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San Benedetto sale al 100% di rPET

La bottiglia Ecogreen 1L Easy sarà prodotta interamente con PET riciclato con un risparmio fino a 300 tonnellate annue di polimero vergine.





La bottiglia Ecogreen 1L Easy di Acqua Minerale San Benedetto passa dal 50% al 100% di PET rigenerato (rPET), approfittando dell'eliminazione del limite risalente al 1973, superato con l'ultima Legge Bilancio. In questo modo, la società prevede di ridurre di 300 tonnellate il consumo annuo di polimero vergine.

La distribuzione delle nuove bottiglie è prevista entro qualche mese.

Nel corso della conferenza stampa di presentazione del percorso di sostenibilità ambientale del Gruppo, il CEO Enrico Zoppas ha sottolineato come la nuova bottiglia sia anche la prima referenza carbon neutral sul mercato, ovvero con emissioni di CO2 azzerate (compensate).

Nel 2014, Acqua Minerale San Benedetto aveva già aumentato la percentuale di rPET nelle bottiglie Ecogreen 1L Easy dal 30% al 50%, il massimo consentito dalla normativa fino all'inizio di quest'anno. Utilizzando materiale rigenerato, dal 2013 al 2020 la società ha ridotto del 15% le sue emissioni di CO2 (25% per le sole bottiglie Easy) con un risparmio complessivo di materie prime vergini pari a 5.160 tonnellate annue.

“La costante ricerca e capacità innovativa ci ha portato a questo lancio che rappresenta una pietra miliare nel nostro percorso verso una piena economia circolare e l’impatto zero - ha dichiarato Zoppas -. Un percorso che passa anche attraverso il maggior utilizzo di rPET e per questo ringrazio il senatore Andrea Ferrazzi (presente all'incontro) che è stato tra gli artefici della modifica legislativa grazie alla quale oggi presentiamo la nostra prima bottiglia Ecogreen 1L Easy 100% rPET”. "L'utilizzo di PET riciclato - ha aggiunto Zoppas - consentirà di calmierare le forti oscillazioni dei prezzi della resina vergine, in questi mesi in sensibile rialzo".

“La transizione ecologica deve tenere insieme la sostenibilità ambientale a quella economica e sociale ha spiegato Ferrazzi -. Con la mia norma abbiamo semplicemente colmato il divario che c'era tra un esempio di eccellenza industriale sostenibile e un sistema normativo vecchio e con un impatto negativo sia sull'ambiente che sull'economia. La bottiglia riciclata al 100 per cento è un segno tangibile di cosa vuol dire davvero economia circolare”.
Ferrazzi ha accennato anche al recepimento in Italia della Direttiva SUP, di cui è relatore al Senato (legge ora in discussione alla Camera). "In Senato abbiamo recepito la Direttiva in modo integrale, ma anche innovativo - ha dichiarato - abbiamo specificato che riguarda i bicchieri, ma allo stesso tempo esenta le bioplastiche compostabili, nell'ottica di non porre solo divieti, ma favorire la transizione green agevolando le aziende che in questi anni hanno investito in questo senso".


Sulla scia del successo del formato da 1L Easy introdotta nel 2010, San Benedetto ha presentato due anni più tardi la Linea Ecogreen, un’intera generazione di bottiglie - dal mezzo litro a 1L Easy fino ai formati famiglia da 1,5L e 2L - realizzate con plastica riciclata fino al 50% e con il 100% delle emissioni di CO2eq compensate attraverso l’acquisto di crediti per finanziare progetti di riduzione dei gas effetto serra. Ecogreen è stata anche la prima linea di prodotti in Italia a ricevere dal Ministero dell’Ambiente la validazione nel Programma per la valutazione dell’impronta ambientale.

