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ScartiAMO, la moda recuperata di Taivé



Mondo sociale – Nasce “scartiAMO”, una collezione di moda realizzata con materiali di recupero. A realizzarla sono le donne della

Cucilo tu stesso! All'interno della rivoluzione della moda a zero rifiuti

 

Nel blocco, migliaia di persone hanno iniziato a farsi i vestiti per la prima volta - un movimento nato dalla creatività e dal consumo consapevole

My foot si libra nervosamente sul pedale della macchina da cucire. Mi sto facendo

Noleggio abiti da sposa, da cerimonia o da sera: ecco come avere un outfit fashion in maniera sostenibile e risparmiando

Gli abiti delle grandi occasioni sono tali perché vengono utilizzati soltanto pochissime volte. E allora perché acquistarli, quando si può noleggiarli? È la fashion renting, che tra app, portali e negozi fisici continua ad ampliarsi




Continuiamo il nostro viaggio nel mondo della moda circolare rispondendo alla domanda delle domande: “non ho nulla da mettermi, come faccio?”. Chi non ha pronunciato, almeno una volta, questa frase soprattutto quando c’è di mezzo una festa o un evento al quale partecipare?

La soluzione giusta potrebbe arrivare senza dover acquistare proprio nulla. Oltre al re-sale, ovverosia il grande mercato dell’abbigliamento e accessori di seconda mano, una delle mode che sta prendendo piede è quella del fashion renting e cioè il noleggio di vestiti, borse e scarpe, in particolar modo per le grandi occasioni ma non solo.

Perché noleggiare un vestito o una borsa

Se aprissimo il nostro guardaroba e decidessimo di dividere il contenuto in due macro gruppi, probabilmente potremmo individuare un esiguo numero di abiti che utilizziamo praticamente tutti i giorni e, accanto ad esso, troveremmo una montagna composta da tutti i vestiti indossati solo una o due volte. Questo accade a causa degli degli outfit pensati per occasioni particolari come matrimoni, battesimi, feste di laurea il tutto rigorosamente moltiplicato per quattro ovvero nel rispetto delle diverse stagioni. Se poi, come capita più o meno a tutti, cambia la forma fisica, tale tipologia di capi è presente anche in differenti taglie.

A ciò si aggiunge la collezione dedicata ad appuntamenti particolari come uno spettacolo estemporaneo realizzato con alcuni amici, l’imperdibile festa di carnevale e il compleanno a tema di un caro amico al quale non abbiamo potuto mancare . Se questa è la descrizione del vostro armadio, è arrivato forse il momento di cambiare strategia. Ciò che non indossate più potrà essere rimesso in circolo grazie al mondo second hand. Per le future esigenze, continuate a leggere l’articolo per scoprire dove noleggiare accessori e abiti. In tal modo, inoltre, riuscirete a ridurre l’impatto ambientale del vostro abbigliamento. Sarà infatti necessario acquistare meno capi, con un occhio magari anche alla qualità dei tessuti, contrastando così il fenomeno del fast fashion che, come noto, diventa un problema anche nella raccolta differenziata del settore del tessile. Si riduce poi l’uso delle materie prime (ad iniziare dall’acqua, considerato che il tessile è un settore con’elevata impronta idrica) che, come ci ricorda ogni anno l’Overshoot day, non è infinito.

Ma non solo gli altri indubbi vantaggi saranno i risparmi di soldi e spazio.

Quanto vale il fashion renting

L’espressione inglese tradisce un po’ le origini di questa tendenza che, per fortuna, si sta diffondendo sempre di più anche in Italia e che ha già preso piede in Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e… la Cina.

Come segnalato anche dall’Eurispes, nel 2023 il mercato del noleggio dei vestiti potrà avere un giro d’affari di ben 1,9 miliardi di dollari, con una crescita media annua del 10,6% tra il 2017 e il 2023. A farla da padroni gli americani con il 40% del valore (dati Allied Market Research).

