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Corte dei Conti: “Una maggiore raccolta differenziata sembrerebbe essere accompagnata da benefici economici, ma non al Sud”

Dalla relazione “Prime analisi sulla qualità della spesa dei Comuni”, secondo cui i rifiuti assorbono il 45% della spesa corrente degli enti locali, per un ammontare di circa 24 miliardi di euro, emerge un'Italia spaccata a metà. Per quanto concerne lo specifico servizio, risulta che una maggiore raccolta differenziata sembrerebbe essere accompagnata da benefici di carattere economico, ossia minori costi a tonnellata, ma non al Sud, che stentano a convergere verso tale circolo virtuoso



La Sezione delle Autonomie della Corte dei conti ha approvato, con delibera n. 14/2021, la relazione “Prime analisi sulla qualità della spesa dei Comuni” nella quale riferisce i risultati di una specifica analisi sulla gestione di alcuni rilevanti servizi comunali, quali le funzioni di amministrazione, gestione e controllo, polizia locale e rifiuti, che assorbono il 45% della spesa corrente degli enti locali, per un ammontare di circa 24 miliardi di euro.

Dall’indagine emerge un quadro disomogeneo a livello territoriale in termini di impiego di risorse e qualità dei servizi: le linee di tendenza a livello generale mostrano, infatti, evidenti differenze Nord-Sud, peggiori prestazioni di qualità della spesa nei piccoli Comuni rispetto ai Comuni di medie dimensioni, laddove nei grandi emergono costi maggiori; una differenziazione su base regionale delle tendenze di spesa (incrementi/decrementi) da ricollegare a politiche regionali che influenzano attività e decisioni dei Comuni, per quanto concerne lo specifico servizio rifiuti, una maggiore raccolta differenziata sembrerebbe essere accompagnata da benefici di carattere economico, ossia minori costi a tonnellata, ma non al Sud, che stentano a convergere verso tale circolo virtuoso.

L’analisi della Corte, alla luce della normativa più recente sulle misure di spending review che ha spostato l’attenzione dai tagli specifici su voci di spesa discrezionale alle misure di razionalizzazione volte a rendere l’attività delle Amministrazioni locali più performante, rileva, in particolare, i livelli di efficienza della spesa degli enti attraverso l’osservazione delle voci che incidono maggiormente sul versante qualitativo e degli output, per cogliere il rapporto tra i parametri di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa dispiegata.


In questo contesto un tema sfidante è rappresentato dal controllo della razionalizzazione della spesa dei vari soggetti che saranno esecutori del Recovery plan, spesso collegati fra loro in logica di network. Come indicato dalla Commissione Europea, dalla catena dei soggetti finanziatori a quelli esecutori ed ai livelli nazionale-regionale-locale, dovrebbe essere impostato un sistema unitario di controlli, un cruscotto di indicatori di performance chiave (KPI).

Per il servizio Rifiuti, l’analisi, estesa ai territori delle sole Regioni a statuto ordinario (6.627 Comuni), è stata svolta utilizzando la fonte informativa della banca dati SOSE/OpenCivitas, poiché il beneficio dell’utilizzo dei dati di SOSE/OpenCivitas per una corretta valutazione della dimensione di qualità della spesa è stato valutato di gran lunga superiore alla dimensione temporale, antecedente di due anni rispetto alle analisi di Amministrazione e Polizia locale, del dato stesso. Ciò anche in considerazione che l’evidenza empirica dimostra che vi è una certa stabilità di spesa (input) e di servizi erogati (output) nel breve-medio periodo.
Rifiuti – Le Conclusioni della Corte dei Conti

Il servizio rifiuti rientra tra i principali compiti assegnati ai Comuni e comporta l’impiego di notevoli risorse con il vincolo della integrale copertura dei costi, per cui a determinate condizioni e in linea teorica potrebbe essere considerato neutrale in termini di equilibrio. In realtà gli extra costi per inefficienze si scaricano sul cittadino utente piuttosto che sul bilancio dell’ente. In questo caso, e a differenza di quelli oggetto delle precedenti analisi è stato possibile utilizzare un indicatore di output di buona significatività, rappresentato dalle tonnellate dei rifiuti raccolti e smaltiti, oltre ad altre informazioni che hanno consentito di rendere maggiormente significativi i confronti fra i Comuni. Nel seguito sono elencati gli 
esiti principali dell’analisi.