L'annuncio di Acqua Minerale San Benedetto segue di pochi giorni quello di Levissima, che ha iniziato la produzione di bottiglie di acqua minerale in 100% di PET rigenerato nei formati da 0,75 e da 1 litro non gasata (leggi articolo).

fonte: www.polimerica.it


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Ferrarelle arriva la nuova bottiglia in plastica riciclata. Ma il consumo di acqua minerale è sempre esagerato


















L’acqua minerale Ferrarelle da 1,5 litri è venduta in bottiglie ottenute con il 50% di un nuovo materiale denominato R-Pet. Si tratta di un plastica ricavata dalle bottiglie vuote recuperate dal circuito dei contenitori. La miscela che si ricava viene rilavorata e utilizzata per produrre nuove bottiglie. Alla fine si ottengono contenitori composti per la metà da questo materiale e per la rimanente quota da plastica nuova (la legge fissa come limite massimo di R-Pet il 50% del contenitore). L’azienda precisa che Le bottiglie in R-Pet sono completamente riciclabili per cui ogni bottiglia può essere riciclata infinite volte per diventare una bottiglia nuova è identica all’originale. Ma Ferrarelle non è l’unica azienda che ha migliorato la propria impronta ecologica, anche Acqua Frasassi, da settembre, metterà in vendita le bottiglie da 0,50 lt, sia naturale sia frizzante, realizzate per il 50% in R-Pet.

Il Fatto Alimentare per scelta redazionale non fa pubblicità all’acqua minerale, ritenendo esagerato il livello di consumo nazionale, così elevato da posizionare il nostro Paese quasi in cima alla classifica mondiale dei bevitori di acqua in bottiglia con oltre 200 litri pro capite (leggi qui). Ciò non toglie che riteniamo interessante questo passo in avanti dell’azienda che contribuisce in piccola parte a ridurre i consumi di plastica.


Ogni italiano beve 224 litri di acqua minerale l’anno

Capire perché ogni italiano beve 224 litri di acqua minerale l’anno, collocandosi al secondo posto nella classifica mondiale (*). È vero che i messicani arrivano a 234 litri, ma questo perché la rete dell’acqua potabile è inefficiente e spesso inesistente. L’altro fattore da considerare riguarda le bottiglie. Noi ne utilizziamo più o meno 11 miliardi di plastica e 2,45 miliardi in vetro (**), mentre in Messico l’acqua viene commercializzata prevalentemente in boccioni da 20 litri con vuoto a rendere e i numeri sono molto più bassi. Per rendersi conto basta dire che tutte queste bottiglie allineate formerebbero un serpentone di circa 4 milioni di km, pari a dieci volte la distanza che separa la terra dalla luna.

L’esagerato consumo di acqua minerale non piace ai media, che trattano questo problema solo una volta l’anno e in modo distratto, anche se i numeri sono da paura. Facendo i conti in tasca agli italiani, si scopre che le persone abituate a pasteggiare con la minerale spendono da 50/60 sino a 110 €/anno. C’è di più, il consumo non è collegato alla classe sociale, all’età, alla scolarità, al territorio; tutti i cittadini della penisola bevono in modo esagerato indipendentemente dalla qualità dell’acqua di rubinetto. Il settore è in crescita da 40 anni e siamo così affezionati all’acqua in bottiglia che, nonostante il calo del 10% dei consumi registrato negli anni 2008-2016, nello stesso periodo il settore ha registrato un incremento del 3% (Censis).

(*) Gli italiani consumano 29 litri ogni anno più dei tedeschi, 84 più dei francesi e 85 più degli spagnoli e 173 più dei residenti nel Regno Unito. Fonte Censis 2018

(**) Fonte Mineracqua ultima rilevazione anno 2017

fonte: www.ilfattoalimentare.it

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Acqua minerale al ristorante? In Spagna e Francia si beve quella del rubinetto, gli italiani preferiscono la bottiglia ed è record di consumi

















