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Siamo saliti in montagna

Il libro di Luca Mercalli, Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale, si può leggere prima di tutto come atto di amore per la montagna. Oppure per ragionare di clima o, più semplicemente, per misurarsi con l’impresa di recuperare una casa in qualche angolo delle Alpi o dell’Appennino, mettendo in pratica scelte di risparmio energetico. O ancora, per saperne di più, magari in quanto amministratore o amministratrice locale, su come facilitare la protezione del paesaggio e dell’ambiente. Abbiamo chiesto a uno dei massimi esperti in Italia di economia ambientale, Alberto Castagnola, di leggere l’ultimo libro di uno dei più bravi meteorologi e divulgatori sui temi ambientali, Luca Mercalli 



La nuova fatica letteraria – Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale (Einaudi) – di Luca Mercalli, tra i più preparati dei nostri ambientalisti, ha una forma antica, il diario personale su un arco di tre anni, ma si rivela subito essere qualcosa di più, una specie di manuale familiare per reagire ai meccanismi di danno ambientale e per assumere un ruolo attivo che consenta di sfuggire, almeno in parte, a un futuro non certo piacevole. 



Lo scienziato ha certamente scelto un periodo particolarmente significativo della sua vita, ma poi hanno dato libero spazio al suo spirito montanaro, alle sue conoscenze geologiche e meteorologiche, alle sue molteplici letture, alla sua visione di un mondo alternativo che stenta molto ad emergere. In ogni pagina del libro si possono incontrare descrizioni di paesaggi, analisi climatiche, ricordi dettagliati di eventi storici, tante citazioni di testi letterari e di brani di musica classica, e insieme proposte di interventi pubblici e di politiche nazionali diretti a proteggere e a migliorare la vita sulle montagne più alte. È quindi molto difficile, direi praticamente impossibile, fare sintesi e selezionare argomenti: in questa armonica mescolanza sta il fascino del volume e spetta ad ogni potenziale lettore affrontare la sfida di una affascinante scoperta. Il recensore può solo indicare percorsi, segnalare attrattive particolari, invidiare una esistenza così vitale e multiforme.

Il motivo di fondo che sostiene tutto il libro è apparentemente la ricerca, l’acquisto e la ristrutturazione di una casa del 1700, semi distrutta dal tempo ma collocata molto più in alto rispetto alla sua attuale abitazione. È collocata a Vazon, nelle vicinanze di Oulx, in Valle di Susa. La spinta per questa scelta, oltre all’amore per le montagne condiviso con la moglie, viene subito indicata nella necessità per tutti di abitare, nei prossimi anni, in fasce climatiche che risentano meno del progredire del riscaldamento climatico. La scelta di acquisto si rivela subito molto costosa, volendo salvaguardare la struttura originale e adottare metodi di ricostruzione molto rispettosi del manufatto e dell’ambiente circostante, e in un primo momento porta alla dolorosa decisione di rinunciare all’acquisto. Ma poi la bellezza della struttura e del monte che la ospita hanno il sopravvento sulla pura razionalità della disponibilità di denaro.

Comincia così un frenetico periodo di progetti, contatti con architetti e artigiani, preventivi e piani di lavoro (il definitivo comprende 47 allegati tecnici!), che occupa oltre un anno ma che permette anche all’autore di sperimentare di persona tutti gli ostacoli che le burocrazie e i regolamenti frappongono ai tentati di recupero e restauro di preziosi edifici antichi, perché in realtà sono stati concepiti per favorire i nuovi edifici moderni, basati sul cemento, ma che non tengono in alcun conto il rispetto dell’ambiente sociale e del contesto naturale. Anche la fase dell’inizio dei lavori, che occuperanno più del secondo anno, si presenta subito difficile, perché gli artigiani e gli operai più esperti e che sanno applicare le regole antiche, sono in realtà difficilmente reperibili e chiedono continuamente di rispettare i loro tempi. Verso la fine del libro, però, comincia la fase più bella, perché marito e moglie salgono continuamente per vivere le parti già rese abitabili e anche se non tutti gli impianti (luce, acqua, riscaldamento) sono già completamente operativi, cominciano a godersi tramonti favolosi, l’evolversi delle stagioni, e la possibilità di arrivare alla nuova casa anche durante i periodi invernali, lasciando l’auto a qualche chilometro di distanza e percorrendoli con ciaspole e scarponi chiodati, con le provviste sulle spalle. Si moltiplicano quindi le descrizioni dei fenomeni naturali, goduti profondamente e accompagnati da ogni genere di spiegazione scientifica e climatica. Negli ultimi mesi, poi, aumentano i viaggi e le escursioni che, partendo dalla nuova casa, portano gli amanti della montagna in nuove valli e su nuove cime delle Alpi Cozie.

