Visualizzazione post con etichetta #Epidemie. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Epidemie. Mostra tutti i post

La ripartenza rischia di non essere green

Niente sarà più come prima, ci ripetiamo con ottimismo. Ma sul fronte ambientale rischiamo di fare passi indietro. Alcune idee per invertire la rotta



A fine febbraio molti attivisti ambientali scrivevano sui social media che forse c’era speranza. Per far fronte alla pandemia di COVID-19 i governi stavano prendendo misure eccezionali e investendo cifre impensabili fino al giorno prima. “Non si potrà più dire che non ci possiamo permettere la lotta climatica”, questo era il pensiero comune. Ma nella fase post-coronavirus la questione ambientale rischia invece di tornare secondaria. Con il pretesto della crisi economica vari settori industriali e alcuni politici hanno già chiesto di ridimensionare gli obiettivi del Green New Deal europeo, nel frattempo l’Agenzia per la Protezione Ambientale statunitense e il Ministero dell’Ambiente cinese hanno introdotto misure che limitano le ispezioni ambientali nelle fabbriche o allentano le direttive anti-inquinamento, mentre in Italia l’industria della plastica chiede di rimuovere la plastic tax che dovrebbe entrare in vigore dal luglio 2020.

Secondo il climatologo e divulgatore scientifico televisivo Luca Mercalli la ripartenza sarebbe il momento adatto per avviare riforme green radicali e strutturali, “ma non sono ottimista. Nella task force vedo dei manager e competenti, ma l’approccio è orientato a riportare tutto com’era prima. Sarebbe stato utile includere qualcuno con un pensiero più orientato alla sostenibilità”. Mercalli vedrebbe di buon occhio un intervento sul traffico aereo: “anche se è impopolare dirlo, non ci possiamo permettere di volare così frequentemente, di certo bisognerebbe ripartire da un turismo più domestico e a raggio ridotto”. L’aviazione civile è attualmente una tra le fonti di emissioni dalla crescita più rapida, lo stop ai voli di queste settimane potrebbe rimodellare le nostre abitudini di viaggio, ma serviranno investimenti in alternative sostenibili come treni e bus a lunga percorrenza.

Per quanto riguarda la questione energetica il docente di chimica e fisica all’Università di Firenze Ugo Bardi è convinto che l'industria petrolifera potrebbe non riprendersi dal crollo del prezzo del barile, a meno che non venga sostenuta artificialmente dai governi per la sua rilevanza militare: “la riduzione della produzione porterà ad avere meno combustibili per riscaldamento e carburanti, ecco perché bisogna continuare a puntare sulle rinnovabili, tra l’altro sembra abbastanza accertato che la diffusione del coronavirus sia favorita dall'inquinamento in forma di microparticelle e ossidi di azoto”. Bardi vede dei segnali positivi nelle misure del governo che incentivano gli impianti fotovoltaici condominiali.

C’è poi la questione del telelavoro, metterlo in pratica su larga scala potrebbe avere implicazioni sociali e ambientali molto ampie: “la qualità della vita di migliaia di pendolari migliorerebbe se andare in ufficio diventasse necessario solo alcuni giorni della settimana. In più molti sceglierebbero di vivere in campagna o in zone in via di spopolamento, piuttosto che in città con affitti alle stelle”, riflette Giovanni Montagnani della piattaforma di divulgazione climatica Crowdforest. Secondo Montagnani le aree alpine vanno incontro a un cambiamento anche in caso di aumento delle temperature di 1,5°, ciò sarà drammatico per gli ecosistemi e le attività tradizionali, ma apre le porte a nuove possibilità: “questi territori sono più resilienti al cambiamento climatico rispetto alle città o alle coste, e potrebbero ospitare un numero maggiore di residenti. Ma ciò avverrà solo con il lavoro in remoto”.

Lo smart working è legato al problema della mobilità urbana, si prevede che la paura del contagio e la necessità di garantire il distanziamento sociale ridurranno drasticamente la domanda e l'offerta del trasporto pubblico. Non a caso l’amministratore delegato di BMW Italia Massimiliano di Silvestre ha dichiarato che l’automobile avrà una rivincita come mezzo di trasporto. Uno scenario che rischia di far compiere alle nostre città enormi passi indietro in termini ambientali e di qualità dell’aria. Fortunatamente la stagione calda alle porte sta favorendo in Europa le iniziative governative e comunali che incentivano gli spostamenti sicuri a piedi e in bicicletta, si va dal raddoppio della larghezza dei marciapiedi alla chiusura di corsie stradali per trasformarle in ciclabili ad uso esclusivo.

