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Se nuotiamo in un mare di plastica



L’ambiente marino è altamente inquinato. Sono ancora allo studio le quantità di microplastiche e microfibre presenti negli oceani. Anche i cittadini possono giocare un ruolo fondamentale per salvare i nostri mari. Il contributo dell’approccio “citizen science”
È estate, la calura imperversa e l’unica salvezza, pensiamo in molti, non può essere che...

Plastica immortale: le microfibre sintetiche inquinano anche il suolo

Un nuovo studio mostra come il volume di microplastiche rilasciate negli ambienti terrestri dai cicli di lavaggio rivaleggi – e possa presto eclissare – la quantità che giornalmente finisce in oceani, fiumi e laghi.





Negli ultimi anni l’inquinamento da plastica è divenuto un problema sempre più sentito. A preoccupare non sono solo i grandi rifiuti abbandonati ma, anche e soprattutto, le particelle invisibili a occhi nudo: micro e nanopastiche che quotidianamente si riversano nei corsi d’acqua. È stato calcolato che ogni ciclo di lavaggio rilascia nelle acque reflue decine di migliaia microfibre sintetiche la cui persistenza e accumulo possono influenzare habitat acquatici e sistemi alimentari, con effetti a livello sanitario ancora da scoprire.

Molte delle ricerche su questo fronte si sono preoccupate di valutare la contaminazione di oceani, fiumi e laghi, tralasciando gli impatti a livello del suolo. I ricercatori della Bren School of Environmental Science & Management dell’UC Santa Barbara hanno colmato questo gap. E in uno studio pubblicato sulla rivista Plos One (testo in inglese), hanno rivelato che il volume di microfibre sintetiche che rilasciamo negli ambienti terrestri attraverso le lavatrici rivaleggia – e potrebbe presto eclissare – la quantità che finisce quotidianamente in acqua

“Le emissioni di microfibre in ambienti terrestri non costituiscono una novità. Ma l’entità del problema non era ben conosciuta”, ha commentato Jenna Gavigan, a capo dello studio. Utilizzando set di dati globali sulla produzione, l’uso e il lavaggio dell’abbigliamento insieme a quelli sul trattamento delle acque reflue e la gestione dei fanghi, Gavigan e colleghi hanno calcolato che 5,6 milioni di tonnellate di microfibre sintetiche siano state emesse dagli indumenti tra il 1950 e il 2016. Di queste, 2,9 milioni si sono fatte strada nei corpi idrici e 2,5 milioni hanno raggiunto il suolo. Quando gli impianti di trattamento dei reflui riescono, infatti, a fermare queste microplastiche impendendo loro di tornare in acqua, queste inevitabilmente si accumulano nei fanghi. Questi a loro volta vengono trattati e trasformati in biosolidi e “utilizzati prevalentemente in applicazioni terrestri”, come fertilizzanti e ammendanti del suolo, o relegati in discarica.

E il problema sta aumentando con il tempo. “Se guardi le cifre puoi vedere l’enorme crescita nella produzione di indumenti sintetici e, di conseguenza, un aumento dell’inquinamento da microfibra”, ha spiegato il professore di ecologia industriale e coautore dello studio Roland Geyer. Secondo il documento, circa la metà di tutte le emissioni totali di microfibre sintetiche – più economiche e facilmente producibili in serie – sono state generate solo nell’ultimo decennio.

Secondo i ricercatori, prevenire le emissioni alla fonte – ad esempio utilizzando un dispositivo di cattura, selezionando un metodo di lavaggio più delicato, lavando i vestiti meno spesso o evitando i tessuti sintetici – sarebbe il metodo più efficace nel mitigare l’inquinamento da microfibra che cercare di catturare le particelle con gli impianti di trattamento.

fonte: www.rinnovabili.it


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I jeans stanno inquinando i mari del mondo: trovate microfibre di denim anche nell’Artico

I jeans sono uno dei capi più amati e indossati al mondo. Un nuovo studio però ha rilevato che le microfibre del denim sono presenti non solo nelle acque reflue ma anche nei laghi e nei sedimenti marini dell’Artico.