Perché il noleggio degli abiti sta diventando così popolare

Consapevolezza ambientale, risparmio di soldi e di spazio: non sono gli unici ingredienti di del successo del noleggio di abiti e accessori. Il renting è sempre esistito ma era legato soprattutto ad eventi eccezionali come le feste in maschera o per esigenze teatrali. Tra le chiavi della diffusione del fenomeno vi è sicuramente anche il web: il fatto di poter ricevere comodamente a casa un capo, già lavato e stirato – anzi in tempi di covid, sanificato – ha reso questa opzione assai pratica. Oltre alle diverse boutique che, nelle varie città, offrono il servizio, infatti si sono moltiplicate app e portali per rendere il noleggio accessibile con un click e comunque consentendo sempre la possibilità di avere un riferimento fisico a beneficio di chi non vuol rinunciare a provare il capo.

Se non sapete da dove partire, vi diamo alcune indicazioni, aspettando le vostre nei commenti social.

DressYoucan: da Milano alla conquista dei cuori dei renters!

Nato da un’idea di Caterina Maestro – grande amante della moda e con anni di esperienza nel web marketing- DressYouCan è un po’ l’Airbnb dei guardaroba con in più una sede fisica a Milano pensata per offrire ad ogni donna l’abito dei propri sogni. Navigando sul portale è possibile creare il proprio outfit assolutamente unico con capi di alta moda, accessori inclusi, per qualsiasi occasione: da un matrimonio a un aperitivo di lavoro.

Tramite il portale si può verificare la disponibilità dell’outfit scelto che verrà recapitato a domicilio. Il reso può essere fatto direttamente in store o mediante corriere. Se vuoi provare prima gli abiti esiste un servizio apposito per fare tutto a domicilio. Tra gli altri vantaggi v’è anche la possibilità di far eseguire piccoli lavori sartoriali come l’orlo. Alla tintoria? Pensa direttamente Dress you can. Avete il timore di macchiare il vestito o di danneggiarlo? Attivando la copertura assicurativa obbligatoria di soli 5 euro avrete una garanzia “no stress”. Non indossi l’abito? Semplicemente non paghi.

Se avete uno stilista preferito, potrete effettuare la ricerca per designer. Tra le sezioni assolutamente da segnare per future spose, quella degli abiti per il matrimonio: con poche centinaia di euro potrete avere l’abito dei vostri sogni e, al termine dei festeggiamenti, non dovrete porvi la domanda “dove lo metto?”.

Troppo semplice per non provarlo!

Drexcode e l’abito da cerimonia si affitta

Cerimonia, pranzo con le amiche o weekend elegante: qualsiasi sia l’occasione che vi spinge a cercare l’abito giusto, drexcode, portale di fashion renting dedicato alle donne, sarà al vostro fianco per trovarlo. Partite dalla scelta del look, selezionate il periodo e decidete anche se volerlo provare prima. Il gioco è fatto. Non siete sicure della taglia? Potrete gratuitamente chiederne una seconda per trovare la vestibilità perfetta. Dopo l’evento? Potrete comodamente restituirlo o se ve ne sei innamorate, potreste addirittura acquistarlo.

Pleasedonotbuy: ma guarda i modelli online e noleggiali in boutique

Nasce in casa Twinset il progetto Pleasedontbuy per consentire il noleggio di abiti d’occasione rivolgendosi in particolar modo ai giovani. La collezione è pensata proprio per il noleggio – con 21 modelli in più colori – ed è visibile sul portale. Scelto il capo, si fissa un appuntamento in una delle boutique Twinset con la linea pleasedontby.

Da Milano a Bari passando per Roma, Torino, Bergamo, Genova e Firenze (le sedi sono indicate sul portale) potreste scoprire di avere uno dei punti proprio nella vostra città. Il costo per noleggio non è indicato ma nelle faq vi sono una serie di informazioni utili e si specifica che esso varia dai 40 € fino a 100 € a seconda della tipologia del capo scelto. Tra le news riportate v’è anche che, in futuro, il renting sarà disponibile anche direttamente via portale.

Quando il noleggio è in abbonamento

Tra le formule previste per il fashion ranting una di quelle che sta avendo più successo è la modalità in abbonamento: si paga un importo fisso e si hanno gli abiti per un certo arco temporale. All’estero questa formula sta spopolando come dimostrano portali come Onloan che, in Gran Bretagna, chiede 69 o 99 sterline per avere 2-4 capi per volta o Banana Republic Style Passport negli Stati Uniti. Ralf Lauren ha lanciato “the Lauren look” che consente di avere il look della nota marca a partire da 125 dollari al mese.

