aver vietato totalmente l’uso di glifosato sul proprio territorio. La decisione è stata annunciata il 16 gennaio dal ministero dell’Agricoltura, che ha indicato appunto il 31 dicembre prossimo come la data-limite entro la quale il pesticida Roundup prodotto dalla Monsanto – oggi di proprietà della tedesca Bayer – sarà messo al bando, assieme a tutti quelli contenente lo stesso composto chimico.
Un piano in tre tappe per dire addio al glifosato
“Si tratta di un passo decisivo nell’ambito di un programma di sostenibilità che punta all’utilizzo di prodotti fitosanitari moderni e rispettosi dell’ambiente”, ha sottolineato in un comunicato il ministro dell’Agricoltura del Granducato, Romain Schneider. Per centrare l’obiettivo, il governo ha individuato tre tappe che dovranno essere raggiunte nel corso dell’anno.
La prima è stata fissata al 1 febbraio: si tratta della data a partire dalla quale verranno ritirate le autorizzazioni all’immissione in commercio dei prodotti a base di glifosato. La seconda tappa è prevista invece per il 30 giugno: entro la metà dell’anno, gli agricoltori che sono in possesso di tali pesticidi saranno chiamati ad esaurire le scorte a disposizione. Potranno essere infine concesse delle deroghe, il limite temperale non potrà superare il 31 dicembre.
In Austria la retromarcia del governo sul pesticida
Va detto che, già oggi, circa il 60 per cento dei coltivatori del Lussemburgo ha rinunciato all’uso di glifosato, secondo i dati diffusi dallo stesso governo. Che alla fine del 2019 ha introdotto a tale scopo un sistema di indennizzi a favore delle aziende: 30 euro per ciascun ettaro coltivato, che crescono a 50 euro nel caso di imprese vitivinicole. Aiuti che tuttavia sono stati giudicati insufficienti dal principale sindacato agricolo del paese.
Il ministro Schneider ritiene tuttavia che la transizione sia possibile. E ha aggiunto che l’obiettivo è di “generare un effetto-traino all’interno dell’Unione europea, tenendo conto del fatto altre nazioni come ad esempio l’Austria stanno avviando programmi simili”. Il governo di Vienna avrebbe dovuto introdurre il divieto di uso di prodotti a base di glifosato a partire dall’inizio di quest’anno. Tuttavia, all’ultimo momento l’esecutivo ha bloccato la proposta di legge.
Sono ormai 2.500 le persone che hanno presentato denunce in Francia contro chi fabbrica pesticidi a base di glifosato e chi ne ha autorizzato la vendita.
Effettuate 5.400 analisi su altrettanti cittadini francesi
“Abbiamo superato ormai le 5.400 analisi ed in quasi la metà dei casi ciò ha portato al deposito di esposti da parte delle persone interessate”, ha fatto sapere Dominique Masset, cofondatore della Campagna Glifosato. I procedimenti sono stati avviato contro tutti i dirigenti in attività delle aziende che fabbricano pesticidi a base di glifosato. Nonché contro gli organismi pubblici europei che ne hanno consentito l’immissione in commercio.
Le ultime denunce, in ordine di tempo, sono state depositate a La Rochelle, sulla costa atlantica, da 42 persone. Nell’atto, una sorta di piccola class-action, si parla senza mezzi termini di “attentato alla vita altrui”, di “truffa” e di “danno ambientale”. “Sporgo denuncia a mio nome contro dieci anni di inazione”, ha dichiarato Dominique Chevillon, presidente del Consiglio economico, sociale e ambientale della regione Nuova Aquitania. Glifosato anche nelle urine di un eurodeputato ecologista
Anche il deputato europeo Benoît Biteau (del gruppo Europe Ecologie – Les Verts) e il presidente dell’associazione Nature Environnement, Patrick Picaud, si sono sottoposti ai test. E hanno ritrovato glifosato nelle loro urine, come già accaduto a centinaia di altri cittadini francesi. Tanto che anche il stesso ministro dell’Agricoltura Didier Guillaume ha parlato di dati “inquietanti”.