Nel libro diario vi è poi un secondo filone di informazioni che attrae il lettore, relativo a eventi di portata storica e ad approfondimenti culturali che fanno emergere molti altri aspetti della vita sulle montagne. Vi sono inserti che descrivono le guerre che hanno marchiato certe località montane in epoca romana e negli ultimi secoli, episodi di lotte partigiane contro gli eserciti invasori, ma anche due pagine stupende di una storia delle stufe, che spiega le loro scelte tecnologiche e una durissima analisi degli effetti dannosi di vari manifestazioni sportive di alto livello, che hanno comportato spese ingenti, mentre gli impianti costruiti per ogni occasione sono in larga parte abbandonati.

Si può individuare, inoltre, un terzo livello di interesse che occupa diverse pagine e una apposita appendice. Si parte da una esperienza molto concreta, cioè dal tentativo di Mercalli di guadagnarsi la qualifica di Casa Clima per la sua nuova abitazione, ma ciò comporta una invasione di tecnici esterni che effettuano una molteplicità di test relativi alla tenuta della casa rispetto ai venti e alle infiltrazioni d’acqua e di fumo. Per ben due volte spuntano fuori spifferi e perdite, e il titolo viene conferito solo dopo il terzo test, cioè dopo aver effettuato numerose modifiche agli infissi e alle tubature. Ma questa esperienza conferma l’opinione di Mercalli che si debba adottare una politica edilizia specifica per tutte le aree abitate di montagna, per salvaguardare le preesistenze senza deturpare il paesaggio e per conservare atmosfere e tradizioni senza arrecare disagi ad abitanti e visitatori. Il libro sarebbe quindi di grande utilità anche per enti locali e regionali e per i legislatori nazionali.

Infine, una nota personale. Mi sono innamorato dell’economia a ventitré anni, dopo una università insulsa, mentre il mio profondo amore per il mare risale a molti anni prima e il mio impegno per l’ambiente è sempre filtrato dalle conoscenze economiche. Mercalli invece sembra aver realizzato una fusione profonda tra la sua figura di scienziato e di attivista esperto e il suo amore profondo per la montagna: oggi interrompe i suoi soggiorni nel paradiso delle cime più alte solo per tenere un corso o intervenire a un convegno. Guarderò ormai con occhi diversi i suoi testi base che ho tante volte letto e utilizzato, inserendoli in tramonti invernali indimenticabili.

fonte: comune-info.net

 

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Per Giorgio Nebbia

Instancabile divulgatore scientifico, con una forte vocazione pedagogica, e militante ecologista, Giorgio Nebbia ha saputo muoversi negli orizzonti del marxismo e del cristianesimo, consapevole che la cultura della sinistra politica è sempre stata intrisa di sviluppismo. “Se è possibile sintetizzare il pensiero che è alla base dell’ecologia politica di Nebbia – scrive Paolo Cacciari commentando il libro La Terra brucia, dedicato alla sua memoria -, esso parte dalla constatazione che la violenza strutturale contro la natura è insita nei modi di produzione capitalisti… Nebbia insegue l’incontro tra ecologia e lotta di classe non nell’astratto delle teorie politiche, ma in ogni luogo dove esplodono le drammatiche contraddizioni che si vengono a creare tra lavoro e salute… a Cengio, Seveso, Brescia, Alessandria, Torino, Porto Marghera, Taranto, Manfredonia…”


Le foto di questa pagina sono di Ambra Pastore

A un anno dalla scomparsa di Giorgio Nebbia (Bologna 23 aprile 1926 – Roma 4 luglio 2019) la Fondazione Luigi Micheletti di Brescia – custode del suo ricchissimo archivio – e la casa editrice Jaca Book, per mano di Pier Paolo Poggio, Marino Ruzzenenti e Lelio Demichelis, dedicano alla sua memoria un prezioso volume – Giorgio Nebbia, La Terra brucia. Per una critica ecologica al capitalismo, collana Dissenze, pp.170, 22 Euro – che contiene una biografia curata da Luigi Piccioni e una significativa raccolta di scritti da cui emerge la personalità e lo spessore scientifico, culturale e politico di uno dei principali ispiratori del movimento ecologista italiano.