Negli ultimi 100 anni, la popolarità dei blue jeans è cresciuta a dismisura. Molte persone li indossano ogni giorno forse non conoscendo quanto possano risultare dannosi per l’ambiente. Un nuovo studio, pubblicato su Environmental Science & Technology Letters, ha dimostrato che il lavaggio di questo indumento e di altri tessuti rilascia microfibre nelle acque reflue.

Anche se la maggior parte di esse vengono rimosse dagli impianti di trattamento, alcune finiscono comunque nell’ambiente attraverso lo scarico delle acque reflue. Miriam Diamond, Samantha Athey e gli altri autori dello studio si sono chiesti se i blue jeans fossero una delle principali fonti di microfibre di cellulosa per l’ambiente acquatico. I jeans infatti sono fatti anche da fibre di cellulosa di cotone naturale, lavorate con un colorante sintetico indaco e altri additivi chimici.

I ricercatori hanno utilizzato una combinazione di microscopia e spettroscopia per identificare e contare le microfibre in denim color indaco in vari campioni di acqua raccolti in Canada. Il denim indaco costituiva rispettivamente il 23%, il 12% e il 20% di tutte le microfibre trovate nei sedimenti dei Grandi Laghi, dei laghi suburbani poco profondi vicino a Toronto, e nell’arcipelago artico canadese.

Sulla base dei livelli di microfibre presenti negli effluenti delle acque reflue, i ricercatori hanno stimato che gli impianti di trattamento oggetto di studio scaricano circa 1 miliardo di microfibre denim indaco al giorno. Negli esperimenti, i ricercatori hanno scoperto che un singolo paio di jeans usati potrebbe rilasciare circa 50mila microfibre per ciclo di lavaggio.

Secondo i ricercatori, non si conoscono ancora gli effetti che le microfibre avranno sulla vita acquatica, un modo pratico per ridurre l’inquinamento da microfibra denim sarebbe quello di lavare i jeans meno spesso. Ma al di là di questo, un aspetto ha allarmato gli scienziati: la presenza di microfibre dei jeans nell’Artico è un potente indicatore dell’impatto umano sull’ambiente.

fonte: www.greenme.it

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Tonnellate di microfibre negli oceani: per fermarle dobbiamo cambiare le nostre abitudini

Una nuova ricerca valuta l’impatto delle microfibre – provenienti dai lavaggi domestici – sugli ecosistemi oceanici e stila una serie di consigli per ridurre il problema

















L’8 giugno si è celebrata la Giornata mondiale degli oceani e in occasione di questa ricorrenza un nuovo studio della Northumbria University, in Inghilterra, punta i riflettori su un problema ancora poco considerato: l’inquinamento da microfibre. Secondo gli studiosi, ogni anno la sola Europa riversa negli ecosistemi marini 13.000 tonnellate di microfibre, sia naturali che sintetiche
Queste fibre, rilasciati dai tessuti durante il lavaggio, sembrano essere anche più dannose per fiumi, mari e oceani delle microplastiche bandite dai prodotti di consumo. Per valutarne a pieno l’impatto ambientale, gli scienziati in collaborazione con Procter & Gamble hanno misurato il rilascio di microfibre dai tipici cicli di lavaggio, valutando anche fattori come l’aggiunta dell’ammorbidente o l’età dei capi
L’analisi svolta dai ricercatori della Northumbria University ha rivelato come vengano persia ogni lavaggio standard e per ogni chilogrammo di tessuto, in media 114 mg di fibre.
Attraverso analisi spettroscopiche e microscopiche il team è riuscito anche a determinare i rapporti tra fibre artificiali e naturali rilasciate dai carichi di lavaggio, scoprendo che il 96% delle particelle liberate sono naturali (da cotone, lana e viscosa), mentre solo il 4% proviene da fibre sintetiche (come nylon, poliestere e acrilico). Il dato è positivo. Le prime infatti si biodegradano molto più rapidamente a differenza di quelle sintetiche o a base petrolifera, che al contrario si stabilizzano e permangono negli ambienti acquatici a lungo. 
Confrontando diverse lavatrici, il gruppo di ricerca ha scoperto che quelle di ultima generazione permettono una riduzione del 70% nel rilascio di fibre da tessuti in pile del 37% da magliette in poliestere. Ma non è solo cambiando lavatrice che si può coadiuvare la riduzione di questi inquinanti dagli ecosistemi acquatici. Altre semplici azioni possono essere d’aiuto: dall’utilizzare vestiti più vecchi in quanto le microfibre rilasciate sono molto alte nei primi otto lavaggi, al fare carichi più alti che, a causa del rapporto inferiore tra tessuto e acqua, ne diminuiscono il rilascio (senza riempire troppo la propria lavatrice: l’ideale sarebbero 3/4 di carico). 
La ricerca suggerisce come possibile miglioramento un “semplice” cambio di abitudini. Infatti se le persone usassero cicli di lavaggio da 15 minuti a 30°C la quantità di microfibre rilasciate dai tessuti si ridurrebbe del 30%, con un risparmio di questi inquinanti di circa 3.810 tonnellate. 