Benché al centro di un dibattito scientifico, il glifosato è stato infatti classificato dal Centro internazionale per la ricerca sul cancro (organismo dell’Organizzazione mondiale della sanità) come “probabilmente cancerogeno”. Ciò nel 2015. E da allora la sostanza non è mai stata eliminata dalla lista.
L’azienda biochimica dovrà versare 72 milioni di dollari invece che 2,05 miliardi di dollari a una coppia di agricoltori colpiti da linfoma non-Hodgkin a seguito dell’uso prolungato del Roundup.
Sconto di pena per la Monsanto: il Tribunale superiore della Contea di Alameda, a Oakland, in California, ha ridotto a 86 milioni di dollari (rispetto agli iniziali 2,05 miliardi di dollari) il risarcimento imposto all’azienda biochimica da un precedente verdetto giudiziario in merito all’accusa di una coppia di agricoltori colpiti da linfoma non-Hodgkin a seguito dell’utilizzo per oltre 30 anni del diserbante a base di glifosato Roundup.
Il giudice Wilinifred Smith ha ritenuto sproporzionata e incostituzionale la cifra di 2 miliardi di dollari imposta alla Monsanto come danno punitivo nella causa contro i coniugi Alva e Alberta Pilliod.Smith ha ridotto gl’interessi compensativi imposti all’azienda biochimica e ha poi applicato la regola stabilita dalla Corte Suprema degli Stati Uniti che fissa il limite massimo nel rapporto tra risarcimento e danni puntivi in 9 a 1: in questa maniera, la somma dovuta dalla Monsanto è scesa a circa 72 milioni di dollari (con gli interessi puntivi fatti calare da 55 a 17 milioni di dollari e i danni punitivi da 2 miliardi a 55 milioni di dollari).
Allo stesso tempo, però, il Tribunale superiore della Contea di Alameda ha anche confermato la condanna per la Monsanto:“Ci sono prove chiare e convincenti che la Monsanto si sforzò di impedire, scoraggiare o distorcere l’indagine scientifica”, si legge nella sentenza del giudice Smith.
Monsanto ha accolto con favore la riduzione del risarcimento ma ha annunciato comunque che ricorrerà in appello contro il verdetto di colpevolezza.
I legali dei coniugi Pilliod devono ancora comunicare se la coppia ha deciso di accettare la cifra ridotta imposta dal Tribunale di Alameda.
Già la scorsa estate, un tribunale californiano aveva ridotto da 289 a 78,5 milioni di dollari il risarcimento dovuto da Monsanto al giardiniere scolastico Dewayne Johnson cui era stato diagnosticato la stessa patologia del coniugi Pilliod.
Nei soli Stati Uniti sono oltre 13.400 le cause intentate contro la multinazionale biochimica, di cui buona parte nel solo Stato della California. A metà agosto è previsto l’inizio del primo processo al di fuori dei confini californiani: il nuovo procedimento giudiziario avrà luogo nel Missouri, a Saint Louis, in una regione tradizionalmente nota negli Stati Uniti per sentenza particolarmente onerose a carico delle grandi aziende.
Il glifosato è morto. La notizia è arrivata il 14 giugno ed è passata pressoché inosservata, dimostrando lo scollamento tra la realtà e lo storytelling giornalistico. Il glifosato è stato l’Orco dell’ambientalismo globale per decenni. Il dibattito sulla sua pericolosità ha riempito giornali, convegni, campagne di sensibilizzazione, scioperi e manifestazioni, come pure le aule di tribunale. Che provochi il cancro non è ancora un’evidenza per la scienza ma lo è già per i giudici che hanno inflitto sanzioni durissime ai produttori.
Prima a Monsanto, ora a Bayer. La quale, avendo comprato la multinazionale più criticata del pianeta e il suo portafoglio, Roundup compreso, prima ha provato a cancellare il marchio Monsanto dalle confezioni e adesso si è resa conto che l’ombra mediatica dell’erbicida più odiato del mondo rischia di travolgerla. La notizia, appunto, è che la Bayer sta studiando un nuovo formulato per sostituire il glifosato.