Nebbia studia ingegneria e chimica, insegna all’università a Bologna e a Bari sarà il pilastro del Laboratorio di merceologia presso la facoltà di Economia. Precursore degli studi integrati sul ciclo di vita degli oggetti (Life-cycle assessment, si direbbe oggi) a partire dai processi estrattivi delle materie prime, attraverso le tecnologie di produzione, fino al loro “consumo” e re-immissione nell’ambiente come rifiuti, sovvalli, inquinanti. Da questa visuale sugli impatti delle attività antropiche, Nebbia si avvicina alle problematiche ecologiche.

Già negli anni della prima “breve primavera ecologica” (Silent Spring della Carson è del 1962) entra in Pro Natura di Dario Paccino e in Italia Nostra, si mette in contatto con Fulco Pratesi (WWF), Ernst Friedrich Schumaher, Barry Commoner, Aurelio Peccei che lo farà partecipare al ristretto novero dei membri del Club di Roma (fondato nel 1968, pubblica il rapporto The Limits to Growth nel 1972). Sono anche gli anni post-conciliari e della Populorum progressio di Paolo VI (1967). Da credente, Nebbia si mette in contatto con il cardinale Siri e il gesuita Sorge e sarà incaricato di rappresentare la Santa Sede alla prima grande conferenza dell’Onu sull’ambiente a Stoccolma nel 1972, nell’“ambizioso tentativo – come scrive Piccioni – di sistemazione del rapporto tra cristianesimo ed ecologia”. Per avere una risposta convincente dalla Chiesa Giorgio Nebbia – come tutti noi – ha dovuto aspettare mezzo secolo, con il pontificato di Bergoglio.

“Le contraddizioni fra necessità umane e bisogni futuri possono essere superate, almeno in parte, ripensando i modi di produzione e di consumo, soprattutto nei Paesi ricchi – scriverà Nebbia recentemente commentando l’enciclica – come raccomanda la Laudato si’ di papa Francesco”.

Ciò che spinge il professore di merceologia a dedicarsi instancabilmente alla divulgazione scientifica e alla militanza ecologista è la sua vocazione pedagogica. In un saluto che rivolgerà nella festa per i novant’anni nella biblioteca del Senato dirà: “Gli studenti sono stati la mia vita, il sangue della mia esistenza per tanti anni” (in: La mia vita in breve, Per Giorgio Nebbia. Ecologia e giustizia sociale, Fondazione Luigi Micheletti, 2016). Oltre che dalla cattedra, il suo insegnamento è arrivato a noi attraverso migliaia di articoli sulle riviste e sui quotidiani (il Popolo, Il Giorno, La Gazzetta del Mezzogiorno, il manifesto…) e in cui non si è mai stancato di spiegare le relazioni ecosistemiche:

“I beni materiali provengono tutti dalla biosfera, il grande serbatoio di acqua, di gas, di minerali, di ricchezze fisiche, di energia, affollato di esseri viventi, legati tra loro da rapporti di scambio che non esiterei a chiamare ‘merceologici’: i vegetali trasformano, grazie all’energia solare, l’anidride carbonica dell’atmosfera, insieme all’acqua e ai Sali tratti dal terreno, in complicate molecole organiche; un processo durante il quale i vegetali liberano ossigeno che viene ceduto all’atmosfera e alle acque. Gli animali traggono alimenti dai vegetali (…)” e così via, da cui si deve evincere che: “I beni materiali necessari per soddisfare tutti i bisogni umani possono essere tratti soltanto dalla natura” (Altronovecento, 2006).

Dal suo impegno pedagogico il passo alla politica gli viene quasi naturale. Non così scontato il campo di gioco scelto da Nebbia: il Pci. Deputato e senatore come “indipendente” dal 1983 al 1992. Sono gli anni della costruzione delle Liste dei Verdi sulla scia dei successi dei Grünen in Germania, ma Nebbia (assieme a Laura Conti) preferisce la via più ardua: per potersi affermare – ritiene – l’ecologia avrebbe dovuto entrare nella strategia di trasformazione sociale della sinistra. E non sarà un compito facile pensando che ieri come oggi la cultura della sinistra politica è intrisa di sviluppismo produttivista e che allora il Pci e i sindacati erano schierati a favore del nucleare civile. Bene ha fatto Lelio Demichelis ad aprire la piccola collezione di scritti raccolti nel volume di cui ci occupiamo con il discorso che Nebbia fece al Congresso nazionale del Pci dell’83:

“Ecologia è la bandiera di un movimento che aspira a una maggiore giustizia realizzata attraverso la difesa dei beni collettivi – acqua, aria, spiagge, mare, boschi, animali – contro la speculazione privata, contro la loro appropriazione a fini di profitto”.