Come ha sottolineato l’autore principale dello studio, John R. Dean, per “trovare una soluzione definitiva all’inquinamento degli ecosistemi marini da parte delle microfibre rilasciate durante i cicli di lavaggio” saranno necessari “interventi significativi sia nei processi di produzione di tessuti che nella progettazione delle lavatrici”. Nel frattempo la ricerca, spiega Neil Lant, Research Fellow della Procter & Gamble, “ha dimostrato che le scelte dei consumatori per quanto concerne il bucato possono avere un impatto significativo e immediato sull’inquinamento da microfibra. Ciò non eliminerà il problema, ma potrebbe permetterci di operarne una significativa riduzione a breve termine mentre vengono sviluppate e commercializzate altre soluzioni tecnologiche, come filtri per lavatrice e indumenti a bassa dispersione”. 
fonte: www.rinnovabili.it


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Tessuti sintetici e rilascio di microfibre durante i lavaggi in lavatrice

Uno studio italiano fa comprendere quale sia il contributo all'inquinamento marino, e non solo, dei lavaggi in lavatrice dei nostri capi di abbigliamento in materiali sintetici





Uno studio del CNR contribuisce a fare chiarezza su cosa accade ai tessuti sintetici e misto sintetico durante la fase di lavaggio in una normale lavatrice di tipo domestico. Gli scarichi della lavatrice sono stati collettati e le acque filtrate da una sequenza di filtri con porosità diversa e decrescente per definire con maggiore esattezza la quantità e la dimensione delle microfibre rilasciate.

I risultati dello studio italiano mostrano che, durante un normale lavaggio in lavatrice, vengono rilasciate da 124 a 308 mg per kg di microfibre tessili, questo range è influenzato dal tipo di indumento lavato, in particolare della natura del filato e dalla torsione dello stesso.

Diversi studi in questo ambito evidenziano come l’inquinamento marino dovuto alle microfibre tessili di tipo sintetico incida per il 35%. Non vi è da stupirsi se si considera che l’utilizzo di microfibre sintetiche costituisce il 60% delle materiale utilizzato dall’industria tessile e moda, che ogni anno ne utilizza 69,7 Mt., mentre, i lavaggi a livello domestico si aggirano, su scala globale, intorno a 840 milioni con un consumo di 20 km cubi di acqua e 100 TWh di energia.

Pensando a questi dati si comprende come il problema sia rilevante. Le mircofibre tessili si creano a seguito sia di uno “stress” chimico che meccanico del materiale tessile durante il processo di lavaggio in lavatrice, per questo molte ricerche cercano di capire come intrappolare, con appositi filtri, la maggiore quantità di fibre in modo che non risultino una fonte di inquinamento per il nostro ambiente.

Queste, infatti, possono finire sia nel suolo attraverso i fanghi di depurazione, spesso utilizzati anche in agricoltura, sia nei nostri mari, dove, inevitabilmente, vengono ingerite dai pesci e dai molluschi, finendo nella catena alimentare, e mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza di alcune specie ittiche.



In questo studio, pubblicato su Nature, sono state utilizzate 4 differenti magliette (T-shirt) due di poliestere al 100%, con strutture simile ma non identiche, una di poliestere ma con il 65% di materiale riciclato ed infine una con materiali misti: poliestre, cotone e modal.