L’ha comunicato nello stesso giorno in cui Deutsche Bahn, le ferrovie di Stato tedesche, annunciavano che non avrebbero più utilizzato questa sostanza per ripulire i loro binari dalle erbacce. «Vogliamo trovare qualcosa di efficace che ci permetta di fare manutenzione sulla nostra rete ferroviaria di 33mila km in maniera ecosostenibile e senza usare il glifosato» ha detto il responsabile dell’infrastruttura di DB al settimanale 'WirtschaftsWoche'. Se non che DB è il più grande consumatore di glifosato in Germania: ne compra 65 tonnellate all’anno. All’annuncio di DB, Bayer ha preso atto del finale di partita: game over.
Il glifosato sarà abbandonato al suo destino. Il 14 giugno, mentre il ministro dell’Ambiente tedesco Svenja Schulze annunciava che «proibiremo l’uso di glifosato in Germania», Bayer ha stanziato 5 miliardi di euro nei prossimi dieci anni per lo sviluppo di diserbanti alternativi. Una dichiarazione che ha depresso il titolo in Borsa, dimostrando – se ve ne fosse ancora bisogno – che una martellante campagna mediatica vale più della scienza e degli stessi giudici e che Bayer non si attende più alcuno sconto né dalla prima né dai secondi. E neanche dall’Europa, dove il gruppo di valutazione sull’autorizzazione all’uso del glifosato, malgrado l’atteggiamento ondivago dei francesi, potrebbe molto presto spianare la strada al bando di questa sostanza. Né potrebbe essere diversamente, visto l’esito delle ultime elezioni europee: il cielo sopra Berlino è sempre più grünen. Il glifosato è morto, evviva l’alternativa.
L'agricoltura industriale incoraggia pratiche che fanno degradare il suolo e aumentare le emissioni lasciando gli agricoltori più vulnerabili ai danni dovuti al pianeta che diventa più caldo.
L'articolo inizia descrivendo una fattoria dell'Iowa di un agricoltore che
diversifica le sue coltivazioni e alleva bestiame. Controlla l'erosione e
l'inquinamento dell'acqua lasciando una parte del terreno permanentemente
coperta da erbe native. Fa pascolare il bestiame sui campi e semina colture
di copertura per mantenere il suolo fertile a suo posto durante gli inverni
duri del midwest.
Questo tipo di fattoria ormai è un'eccezione, infatti
nell'agricoltura statunitense da decenni c'è stata la tendenza al
consolidamento, ovvero le fattorie diversificate come quella appena
descritta sono state sostituite da fattorie sempre più grandi e meno variate
con l'industrializzazione delle coltivazioni e giganteschi allevamenti di
mucche, maiali e pollame.
Si mira alla produzione, i sussidi sono legati
alla produzione, le politiche in agricoltura mirano alla produzione, il
consolidamento dell'agricoltura rinforzato dall'enfasi su una o due
coltivazioni principali - mais e soia - hanno portato ad un sistema dove c'è
poco incentivo a coltivare altro. Questo ha profonde implicazioni per il
clima e l'ambiente. Le mega-fattorie incoraggiano pratiche che fanno
deteriorare il suolo, sprecano fertilizzanti e usano male il letame, tutto
questo aumenta le emissioni di gas serra. In parallelo scoraggia pratiche
quali l'agricoltura senza aratura e la rotazione delle coltivazioni che
catturano il gas serra CO2 dall'aria, la immagazzinano nel suolo e
migliorano la salute del suolo.
Il sistema ha trasformato l'agricoltura in
un business che assomiglia all'industria dei combustibili fossili in quanto
estrae valore dal terreno con efficacia implacabile e lascia inquinamento da
gas serra come conseguenza. Dal punto di vista del clima, della salute del
suolo e per la cattura del carbonio abbiamo bisogno di maggiore diversità. I
sussidi dati dal governo favoriscono poche coltivazioni (mais e soia); i
sussidi dati ai produttori più grandi sono risorse per comprare più terreno,
viene sussidiato il consolidamento. Queste due coltivazioni di mais e soia
fanno pesantemente uso di fertilizzanti azotati che impoveriscono i suoli.