Sembra l’incipit di tante lotte attualissime sui beni comuni.

Preziosa e illuminante la corrispondenza dei primi anni Settanta tra Nebbia e Paccino in preparazione del famoso convegno dell’Istituto Gramsci “Uomo, natura e società: ecologia e rapporti sociali” organizzato da Giovanni Berlinguer nel tentativo di “investire il partito comunista della problematica ecologica”. Da una parte il timore che la tutela dell’ambiente potesse “fregare ancora una volta i deboli, i poveri”, una giustificazione per chiudere le fabbriche licenziare gli operai e aumentare lo sfruttamento altrove (secondo la tesi di Paccino autore di un libro di successo, L’imbroglio ecologico, e critico delle posizioni malthusiane del Club di Roma), dall’altra la consapevolezza che “il deterioramento dell’ambiente ricade più pesantemente proprio sui figli dei lavoratori e dei poveri” (la tesi di Nebbia). Uscire dal ricatto “inquinamento o fame” è il nodo che il movimento operaio non è mai riuscito a tagliare.



Se è possibile sintetizzare il pensiero che è alla base dell’ecologia politica di Nebbia (così come del gruppo che si raccoglierà attorno alla rivista marxista “Capitalismo Natura e Socialismo”), esso parte dalla constatazione che la violenza strutturale contro la natura (e quindi anche contro il genere umano) è insita nei modi di produzione capitalisti – che sono “intrinsecamente incompatibili con la difesa dei valori collettivi e planetari, cioè con la salvaguardia delle risorse naturali scarse” – e, quindi, la possibilità di salvezza dalla “morte ecologica” della biosfera può avvenire solo dalla liberazione delle classi sfruttate.

Nebbia insegue l’incontro tra ecologia e lotta di classe non nell’astratto delle teorie politiche, ma in ogni luogo dove esplodono le drammatiche contraddizioni che si vengono a creare tra lavoro e salute, tra insediamenti industriali e popolazioni, tra le ragioni della valorizzazione economica e la conservazione dei servizi eco-sistemici: a Cengio, a Seveso, a Brescia, ad Alessandria, a Torino, a Porto Marghera, a Taranto, a Manfredonia… La sua critica al capitalismo non vuole lasciare adito a interpretazioni arbitrarie, “ideologiche”, ma è sempre meticolosamente, ostinatamente fondata sull’analisi dei processi produttivi e di “consumo” delle merci.

Si parlerà di lui come uno dei fondatori dell’“ambientalismo scientifico”, cioè basato sulle evidenze materiali, misurabili, storicamente determinabili degli impatti dei processi di produzione dei beni materiali e del sistema economico e sociale sui “corpi ricettivi ambientali” (oggi diremmo sui cicli rigenerativi degli ecosistemi), ma sbaglieremmo di grosso se non comprendessimo che il suo impegno scientifico e politico in realtà prende le mosse da una visione del mondo etica e dall’imperativo morale per ognuno e, prima di tutto, per la politica, di assumersi le proprie responsabilità. Scrivono molto bene Poggio e Ruzzenenti nell’introduzione: Giorgio Nebbia ha “attinto risorse ed ispirazione da due matrici che avevano assunto come orizzonte il cristianesimo e il marxismo”.

fonte: www.comune-info.net


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Istruzioni per un nuovo mondo di Guido Viale

Sono già trascorsi cinque anni dalla Laudato si’. L’associazione milanese che prende il nome dall’enciclica di Francesco pubblica ora “Niente di questo mondo ci risulta indifferente”, un libro di grande utilità in cui si abbozzano alcune risposte (le più importanti) non solo ai grandi problemi della nostra epoca, ma anche a molti altri, di apparente minore importanza, con cui i primi si intersecano. Senza questo intreccio tra il grande e il piccolo, tra l’alto e il basso, tra il fondamentale e il minuto, non si costruisce una prassi, cioè non si ritrova il bandolo di ciò che veramente conta né si riesce a risalire da ciò che è alla nostra portata (il locale) a ciò che riguarda tutti: il globale

Guido Viale


Foto di Riccardo Troisi

Niente di questo mondo ci risulta indifferente, a cura di Daniela Padoan (304 pagine, Interno4 Edizioni), è il risultato del lavoro svolto nel corso di più di un anno dall’associazione milanese Laudato si’. Questo libro esce a cinque anni esatti dalla divulgazione di quell’importantissimo documento. Il titolo è tratto da una frase dell’enciclica di papa Francesco a cui l’associazione si ispira.