 

Variabilità dei costi per tonnellata piuttosto accentuata – Nelle Regioni a statuto ordinario il costo del servizio Rifiuti per tonnellata mostra valori mediani pari a euro 317; in un quarto dei territori comunali si spendono meno di euro 249 (-21% della mediana), mentre in un altro quarto si spendono più di euro 415 pro capite (+31% della mediana). Ciò delinea una variabilità dei costi per unità di servizio piuttosto accentuata, in linea con quanto accade per gli altri servizi analizzati.

Il Comune medio è il profilo dell’ente in cui il costo è più contenuto – I Comuni più piccoli (0-3.000 abitanti) spendono euro 333 per tonnellata, ossia il 12,5% in più dei Comuni medi (3.000-50.000 abitanti) che spendono euro 296, mentre i Comuni più grandi (50.000 abitanti e oltre) spendono di più: euro 389, ossia oltre il 31% in più dei Comuni medi. I Comuni medi costituiscono, dunque, l’archetipo di migliore qualità della spesa che si riflette direttamente in un minor gettito richiesto alla collettività di riferimento.


La spesa del servizio varia notevolmente non solo a livello regionale, ma anche a livello provinciale all’interno della medesima Regione – La raccolta e smaltimento di una tonnellata di rifiuti in Lombardia mediamente costa euro 234, mentre in Basilicata costa il doppio, euro 465; ci sono punte di oltre euro 500, in più di un quarto degli enti in Liguria, Lazio, Abruzzo, Campania e Basilicata. Il territorio provinciale in cui il costo medio per il servizio Rifiuti è più elevato è Rieti, euro 526, seguito a ruota da La Spezia, euro 520, e Avellino, euro 499, mentre il costo più contenuto del servizio è in Lombardia, nelle Province di Lecco, euro 209, Mantova, euro 210, Bergamo e Como, in entrambi i casi euro 219. Tali differenze denotano probabili sacche di inefficienza. Le cause dei diversi livelli di costo non possono che essere verificate attraverso una analisi puntuale delle singole casistiche. In alcuni casi, infatti, l’alto costo del servizio potrebbe essere causato, ad esempio, dalla modalità di raccolta e, dunque, dal diverso output qualitativo del servizio. In altri, gli alti costi potrebbero essere attribuibili alla distanza delle infrastrutture di smaltimento e con ciò attribuibili anche al dialogo fra amministrazioni locali e regionali (che hanno competenze in merito alla programmazione delle infrastrutture di smaltimento). In altre situazioni ancora, il maggior costo potrebbe essere causato da costi di acquisizione di alcuni servizi (ad esempio: la raccolta o i costi di smaltimento) eccessivi.

Il Nord-Est è il territorio in cui il costo è inferiore per tutte le tipologie dimensionali di enti – La circostanza per cui i Comuni più grandi possiedono il primato di costo per tonnellata, trova alcune eccezioni: al Nord-Est e al Centro la loro spesa è mediamente inferiore rispetto ai Comuni più piccoli, rispettivamente euro 283 contro euro 290 e euro 386 contro euro 407. Il Nord costituisce l’area del Paese nel quale, nel corso degli anni, si è sviluppata una gestione di carattere industriale all’interno di organismi partecipati o gestione associate di varia natura giuridica, che ha dato vita a vari network in cui il modello consente di sfruttare economie di scala attraverso la costituzione di reti di gestione fra enti locali; si raggiungono così i livelli migliori sia per i Comuni grandi (valore mediano nel comparto Nord-Est pari a euro 283) e nei Comuni medi (euro 250 circa) e piccoli (euro 290). Il Sud e il Centro, richiedono molte più risorse finanziarie; i costi dei servizi sono più alti di oltre la metà rispetto al benchmark rappresentato dal Nord-Est, in tutte le categorie dimensionali (Sud: +51% per i piccoli, +56% per i medi, +53% per i grandi; Certo: +40% per i piccoli, +44% per i medi, +29% per i grandi).