Poi ci sono i mandati governativi che richiedono alle raffinerie di inserire
una percentuale di biocombustibili - compresi etanolo da mais e biodiesel da
soia - nelle miscele di combustibili. Questo ha fatto aumentare la
domanda per queste due coltivazioni, aumentando le pressioni per spostare
terreni a queste produzioni. Con l'arrivo dei mandati governativi per l'uso
di etanolo il mais e la soia geneticamente modificate per resistere
all'erbicida Roundup Ready sono diventati le coltivazioni dominanti negli
USA. Il consolidamento in agricolture si può riassumere con "semplifica e
ingigantisciti": le coltivazioni geneticamente modificate hanno semplificato
l'agricoltura, ma hanno incrementato l'uso di erbicidi e fertilizzanti,
hanno fatto sparire la diversità in agricoltura, questa specializzazione
insieme alla concentrazione aumenta la vulnerabilità del sistema del cibo in
un mondo che è soggetto al riscaldamento globale. Le fattorie che
diversificano le coltivazioni hanno più protezione contro cattivo tempo, il sistema
agricolo semplificato che per maggior efficienza coltiva pochi tipi di piante
(monoculture di mais e soia modificate geneticamente per tollerare
l'erbicida Roundup) perde quella biodiversità che tiene il sistema del cibo
sicuro dalle vicissitudini del cambiamento climatico, è
protetto da assicurazioni e sussidi del governo.
Nadia Simonini https://insideclimatenews.org/news/25012019/climate-change-agriculture-farming-consolidation-corn-soybeans-meat-crop-subsidies fonte: Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero
L’esposizione a basse dosi di glifosato – o, soprattutto, di erbicidi a base di glifosato come il famoso Roundup – si associa, nei topi, a una serie di piccole ma significative alterazioni dell’equilibrio endocrino e dello sviluppo riproduttivo, visibili sia nei maschi sia nelle femmine. È questa la conclusione di uno studio pilota coordinato da ricercatori dell’Istituto Ramazzini di Bologna, con la partecipazione anche dell’Istituto superiore di sanità (Iss), dell’Università di Bologna e di centri di ricerca esteri.
“Uno studio che, pur senza allarmismi, dovrebbe essere di stimolo a una revisione dello stato regolatorio del glifosato, attualmente non collocato tra gli interferenti endocrini da organismi ufficiali come l’Efsa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare”. Parola di Alberto Mantovani, tossicologo dell’Iss e coautore dello studio, al quale Il Fatto Alimentare ha chiesto di fare chiarezza sui risultati e sulle loro possibili implicazioni nell’intricata controversia relativa alla sicurezza del glifosato.
Alberto Mantovani tossicologo dell’Istituto superiore di sanità
Dottor Mantovani: perché occuparsi ancora di glifosato, considerato che secondo un parere dell’Efsa non ci sono prove che possa determinare effetti endocrini?
Facciamo intanto un passo indietro, per ricordare che sul glifosato esistono massicce preoccupazioni da parte del pubblico, dovute a conclusioni contrastanti di varie agenzie internazionali in particolare riguardo al rischio di cancerogenicità. Secondo la Iarc, Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, questa sostanza potrebbe essere “probabilmente cancerogena”, mentre al contrario secondo l’Efsa e l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) è improbabile che possa avere effetti cancerogeni. C’è stato molto dibattito su questo tema, con argomenti non sempre convincenti e spesso senza considerare che Efsa ed Echa, come da mandato, hanno valutato la sostanza attiva in sé (glifosato puro), mentre la Iarc si è concentrata sui prodotti. Pertanto, un gruppo internazionale di ricercatori, guidati dall’Istituto Ramazzini, ha deciso di accantonare le polemiche e provare a raccogliere nuovi dati per rispondere in modo più solido alle preoccupazioni del pubblico, colmando anche alcune incertezze emerse dalle ricerche precedenti. Anche l’Istituto superiore di sanità ha ritenuto utile e importante partecipare a questa nuova raccolta dati.
Quanto al fatto che l’Efsa abbia già emesso un parere che non considera il glifosato come interferente endocrino, bisogna anche sottolineare che si tratta di un parere rilasciato nel 2017, cioè prima che venissero definiti, con il contributo di Efsa stessa, nuovi criteri più stringenti sull’interferenza endocrina di biocidi e pesticidi. Per questo non trovo affatto fuori luogo che si torni sulla questione.