In quell’enciclica, come nel lavoro dell’associazione, il tema dei rifiuti o, meglio, degli scarti, occupa un posto centrale. Da un lato gli scarti materiali, che sono il risultato di un approccio alla produzione che si estrinseca in una economia lineare: prelievo di risorse vergini, sia rinnovabili che non rinnovabili, dall’ambiente; loro trasformazione in beni di consumo o mezzi di produzione; generazione di scarti sia nel corso della produzione che a conclusione del ciclo di consumo, per “riconsegnarli” all’ambiente in forme e con modalità che non ne consentono né l’inserimento in un nuovo ciclo produttivo (riciclo) né l’inclusione in un nuovo ciclo biologico senza pregiudicare l’equilibrio degli ecosistemi.

Il degrado ambientale e l’inquinamento sempre meno sostenibile sono la conseguenza diretta dell’economia lineare, a cui Francesco contrappone – ma ormai, a livello di enunciazione, sono tutti d’accordo, tranne poi non prendere alcun impegno pratico per tradurla in realtà – i principi di un’economia circolare, che riduca drasticamente i prelievi di risorse vergini ed elimini gli scarti, perché, come fa la natura con i suoi cicli vitali, alimenta ogni nuovo processo produttivo con i residui di quelli precedenti.

La produzione di scarti non si limita alla dimensione materiale dei processi produttivi, ma investe anche i rapporti sociali: chi si abitua a sbarazzarsi delle cose che non gli servono più senza preoccuparsi di accompagnarle verso processi che ne consentano la rigenerazione finisce per adottare lo stesso comportamento verso gli esseri umani, sia in campo economico che nelle relazioni e persino nelle amicizie più strette.

Coloro che non ci servono più, o che non sono più di alcuna utilità pratica, sia come produttori che come consumatori, per il funzionamento del sistema economico sono anch’essi scarti: “rifiuti umani”, residui sociali, ingombri di cui sbarazzarsi nel più breve tempo possibile e al più basso costo possibile, in quelle discariche dell’umanità che sono le tante forme di emarginazione a cui vengono condannate persone, comunità o intere popolazioni considerate superflue.

Tra questi due processi il legame è strettissimo: a pagare maggiormente i costi del degrado dell’ambiente sono coloro che l’economia lineare ha messo ai margini dei suoi processi.

Ho deciso di recensire questo libro, nonostante abbia contribuito alla sua stesura insieme a decine di altri co-autori, perché lo ritengo uno strumento di grande utilità per il lavoro di divulgazione in cui è impegnata l’associazione di cui faccio parte: in esso si abbozzano alcune risposte (le più importanti) non solo ai grandi problemi della nostra epoca, ma anche a molti altri, di apparente minore importanza, con cui i primi si intersecano.

Senza questo intreccio tra il grande e il piccolo, tra l’alto e il basso, tra il fondamentale e il minuto, non si costruisce una prassi, cioè non si ritrova il bandolo di ciò che veramente conta né si riesce a risalire da ciò che è alla nostra portata (il locale) a ciò che riguarda tutti: il globale.

Questa convinzione mi viene dalla consapevolezza – che credo di condividere con tutti i co-autori di questo testo – che la strada verso questo modo di rapportarsi al nostro tempo è già stata aperta dall’enciclica Laudato sì di papa Francesco, che ne ha focalizzato i principi portanti e che fa da sottofondo a tutti i paragrafi in cui si articola il libro.

Si tratta, per riportare a una formulazione semplice un ragionamento ricco di articolazioni, di profondità e di spessore, di due assunti di fondo tra loro strettamente connessi.

Foto di Riccardo Troisi

Il primo asserisce che a subire maggiormente i danni del degrado dell’ambiente sono i poveri della Terra: nel duplice risvolto di classi, gruppi e individui che si trovano al fondo della piramide sociale in ogni paese e di abitanti dei paesi segnati per sempre dalla dominazione coloniale nei confronti di chi di questa ha in vario modo tratto beneficio o lo trae tuttora.

I primi, relegati nei quartieri e nelle zone più inquinate e meno fornite di servizi pubblici delle città; tutti gli altri negli slum delle metropoli di paesi mai veramente usciti dalla sostanza di una condizione coloniale, in territori devastati e impoveriti dal saccheggio delle loro risorse e dagli effetti dei cambiamenti climatici ormai in corso da tempo.