Nei sette giorni trascorsi nei Paesi Baschi spagnoli e francesi ho frequentato ristoranti, brasserie e tabernas dove ho sempre pasteggiato con acqua di rubinetto che loro chiamano agua de grifo e eau en bouteille. Il più delle volte il cameriere portava direttamente al tavolo la bottiglia senza richieste specifiche. In Italia, al contrario, la minerale si trova spesso sul tavolo del ristorante e chiedere l’acqua del sindaco come alternativa è sempre un’impresa. Anche se si dice sempre più sottovoce perché non è considerato un complimento, gli italiani sono i maggiori utilizzatori di acqua minerale in bottiglia.
Secondo l’ultima statistica firmata Beverfood nel 2018 abbiamo consumato 13,370 miliardi di litri. Stiamo parlando di 221 litri a testa, per una spesa familiare di circa 145 euro l’anno. Nel calcolo complessivo bisogna considerare anche 1,5 miliardi di litri esportati. Se esaminiamo  i consumi pro-capite in seconda posizione troviamo i tedeschi con 195, i francesi e gli spagnoli con 140, mentre gli inglesi arrivano a 50 circa. Escludendo quelle di vetro, il parco bottiglie italiano ammonta a quasi 12 miliardi di pezzi che nell’80-90% dei casi finiscono nei termovalorizzatori, negli impianti di incenerimento, in discarica e in parte vengono dispersi nell’ambiente. Anche se di poco i consumi sono  aumentati e i numeri sono a record. A dispetto dei numeri qualche segnale diverso a livello statistico si registra. Secondo l’Istat il numero di  famiglie che non si fidano di bere l’acqua di rubinetto sono passate dal 40% nel 2002  al 29% nel 2018, ma questa tendenza non incide sui consumi di acqua in bottiglia.  L’argomento viene poco trattato sui giornali e sui media perché il consumo esagerato non trova giustificazione in un Paese dove l’acqua del rubinetto in molti casi è di ottima qualità.
In Italia al ristorante solo acqua minerale ed è record mondiale di consumi
Un test condotto da Legambiente con l’Università di Milano Bicocca ha stabilito che l’acqua della rete idrica di Genova, Venezia, Milano e Palermo ha una composizione chimica confrontabile rispettivamente all’Acqua Panna, Rocchetta, Acqua Nepi e Acqua Claudia. Insomma il rubinetto come l’acqua minerale. I gestori della rete idrica pubblica mostrano però poco interesse rispetto ai consumi record. Per loro la cosa importante è garantire l’approvvigionamento e non si fanno troppe domande sulle perplessità di molti cittadini nei confronti dell’acqua di rete. Basta dire che buona parte delle persone ritiene i sassolini di calcare presenti nel filtro rompigetto corresponsabili dei calcoli renali. Al contrario le aziende imbottigliatrici fanno spot pubblicitari dove si vantano caratteristiche salutistiche come la scarsa presenza di sodio, l’alta percentuale di calcio e la minima presenza di sali con valori del tutto insignificanti se si considera il bilancio giornaliero.
Il quadro è disastroso ma non bisogna disperare. La borraccia è stato l’oggetto cult più regalato a Natale e moltissimi ragazzi e studenti hanno da tempo abbandonato le bottigliette di plastica a favore del contenitore in alluminio. Il segnale è importante. Speriamo che queste scelte possano ridurre i consumi di un prodotto troppo spesso inutile che ci posiziona al vertice di una classifica mondiale poco invidiabile.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Acqua da bere: le contraddizioni degli italiani

Il consumatore attribuisce all’acqua di rete pubblica il valore più alto, ma di fatto consuma quella imbottigliata. È quanto emerge dall’indagine “Splash”















Gli italiani predicano bene, ma razzolano male, visto che c’è incongruenza tra l’opinione dichiarata e il reale comportamento. Per lo meno in tema di acqua è così. Considerando le diverse filiere, il consumatore attribuisce all’acqua di rete pubblica il valore più alto, perché facilmente accessibile e sostenibile dal punto di vista ambientale, ma di fatto beve quella imbottigliata: un dipinto a tinte fosche, che però sembra destinato a qualche pennellata di colore. L’effetto delle pressioni dell’opinione pubblica internazionale, delle politiche comunitarie e la crescente attenzione alla sostenibilità ambientale, fanno pensare che ci sarà un progressivo incremento del consumo di acqua di rete pubblica.
È quanto emerge da Splash, l’indagine realizzata da The European House-Ambrosetti e Gruppo Celli – azienda leader nella produzione di erogatori per bevande – per ricostruire le fasi storiche e le cause che hanno portato l’Italia a essere “un Paese in bottiglia”.
Consumi e marketing
Il Belpaese è al primo posto in Europa per consumo pro capite di acqua in bottiglia, con 241 litri all’anno, mentre la media nel Vecchio Continente è di poco superiore ai 100 litri annui. Un insostenibile primato cui si è arrivati negli ultimi decenni: nel 1980 si consumavano 47 litri pro capite, quantitativo cresciuto di cinque volte in 35 anni. Fondamentale è stato il ruolo del marketing delle aziende che imbottigliano acqua minerale, che ha fatto leva sulla funzionalità del packaging e su insistenti promozioni pubblicitarie.
Sono state ideate bottiglie funzionali e quando negli anni ’70 c’è stata l’introduzione delle confezioni in plastica, comode e leggere da trasportare, il consumo si è esteso a tutto il fuori casa. Al resto hanno pensato i forti investimenti in campagne di comunicazione, per mettere in risalto le caratteristiche di salubrità e sicurezza dell’acqua minerale imbottigliata.