Secondo Mercalli il mondo post-coronavirus dipenderà tutta dalla risposta collettiva nel cuore delle persone: “la pandemia di COVID-19 non ha niente di positivo, ci mancherebbe. Allo stesso tempo eravamo come dei criceti in una ruota, volevamo uscirne ma non sapevamo come. Ci è voluta questa crisi per fermare la ruota. Ora dovremmo farla ripartire, ma diversamente”. La lettera all’Italia diffusa da Fridays for Future il 17 aprile, sottoscritta da 50 scienziati ed esperti, chiede proprio questo: un piano di ricostruzione che possa sconfiggere tanto la crisi climatica quanto quella economica. È anche un modo per ricordarci che in una prospettiva di lungo termine la crisi ambientale provoca più instabilità, vittime e danni economici di qualsiasi epidemia.

fonte: www.lastampa.it


=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Finita questa emergenza, vogliamo un #RitornoAlFuturo!

L’appello dei ragazzi di #FridaysForFuture e degli scienziati del clima sulla rinascita post-Coronavirus. “Le crisi sono due. Ma la soluzione è una sola.”


Cara Italia,


Ascolta questo silenzio.

La nostra normalità è stata stravolta e ci siamo svegliati in un incubo. Ci ritroviamo chiusi nelle nostre case, isolati e angosciati, ad aspettare la fine di questa pandemia. Non sappiamo quando potremo tornare alla nostra vita, dai nostri cari, in aula o al lavoro. Peggio, non sappiamo se ci sarà ancora un lavoro ad attenderci, se le aziende sapranno rialzarsi, schiacciate dalla peggiore crisi economica dal dopoguerra.

Forse avremmo potuto evitare questo disastro?

Molti studi sostengono che questa crisi sia connessa all’emergenza ecologica. La continua distruzione degli spazi naturali costringe infatti molti animali selvatici, portatori di malattie pericolose per l’uomo, a trovarsi a convivere a stretto contatto con noi. Sappiamo con certezza che questa sarà solo la prima di tante altre crisi – sanitarie, economiche o umanitarie – dovute al cambiamento climatico e ai suoi frutti avvelenati. Estati sempre più torride e inverni sempre più caldi, inondazioni e siccità distruggono già da anni i nostri raccolti, causano danni incalcolabili e vittime sempre più numerose. L’inesorabile aumento delle temperature ci porterà malattie infettive tipiche dei climi più caldi o ancora del tutto sconosciute, rischiando di farci ripiombare in una nuova epidemia.

Siamo destinati a questo? E se invece avessimo una via d’uscita? Un’idea in grado di risolvere sia la crisi climatica sia la crisi economica?

Cara Italia, per questo ti scriviamo: la soluzione esiste già.

L’uscita dalla crisi sanitaria dovrà essere il momento per ripartire, e la transizione ecologica sarà il cuore e il cervello di questa rinascita: il punto di partenza per una rivoluzione del nostro intero sistema. La sfida è ambiziosa, lo sappiamo, ma la posta in gioco è troppo alta per tirarsi indietro. Dobbiamo dare il via a un colossale, storico, piano di investimenti pubblici sostenibili che porterà benessere e lavoro per tutte e tutti e che ci restituirà finalmente un Futuro a cui ritornare, dopo il viaggio nell’oscurità di questa pandemia

Un futuro nel quale produrremo tutta la nostra energia da fonti rinnovabili e non avremo più bisogno di comprare petrolio, carbone e metano dall’estero. Nel quale smettendo di bruciare combustibili fossili, riconvertendo le aziende inquinanti e bonificando i nostri territori devastati potremo salvare le oltre 80.000 persone uccise ogni anno dall’inquinamento atmosferico.