In Italia un servizio in abbonamento è offerto da Drexcode: con la formula unlimited, al costo di 139€ al mese, si possono effettuare noleggi illimitati su tutti gli abiti con prezzo boutique inferiore ai 2.000€ ma bisogna prima rendere l’eventuale abito che si ha in noleggio.

Per gli accessori segnaliamo Rent Fashion Bag attraverso il quale potrete noleggiare uno degli accessori più amati dalle donne ovverosia le borse dei più grandi marchi: grazie al servizio di abbonamento potrete avere al vostro braccio una Hermès, una Louis Vuitton o una Chanel a prezzi abbordabili, specie per le grandi occasioni.

fonte: economiacircolare.com


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Valsaar, le scarpe 100% riciclate, naturali e realizzate con gli scarti vegetali

Natura, artigianato, innovazione, territorio ed etica. Nel biellese c'è un progetto che unisce tutti questi aspetti. Dall'armoniosa sintesi di tutti questi elementi sono nate le nuove scarpe Valsaar, sneakers 100% sostenibili che incarnano un progetto di rete che va ben oltre la semplice realizzazione di un prodotto ecologico.



Quando si entra in un luogo sconosciuto, che si tratti di un’abitazione o di un negozio, il momento dell’ingresso in quel micro-mondo ignoto ci offre una parziale ma importante panoramica della struttura in cui stiamo entrando. In pochi secondi, con rapidi sguardi e con un’attenzione particolare verso i dettagli e gli odori, ci “creiamo” un’idea del luogo in cui ci troviamo. Proprio come quando conosciamo per la prima volta una persona, in un frangente decidiamo, inconsciamente se c’è sintonia con quel soggetto. Il primo impatto è spesso la base su cui costruiamo il nostro parere, che poi potrà chiaramente plasmarsi, sfumarsi o addirittura cambiare completamente. Queste considerazioni personali non sono frutto di studi antropologici, psicologici o sociologici, ma della personale esperienza – quindi tutt’altro che verità assoluta! – di chi scrive.

Questa premessa serve a introdurre il mio ingresso per la prima volta da Barbera S. e figli, attività commerciale che vende scarpe fatte a mano in via Trento, a Biella. Più che un negozio, sembra un museo per la varietà di scarpe e prodotti presenti, ma allo stesso tempo una sorta di locale d’intrattenimento, per l’energia elettrizzante che trasmette uno dei suoi titolari – Andrea – che lavora nel negozio di famiglia insieme al fratello Stefano. Ciò che colpisce è il binomio di elementi all’apparenza contrastanti: la tradizione e l’artigianalità si sposano con l’innovazione non solo di quanto esposto, ma anche delle persone che ci lavorano. Sì, perché gli stessi fratelli, seppur all’apparenza non così somiglianti nel carattere e forse anche nell’aspetto fisico, hanno un bene inestimabile che li lega da una vita intera: la passione – vera, non retorica – per il loro lavoro, trasmessa dal padre Sandro. Ed eccoci al motivo della mia visita: non mi sono recato al negozio da cliente, ma per scoprire da vicino e mettere in luce il nuovo progetto che hanno ideato i due fratelli, Valsaar.

Dietro le quinte del progetto

È stato un episodio drammatico a originare la scintilla dell’iniziativa: l’alluvione di ottobre 2020 che colpì il biellese causando ingenti danni nel territorio, in particolare la Valle Cervo, dove cedette anche il ponte della Coda. La vicenda toccò da vicino i due titolari, cresciuti in quelle zone e amanti fin da bambini della natura che anima e caratterizza quei luoghi. «Abbiamo riflettuto – ha esordito Andrea – su come sostenere quel territorio e lanciare un messaggio: il pianeta sta soffrendo e ognuno deve fare la sua parte per l’ambiente prima che sia troppo tardi».