Queste magliette sono state sottoposte a normali lavaggi in lavatrice da 2 - 2,5 kg di carico con uso del detergente ma allo scarico della lavatrice sono stati apposti dei filtri di diverse dimensioni per intrappolare le fibre rilasciate.

Lo studio riporta gli esiti dopo il primo lavaggio, e nei lavaggi successivi, con riferimento ai diversi tessuti impiegati.

Dopo il primo lavaggio emerge che
le maglie in poliestere al 100% (identificate con le sigle BT e RT nell’immagine che segue) rilasciano una quantità similare di microfibre, perché hanno una struttura e un filato con caratteristiche simili; rispettivamente BT rilascia 1,1000,000 microfibre mentre RT 770,000
la maglia contenente poliestere riciclato (contrassegnata dalla sigla GB) si comporta diversamente dalle precedenti, rilasciando una minore quantità di particelle tessili, ovvero 640,000
la maglietta con materiali diversi, poliestere, cotone e modal (contrassegnata dalla sigla GT), risulta quella con il maggior numero di microfibre rilasciate, pari a 1,500,000.


Per quanto riguarda i filtri, quello che trattiene maggiormente le microfibre, in fase di lavaggio dei tessuti, risulta quello con porosità 60 micrometro. Per tutte le 4 magliette, infatti, questo si mostra in grado di trattenere ii 75-80% del totale delle microfibre rilasciate.

Nei lavaggi successivi, sono state utilizzate solo due diverse magliette: quella in poliestere al 100% (con sigla BT) e quella con materiale misto, poliestere, cotone e modal (con la sigla GT).

Verificando e confrontando il comportamento di questi diversi tessuti nei lavaggi successivi emerge che:
dopo il 4° o 5° lavaggio, le microfibre rilasciate dalla maglietta in 100% poliestere (BT) tendono a stabilizzarsi mentre quelle della maglietta connotata dalla sigla GT tendono a diminuire.

Lo studio, in conclusione, conferma che il lavaggio dei tessuti in lavatrice contribuisce all’inquinamento delle acque superficiali e marine. Le microfibre rilasciate dai diversi indumenti utilizzati vanno da un range di 124 a 308 mg per kg che corrisponde ad un numero di fibre da 640,000 a 1,500,000.

Visualizza "The contribution of washing processes of synthetic clothes to microplastic pollution"

fonte: http://www.arpat.toscana.it

Contro l’inquinamento da microfibre, 2 idee da mettere in lavatrice

Dalla borsa per la biancheria Guppyfriend a Cora Ball di Rozalia Project: arrivano sul mercato le prime soluzioni per impedire alle microfibre  dei vestiti sintetici di disperdersi nell’acqua di lavaggio




















La lotta per impedire alle minuscole particelle di plastica di disperdersi negli oceani ed entrate nella catena alimentare potrebbe iniziare dalle lavatrici. Sul mercato iniziano ad arrivare, infatti, le prime soluzioni per contrastare l’inquinamento da microfibre legato ai capi da abbigliamento. Come ormai dimostrato da tempo, anche i nostri vestiti sono parte del problema: ogni volta che li laviamo, rilasciano particelle talmente piccole da non essere intercettate né dai filtri delle lavatrici né dagli impianti di trattamento delle acque reflue finendo così nei fiumi e nei mari. Secondo uno studio del 2016, pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology, più di un grammo di microplastiche viene rilasciato ogni volta che vengono lavate giacche sintetiche e fino al 40 per cento delle stesse finisce inevitabilmente nei corpi idrici.

Una mano potrebbe darla Guppyfriend, primo dispositivo progettato e commercializzato specificamente per prevenire l’inquinamento da microfibre. Inventato da due surfisti tedeschi – Alexander Nolte e Oliver Spies– e testato dell’istituto di ricerca Fraunhofer, Guppyfriend non è altro che un sacchetto per lavatrice: basta inserirvi i capi, metterlo nel cestello e quindi pulirlo a mano una volta finito il lavaggio. La sottilissima trama permette di trattenere fibre e microplastiche con un dimetro superore a 15 μm, consentendo invece il passaggio dell’acqua saponata.

microfibre

È realizzato in nylon 66, un tipo di poliammide particolarmente resistente che non perde facilmente “pezzi”. Come parte del programma di test, gli scienziati dell’UMSICHT, presso il Fraunhofer Institute hanno confermato che il sacchetto non solo conserva in modo affidabile le microfibre (86% in meno di particelle perse), ma protegge anche i tessuti. Il progetto è prima approdato su Kickstarter, quindi nei negozi di Patagonia dove è venduto a un prezzo di 30 euro.