Sul fronte acqua pubblica, invece, ha predominato la totale assenza di comunicazione sulla filiera degli stringenti controlli che ne garantiscono la purezza.
Dettagli positivi
Secondo lo studio Splash, che ha coinvolto un campione rappresentativo di consumatori, il valore intrinseco dell’acqua è collegato a diversi fattori che condizionano la scelta di acquisto. Sicurezza, libertà di accesso e piacevolezza influenzano la sfera più personale, hanno poi una certa rilevanza le problematiche ambientali legate ai rifiuti che si generano e quelle della sostenibilità nell’uso delle risorse collegate al trasporto del prodotto. Nel complesso agli occhi del consumatore la soluzione a maggior valore intrinseco è la filiera dell’acqua da rete idrica con filtri, cui segue l’acqua da rete idrica, mentre quella minerale in bottiglia raccoglie meno consenso. Eppure è proprio quest’ultima a esser più bevuta. Probabilmente i fattori del basso impatto ambientale dell’acqua di rete sono molto importanti in teoria, tuttavia in pratica non hanno la forza di influenzare una decisione di acquisto.
In futuro le cose cambieranno. “Bere e utilizzare responsabilmente l’acqua, bene comune e risorsa insostituibile, significa fermarsi a riflettere sul suo valore e su come tutti noi siamo chiamati a gestirla e consumarla in modo consapevole. Gli attori del sistema paese, dalle istituzioni alle utilities, dai protagonisti delle diverse filiere alle associazioni dei consumatori e i media, dovranno giocare il proprio ruolo per assicurare un futuro green, al fine di orientare le scelte di consumo e far coincidere l’opinione all’azione”, commenta Mauro Gallavotti, ceo del gruppo Celli.
L’acqua di rete cui vengono applicati i filtri di affinamento - stando alle evidenze dello studio -  è quella a cui il consumatore attribuisce il valore più alto grazie ai benefici generati dalla facilità d’accesso, dal rispetto ambientale e dalla sostenibilità. È logico dedurre che se il consumatore italiano fosse disposto a riconoscere a questo prodotto un valore paragonabile al prezzo per litro dell’acqua in bottiglia, con le attuali tecnologie di filtri disponibili, circa 20 milioni di connazionali trarrebbero beneficio optando per il consumo dell’acqua di rete.
Una best practice in questo senso viene da Niko Romito, stellato cuoco abruzzese, che nei suoi ristoranti e nei locali dell’Accademia non si servirà più acqua minerale ma acqua microfiltrata con le soluzioni di Acqua Alma, brand di gruppo Celli.
fonte: www.lastampa.it

Ragazzi è ora della borraccia, solo così 1 miliardo di bottiglie di plastica non finiranno nei rifiuti

