Da qui è nato il progetto Valsaar, chiamato così in riferimento all’antico nome della Valle Cervo (verranno anche devoluti alcuni proventi all’Associazione Unione Montana Valle Cervo per sostenere le ricostruzioni post alluvione). Questo forte legame col territorio è stato la base che ha portato a dar vita alle eco-sneakers artigianali, chiamate proprio Valsaar. Il progetto, inoltre, è risultato vincitore del premio Maestro di Mestiere promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella in collaborazione con l’Associazione Fatti ad Arte.



Le scarpe

Natura, artigianato, innovazione, territorio e sostenibilità sono le parole chiave del progetto. Le scarpe, infatti, sono in cotone organico eco-friendly, con tintura totalmente naturale, fatta esclusivamente con estratti di piante (Tintoria Iride). Le suole, inoltre, sono in materiale 100% riciclato e riciclabile, mentre la fodera interna è in pelle micro-forata con concia naturale metal-free. Grande attenzione è stata riposta anche al sottopiede, che è in bio elastopan, e alle anime interne (contrafforti), che sono in bio-materiale certificato. Anche l’etichetta è pensata ad hoc ed è in poliestere riciclato (Met Manifattura Etichette Tessute). È una scarpa – ha sottolineato Andrea – completamente naturale.

Vogliamo che sia una calzatura che duri nel tempo, perché il primo passo verso la sostenibilità è superare il concetto di usa e getta e di accessori moda pensati per un’unica stagione». In quest’ottica, le scarpe saranno riciclabili: basterà portarle dai fratelli Barbera, che poi si occuperanno di uno smaltimento rispettoso per l’ambiente. «In questo modo – ha aggiunto –, una volta che le sneakers avranno esaurito il loro “scopo” potranno trasformarsi in altri oggetti, non in rifiuti». L’attenzione per i dettagli non manca persino nel packaging, costruito con una filosofia green grazie e RB Creative di Vigliano Biellese, azienda che si è occupata del confezionamento usando cartone interamente riciclato. «Non si tratta di una semplice scatola – ha precisato – ma di un oggetto di design che potrà trasformarsi in porta-libri, vaso, sgabello, portapane e molto altro».

Il legame col Terzo Paradiso

Sull’etichetta e nella parte frontale delle scarpe è presente il Terzo Paradiso, che, secondo Andrea, racchiude al meglio la vision e gli obiettivi di Valsaar. La presenza del segno-simbolo di Michelangelo Pistoletto nelle sneakers si deve alla collaborazione tra Barbera e Cittadellarte con Fashion B.E.S.T.: «Valsaar – ha affermato Andrea – è molto più di una calzatura, ma un vero e proprio manifesto per una moda green dove sostenibilità e armonia con la natura non sono semplici slogan, ma le sue solide radici».

A questo proposito, per articolare al meglio il processo di costruzione del progetto, Andrea Barbera ha conosciuto Michelangelo Pistoletto – «è stato un piacere e un onore dialogare con il maestro, con lui c’è stata grande sintonia e unità di vedute. Mi ritrovo da sempre nei principi del Terzo Paradiso», ha raccontato –, oltre alla responsabile Ufficio Moda di Cittadellarte Olga Pirazzi e la presidente dell’associazione Let Eat Bi Armona Pistoletto. Valsaar, inoltre, darà vita anche a t-shirt confezionate in cotone organico tinto con estratti naturali provenienti dalla purea di frutti, grazie alla collaborazione tra Madiva EcoFuture e Fashion B.E.S.T.



La presentazione

Il progetto è stato mostrato al pubblico durante una presentazione su invito svoltasi domenica 23 maggio presso la country-house e ristorante La Bürsch in frazione Oretto a Campiglia Cervo. «La location ideale – spiega Andrea – per raccontare la rinascita della Valle Cervo, grazie alla sua superficie di 6000 mq e al suo parco privato. La Bürsch, inoltre, è il fiore all’occhiello della zona per il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità. Un ringraziamento speciale, in quest’ottica, lo rivolgo a Barbara Varese de La Bürsch, una delle prime figure che è entrata a far parte del progetto. Lei, per me, è un simbolo della Valla Cervo».