Ma non si tratta dell’unica idea in commercio. La startup americana Rozalia Project ha lanciato nel 2017 la sua Cora Ball. Al pari della soluzione tedesca, anche Cora Ball nasce per contrastare l’inquinamento da microfibre originato dai capi d’abbigliamento. Il suo funzionamento, spiegano gli inventori, trae ispirazione dalla natura e più precisamente dal sistema di filtraggio dei coralli.

cora ball

Le molteplici “braccia” che costituiscono la sfera catturano le fibre disperse durante il lavaggio, che potranno essere poi rimosse a mano a fine ciclo. I risultati, da quanto si legge sul sito di Rozalia, sembrano essere inferiori a quelli di Guppyfriend – ridurrebbe di oltre il 25% la quantità di microfibre rilasciate – ma il costo è più o meno simile: circa 25 euro a cui vanno aggiunte le spese di spedizione.

fonte: www.rinnovabili.it

Non solo mare: le microplastiche affliggono anche i laghi italiani

Il maggior numero di particelle di microplastiche nel lago d'Iseo e nel lago Maggiore, con valori medi di densità di 40.396 e 39.368 per chilometro quadrato di superficie campionata
















Il problema delle microplatiche disperse nelle acque non è una novità. Il primo a raccontarlo in Italia è stato Nicolò Carnimeo, con il libro «Com’è profondo il mare». Nell’opera, scritta dopo aver viaggiato per un paio d’anni e conosciuto Charles Moore, vengono descritte le cinque isole galleggianti e le miriadi di frammenti che navigano nel mare, sfigurando interi tratti di costa. Adesso si scopre che il problema sussiste anche nelle acque dolci.  Sono state Legambiente e l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), con il supporto di Mareblu e di Novamont, a condurre le prime rilevazioni sui principali laghi italiani e i risultati non sono stati confortanti. Le microplastiche sono state riscontrate in tutti i laghi monitorati, Iseo e Maggiore in testa. «Nemmeno i laghi sono esenti dal problema delle microplastiche», ha sottolineato Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente durante la presentazione dei dati, avvenuta nel corso di «Ecomondo».
NUMERI DA CAPOGIRO – I risultati riportati si riferiscono a cinque laghi: Maggiore, Iseo, Garda e i laghi di Bolsena e Albano nel Lazio, in cui sono state rinvenute particelle con dimensione compresa tra uno e cinque millimetri. In tutti i campioni analizzati sono state trovate microplastiche: un dato sulla diffusione di questa contaminazione in ambiente lacustre, nonostante le diversità di ogni lago. Stando allo studio condotto, i bacini in cui sono state trovate più particelle sono l’Iseo e il Maggiore, con valori medi di densità di 40.396 e 39.368 microplastiche su chilometro quadrato di superficie campionata. I laghi di Bolsena e di Garda presentano densità medie simili, rispettivamente 26.829 e 25.259 particelle su chilometro quadrato. Il lago in cui è stata trovata la minore quantità di microplastiche è il lago Albano, con una media di 3.892 particelle su chilometro quadrato. Contestualmente alla densità di particelle, sono state fatte analisi sulla loro forma e ipotesi sulle fonti. I frammenti costituiscono il settanta per cento di tutte le particelle e sono presenti in tutti i laghi, così come i filamenti ma in percentuali minori (6,8 per cento). Le particelle di polistirolo sono state rinvenute solo nei laghi subalpini, mentre nei laghi laziali spicca la presenza dei frammenti a forma di foglio.
Secondo Legambiente, per combattere la diffusione di microplastiche nei laghi italiani bisogna attuare campagne di sensibilizzazione e avviare una filiera virtuosa del riciclo, 