Il 15 marzo, in occasione dello Sciopero globale per il clima, al corteo di Milano c’erano 50 mila studenti e una miriade di cartelli contro l’inquinamento del pianeta, contro i modelli di consumo irrazionali e contro l’invasione della plastica. La stessa cosa avveniva in centinaia di città e si trattava della prima grande manifestazione “globale” di questo tipo. In Italia, però, si registrano da tempo molte iniziative che vanno in questa direzione. Ci sono aziende alimentari e catene di supermercati che hanno eliminato la plastica dagli imballaggi o la sostituiscono con materiali ricavati da fonti rinnovabili. I cittadini comprano sempre di più prodotti dell’agricoltura biologica e impiegano solo sacchetti per la spesa in materiale compostabile. Poi ci sono decine di località che hanno deciso di vietare subito stoviglie, bicchieri, cannucce di plastica.
È di pochi giorni fa la notizia dell’intenzione di vietare nelle spiagge pugliesi oggetti di plastica monouso, con un’unica eccezione: le bottiglie di acqua minerale. Non bisogna essere laureati in economia per sapere che le bottiglie di plastica monouso, quando non sono smaltite correttamente, rappresentano una delle maggiori fonti di inquinamento delle spiagge, dei parchi e dei luoghi pubblici. Purtroppo l’elemento comune a tutte le buone azioni elencate è la volontà di non adottare provvedimenti contro l’acqua minerale in bottiglie di plastica, anche se sono tra le responsabili del problema delle microplastiche ormai presenti anche nel cibo.
I giovani che hanno manifestato venerdì nelle piazze, ma anche gli adulti, non sanno che in Italia ogni cittadino beve in media 224 litri di acqua minerale ogni anno. Provate a pensarci per un attimo: si tratta di 37 cestelli da sei bottiglie da un litro. Considerando che il 10% circa degli italiani non beve acqua minerale e che i bambini piccoli fino a 11 anni ne consumano poca (al nido, all’asilo e nelle scuole elementari si beve quella del rubinetto), l’80% circa degli italiani butta nel cestino dei rifiuti quattro bottiglie di plastica di acqua minerale (piccole o grandi) alla settimana. Se consideriamo anche le altre bevande, si arriva anche a cinque. Tutto ciò ha un impatto ambientale esagerato e anche un costo rilevante, che potrebbe essere dimezzato da un giorno all’altro, sostituendo la bottiglietta di minerale con una borraccia o una bottiglia riutilizzabile. L’impresa è fattibile senza grossi problemi visto che nella maggior parte delle località italiane la qualità dell’acqua di rete è molto buona. Per esempio a Milano la qualità è ottima, ma nonostante ciò è una delle città dove si beve più minerale.
La scelta della borraccia è un’operazione semplice con risvolti positivi enormi per l’ambiente e per il portafoglio che pochi hanno voglia di suggerire. Si preferisce eliminare le cannucce di plastica dai cocktail, servire solo brocche di acqua del rubinetto nei convegni, decidere che in spiaggia i piatti e le stoviglie saranno solo compostabili e auspicare l’eliminazione dei rifiuti plastici negli uffici pubblici. Si tratta di iniziative lodevoli che però delegano ad altri, la soluzione di un problema che invece è di tutti.
Borraccia universita Bicocca
Scegliendo le borracce si potrebbe riuscire a eliminare un miliardo di bottiglie di plastica monouso
Se bisogna suggerire qualche cosa di concreto da fare subito, alle centinaia di migliaia di giovani, ragazzi e adulti che hanno partecipato alle manifestazioni per salvare il pianeta, potremmo invitarli a comprare una borraccia, metterla nella tasca esterna dello zaino e usarla a scuola, all’università e in ufficio e di pasteggiare con la brocca di acqua del rubinetto a casa, al lavoro e anche quando si esce in pizzeria o al ristorante con gli amici.
In Italia l’ultima campagna contro l’esagerato consumo di acqua minerale risale al 2010, quando Coop lanciò una grossa iniziativa per limitare l’invasione delle minerali. La campagna non è stata portata avanti con sufficiente convinzione ed è finita negli archivi delle buone azioni. Da allora i consumi sono lievitati da 11,5 a quasi 13,5 miliardi di litri e continuano a crescere, tanto da essere i primi imbottigliatori al mondo di acqua minerale. Se si cominciasse subito, forse a fine anno il numero di bottiglie di plastica potrebbe diminuire di 1 miliardo e non dovremmo più vergognarci di essere il primo paese al mondo che, senza un buon motivo, beve più acqua minerale.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Il sogno impossibile delle bottiglie in bioplastica per l’acqua minerale. Manca il sistema di riciclaggio



