Durante la giornata gli ospiti hanno potuto “vivere” un percorso emozionale alla scoperta delle radici del progetto e, per l’occasione, è stata presente la Zurawski Band, composta da artisti e talenti internazionali. L’appuntamento ha previsto quattro tappe, che hanno visto protagonisti tutti i promotori di Valsaar, ossia Barbera S. e figli con Visible Lab, Cittadellarte con Rb Creative, Tintoria Iride con Met Manifattura Etichette Tessute, Filippo Fessia Garden Designer e Madiva. Ognuna di queste realtà, dando voce a un proprio rappresentante o referente, ha raccontato come sono arrivati a sviluppare il progetto, appunto frutto della partnership tra realtà differenti che vede coinvolti artigiani, imprenditori e artisti biellesi.

L’importanza di fare rete

Le sneakers sono ideate e confezionate a mano da Barbera S. e figli, ma una fitta rete di eccellenze territoriali ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo del progetto. «Da soli – puntualizza Andrea – non saremmo mai riusciti a sviluppare il progetto: Valsaar non è solo una vittoria di Barbera, ma di tutte le realtà che hanno dato il proprio contributo e tocco. Dal punto di vista umano e professionale è stato motivo di soddisfazione e crescita collaborare con grandi realtà del territorio differenti tra loro ma unite per un obiettivo comune. Questo progetto è un esempio lampante di economia circolare».

Nel percorso che lo ha portato a collaborare con le aziende, Andrea ha sempre posto attenzione all’aspetto etico: «Ho imparato che cos’è la sostenibilità con le grandi realtà locali del settore, da anni impegnate su questo fronte. Ho constatato, inoltre, che pure i consumatori cercano molto la sostenibilità. Il mercato ora è pronto per questo passo».



Il cambiamento

È quindi possibile cambiare il mondo con una sneaker o innestare una sensibilizzazione sociale per dar forma a questo processo? «Io ci credo. La scarpa – risponde – può essere un inizio. Cambiare il mondo è uno slogan forte, ma noi l’abbiamo utilizzo anche nella nostra comunicazione, in cui specifichiamo “tuo” mondo». Il pronome tuo risulta fondamentale per evincere il messaggio che Andrea vuole veicolare: «Chiaramente noi esseri umani non possediamo il pianeta, ma tutti possiamo fare qualcosa per tutelarlo. I problemi ambientali del mondo devono toccarci da vicino, sono questioni prioritarie. Io sono un sognatore, ma credo veramente in questi valori, che cerco di insegnare anche alle mie figlie».

A microfoni spenti

Giunti alla fine dell’intervista, arriva il momento di scattare le foto. Così conosco personalmente il fratello Stefano, che oltrepassa un’immaginaria Linea Maginot che solo i due titolari conoscono. Mi confidano che dal bancone principale in avanti si trova il mondo di Andrea, a suo agio nella comunicazione e nel rapporto con cliente, dietro il bancone invece c’è il regno di Stefano, il laboratorio dove lui lavora a tutte le scarpe e ai prodotti in vendita. Eccola la squadra che ha dato vita al progetto. Concluso il momento delle immagini, mi intrattengo con loro e ho l’opportunità e la fortuna di andare oltre la barriera del loro ambito lavorativo, sconfinando in quello personale.

Mi bastano pochi minuti per capire il segreto del loro successo: ok la passione, ok la professionalità, ok l’impegno, ma alla base di tutto c’è un rapporto unico che lega i due fratelli. Due entità, come accennato in precedenza, diverse ma indivisibili, che delle proprie differenze hanno fatto un punto di forza. Ecco come si alimenta la linfa del loro essere affiatati. Il pensiero non può che andare al Terzo Paradiso, sintesi degli opposti. Andrea e Stefano l’equilibrio l’hanno trovato, ci hanno viaggiato, e hanno fatto molto di più. È anche da questo rapporto speciale che è nato Valsaar. La gioia più grande, però, è aver reso fiero il padre Sandro, che ha insegnato loro il mestiere fin da bambini, dando loro gli strumenti e la forza per coronare un sogno.

fonte: www.italiachecambia.org


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Storie di una moda possibile. Le realtà italiane etiche e sostenibili si raccontano



Sapevate che il 60% dei vestiti in circolazione finisce in discarica entro un anno dal momento in cui viene realizzato? E che per la produzione di un kg di tessuto vengono emessi 17 kg di anidride carbonica?