In termini “geopolitici” sono da un alto gli abitanti dei paesi industrializzati o emergenti e dall’altro quelli di territori e nazioni che non si possono più chiamare né “sottosviluppati”, né “in via di sviluppo”, perché è ormai appurato che la loro storia coloniale e post-coloniale li ha in realtà condannati all’esclusione crescente e permanente dai benefici che abitanti di altre nazioni possono aver tratto da ciò che ha accompagnato per alcuni secoli la “civiltà industriale” e il dominio coloniale.

Di fatto, però, ogni paese del pianeta ha ormai al suo interno – per ricorrere a un’espressione ormai in disuso – il suo “Terzo Mondo”, così come in ogni paese c’è chi beneficia dei tanti processi di esclusione dei più.

Sono dunque i poveri della Terra, in questa duplice accezione, che hanno un vitale interesse a salvare l’ambiente per salvare se stessi. Non c’è per loro prospettiva di emancipazione se non facendo propri gli obiettivi di una radicale conversione ecologica – un’espressione introdotta da Alex Langer oltre 25 anni fa, ripresa con convinzione da questa enciclica – di tutto l’assetto sociale ed economico in cui è ormai immersa l’intera specie umana. Giustizia sociale e giustizia ambientale, rispetto di tutta la vita sulla Terra e salvaguardia dei diritti fondamentali di ogni essere umano non possono procedere disgiunti: sono la stessa cosa.

Questo ci introduce al secondo assunto fondamentale che attraversa l’enciclica e che, come il primo, è un filo conduttore di tutta l’articolazione dei temi sviluppati in questo testo: la Terra, il pianeta su cui e dei cui frutti viviamo, il “creato” – per usare il termine a cui fa principalmente riferimento l’enciclica – non ci appartiene, siamo noi che apparteniamo alla Terra.

Alla sua salvaguardia è indissolubilmente legato il destino della nostra specie, ma anche quello di ciascun individuo, come quello di tutto il vivente – di ogni essere animale o vegetale, anche il più apparentemente insignificante, come sottolinea papa Francesco – ciascuno dei quali ha una propria dignità, che deve essere rispettata anche quando decidiamo di potercene o dovercene servire.

Viene così sanzionata la fine di una visione antropocentrica che dagli esordi delle civiltà e con poche eccezioni – molte delle quali ancora vive tra le popolazioni native meno toccate da influenze “civilizzatrici” di matrice occidentale – ci ha condotti fino all’epoca attuale.

Molti le attribuiscono ormai la denominazione di antropocene, perché è la stessa struttura geologica del pianeta, oltre alla corsa all’estinzione di decine di migliaia di specie viventi, a risultare ormai fondamentalmente determinate dall’intervento umano.

Foto di Riccardo Troisi

Si tratta di una strada senza sbocchi, che negli ultimi decenni ha subito un’accelerazione che ci ha già sospinti sull’orlo di un baratro da cui potrebbe non esserci più ritorno e che l’enciclica, come nessun altro documento politico al mondo, denuncia con la determinazione di un anatema. Guai a non invertire rotta! Ma come?

Questo “come”, a cui questo libro non pretende certo di dare risposte definitive, ha spinto a costituire e a tenere in vita da ormai cinque anni un’associazione che prende il nome dall’enciclica e da molti più anni, chi individualmente e chi in altre aggregazioni, a dar vita a un processo di elaborazione condivisa: aprendolo ai contributi di un arco molto vario di approcci sia culturali o politici – ma non partitici – sia di “buone pratiche”, fino a sviluppare, per punti e sottopunti, un documento che ha lo scopo di aiutare i lettori a chiarirsi sulla posizione da prendere nei confronti dei tanti problemi trattati.

Molti di noi nel corso di questo percorso hanno potuto verificare come lo sforzo di collegare con un filo rosso i vari problemi su cui venivamo chiamati a pronunciarci nel corso di dibattiti o confronti – prima svolti in presenza, poi, negli ultimi mesi, solo on line – abbia facilitato enormemente il nostro lavoro di divulgazione, la capacità di capire e farsi capire. Soprattutto se con il termine divulgazione non intendiamo la banalizzazione di una questione, ma lo sforzo per portare allo scoperto il modo in cui questioni tecniche o argomenti anche complessi si intersecano con le esperienze della vita quotidiana a cui tutti possono fare riferimento. Basta guarda all’insieme dei capitoli, ciascuno dei quali si articola in 15-20 paragrafi, per rendersi conto della complessità di questo lavoro.