Immagina, cara Italia, le tue città saranno verdi e libere dal traffico. Non perché saremo ancora costretti in casa, ma perché ci muoveremo grazie a un trasporto pubblico efficiente e accessibile a tutte e tutti. Con un grande piano nazionale rinnoveremo edifici pubblici e privati, abbattendo emissioni e bollette. Restituiremo dignità alle tue infinite bellezze, ai tuoi parchi e alle tue montagne. Potremo fare affidamento sull’aria, sull’acqua, e sui beni essenziali che i tuoi ecosistemi naturali, sani e integri, ci regalano. Produrremo il cibo per cui siamo famosi in tutto il mondo in maniera sostenibile.

In questo modo creeremo centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro ben retribuiti, in tutti i settori.

Questo Futuro è davvero possibile, cara Italia, ne siamo convinti. Per affrontare questa emergenza sanitaria stiamo finalmente ascoltando la scienza. Ed è proprio la scienza ad indicarci chiaramente la rotta da percorrere per sconfiggere la crisi climatica. Stavolta sappiamo quanto tempo ci rimane per agire: siamo già entrati nel decennio cruciale. Il momento del collasso dell’unico ecosistema in cui possiamo vivere, il superamento di 1,5°C di riscaldamento globale, già si staglia all’orizzonte. La folle curva di emissioni va capovolta già da quest’anno, e per sempre. Solo se ci riusciremo costruiremo un paese e un mondo più giusto, più equo per tutte e tutti, non a spese dei più deboli, ma di quei pochi che sulla crisi climatica hanno costruito i loro profitti.

Cara Italia, sei di fronte ad un bivio della tua storia, e non dovranno esserci miopi vincoli di bilancio o inique politiche di austerity che ti impediscano di realizzare questa svolta.

Cara Italia, tu puoi essere d’esempio. Puoi guidare l’Europa e il mondo sulla strada della riconversione ecologica.

Non a tutte le generazioni viene data la possibilità di cambiare davvero la storia e creare un mondo migliore – l’unico in cui la vita sia possibile.

Questa è la nostra ultima occasione. Non possiamo permetterci di tornare al passato. Dobbiamo guardare avanti e preparare il nostro Ritorno al Futuro!

PS: questo è solo l’inizio. Oggi comincia una grande campagna per la rinascita del nostro paese, che ci porterà fino al lancio di una serie di proposte concrete, in occasione del global #DigitalStrike, il 24 aprile. E non saremo soli.


Fai sentire la tua voce! Firma insieme agli attivisti di #FridaysForFuture e agli scienziati del clima!

Firma qui!


fonte: https://ritornoalfuturo.org

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Gli EM, Il Prof. Higa e il Covid-19


Finora, ho spiegato ripetutamente attraverso questa serie e DND, le contromisure fondamentali contro i virus nella zootecnia con gli EM. Descrivo di nuovo in base alla situazione recente.

Le misure di base contro il virus dell'afta epizootica con EM nella prefettura di Miyazaki nel 2010 sono state applicate in Corea e ora vengono utilizzate per varie misure virali negli animali.
In Corea, sotto la mia guida, ci sono corsi EM nelle scuole universitarie dell'Università di Jeonju che ha un'organizzazione di diffusione EM collegata. L'attività è direttamente collegata ai centri di formazione agricola e ai centri tecnici delle cooperative agricole a livello nazionale e EM viene attivamente spruzzato su questo nuovo coronavirus. Le seguenti informazioni sono solo un esempio, ma stanno iniziando a diffondersi in tutta la Corea.

Per la disinfettazione per fermare la diffusione dell'epidemia, Gwanak-gu, Seoul ha condotto un servizio di disinfezione utilizzando microrganismi utili (EM) e alcool alle famiglie contro il Covid 19.

E' stato riferito dal giornale Quotidiano Soul.
Questo trattamento dell'epidemia è effettuato utilizzando microrganismi effettivi (EM) e alcol che sono innocui per il corpo umano, che sono stati certificati dal Ministero della salute e del benessere e dall'Agenzia per
l'ambiente (APE).

Gli EM sono anche efficaci nella rimozione di muffe e si prevede contribuiranno notevolmente alla creazione di un ambiente di vita confortevole per i gruppi più vulnerabili.
(Articolo originale / Seoul Daily: Gwanak-gu, Seoul Special Housing 200

Gli EM contro il COVID-19 in Corea del Sud.