L’industria dell’abbigliamento è una delle più impattanti a livello globale dal punto di vista ambientale e sociale. Un impatto che si è aggravato con l’esplosione della fast fashion, un modello di produzione e consumo di massa basato sull’offerta costante di nuovi capi a prezzi ridotti e sulla stimolazione dell’impulso all’acquisto.

Un’altra moda è possibile

Esiste un filo rosso che unisce le tante realtà produttive italiane in controtendenza rispetto alle logiche di business dominanti, realtà che pongono l’attenzione verso la qualità, l’ambiente e le persone al centro del proprio operato.

Nel documentario “Storie di una moda possibile”, prodotto da Mani Tese e Istituto Oikos e realizzato da Stefano Girardi, sono raccontate non solo le conseguenze della fast fashion ma anche un modo diverso di produrre i nostri vestiti attraverso i protagonisti di tre aziende del settore tessile che adottano modelli di business e pratiche virtuose dal punto di vista sociale e ambientale:

Manigolde, una sartoria sociale al femminile, lanciata nel 2019 sulla base dell’esperienza ventennale di Mani Tese Finale Emilia nella gestione di mercatini dell’usato;

Rifò Lab, che produce capi e accessori di alta qualità con fibre tessili rigenerate e rigenerabili, attingendo dal sapere artigianale dei “cenciaioli” toscani;

Produzione Lenta, una micro-impresa della provincia di Cuneo che basa la propria produzione su una filosofia 100% "slow fashion”.








Manigolde - Rifò - Produzione Lenta

Il documentario è stato realizzato nell’ambito del progetto “Cambia MODA! – Dalla fast fashion a una filiera tessile trasparente e sostenibile” e co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Il progetto mira a promuovere un cambiamento nei modelli di consumo e produzione relativi al settore dell’abbigliamento a partire dalla sensibilizzazione dei giovani, affinché diventino agenti di cambiamento verso un settore moda più etico, trasparente e sostenibile.




Fonte: www.manitese.it


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Verdurashoes: Scarpe originali con rete da pesca

Il calzolaio Andrea Verdura trasforma le reti da pesca in scarpe di moda

La passione di Andrea per la creazione di scarpe con materiale riciclato è iniziata con un sandalo rotto in Australia; quando ha individuato un vecchio pneumatico abbandonato si è trasformato in un nuovo paio di sandali per riprendere il suo viaggio a piedi.



Quello che sembra essere l’inizio di un romanzo di viaggio è in realtà l’inizio dell’avventura di Andrea Verdura. Classe 1975, nato a Piombino da genitori isolani entrambi elbani, Andrea si è ritrovato improvvisamente scalzo nella lontana Australia

“Ognuno ha una storia. La mia è una storia “ambulante” da quando mi si sono rotti i sandali in Australia e ne ho ricavato un altro paio dal pneumatico di una vecchia Fiat 500. Sembrava uno scherzo del destino… è diventata la mia più grande passione ”.dal sito internet: https://www.verdurashoes.com/

Da allora, tornato a casa a Piombino, sulla costa della Toscana in Italia, Andrea ha visto una nuova opportunità creativa nelle reti da pesca spiaggiate vicino alla sua casa. Ben presto fu in grado di integrarlo come un elemento forte nella sua gamma di sandali e stivali alla moda per donne e uomini.

Le reti da pesca vengono tagliate e lavate più volte, per ammorbidire il tessuto per la vestibilità, e poi tinte con pigmenti naturali.

Le reti vengono poi combinate con sughero per il sottopiede, suola in gomma riciclata e scarti di pelle rimasti dalla produzione di scarpe. La suola stessa è disponibile in due versioni, una composta da suole in gomma Vibram riciclata e l’altra in pelle riciclata conciata al vegetale.

Tutte le scarpe sono prodotte localmente (a Fucecchio, Toscana) mantenendo i lavori e il processo di produzione vicino a casa con il minimo impatto ambientale creando economia circolare.