I Comuni a forte vocazione turistica, con alto livello di benessere, bassa densità abitativa e con localizzazione prevalente in zone montane o litoranee, presentano il maggior livello di costo – In questi Comuni il costo è pari a euro 400 per tonnellata, +26% rispetto al valore mediano; all’opposto, con un risparmio del 26% rispetto al valore mediano, sono i territori dei Comuni con medio-alto livello di benessere e attrazione economica localizzati nelle zone pianeggianti del Nord-Est, euro 236. Nei Comuni turistici anche il costo per abitante può avere una certa significatività, in quanto grava sulla popolazione residente l’onere del servizio che nei periodi di afflusso turistico è reso con riferimento ad un numero di presenze molto più elevato.

Al Nord la maggiore raccolta differenziata ha un effetto benefico sui costi, al Sud li aumenta – Gli effetti benefici sulla spesa al Nord, conseguenti a maggiori livelli di raccolta differenziata sono attestati da una riduzione del 17% nei Comuni in cui la raccolta differenziata supera il 65% rispetto a quelli in cui non si raggiunge il 40% nel Nord-Ovest, dato che balza a -26% nel Nord-Est; al Centro e in misura più spiccata al Sud la situazione è esattamente inversa, rispettivamente +3% e +11%.


fonte: www.ecodallecitta.it



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Rifiuti elettrici ed elettronici, le attività illegali allontanano i target UE

Norme inefficaci e poca incisività nella lotta all’illegalità rischiano di allontanare l’Unione europea dagli obiettivi di raccolta e riciclo dei RAEE. L’analisi della Corte dei Conti.




L’Unione europea rappresenta una delle realtà più avanzate nel mondo quando si tratta di gestire i rifiuti elettrici ed elettronici. Le politiche e gli obiettivi comunitari fissati in questi anni hanno dato, infatti, una forte accelerazione alla “circolarità” degli Stati membri. Nonostante ciò, il Blocco rischia di non essere all’altezza dell’ambizione prefissata. A rivelarlo è un’analisi condotta dalla Corte dei conti europea in materia raccolta e riciclo dei RAEE.

Attualmente l’Ue ricicla circa il 40% di tutti i rifiuti elettrici e elettronici prodotti; il resto finisce nell’indifferenziata. Ovviamente le pratiche variano da paese a paese. Nel 2017, la Croazia ha riciclato l’81% di tutti i suoi RAEE, mentre a Malta appena il 21%.

Per aumentare le percentuali, a marzo 2020 la Commissione Europea ha presentato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare che ha come priorità la riduzione dell’e-waste. La proposta delinea specificamente obiettivi immediati come, ad esempio, la creazione del “diritto alla riparazione” e il miglioramento della riutilizzabilità in generale. E sarà seguita nell’ultimo trimestre del 2021 da una “Iniziativa per una elettronica circolare”, scritta ad hoc dall’esecutivo.

Ma molti dei problemi che frenano il settore non riguardano la normativa UE, quanto la capacità nazionale di farla rispettare. “Nel tempo la raccolta e il recupero dei rifiuti elettrici ed elettronici sono migliorati nell’UE”, ha dichiarato Joëlle Elvinger, il Membro della Corte responsabile dell’analisi. “Tuttavia, la raccolta, il riciclaggio e il riutilizzo di questi rifiuti non sono realizzati con pari efficacia in tutti gli Stati membri e potrebbero aumentare ancora. Sono state constatate alcune sfide anche nel modo in cui l’UE contrasta la gestione irregolare dei rifiuti elettrici ed elettronici, le spedizioni illegali e altre attività criminose”.