Da alcuni anni sono sul mercato bottiglie in bioplastica compostabile (meglio conosciuto come pla o acido polilattico). Si tratta di un materiale in grado di sostituire il pet ricavato dal petrolio utilizzato in tutto il mondo per le bottiglie di acqua minerale, bibite e altri imballaggi per alimenti. La differenza sostanziale è che le bioplastiche sono ricavate dall’amido estratto dal mais (materiale utilizzato in Italia per i sacchetti dell’ortofrutta e conosciuto come Mater B), oppure da un’alga marina chiamata agar agar, o dalla canna da zucchero e adesso anche dal tubero della manioca, una pianta molto coltivata nelle aree tropicali e sub tropicali. Le bottiglie in bioplastica hanno il vantaggio di poter essere smaltite nel rifiuto umido od organico di casa, perché negli impianti di compostaggio dove la temperatura raggiunge i 60°C, degradano in 90-180 giorni trasformandosi in terriccio e sviluppano biogas da utilizzare per usi civili.
A questo punto il destino della plastica monouso sembrerebbe segnato, ma in realtà non è così. È vero che l’Ue ha decretato lo stop alla commercializzazione di bicchieri, piatti e posate monouso dal gennaio 2021, ma nulla è in programma per le bottiglie e gli altri contenitori che rappresentano la stragrande maggioranza degli imballaggi in pet. È vero che in Europa esiste l’obiettivo di riciclare il 50% della plastica entro il 2025 (adesso siamo al 41% circa), ma l’impatto ambientale complessivo valutando la produzione e il ciclo di vita risulta sempre elevato, visto che noi italiani consumiamo 11 miliardi di bottiglie l’anno solo per l’acqua  minerale.

acqua minerale
Ogni anno, solo in Italia, utilizziamo 11 miliardi di bottiglie di plastica per l’acqua minerale

Allo stato attuale si potrebbe iniziare progressivamente la conversione delle bottiglie di minerale non gasata in pet con quelle in bioplastica. Non esistendo ancora una bioplastica per le bibite e la minerale con le bollicine si potrebbe convertire questa produzione utilizzando il vetro oppure le lattine di alluminio.
In Italia l’intenzione di modificare il processo produttivo rendendolo più “eco” esiste solo in forma embrionale. Attualmente le aziende imbottigliatrici, tranne sporadici casi, utilizzano per le bottiglie ancora il 100% di pet. Uno dei problemi che ostacola la conversione è il raddoppio del costo di produzione. Oggi una bottiglia di acqua minerale da 1,5 litri con il tappo in pet costa da 3 a 6 centesimi di euro, (costo variabile in funzione del peso e del volume), mentre per un contenitore in pla con il tappo compostabile l’importo lievita da 6 a 9 centesimi di euro (ai prezzi attuali). L’altra grossa questione riguarda la filiera della raccolta della plastica, inadeguata a gestire le nuove bottiglie. Attualmente esistono solo una decina di impianti di recupero dislocati nel nord Italia in grado di distinguere i due tipi di contenitori.  Questo vuol dire che in assenza di un coordinamento tra produttori e impianti di recupero e riciclo della plastica, la bottiglia di bioplastica finisce irrimediabilmente insieme alle altre, creando seri problemi alle caratteristiche tecniche del polimero di recupero Bisogna creare una filiera e approvare una modalità univoca di raccolta, che oggi non c’è perché ogni provincia/regione ha regole proprie. In altre parole inserendo bottiglie in pla nella raccolta della plastica oggi finirebbero tutte nel termovalorizzatore o in un inceneritore.

plastic bottiglia coca cola ecobottle bio bottle
Coca-Cola e Granarolo avevano presentato a Expo 2015 una bottiglia in plastica 100% vegetale da manioca