A causa del processo di tintura naturale e dell’assemblaggio artigianale, ogni paio di scarpe è unico.

Il progetto “Net collection” è decollato nel 2016 con l’aiuto del crowdfunding (Kickstarter).

info: https://www.verdurashoes.com/

fonte: www.economia-circolare.info


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Fast fashion: il finto e-commerce con mega offerte che svela il prezzo “invisibile” della moda usa e getta




Un e-commerce che offre offerte per capi d’abbigliamento a prezzi stracciati, ma… al momento dell’acquisto la sorpresa: è un sito “fake”, che ha l’unico grande obiettivo di svelare il vero costo della moda “usa e getta” e le conseguenze provocate dalla fast fashion.

Anche nei periodi di crisi, le persone non riescono a rinunciare alla cosiddetta moda veloce (fast fashion). L’Ong Mani Tese ha lanciato la campagna Prezzi dell’altro mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica sui molteplici problemi generati dal consumismo sfrenato nel settore dell’abbigliamento. Nei numerosi siti online specializzati possiamo infatti acquistare capi di abbigliamento a basso costo, che con un semplice click saranno spediti al nostro domicilio.

Sul negozio virtuale Prezzi dell’altro mondo, invece, quando acquisti un capo di abbigliamento, sul sito ti compare non solo il prezzo di listino, ma anche il vero prezzo di quell’indumento, che include tutti quei costi aggiuntivi “invisibili”, legati all’insostenibile impatto umano e ambientale del processo produttivo-industriale.

L’industria tessile genera rifiuti e contribuisce all’aumento delle emissioni di gas serra; ogni anno, infatti, produce circa 1,2 miliardi di tonnellate di gas serra e occupa 38 milioni di ettari di terra, destinati alla coltivazione e alla produzione di vestiti; poi, se i lavoratori e le lavoratrici del settore tessile, soprattutto nel sud del mondo e nei paesi asiatici, vengono sfruttati dai datori di lavoro e subiscono sistematici abusi di ogni genere, alcuni inderogabili diritti umani vengono inevitabilmente violati e nuove forme di schiavitù vengono più o meno apertamente tollerate.

Come funziona

Quando sceglie uno dei prodotti messi “in vendita” e lo mette nel carrello, invece di concludere un grande affare, l’utente viene informato di tutto ciò che quel capo nasconde. Le informazioni sono sia nel relativo video che appare che nella lista della descrizione del prodotto.


@Mani Tese

Per potere vendere a prezzi così bassi, infatti, oltre che sulla scarsa qualità dei materiali utilizzati, la fast fashion si regge sulle strategie di outsourcing e delocalizzazione dei grandi marchi globali, che basano larga parte della loro produzione in stabilimenti caratterizzati da bassissimi costi di manodopera, assenza di tutele efficaci dei lavoratori e scarso rispetto delle normative ambientali.

Il progetto dell’Ong è rivolto soprattutto ai giovani tra i 18 e i 35 anni, particolarmente attratti dalla moda usa e getta pubblicizzata su Internet. Figlia di un modello totalmente insostenibile sul piano sia sociale che ambientale, esaspera la portata delle problematiche già esistenti nella restante industria dell’abbigliamento.

Un vestito venduto a poco prezzo è spesso costituito da materiali di scarsa qualità, nocivi per gli esseri umani (bambini inclusi) e per l’ambiente, poiché attinge a risorse naturali scarse. Le principali marche di abbigliamento del mondo, non a caso, hanno delocalizzato la produzione in paesi dove la tutela legislativa dei lavoratori è meno stringente e/o dove non esiste una normativa ambientale.
Come abbandonare la moda usa e getta