L’analisi ha evidenziato una certa difficoltà da parte di alcuni Stati membri a far rispettare le norme sui rifiuti elettrici ed elettronici: ad esempio, secondo la Corte, si possono verificare casi di gestione irregolare del trattamento di tali rifiuti (come la rimozione e il disinquinamento di sostanze potenzialmente tossiche o di altri componenti), spesso riconducibili a ispezioni e controlli sporadici o scadenti. Alcuni Stati membri non dispongono delle risorse necessarie per ispezionare adeguatamente gli operatori e le spedizioni di rifiuti al di fuori dell’UE. Gli incentivi economici per la gestione illegale o non corretta dei rifiuti sono ingenti, mentre è generalmente modesto il rischio di essere scoperti. “Il contrasto all’attività criminosa costituisce quindi una sfida notevole nella gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici”.

fonte: www.rinnovabili.it


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La Corte dei Conti europea sull’uso dei pesticidi

Vari Stati membri hanno recepito in ritardo l’insieme delle disposizioni della direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi, mentre gli agricoltori sono ancora poco incentivati ad adottare metodi alternativi. In aggiunta, la Commissione europea non ha la possibilità, secondo la Corte, di monitorare con precisione gli effetti o i rischi dovuti all’uso di pesticidi




















La Corte dei Conti europea ha pubblicato la relazione “Uso sostenibile dei prodotti fitosanitari: limitati progressi nella misurazione e nella riduzione dei rischi”. La Corte presenta le proprie relazioni al Parlamento europeo e al Consiglio dell’UE, nonché ad altre parti interessate, come i parlamenti nazionali, i portatori di interesse del settore e i rappresentanti della società civile. In passato su queste pagine abbiamo parlato delle relazioni sull‘inquinamento atmosferico e sulla gestione dei rifiuti.
I prodotti fitosanitari (“pesticidi”) vengono utilizzati per proteggere le colture da organismi nocivi, parassiti e malattie. Comprendono insetticidi, fungicidi ed erbicidi, che possono esercitare pressioni sull’ambiente e comportare rischi per la salute umana. L’UE dispone dal 1991 di norme comuni per la loro autorizzazione e il loro utilizzo e, nel 2009, ha adottato la direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi.
La Corte ha verificato se l’azione dell’UE al riguardo abbia avuto un esito positivo.
Vari Stati membri dell’UE hanno recepito in ritardo la direttiva nel diritto nazionale e, nel 2012, sono state avviate procedure di infrazione nei confronti di due di essi. La Corte ha inoltre constatato che la Commissione europea non aveva debitamente verificato la completezza o l’esattezza del recepimento.



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Ad esempio, non tutti gli Stati membri avevano recepito nel diritto nazionale l’obbligo per gli agricoltori di applicare la difesa integrata. La Corte riconosce però che, a partire dal 2016, la Commissione ha intensificato gli interventi per far rispettare l’attuazione della direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi.
In linea con la direttiva, la difesa integrata è divenuta obbligatoria per gli agricoltori. Essa consiste nel ricorrere ai pesticidi solo se la prevenzione e altri metodi falliscono o non sono efficaci. Secondo la Corte, non sono però stabiliti criteri chiari o requisiti specifici che aiutino a rendere esecutivo questo obbligo e a verificarne il rispetto. Parallelamente, è stata creata una categoria di “prodotti fitosanitari a basso rischio”. A oggi, tuttavia, sono disponibili all’impiego solo 16 sostanze di questo tipo su 487 (3 %) e non sono sufficienti.
Nella relazione si osserva, inoltre, che gli agricoltori sono poco incentivati a ridurre la propria dipendenza dai pesticidi. In particolare – segnala la Corte – l’applicazione dei princìpi di difesa integrata non è prevista come condizione per percepire i pagamenti PAC (Politica Agricola Comune).
La Corte ha rilevato che le statistiche sulle sostanze attive e sul loro uso pubblicate dalla Commissione (Eurostat) non erano abbastanza dettagliate per essere utili. Né i dati forniti dagli Stati membri erano sufficientemente armonizzati o aggiornati.
Infine, gli indicatori nazionali per misurare i rischi e l’impatto che alcuni Stati membri hanno pur sviluppato non erano comparabili nell’intera UE. I tentativi iniziali della Commissione di sviluppare tali indicatori a livello UE non hanno avuto successo per la mancanza di dati pertinenti. I primi due indicatori di rischio a livello UE sono stati introdotti solo nel novembre 2019, dieci anni dopo l’adozione della direttiva, e nessuno dei due tiene conto del modo, del momento e del luogo in cui i pesticidi sono utilizzati. Alla Commissione, pertanto, manca ancora una solida base di dati concreti per stabilire se la direttiva abbia conseguito l’obiettivo dell’UE di rendere sostenibile l’uso dei pesticidi, conclude la Corte.
Poiché la Commissione europea sta attualmente valutando la legislazione in questo settore d’intervento a fronte della crescente preoccupazione manifestata dai cittadini e nelle aule parlamentari, la Corte raccomanda di:
  • verificare la difesa integrata a livello di azienda agricola;
  • consentire il collegamento della difesa integrata ai pagamenti a titolo della nuova PAC;
  • migliorare le statistiche sui prodotti fitosanitari;
  • sviluppare migliori indicatori di rischio.