In Corea, EM viene utilizzato per le misure sanitarie in città utilizzando il dispositivo di cultura della soluzione di attivazione EM introdotta presso il Agricultural Technology Center. Hanno utilizzato EM per combattere l'influenza aviaria e l'afta epizootica, basando su queste esperienze hanno applicato anche alle recenti nuove contromisure virali.

Fino ad ora EM ha mostrato notevoli effetti nella contromisura di virus come l'influenza aviaria e l'afta epizootica, quindi stanno facendo volontariamente questa implementazione. Quarant'anni dopo lo sviluppo di EM, la sua sicurezza e versatilità sono state riconosciute dal mondo.
I virus esistono ovunque in natura e nel corpo umano. Le loro attività cambiano continuamente a seconda del grado di inquinamento dell'ambiente e del corpo umano:

se l'ambiente viene purificato e l'immunità delle persone viene rafforzata, vengono naturalmente inattivati.

D'altra parte, purificando l'ambiente e lo spazio abitativo con EM, lavando gli ingredienti con EM, fermentando bucce di frutta e altri prodotti in alimenti fermentati e aggiungendo EM / X GOLD a tutte le cotture, possiamo aspettarci un miglioramento della vita sana.

Dal punto di vista dell'EM, basando sui risultati passati, varie risposte concrete possono essere offerte. Chiunque può ottenere EM e aumentarlo e usarlo.

Il metodo più veloce è aggiungere i batteri dell'acido lattico e EM / X GOLD al latte, quindi preparare uno yogurt fatto in casa con un produttore di yogurt, ecc., Aggiungere gli zuccheri come miele e zucchero di canna in modo appropriato e usarlo come dessert prima e dopo un pasto te.


fonte: http://www.italiaem.it

Gianni Tamino: «Cosa ci sta insegnando questa pandemia»

Coronavirus, un aggressore che arriva in conseguenza di un'alterazione degli equilibri ecologici e ambientali senza precedenti: è in sintesi quanto sostiene Gianni Tamino, docente emerito di Biologia generale all’Università di Padova, già deputato ed europarlamentare e oggi membro dei Comitati Scientifici dell’Associazione medici per l’ambiente- ISDE (International Society of Doctors for the Environment) e dell’Associazione Italiana per lo Sviluppo dell'Economia Circolare.




Coronavirus, un aggressore che arriva in conseguenza di un'alterazione degli equilibri ecologici e ambientali senza precedenti: è in sintesi quanto sostiene Gianni Tamino, docente emerito di Biologia generale all’Università di Padova, già deputato ed europarlamentare e oggi membro dei Comitati Scientifici dell’Associazione medici per l’ambiente- ISDE (International Society of Doctors for the Environment) e dell’Associazione Italiana per lo Sviluppo dell'Economia Circolare.

«L’obiettivo evolutivo di tutte le forme viventi è la propria riproduzione, per colonizzare l’ambiente di vita, obiettivo che entra in relazione, talora conflittuale, con lo stesso obiettivo riproduttivo di tutti gli altri organismi - spiega Tamino - da queste relazioni si sviluppano gli equilibri che caratterizzano gli ecosistemi e che pongono limiti alla crescita delle popolazioni e dei consumi di ciascuna specie. In ecologia si parla di carrying capacity (o capacità di carico) per spiegare che, sulla base delle caratteristiche di un ecosistema, gli individui di una popolazione non possono superare i limiti imposti dalle risorse disponibili. Un classico esempio per spiegare questo fenomeno è quello della relazione tra preda e predatore: alla crescita del numero di predatori corrisponde una diminuzione significativa del numero delle prede, che innesca – per scarsità di cibo – un conseguente calo anche dei predatori».

«Nel caso della popolazione umana si utilizzano concetti simili a quelli di carrying capacity ma con terminologie e metodi di valutazione un po’ diversi - prosegue Tamino - Si parla di “impronta ecologica”, cioè la misura del territorio in ettari necessario per produrre ciò che un uomo o una popolazione consumano. Questa analisi facilita il confronto tra regioni, rivelando l’impatto ecologico delle diverse strutture sociali e tecnologiche e dei diversi livelli di reddito. Così l’impronta media di ogni residente delle città ricche degli USA o dell’Europa è enormemente superiore a quella di un agricoltore di un paese non industrializzato, per cui sul pianeta un solo statunitense “pesa” più di 10 afgani».