Un’altra questione delicata riguarda i tappi. Gli impianti di tappi in bioplastica sono progettati per produrre centinaia di milioni di pezzi, questo vuol dire che quando l’azienda decide di avviare la conversione al pla deve raggiungere almeno 1 miliardo di pezzi. L’ultimo ostacolo è che di recente l’Ue ha chiesto ai produttori di pla di definire i tempi di degradazione delle bottiglie in acqua di mare e la richiesta necessita di ulteriori analisi che sono ancora in corso.
I produttori di pet e le aziende che utilizzano le bottiglie non sono certo indifferenti al problema dell’invasione della plastica. Per cercare di dare una riposta hanno alleggerito il peso degli imballi e hanno costituito nel 2018 un consorzio per il recupero del pet (Coripet). Il consorzio si è posto come obiettivo il riciclo del 90% degli imballi di pet entro il 2030, considerando che adesso in Italia siamo a circa il 45%. Il progetto è interessante anche se non va nella direzione dell’impiego di bottiglie di bioplastica, che dovrebbe essere il vero obiettivo di un’economia circolare perché si usa materia prima vegetale che, una volta smaltita nei siti di compostaggio ritorna nell’ambiente.
In Italia un primo tentativo di sostituire la plastica pet delle bottiglie di acqua minerale è stato fatto dieci anni fa circa da l’azienda piemontese Fonti di Vinadio, con l’acqua Sant’Anna Bio bottle da 1,5 litri. Si tratta di una bottiglia ricavata da materia prima ottenuta dalla fermentazione degli zuccheri delle piante dal mais, prodotta dalla Natureworks (azienda Americana). Il sistema permette di risparmiare oltre il 50% di energie non rinnovabili ma, soprattutto, in ottica di una nuova filiera di recupero Bioplastiche permetterebbe di gettare la bottiglia compostabile e biodegradabile nel rifiuto umido di casa. Nel caso specifico di Sant’Anna ci sarebbe anche il problema non ancora risolto riguarda il tappo e il collarino di polietilene che devono essere separati dalla bottiglie. Le vendite di Sant’Anna Bio bottle però non sono mai decollate, e la produzione di poche decine di milioni di pezzi rappresenta una quota ridicola rispetto a oltre un miliardo di contenitori usati dall’azienda. Al momento la Bio Bottle è presente solo in pochissime catene di supermercati nel formato 75 cc, e costa circa 0,45 €/l che è considerato un prezzo elevato.

bottiglie
Solo il 40-45% delle bottiglie di plastica viene riciclato

Durante l’Expo 2015 Coca-Cola e Granarolo hanno presentato il prototipo di una bottiglia in plastica 100% vegetale da manioca compostabile in 84 giorni. A distanza di 4 anni Coca-Cola ha avviato in Italia la vendita delle bevande Adez, che contengono il 70% di plastica pet di origine fossile e 30% di bioplastica di origine vegetale (si tratta comunque di una bottiglia non compostabile). Una bottiglia molto differente rispetto al prototipo 100% vegetale, che non modifica la situazione. Anche il progetto di Granarolo la cui bottiglia di latte fresco trasparente era completamente compostabile. L’azienda però in assenza di una filiera di recupero in grado di gestire i nuovi contenitori, ha preferito abbandonare.
Per rendersi conto dell’impatto ambientale, basta ricordare che ogni anno utilizziamo 11 miliardi di bottiglie di plastica per l’acqua minerale. A queste bisogna aggiungere 1 miliardo di bottiglie per le bibite, poi ci sono le altre bevande. Solo il 40-45% di questi contenitori viene riciclato, il resto finisce negli inceneritori o nelle discariche e anche nell’ambiente se non viene gestita correttamente la filiera. Diverse iniziative sono in piedi per limitare questa invasione, ma siamo ancora lontanissimi dall’adozione di bottiglie compostabili e riciclabili, sia per motivi collegati alla filiera sia per la scarsa volontà delle aziende imbottigliatrici di rivoluzionare il sistema di produzione. Per ridurre la plastica basterebbe dimezzare gli inutili ed esagerati consumi di acqua minerale. Un’altra iniziativa utile per sollecitare il mercato potrebbe essere quella di obbligare le aziende a utilizzare progressivamente bioplastica per almeno la metà delle bottiglie, come è stato fatto per i sacchetti dell’ortofrutta un anno fa. Un altro elemento da valutare è quello di riattivare il vuoto a rendere per un importo minimo di 25 centesimi per ogni bottiglia di plastica, installando delle macchine compattatrici nei supermercati. Poi si potrebbero agevolare i consumatori desiderosi di fare le analisi dell’acqua di casa fornendo degli ecoincentivi.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

I produttori di acque sposano la Plastics Strategy

European Federation of Bottled Waters annuncia obiettivi ambiziosi: 95% di raccolta e 25% di plastica riciclata nelle bottiglie entro il 2025.
