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fonte: https://www.snpambiente.it

Anche la Corte dei Conti riconosce che il consumo di suolo mette in ginocchio il Paese

L’organo dello Stato preposto a controllare la spesa pubblica e il bilancio si è pronunciato a fine ottobre sul tema del consumo di suolo. Non si è limitato a invitare Stato e Governo a fare “norme e azioni di radicale contenimento del consumo di suolo”, ma ha riconosciuto che questo è “in primis” correlato con il peggioramento dei fenomeni di dissesto idrogeologico. Il commento di Paolo Pileri

















Notizia sensazionale per il suolo. La Corte dei Conti ovvero l’organo dello Stato preposto a controllare la spesa pubblica e il bilancio dello Stato stesso, si è pronunciata sul tema del consumo di suolo.
Il fatto è rilevante e il documento da consultare è la deliberazione del 31 ottobre 2019, n. 17/2019/G. Ora anche la Corte è tra quelli che in modo netto dice che il continuo consumo di suolo mette in ginocchio il Paese su vari fronti, rendendolo sempre più fragile ed esponendolo a un crescendo in spesa pubblica, cosa di cui proprio non abbiamo bisogno.
Faccio notare che la Corte dei Conti è una istituzione che non appartiene all’area ambientalista. La sua raccomandazione non è dovuta per statuto e quindi la cosa va vista con ancor maggior attenzione e serietà.
La Corte non si limita a dire e invitare Stato e Governo a fare “norme e azioni di radicale contenimento del consumo di suolo” (p. 16), ma dice anche che il consumo di suolo è “in primis” correlato con il peggioramento dei fenomeni di dissesto idrogeologico che sappiamo costare all’Italia svariate centinaia di milioni di euro all’anno.
“I dati scientifici a disposizione dimostrano che il Paese è interessato, in misura crescente e preoccupante, da fenomeni diffusi di dissesto idrogeologico che si sono acuiti sia per gli effetti dei cambiamenti climatici, ma anche e soprattutto per l’aumento del consumo del suolo nel nostro Paese che è passato dal 2,7 per cento degli anni 50 al 7,65 del 2017” – Corte dei Conti
Questa affermazione è molto importante perché è una vera e propria certificazione autorevole che ci dice che così facendo peggiorano i conti pubblici e quindi il benessere di tutti i cittadini, gettando il Paese a una maggior esposizione debitoria. Chi deve agire è avvisato.
Ma non si ferma qui. La Corte conferma preoccupazioni che da anni alcuni ripetono all’infinito come quella di smettere di trattare la questione ambientale per spizzichi e bocconi perché occorrono dispositivi “di natura sistemica”. Viene chiesta al Parlamento una legge “radicale” (e non soffice) sul contenimento del consumo di suolo e addirittura di svuotare i piani urbanistici in quanto le previsioni ivi contenute sono “sovradimensionate”. Si dice di andare “solo” verso forme di pianificazione cooperative e non più settoriali: qui dentro ci metto anche la deleteria questione della frammentazione dei piani urbanistici comunali per cui ogni comune fa quel che vuole con il suolo.
Questa deliberazione ci auguriamo venga ascoltata e sia il punto di svolta che scioglie gli alibi di chi fino a oggi ha messo in moto mille tattiche per non approvare la legge nazionale contro il consumo di suolo (quella del forum Salviamo il Paesaggio è la più completa ed efficace) e di quelle Regioni che hanno approvato leggi inefficaci se non addirittura controproducenti che non hanno fatto fermare il consumo e neppur rallentarlo quanto necessario. Come dice la Corte, e lo ripeto con piacere semmai fosse ancora necessario per qualcuno capirlo, è “improcrastinabile un intervento sistemico e decisivo che affronti il tema della salvaguardia del suolo” (p. 19).
fonte: https://altreconomia.it

“L’Europa acceleri sull’energy storage”, l’avvertimento della Corte dei conti Ue

La Corte segnala che i progressi fatti finora per aumentare la capacità produttiva di batterie al litio sono insufficienti. Il documento in sintesi.




