LE DIVERSE ORIGINI DELLE MICROPLASTICHE – Mentre gli studi sulla presenza di microplastiche in ambiente marino sono cominciati già negli anni 70, gli studi sui laghi sono ancora pochi, specialmente in Italia. Nel caso di frammenti e fogli, le fonti principali si possono individuare nella disgregazione dei rifiuti di maggiori dimensioni. I filamenti, invece, sono riconducibili a cordame, tessuti sfilacciati e fibre tessili sintetiche derivanti dagli scarichi delle lavatrici. Per quel che riguarda il polistirolo l’origine è legata alle lavorazioni industriali, imballaggi o attività di pesca. «La cattiva gestione dei rifiuti a monte resta la principale causa del fenomeno – prosegue Ciafani -. Al tempo stesso i nostri dati evidenziano come buona parte dei rifiuti che troviamo negli ambienti costieri e marini potrebbero essere riciclati. Elemento da tenere in considerazione nel determinare le azioni per la gestione del problema. L’idea di coinvolgere i pescatori nella raccolta dei rifiuti in mare, indicata nella proposta nell’ambito della strategia marina del Ministero dell’ambiente, è buona ma non basta. È indispensabile prevenire il problema attuando campagne di sensibilizzazione e lavorando sull’innovazione di processo e di prodotto e sull’avvio di una filiera virtuosa del riciclo».

fonte: http://wisesociety.it/

Le microfibre sono i peggiori inquinanti marini

Ad ogni lavaggio, gli indumenti in microfibra perdono in media 1,7 grammi di frammenti. Di questi il 40% va a inquinare fiumi, laghi, mari e mette a rischio anche gli animali


Le microfibre sono i peggiori inquinanti marini

La fonte di inquinamento delle acque più diffusa – e preoccupante – dipende dalla centrifuga della nostra lavatrice. Uno studio dell’Università della California appena pubblicato assegna alle microfibre che si staccano dai vestiti ad ogni lavaggio il primo posto nella lista degli inquinanti marini. Da qui deriva non solo l’avvelenamento di fiumi e mari, ma anche il rischio concreto di mettere a repentaglio animali non solo acquatici.
Tutto inizia dalle prove raccolte dalla ricercatrice Sherri Mason nei pesci dei Grandi Laghi al confine tra Stati Uniti e Canada: i loro corpi sono pieni di microfibre sintetiche, minuscoli frammenti che si staccano dai vestiti. Lo stesso vale per le zone costiere. Mason si è allora chiesta da dove potesse provenire una quantità così grande di filamenti tossici. E la risposta è la lavatrice.
In media, si legge nella ricerca, un giubbotto in tessuto sintetico perde 1,7 grammi di microfibre ad ogni lavaggio. Se è nuovo, perché se invece ha i suoi anni il dato raddoppia. Dalla lavatrice, questi frammenti vengono scaricati insieme all’acqua negli impianti di trattamento. Solo una parte viene effettivamente trattenuta: il 40% finisce in fiumi, laghi, oceani.

 
Queste microfibre sintetiche sono particolarmente pericolose in quanto hanno il potenziale di avvelenare tutta la fauna di un ecosistema, l’intera catena alimentare. Le dimensioni microscopiche favoriscono l’ingestione da parte dei pesci. Il rischio è amplificato dalla loro capacità di bioaccumularsi negli organismi, quindi di concentrare una quantità sempre maggiore di tossine nei corpi degli animali ai livelli superiori della catena alimentare.
A sua volta, la bioaccumulazione spalanca prospettive decisamente inquietanti visto che le microfibre plastiche assorbono molecole e sostanze inquinanti persistenti e ad elevatissima tossicità, come ad esempio i policlorobifenili (PCB), che si vanno poi a concentrare nei tessuti organici.
I risultati di questa ricerca devono far riflettere anche su alcune pratiche considerate finora pienamente sostenibili. È il caso della stessa azienda che ha sovvenzionato lo studio di Mason, Patagonia. Per ridurre la sua impronta ecologica, la compagnia ricicla bottiglie di plastica – triturandole – per ricavarne microfibra per gli indumenti sportivi che commercializza. Ma secondo questa ricerca, quella stessa plastica avrebbe inquinato di meno sotto forma di bottiglia.

fonte: www.rinnovabili.it