Da oggi e fino al 28 maggio, Niente di questo mondo ci risulta indifferente, a cura di Daniela Padoan (304 pagine, Interno4 Edizioni) è in vendita promozionale, in formato e-book, al prezzo di soli 4,45 euro. Dal 28, in formato cartaceo, costerà tre volte tanto. Chi è interessato può affrettarsi a ordinarlo e scaricarlo su Ibs, Feltrinelli, Mondadori e Amazon




fonte: https://comune-info.net



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La Terra è più calda



















Per aiutare i ragazzi che si trovano a casa, alle prese con compiti e ricerche, Greenpeace mette a disposizione gratuitamente questo libro divulgativo sui cambiamenti climatici.
Realizzato con il contributo di esperti di comunicazione e corredato di immagini, giochi e quiz, vuole essere d’aiuto a tutta la famiglia che vuole saperne di più.
Che differenza c’è tra meteo e clima? Se gli inglesi coltivavano la vite già nel Medioevo, che era più caldo di oggi, vuol dire che il clima è sempre cambiato? Davvero nel 1816 non c’è stata estate, come mai?
A queste ed altre domande cerca di rispondere “La Terra è più calda ”.
fonte: https://www.greenpeace.org

SOS Plastica: il divertente libro interattivo che insegna ai bambini come ‘aiutare il mare’


















Un pesciolino che non riesce ad uscire da una bottiglia, un cucciolo di delfino incagliato in una rete: nemmeno nel profondo del mare i nostri amici animali se la cavano bene, ma come fare per aiutarli? Arriva un libro magico, di quelli che spiegano ai più piccoli che tutti possono fare la propria parte per salvare gli animali e il pianeta!

È SOS Plastica, aiuta il mare in questo libro (disponibile su Amazon), pensato per la fascia di età dai 3 ai 6 anni: un libro interattivo, di quelli da scuotere, soffiare e schiacciare, per fare in modo che i bambini entrino nel cuore della storia e la facciano loro.

A scriverlo è Olimpia Ruiz di Altamirano, l’autrice indipendente che, dopo aver esplorato la profondità degli abissi con Tuffati in questo libro, regala ora ai piccoli un momento di riflessione su qualcosa che affligge il nostro mare, la plastica, e una bella occasione buona per imparare il rispetto per l’ambiente.




E con SOS Plastica lo fa con un libro interattivo, che chiede cioè al bambino di compiere delle azioni e si comporta come se effettivamente rispondesse (nella pagina successiva è illustrato “il risultato” dell’azione).

Questo libro non terrorizza i bambini, presentando scenari apocalittici, ma usa l’empatia con le creature marine per far riflettere anche i più piccoli: una forchetta monouso, se lasciata sulla spiaggia può diventare un grosso problema per una simpatica tartaruga. È il momento di pensare anche a questo!”, racconta Olimpia Ruiz di Altamirano sul suo sito.

La storia

Ci sono un pesce intrappolato in una bottiglia, una tartaruga con posate usa e getta incastrate nel carapace, un piccolo delfino che non riesce a liberarsi da un pezzo di rete, un pesce spada a cui un anello di plastica ha chiuso la bocca, le meduse disorientate dalle buste, un’orca spiaggiata e un granchietto che qualcuno dimentica in un secchiello.





fonte: www.greenme.it

Plastica addio

Fare a meno della plastica: istruzioni per un mondo e una vita "zero waste"di Elisa Nicoli e Chiara Spadaro





I numeri non lasciano scampo: la produzione mondiale di plastica è di circa 350 milioni di tonnellate. Ed è destinata ad aumentare ancora.

Una vita senza plastica? Si può fare!
Questo libro spiega perché fermare la plastica è un imperativo categorico e come sia possibile farne a meno.

Nei nostri mari finiscono ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Da quando esistono i materiali plastici meno del 10% è stato riciclato e in natura sono dispersi 6,3 miliardi di tonnellate di plastica. La plastica costituisce il terzo materiale umano più diffuso sulla Terra dopo l’acciaio e il cemento. I sacchetti di plastica sono il prodotto di consumo più diffuso al mondo.

Il messaggio è forte e chiaro, per invertire la tendenza c’è un solo modo: smettere di usare plastica, soprattutto quella usa-e-getta, e di produrla.

La plastica è un potente simbolo della modernità ma anche delle sue contraddizioni. Le tonnellate di rifiuti che infestano gli oceani e le microplastiche che minacciano la nostra salute non sono che il riflesso di un’economia fondata sulla “crescita” illimitata.