Il glifosato attualmente non è collocato tra gli interferenti endocrini da organismi ufficiali come l’EFSA
Lei ha parlato sia di cancerogenicità sia di interferenza endocrina, cioè alterazioni sull’equilibrio ormonale: che rapporto c’è tra i due ambiti?
Ci sono molti casi nei quali la cancerogenicità non è provocata in modo diretto da una sostanza, ma in modo indiretto, mediato da altri effetti tra i quali sono importanti gli squilibri ormonali dovuti a interferenza endocrina. Il glifosato potrebbe ricadere in questa situazione, ed ecco perché vale la pena concentrarsi sugli eventuali effetti endocrini.
Lo studio ha confrontato lo sviluppo riproduttivo ed endocrino di due gruppi di topolini: alcuni esposti dalla gravidanza all’età adulta a basse dosi sia di glifosato puro sia di Roundup, un erbicida a base di glifosato, altri non esposti a questa sostanza. Quali sono i risultati che avete ottenuto?
Per cominciare mi lasci sottolineare l’importanza dell’esposizione a basse dosi di glifosato, che può essere considerata uno dei punti di forza dello studio, insieme al fatto che gli effetti sullo sviluppo sono stati valutati anche a lungo termine, durante la vita adulta degli animali. Una delle critiche avanzate a molti studi eseguiti con gli animali sul glifosato riguarda l’esposizione a dosi molto elevate della sostanza, che nulla hanno a che vedere con quella che potrebbe accadere nell’uomo. Ecco perché abbiamo deciso di concentrarci sulla dose per chilogrammo di peso corporeo che l’Epa, Agenzia di protezione ambientale degli Stati Uniti, considera come sicura per l’essere umano anche in caso di esposizione cronica, pari a 1,75 milligrami per kg al giorno.
Quello che abbiamo osservato negli individui (sia maschi sia femmine) esposti al glifosato è un aumento della distanza ano-genitale rispetto agli individui non esposti. Si tratta di un parametro che la comunità scientifica considera un valido indicatore di disturbi dello sviluppo riproduttivo. Non solo: nelle femmine è stato osservato anche un ritardo nella comparsa del primo estro (la pubertà), altro indicatore di possibili ripercussioni negative sulla vita riproduttiva. Infine, in entrambi i sessi abbiamo registrati squilibri nel sistema ormonale, come un aumento dei livelli di testosterone e alterazioni – anche se meno chiare – dei livelli di ormoni tiroidei. Ma soprattutto abbiamo osservato che questi effetti sono decisamente più significativi con l’erbicida commerciale rispetto al glifosato puro.
EfsaAed Echa hanno valutato la sostanza attiva in sé (glifosato puro)
Da cosa potrebbe dipendere questa differenza?
Non lo sappiamo ancora: potrebbe dipendere dalla presenza di particolari additivi che non conosciamo (la composizione dettagliata del prodotto utilizzato è coperta da segreto commerciale), dalla presenza di impurezze o dal fatto che nel prodotto derivato il glifosato è assorbito o metabolizzato in modo differente. In ogni caso si tratta di uno degli aspetti che dovrebbero essere oggetto di ulteriori indagini sull’argomento.
Quindi la ricerca non dovrebbe fermarsi qui?
Assolutamente no. Questo è uno studio pilota, che fornisce indicazioni sull’opportunità di proseguire le indagini, ma non porta di per sé a conclusioni definitive. Certo, se non avessimo osservato alcun effetto, tanto sarebbe bastato per confermare il parere di Efsa ed Echa e chiudere la questione, ma così non è stato. Abbiamo al contrario visto effetti che non dovrebbero esserci a una dose considerata sicura. Certo, trattandosi di uno studio con modelli animali non significa che i risultati siano immediatamente trasferibili all’essere umano, ma riteniamo che siano comunque meritevoli di approfondimento. Tra l’altro, bisogna anche capire se c’è una gradazione nelle risposte in seguito all’esposizione a dosi differenti e individuare, se c’è, una dose senza effetti osservabili.
Si sono osservati effetti che non dovrebbero esserci a una dose considerata sicura
Che cosa auspicate dunque a questo punto?