L’accumulo energetico è un ingrediente essenziale per eliminare l’uso di carbone, petrolio e gas nei vari settori (produzione di elettricità, trasporti, riscaldamento): eppure, l’Europa è in ritardo nello sviluppare le soluzioni e tecnologie di storage, tanto da rischiare di compromettere i suoi obiettivi sulle risorse rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni inquinanti.
Questa la conclusione che si legge in un recente documento della Corte dei conti europea, EU support for energy storage (allegato in basso), che evidenzia alcuni punti critici della strategia messa in campo finora da Bruxelles.
Parlando di sistemi di accumulo, l’attenzione si concentra in modo particolare sulle batterie al litio destinate non solo ai veicoli 100% elettrici e ibridi plug-in, ma anche alle applicazioni stazionarie per singoli edifici oppure a livello di rete tramite grandi installazioni di accumulatori.
Le batterie, infatti, possono sostenere la diffusione su vasta scala di una mobilità più pulita, a zero emissioni, oltre a garantire più sicurezza e continuità alla generazione di energia elettrica con gli impianti eolici e solari, il cui output è sempre condizionato dalle variabili ambientali (ventosità, irraggiamento).
C’è un grafico nel documento che chiarisce bene quanto l’Europa stia annaspando, nonostante i ripetuti tentativi (vedi anche qui) di rilanciare investimenti multimiliardari per creare un’industria continentale delle batterie capace di contrastare, almeno in parte, la concorrenza asiatica.
Si vede, infatti, che nel previsto più che raddoppio della capacità produttiva mondiale di celle al litio al 2021, l’Europa aumenterà in piccolissima parte il suo contributo, passando da un 3% sul totale della produzione nel 2018 ad appena il 5% tre anni più tardi, al contrario dell’Asia che manterrà il suo primato assoluto, davanti agli Usa.
La Commissione europea aveva pensato di sbloccare la realizzazione di almeno 10-20 gigafactory di batterie entro il 2025 per complessivi 200 GWh di capacità/anno, con un investimento cumulativo nell’ordine di 20 miliardi di euro.
Tuttavia, evidenzia la Corte dei conti Ue, con ogni probabilità i numeri saranno intorno a 70 GWh di forza produttiva nel 2023, quindi ancora ben lontani dal traguardo fissato dalla Battery Alliance.
E di questi 70 GWh/anno, come riassume il grafico seguente, poco più di metà sarà in mano a compagnie con sede principale fuori dei confini europei: colossi asiatici o americani che avranno investito in alcuni stabilimenti nel nostro continente.
In definitiva, osserva la Corte dei conti europea, Bruxelles dovrà migliorare diversi aspetti della sua strategia per l’accumulo energetico: ad esempio, dovrà eliminare tutte le barriere tecnico-amministrative che ancora ostacolano la realizzazione di nuove infrastrutture per i carburanti alternativi (colonnine di ricarica, stazioni per l’idrogeno) e promuovere le riforme dei mercati elettrici in modo da valorizzare i servizi di rete offerti dagli accumuli (regolazione di frequenza, bilanciamento della domanda).
fonte: www.quelenergia.it

I rifiuti urbani prodotti calano, ma non la Tari? Corte dei Conti: «Migliori modalità di raccolta»

«Conta innanzitutto la capacità di avviare a riciclo quantitativi più o meno elevati di rifiuti»
