«L’Overshoot Day è, invece, il giorno in cui il consumo di risorse naturali da parte dell’umanità inizia a superare la produzione che la Terra è in grado di mettere a disposizione per quell’anno: nel 2019 questo giorno è stato il 29 luglio. Dunque in circa sette mesi, abbiamo usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il pianeta rigenera in un anno. Il nostro deficit ecologico, pari a cinque mesi, provoca da una parte l’esaurimento delle risorse biologiche (pesci, alberi ecc.), e, dall’altra, l’accumulo di rifiuti e inquinamento, responsabile anche dell’effetto serra. Le attività umane stanno, dunque, cambiando l’ambiente del nostro pianeta in modo profondo e in alcuni casi irreversibile. Stiamo dunque superando, anzi abbiamo già superato i limiti delle capacità del pianeta di sostenere la popolazione umana e mettiamo a rischio la sopravvivenza di molte altre specie. L’attuale sistema produttivo industriale ed agricolo sta gravemente compromettendo anche la biodiversità del pianeta. Molte specie di animali e di piante sono ridotte a pochissimi esemplari e, quindi, in pericolo o, addirittura, in via di estinzione».

Tamino spiega ancora: «Le dimensioni e i consumi delle popolazioni umane sono variati moltissimo nel corso dei millenni, ma ogni volta che le risorse disponibili diventavano insufficienti, le popolazioni venivano ridimensionate, attraverso sistemi di autoregolazione. Fino a 12 mila anni fa la popolazione umana di raccoglitori e cacciatori, già presente in tutto il pianeta, per motivi di sostenibilità, cioè disponibilità di cibo, non superava probabilmente 1-2 milioni di abitanti, dato che ogni tribù doveva avere un ampio territorio di raccolta e di caccia e quel cibo costituiva il limite alla crescita. Si trattava di un sistema ben autoregolato e in equilibrio con il proprio ambiente; in qualche modo le società di allora potevano essere felici, perché utilizzavano quanto la natura offriva loro, senza un lavoro che occupava tutto il tempo di vita e quindi con tempi adeguati per le relazioni e per il riposo, come il mitico periodo dell’Eden».

«In seguito, in varie zone del pianeta, come nella mezzaluna fertile, in medio oriente, un importante cambiamento climatico, con riscaldamento globale, diffusione di animali e piante nelle regioni in cui il clima divenne più caldo e umido, favorì la cosiddetta rivoluzione neolitica, cioè l’agricoltura e l’allevamento. In tal modo i limiti della crescita demografica cambiarono perché, seminando piante e allevando animali, sullo stesso territorio si potevano sfamare fino a 1000 persone anziché 40-50, portando la popolazione ben oltre la dimensione di un paio di milioni. Tuttavia quando l’annata dava raccolti scarsi o quando la popolazione cresceva troppo, non restava altra via che la migrazione verso nuove terre da coltivare. Così pian piano questa nuova cultura si estese, a partire dall’Anatolia, a tutta l’Europa e, partendo da altre zone, a gran parte dell’Asia e parte dell’Africa. In tal modo la popolazione mondiale arrivò prima a decine, poi a centinaia di milioni di abitanti, già alcuni secoli avanti Cristo. Si stima che nell’Impero Romano, tra il 300 ed il 400 d.C., vivessero tra 60 e 120 milioni di abitanti; ma tale popolazione fu duramente colpita dalla cosiddetta Peste di Giustiniano, che portò a decine di milioni di decessi. In pratica quando, in base alle caratteristiche ambientali, climatiche, politiche e tecnologiche (capacità di produrre cibo), si superava il limite demografico per quel territorio, intervenivano fattori ambientali e sociali che riportavano la popolazione sotto il limite. Analogamente tra il ‘300 e il ‘600 scoppiarono varie epidemie, associate a carestie e guerre, come la peste decritta dal Manzoni ne “I promessi sposi”, e la popolazione europea subì periodiche drastiche riduzioni».