European Federation of Bottled Waters (EFBW), associazione che rappresenta a livello europeo i produttori di acqua in bottiglia, ha annunciato oggi un impegno per l’economia circolare articolato su quattro punti con l’obiettivo di aumentare la percentuale di raccolta di bottiglie PET e l’utilizzo di PET riciclato nella loro produzione.
Il primo impegno preso dai produttori di acque minerali è di raccogliereil 90% di tutte le bottiglie in plastica immesse al consumo a livello UE entro il 2025. Il secondo riguarda la percentuale di PET riciclato (rPET) utilizzato nella produzione di bottiglie, che dovrà arrivare al 25% sempre entro il 2025; e per raggiungere questo obiettivo, i produttori di acque minerali chiedono che migliori la qualità e l’omogeneità del PET recuperato e riciclato.
Le aziende che aderiscono a EFBW si impegnano inoltre ad innovare e investire ulteriormente nell’eco-design dei contenitori, per favorirne il riciclo e ridurre il peso, oltre che nella ricerca di plastiche non di origine fossile, ottenute da risorse rinnovabili.
Infine, occorre sensibilizzare i consumatori per prevenire la creazione di rifiuti, sostenendo iniziative che incoraggino la corretta selezione e lo smaltimento degli imballaggi a fine vita.
efwb Jean-Pierre DeffisObiettivi non semplici di raggiungere, anche per la scarsa omogeneità della raccolta a livello UE: si va infatti da oltre il 90% in alcuni paesi più virtuosi a meno del 20% in altri, nonostante il PET sia un materiale con un valore a fine vita. Per raggiungerli, EFBW intende collaborare con tutti i soggetti interessati, tra cui Plastics Recyclers Europe (PRE), l’associazione europea delle aziende che riciclano materie plastiche. Inoltre, per garantire trasparenza e responsabilità, EFBW riferirà regolarmente sui progressi raggiunti.
“Le bottiglie in PET per bevande raggiungono già oggi a livello comunitario il più elevato tasso di riciclo rispetto a qualsiasi altro imballaggio in plastica - afferma il presidente di EFBW, Jean-Pierre Deffis (nella foto) -. Ma ogni singola bottiglia che finisce nei rifiuti è una di troppo”. “Serve uno sforzo concertato e coordinato da parte di molti attori della filiera per portare ad un cambiamento positivo - ha aggiunto -. I membri di EFBW stanno intensificando i loro sforzi per aprire la strada".
Alla European Federation of Bottled Waters aderisce per l’Italia la Federazione delle industrie delle acque minerali e delle bevande analcooliche - Mineraqua.
fonte: www.polimerica.it

Arriva l’acqua in bottiglia di vetro al supermercato. Le nuove minerali premium di Carrefour Selection e Unes Il Viaggiator Goloso dicono addio alla plastica


















Dopo il ritorno del vuoto a rendere, spunta anche l’acqua minerale in bottiglia di vetro nei supermercati. A parlarne è un articolo di Retail Watch. A puntare sul vetro sono due catene, l’italiana Unes e la francese Carrefour, che hanno messo sul mercato due acque top gamma in bottiglia di vetro da 75 cc. Da Unes si potrà trovare l’acqua minerale di sorgente alpina a marchio Il Viaggiator Goloso a 0,85 euro, mentre quella di Carrefour, presentata al Salone dei fornitori Carrefour 2017, farà parte della linea top Selection.
È possibile che le due catene abbiano scelto di imbottigliare in vetro le acque vendute con i propri marchi di alta gamma semplicemente per valorizzare al meglio il prodotto. Tuttavia, in questo modo si contribuisce a togliere dal mercato parte dell’enorme quantità di bottiglie in Pet attualmente in circolazione.


 

In futuro, se i 12 mesi di sperimentazione del vuoto a rendere – inizialmente limitato a bar, ristoranti e altri luoghi di somministrazione di bevande al pubblico – saranno un successo, non si può escludere che il sistema verrà esteso anche a negozi e supermercati, dove i consumatori potranno restituire le bottiglie di vetro una volta svuotate. Questo modello è utilizzato con successo in Germania da oltre 10 anni, dove nei supermercati sono stati allestiti degli spazi appositi per la restituzione delle bottiglie – rigorosamente in vetro – vuote. In cambio il consumatore riceve un buono sconto o una promozione, come strumento per incentivare la restituzione dei vuoti.
Fonte immagini: Retail Watch

fonte: http://www.ilfattoalimentare.it