Analizzando l’offerta di servizi pubblici e le tariffe dei Comuni, nel suo Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica la Corte dei conti pone la gestione dei rifiuti urbani tra i migliori casi analizzati, in un quadro generale a tinte ben più fosche.
Negli ultimi anni, l’erogazione dei servizi pubblici ha «risentito delle difficoltà finanziarie degli enti locali che, da un lato, hanno cercato di limitare la spesa e, dall’altro, hanno tentato di accrescere le entrate diverse dai trasferimenti, tra le quali un peso non secondario è legato ai proventi incassati come corrispettivo per i servizi offerti. I risultati che emergono dall’analisi condotta per il Rapporto e che copre un arco pluriennale ampio, indicano una contrazione dell’offerta ed un ampliamento dei divari territoriali».
In particolare «per il trasporto locale, si assiste ad una diminuzione media del servizio reso superiore al 7 per cento fra il 2008 e il 2014 (in termini di posti/1000km), quale risultato di una sostanziale stabilità nelle Regioni settentrionali e di una contrazione di circa il 15 per cento nel Meridione. Parallelamente si assiste ad una contrazione della domanda (-28 per cento al Sud a fronte del -2 per cento al Nord)».
Giudizio complessivamente negativo anche per il servizio idrico, che «vede nel periodo una perdita di efficienza – su tutto il territorio nazionale – in termini di erogazione dell’acqua e un limitato progresso nella regolarità della fornitura che, ancora una volta, penalizza alcune Regioni del Sud».
«Anche l’offerta di servizi sociali – osserva la Corte dei Conti – misurata dalla spesa pro-capite reale, subisce una contrazione negli anni della crisi, particolarmente penalizzante proprio per la tipologia di servizi offerti (dall’assistenza domiciliare, sia socio assistenziale che integrata con i servizi sanitari, a trasferimenti in denaro o voucher, assegni di cura e buoni sociosanitari, all’assistenza presso strutture residenziali) e degli utenti cui sono rivolti. Peraltro la spesa sociale delle Amministrazioni locali in Italia, oltre ad avere un’incidenza limitata sulla spesa complessiva, è anche tra le più basse in Europa: circa lo 0,7 per cento del prodotto nel 2015, contro un valore prossimo al 2 per cento nella media dell’Area Euro a 11 Paesi».
L’unica performance in controtendenza tra quelle esaminate dalla Corte sembra quella inerente la gestione dei rifiuti urbani. «Diverse le considerazioni nel caso della gestione dei rifiuti: rilevata una riduzione della produzione degli stessi di circa il 9 per cento tra il 2007 e il 2014 – conseguente alla crisi economica e alla ridotta dinamica dei consumi che ne rappresentano la principale determinante – si evidenziano i progressi in termini di quota di rifiuti oggetto di riciclo, che nel periodo in esame aumenta dal 30 al 45 per cento. Miglioramento che riguarda tutte le aree territoriali, comprese le Regioni meridionali, che passano dal 10 per cento della metà degli anni duemila al 31,3per cento del 2014».
Al netto dell’inquinamento lessicale purtroppo perpetuato – i dati proposti, che costituiscono una stima dei quantitativi reali, riguardano “l’avvio al riciclo” e non il riciclo effettivo –, la Corte evidenzia un interessante parallelo con i costi relativi alla gestione dei rifiuti raccolti: «La contrazione del volume dei rifiuti prodotti dovrebbe avere contribuito a contenere la dinamica dei costi di raccolta e smaltimento. D’altra parte, l’attività dei Comuni non è rappresentata soltanto dall’attività di raccolta in sé, quanto dal miglioramento delle modalità di tale raccolta. Conta innanzitutto la capacità di avviare a riciclo quantitativi più o meno elevati di rifiuti, in modo da limitare l’impatto ambientale dell’intero ciclo dei prodotti. Inoltre, un altro elemento cruciale per il decoro urbano è la frequenza della raccolta».
Anche se da stime ufficiali i rifiuti urbani prodotti dagli italiani calano, non è dunque 
lecito attendersi che altrettanto facciano i costi di gestione. Come più volte evidenziato su queste pagine, servizi più complessi – come la raccolta differenziata porta a porta – portano vantaggi ambientali ma non a tasse più basse: a essere contenuti sono semmai gli aumenti di costi che complessivamente sarebbero avvenuti rimanendo a modalità più arretrate di raccolta.

fonte: www.greenreport.it