«Anche l’emigrazione ha costituito un elemento equilibratore dell’incremento demografico - prosegue il docente - La popolazione europea ha trovato, dopo la scoperta dell’America, nuove terre da coltivare, spazi da abitare, ricchezze da sfruttare, sottraendoli ai nativi che, oltre a essere massacrati, venivano debilitati da epidemie di malattie portate dai conquistatori. Oltre alle epidemie di peste già ricordate, nel corso della storia umana, anche recente, si sono succedute molte altre epidemie/pandemie, alcune collegate a guerre e carestie».

«Come abbiamo visto, epidemie e pandemie sono uno dei possibili meccanismi di controllo delle popolazioni, insieme a carestie, guerre e migrazioni: quanto più si superano i limiti della disponibilità di risorse del territorio, quanto più si altera l’ambiente di vita, tanto più facilmente uno o tutti insieme questi meccanismi entrano in funzione - dice ancora Tamino - La crescita della popolazione umana fino a più di 7 miliardi di abitanti, è stata resa possibile dalla Rivoluzione Industriale, che ha utilizzato enormi quantità di energia di origine fossile per attività impensabili in precedenza, non solo nell’industria, ma anche in agricoltura, con la cosiddetta Rivoluzione Verde. Tuttavia il cibo ottenuto potrebbe sfamare anche più di 7 miliardi di persone se venisse equamente distribuito e prodotto in modo sostenibile, ma una iniqua utilizzazione delle risorse, una crescente disparità tra pochi ricchi e molti poveri, una riduzione delle terre coltivabili a causa della cementificazione, la perdita di fertilità dovuta alle monocolture gestite chimicamente, l’inquinamento ambientale, l’alterazione del clima, danno origine a frequenti casi di carestie e di malnutrizione in ampie fasce della popolazione, soprattutto al sud del mondo».

«A partire dalla rivoluzione industriale abbiamo imposto un’economia lineare su un Pianeta il cui sistema produttivo funziona in modo ciclico. La conseguenza è una continua crescita dell’inquinamento e un cambiamento climatico sempre più minaccioso per il mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità. Tutto ciò comporta la morte prematura di molti milioni di persone, ma anche un incremento di malattie cronico-degenerative, con conseguente indebolimento di tutta la popolazione, che risulta meno idonea a difendersi da altre malattie come quelle infettive. I cambiamenti climatici e la riduzione delle foreste con l’alterazione degli habitat di molte specie animali mettono sempre più facilmente a contatto animali selvatici con esseri umani, un contatto ancora più stretto quando questi animali vengono catturati per essere venduti in mercati affollati, rendendo più facile il salto di specie per i loro patogeni (si pensi al virus di ebola). Inoltre gli allevamenti, in particolare di polli e suini, con concentrazioni di molti capi in spazi ridotti, alimentati con mangimi contenenti antibiotici, favoriscono una forte pressione selettiva sui loro virus e batteri, che mutano velocemente verso ceppi e tipi più aggressivi anche verso la specie umana, come è avvenuto per l’influenza aviaria e suina. Un ulteriore contributo alla diffusione di agenti patogeni è dato poi dalla globalizzazione, che, grazie al frenetico trasferimento in ogni parte del pianeta di persone e merci, favorisce il passaggio da epidemie a pandemie».

La pandemia da Covid-19

«Dunque la nuova pandemia del virus Covid-19 era prevedibile e ampiamente prevista, se non proprio nei termini e nei tempi precisi, sicuramente come evento probabile - sostiene il docente - Già nel 1972, nel rapporto del MIT per il Club di Roma, dal titolo “I limiti dello sviluppo” si affermava che se la popolazione mondiale continuava a crescere al ritmo di quegli anni, la crescente richiesta di alimenti avrebbe impoverito la fertilità dei suoli, la crescente produzione di merci avrebbe fatto crescere l’inquinamento dell’ambiente, l’impoverimento delle riserve di risorse naturali (acqua, foreste, minerali, fonti di energia) avrebbe provocato conflitti per la loro conquista; malattie, epidemie, fame, conflitti avrebbero frenato la crescita della popolazione».

«Vi è poi il libro “Spillover” di David Quammen; egli stesso spiega in una recente intervista: “Nel 2012, quando il libro è stato pubblicato, ho previsto che si sarebbe verificata una pandemia causata da 1) un nuovo virus 2) con molta probabilità un coronavirus, perché i coronavirus si evolvono e si adattano rapidamente, 3) sarebbe stato trasmesso da un animale 4) verosimilmente un pipistrello 5) in una situazione in cui gli esseri umani entrano in stretto contatto con gli animali selvatici, come un mercato di animali vivi, 6) in un luogo come la Cina. Non ho previsto tutto questo perché sono una specie di veggente, ma perché ho ascoltato le parole di diversi esperti che avevano descritto fattori simili.”».