Che appunto la ricerca continui e che la situazione regolatoria del glifosato sia rivista uscendo dalla diatriba cancerogeno sì/cancerogeno no, ma guardando invece a queste nuove prove relative al rischio di interferenza endocrina, anche alla luce dei nuovi criteri per la definizione del rischio. Ci sono delle lacune conoscitive che vanno colmate e le Agenzie regolatorie dovrebbero tenerne conto. Poi, se a colmarle vuole essere l’industria per me non ci sono problemi, a patto che conduca studi seri e verificabili. Parliamo di una sostanza sicuramente utile e importante in l’agricoltura, che l’industria ha tutto il diritto di difendere, però deve produrre dati davvero in grado di farlo.
Per chiudere, cosa pensa del tanto contestato rinnovo dell’autorizzazione al commercio del glifosato votata nel 2017 dall’Unione europea?
Che nel momento in cui, sulla base dei criteri e dei dati disponibili fino al 2017, Efsa ed Echa avevano definito una sicurezza d’uso di questa sostanza, non ci fossero motivi solidi per evitare un rinnovo, anche se ovviamente il legislatore avrebbe tutto il diritto di applicare il principio di precauzione, laddove lo ritenga opportuno. Allo stesso tempo, però, penso che ora l’Efsa debba considerare i nuovi dati a disposizione. D’altra parte, il compito della comunità scientifica non è certo quello di insolentire le autorità regolatorie (che non possono produrre dati), ma di fornirne di nuovi e aggiornati, dove esistono manchevolezze, per permettere decisioni più accurate.
Martin, studente francese, ha un tasso di glifosato nelle urine 31 volte superiore al massimo consentito. Eppure è attento a ciò che mangia.
“Ero sicuro che le analisi delle mie urine avrebbero evidenziato la presenza di glifosato, ma non mi aspettavo di certo che i livelli fossero questi”. A parlare è Martin, 26 anni, originario di Tolosa, in Francia, e studente di sociologia dell’ambiente. Come molti altri militanti ecologisti transalpini, negli ultimi mesi si è sottoposto a controlli per identificare la presenza del pesticida – considerato “probabilmente cancerogeno” dall’Organizzazione mondiale della sanità nel luglio del 2015.
In 44 sporgono denuncia contro il glifosato
Ciò che sorprende è che nel suo caso il livello è 31 volte più alto rispetto ai limiti autorizzati. Nonostante sia vegetariano. E nonostante, come molti altri militanti, faccia particolare attenzione a ciò che mangia: “Cerco di privilegiare al massimo i cibi biologici, nonostante le difficoltà che incontrano gli studenti. Avevo l’impressione di fare sufficientemente attenzione…”, ha aggiunto il ragazzo, secondo quanto riportato dalla stampa francese.
Assieme a lui, a sottoporsi alle analisi – in presenza di un ufficiale giudiziario – sono state 44 persone. Che hanno depositato una nuova denuncia per “attentato alla vita altrui”, per “truffa aggravata” e per “compromissione dell’ambiente”. Il tutto nel quadro della campagna “Ho trovato del glifosato nelle mie urine. E tu?”.
Già nello scorso mese di settembre, 60 cittadini dell’Ariège – dipartimento francese della regione Occitania, situato al confine con la Spagna – hanno deciso di depositare un esposto presso il tribunale. Nel loro caso si sono ritrovati con in media 1,43 nanogrammi per millilitro nei campioni prelevati, il che rappresenta 14 volte la dose massima autorizzata nell’acqua potabile.
A gennaio un tribunale di Lione ha messo in discussione il prodotto
L’obiettivo è esercitare pressione affinché l’uso del glifosato – sostanza alla base del prodotto Roundup della Bayer (ex Monsanto) – venga vietato in ragione di un principio di precauzione. Intanto, il 15 gennaio, il tribunale amministrativo francese di Lione ha deciso di annullare l’autorizzazione alla commercializzazione del Roundup Pro 360.
I giudici hanno ritenuto che l’Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, ambientale e del lavoro (Anses) abbia “commesso un errore di valutazione in materia di principio di precauzione”. Ciò nel marzo del 2017, quando concesse il proprio via libera all’uso del prodotto. Si tratta, tuttavia, ancora soltanto di una sentenza di primo grado.