L’unica vera soluzione – in attesa di un’economia “circolare” – è produrre meno plastica o non produrne affatto. Nel nostro piccolo tutti noi possiamo passare all’azione e liberarci dall’ingombrante plastica quotidiana. In queste pagine le autrici forniscono preziosi consigli pratici per iniziare una vita “zero waste”: dalla spesa alla cura della casa, dalla cosmesi agli abiti, dall’ufficio ai viaggi. Per iniziare, mettiamo al bando la plastica monouso e sostituiamo i “plasticoni” con oggetti belli e duraturi. Saremo più sani, più consapevoli e più felici.

In prefazione l’intervista a Paola Antonelli – senior curator del Dipartimento di architettura e design del MoMa di New York. curatrice della XXII Triennale di Milano “Broken Nature. Design Takes on Human Survival”
Gli autori
Elisa Nicoli

Regista di documentari e scrittrice, Elisa Nicoli è una grande camminatrice ed esperta di autoproduzione. È autrice tra gli altri di libri quali “L’erba del vicino”, “Pulizie creative” e della guida “L’Italia selvaggia” (Altreconomia). I suoi siti sono elisanicoli.it e autoproduco.it
Chiara Spadaro

Laureata in Antropologia culturale, da dieci anni scrive per il mensile Altreconomia, occupandosi principalmente di tematiche ambientali e socio-culturali. È autrice di numerosi libri, tutti pubblicati da Altreconomia edizioni: l'ultimo è “Canapa revolution. Tutto quello che c'è da sapere sulla cannabis” (2018). Il libro “Adesso pasta!” (Altreconomia, 2011) è stato insignito nel 2013 del premio del Museo nazionale delle paste alimentari. Nel 2015 ha vinto il premio per giovani giornalisti Massimiliano Goattin con il progetto “Cemento Arricchito”: un’inchiesta sulle grandi opere e le resistenze ambientali in Veneto. Nel 2013 ha ricevuto i premi di giornalismo Penna d'oca, Alfio Menegazzo e l'Agricoltura civica award.


fonte: https://altreconomia.it/

L’Atlante mondiale della zuppa di plastica

Il libro di Michiel Roscam Abbing analizza le origini e le conseguenze del devastante inquinamento delle materie plastiche


















Plastica: un materiale prezioso per l’umanità, una piaga per l’ambiente. Da oltre settant’anni domina diversi settori dell’economia mondiale grazie a caratteristiche uniche quali la durata, la leggerezza, la versatilità e il basso costo. Eppure queste stesse caratteristiche si stanno dimostrando disastrose per gli ecosistemi. La capacità produttiva di queste materie ha superato di gran lunga quella di gestione del fine vita e la loro presenza non ha più confini. Gli ultimi studi hanno mostrato come l’inquinamento plastico sia ormai ubiquo: ha contaminato suoli, fiumi, laghi e mari, dalle profondità oceaniche alle cime delle montagne: oggi respiriamo, beviamo e mangiamo plastica. A raccontare una delle più diffuse “epidemie dell’epoca moderna” è oggi l’Atlante mondiale della zuppa di plastica dello scienziato Michael Roscam Abbing.

Nel 2011 Abbing ha fondato la Plastic Soup Foundation (PSF), sul cui sito www.plasticsoupfoundation.org illustra le ricerche e gli sviluppi più recenti nella lotta contro la plastica.
Il lavoro di questi anni si è trasformato in una pubblicazione competa, disponibile anche in Italia grazie al sito di Edizioni Ambiente. L’edizione italiana dell’Atlante è stata realizzata in collaborazione con Legambiente che ha curato un itero nuovo capitolo dedicato alla situazione del Mar Mediterraneo. “Il marine litter – dichiara Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, nella sua prefazione – è un’emergenza ambientale planetaria, la seconda dopo i cambiamenti climatici”. Il libro sarà il riferimento editoriale ufficiale nelle campagne che per i prossimi dodici mesi Legambiente realizzerà su questo tema ormai attualissimo.
Per fortuna, i segnali positivi non mancano, come dimostrano le ultime norme italiane ed europee in tema di plastiche monouso. Allo stato attuale, però, l’impegno messo in campo è ancora troppo poco. La pubblicazione analizza le origini e le conseguenze di tutti gli aspetti del devastante fenomeno attraverso le lenti di recenti studi scientifici, di immagini impressionanti e infografiche. E per incoraggiare il lettore a riflettere, ma soprattutto, ad agire, vengono discusse le possibili soluzioni volte a contrastare l’inquinamento ambientale da plastiche, di cui il nostro paese è un modello a livello internazionale.

fonte: www.rinnovabili.it