Come evitare pandemie future

«Il Covid-19 è una reazione (tra le altre) allo stato di stress che abbiamo causato al pianeta e quindi per prevenire nuovi eventi simili dobbiamo ridurre le alterazioni dell’ambiente, come la perdita di biodiversità, l’alterazione degli habitat e i cambiamenti climatici, favorendo processi produttivi industriali ed agricoli basati sull’economia circolare, sostenibili, con ricorso a fonti energetiche rinnovabili - sostiene Tamino - Già pochi mesi di blocco dei movimenti delle persone e di parziale riduzione di attività produttive hanno portato a un netto miglioramento della qualità dell’aria sia in Cina che in Italia (soprattutto nel Veneto): questo dato va colto non come futura necessità di impedire la circolazione delle persone e delle merci o di non produrre beni necessari, bensì di ripensare i trasporti e le produzioni industriali ed agricole, in particolare ridurre gli allevamenti animali: attualmente vi sono nel mondo 1,5 miliardi di bovini, 1 miliardo di suini, oltre 1,5 miliardi di ovini e caprini e circa 50 miliardi di volatili. La massa degli animali allevati è ben maggiore di quella di tutti gli esseri umani, con enormi sprechi di cibo, forte inquinamento e forte aumento di virus e batteri che possono fare il salto di specie. Inoltre l’abuso in zootecnia di antibiotici è responsabile anche dell’aumento di batteri resistenti agli antibiotici, vanificando uno degli strumenti a nostra difesa da queste infezioni. Oltre a nuove pandemie virali, il futuro potrebbe riservarci una diffusione pandemica di nuovi batteri resistenti ad ogni trattamento farmacologico».

fonte: www.ilcambiamento.it

Il WWF: «Con i cambiamenti climatici, i virus diventano più pericolosi»



















Esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura». A dar l’allarme il WWF, che nei giorni scorsi ha pubblicato un report illustrato — «L’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi» — in cui viene analizzata la stretta correlazione tra l’insorgenza di nuove pandemie e un eccesso di antropizzazione dell’Ambiente naturale. Chiaro il messaggio: virus e batteri, alla base delle più importanti pandemie dell’ultimo ventennio, erano al principio innocui, fino a quando la selvaggia distruzione degli ecosistemi ne ha aumentato la pericolosità e – complice la globalizzazione – la diffusione. Alla base di questa affermazione, spiega ancora il recentissimo report del World Wide Fund for Nature, ci son diversi fattori: l’urbanizzazione massiccia delle città, la deforestazione, l’estensione delle zone di caccia, il commercio di specie selvatiche e il cambiamento climatico. «Tout Se Tient, cioè ogni cosa è collegata a tutte le altre — interviene Grazia Francescato, ex presidente di WWF Italia e dei Verdi —, lo dice il primo comandamento dell’ecologia. Cambiamento climatico ed epidemie non conoscono confini».

«La distruzione degli ecosistemi è la vera minaccia, perché c’è un legame tra quello che facciamo alla natura e l’insorgere di pandemie». Ne aveva sottolineato i rischi anche una ricerca de La Sapienza nel febbraio 2019

Per questo, spiegano gli ambientalisti «sarebbe criminale non mettersi già oggi al lavoro per fermare il surriscaldamento globale: con un pianeta più caldo potrebbero presentarsi malattie anche peggiori del Coronavirus». A gettar luce sulle conseguenze delle attività umane nella formazione di epidemie/pandemia, ci aveva già pensato un recente studio dell’Università La Sapienza di Roma. La ricerca, condotta a febbraio 2019 col coordinamento del prof. Moreno di Marco, ha confermato ciò che già si sospettava: cioè, che il rischio di insorgenza di pandemie non deriva tanto dalla presenza di aree naturali o di animali selvatici, quanto dalle modalità in cui le attività antropiche influiscono su queste aree e su queste specie. Da qui, l’appello a un nuovo modello di crescita sostenibile, che tenga conto delle necessità del Pianeta. «Non si può dire con certezza, per ora, quale tipo di legame ci sia tra coronavirus e climate change — riprende Francescato —. Ma che ci sia una interconnessione tra cambiamento climatico e diffusione delle malattie infettive non è un mistero: da anni, numerosi rapporti di esperti internazionali lo denunciano».

La mancanza di coscienza ecologica costa cara: in Cina ha causato un deficit commerciale di 7 miliardi e un significativo crollo dell’export. A lungo termine, conterà sempre più investire nella tutela degli ecosistemi

In un’intervista alla rivista Vita, Francescato ha ricordato che «recentemente Giuseppe Miserotti, membro dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE), ha evidenziato come i picchi delle epidemie diventate più famose, come per esempio la SARS e l’influenza Aviaria nel 2003 e l’influenza Suina nel 2009, si siano verificati in corrispondenza di picchi di temperature di almeno 0,6 o 0,7 gradi oltre la media. Viste le temperature elevate degli ultimi periodi non c’è da stare sereni». E i picchi di temperature sono strettamente connessi con l’effetto serra alimentato dalle attività umane. Ad oggi il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati modificati in modo significativo dall’Uomo, ricorda la World Wildlife Foundation, mentre la popolazione umana è raddoppiata negli ultimi cinquant’anni. La mancanza di coscienza ecologica costa cara anche all’economia mondiale. Alla sola Repubblica Popolare Cinese, il Covid-19, che ha avuto come primo focolaio la città industriale di Wuhan (nell’Hubei), ha causato un deficit commerciale di 7 miliardi e un significativo crollo delle esportazioni. Investire nella tutela degli ecosistemi, quindi, si rivela un’azione fruttuosa a lungo termine.

Ilaria capua: «Covid-19 è figlio del traffico aereo ma non solo». La vita degli uomini nelle città con periferie sovraffollate e degradate crea habitat ideali per la diffusione dei virus

«Covid-19 è figlio del traffico aereo ma non solo: le megalopoli che invadono territori e devastano ecosistemi creando situazioni di grande disequilibrio nel rapporto uomo-animale», ha scritto la virologa Ilaria Capua sul Corriere della Sera. Le città occupano solo il 3% della superficie del pianeta, ma ospitano quasi il 60% della popolazione mondiale, che consuma il 75% delle risorse naturali. Molte di queste città, sovrappopolate, chiosa lo studio del WWF, versano in condizioni igieniche precarie. «Le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali si trasformano nell’habitat ideale per malattie pericolose». I mercati delle metropoli, specialmente in Africa e Asia, che incontrano un’alta domanda della popolazione, spacciano spesso tutta la fauna predata: animali selvatici vivi, scimmie e tigri, serpenti, pangolini, pipistrelli (da cui avrebbe avuto origine il successivo spill-over del SARS-CoV-2 all’Uomo) favorendo conosciute e sconosciute zoonosi. A condire il tutto, c’è il Climate Change perché, spiegano dal WWF, «tutti i virus e i batteri prediligono l’umidità delle nuove condizioni climatiche».

Perché la minaccia al Pianeta ci fa meno paura

Perché allora non aggredire il problema, in via cautelativa, con misure drastiche quanto quelle prese per fronteggiare l’emergenza da nuovo Coronavirus? «La differenza è nel tempo. Il fenomeno del climate change — con il surriscaldamento globale, lo scioglimento die ghiacci artici, l’espansione termica degli Oceani — ha tempi più lenti del Coronavirus che invece in breve ha raggiunto una fase acuta che tocca direttamente la salute delle persone. Il Coronavirus viene percepito come una emergenza immediata, non procrastinabile, nei cui confronti bisogna prendere delle misure urgenti». Per quanto riguarda il fenomeno dei cambiamenti che minacciano il Pianeta, invece, «la percezione è quella di avere ancora tempo per intervenire, anche se non è detto che il tempo a disposizione sia ancora molto», sostiene Anna Oliverio Ferraris, già ordinario di Psicologia all’Università La Sapienza di Roma e autrice del libro Psicologia della paura (Bollati Boringhieri). Insomma: è tutta questione di tempo. E chi lo ha, non lo aspetti.

fonte: www.corriere.it