Per modificare le proprie preferenze rispetto al mondo dell’abbigliamento e per diventare consumatori più responsabili e attenti alle implicazioni etiche dei propri comportamenti d’acquisto, puoi fare molte cose:
Compra meno cose e indossale molto di più.
Il tuo stile personale è come te: unico! Non devi per forza seguire le mode stagionali per esprimere la tua identità.
Evita l’acquisto d’impulso: nella maggioranza dei casi è destinato al fondo dell’armadio!
Impara a leggere le etichette e le certificazioni di qualità ambientale e sociale, pur sapendo che non potranno mai dire tutto del capo che stai per acquistare.
Informati sulle tue marche d’abbigliamento preferite e fai sapere loro che per te sostenibilità, rispetto dei diritti dei lavoratori e trasparenza sono importanti.
Scegli tessuti in fibre naturali e, se proprio devi comprare tessuti sintetici, preferisci quelli ottenuti dal riciclo di materiali plastici.
Evita lunghi spostamenti in auto da un negozio all’altro: muoviti a piedi o in bici quando devi fare un acquisto, oppure compra online in modo consapevole.
Scopri il fascino dei negozi dell’usato, vintage e del commercio equo e solidale.
Modifica i tuoi vecchi capi per reinventarli e dare loro una seconda vita (refashion).
Scegli se vuoi applicare uno o più di questi suggerimenti e ricorda che non esiste un modo unico di essere consumatori consapevoli. Proprio come non c’è un modo unico di vestirsi e di dare il proprio contributo per un mondo più equo e sostenibile

Fonti: Mani Tese/Prezzi dell’Altro Mondo


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Moda sostenibile: intervista a Silvia Gambi di solomodasostenibile

È tempo di saldi e allora abbiamo pensato di rivolgere qualche domanda a Silvia Gambi, giornalista esperta di moda sostenibile, per capire come sia possibile ridurre la nostra impronta sul Pianeta adottando nuove e diverse abitudini di acquisto di capi di abbigliamento e accessori


Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato la nostra "pillola di sostenibilità: vestirsi in modo sostenibile", una serie di eco-consigli per fare riflettere su come sia possibile, anche con semplici azioni, alleggerire la nostra impronta sul Pianeta dovuta ai nostri acquisti, talvolta continui, di capi di abbigliamento e accessori vari.

La "pillola di sostenibilità: vestirsi in modo sostenibile" è stata l'occasione per rivolgere alcune domande ad un'esperta di moda sostenibile, Silvia Gambi. Giornalista, da 15 anni lavora con le imprese tessili di Prato in numerosi progetti. È autrice del podcast e del sito "Solo Moda Sostenibile" e della newsletter gratuita, in uscita ogni sabato, con tutte le novità della settimana.

Ci stiamo avvicinando alla stagione dei saldi, le promozioni ci sono già, e complice anche la Pandemia che ci ha costretto a stare a casa per un lungo tempo, la voglia di acquistare, se possibile, non manca, ma possiamo trasformare il nostro acquisto da mero gesto commerciale in atto consapevole e rispettoso dell’ambiente e delle persone?

Questa è una stagione di saldi particolari, che arriva dopo un periodo in cui non solo non sappiamo nemmeno bene cosa ci serve, ma soprattutto abbiamo fatto i conti con il nostro armadio e con quello che ci è davvero utile. Io direi che è proprio questo che deve farci da guida negli acquisti che eventualmente faremo; comprare quello che ci serve. Il modo migliore è fare una lista e attenerci a quello che abbiamo indicato, resistendo alle tentazioni. I saldi sono spesso l’occasione per le aziende di svuotare i magazzini oppure di vendere capi di poco valore prodotti per rispondere alla richiesta del momento. In questa stagione, durante la quale si è prodotto anche meno, il rischio di fare acquisti poco convenienti è ancora più alto. I brand sostenibili spesso non mettono in saldo la propria merce, perché i loro prezzi sono costruiti con attenzione e non hanno una sovrapproduzione da mettere sul mercato a prezzo ridotto. Ogni capo che acquistiamo dà un impatto sociale e ambientale: il gesto più responsabile che possiamo fare è quello di acquistare solo ciò che ci serve davvero.

Possiamo veramente vivere con pochissimi capi nell’armadio, magari di qualità, oppure abbiamo bisogno di accumulare vestiti che utilizziamo poche volte e che gettiamo con estrema facilità, vista anche la loro scarsa qualità e il basso costo ?

C’è su Instagram una sfida molto interessante che si chiama #project333, che è stata lanciata da Courtney Carver, una ragazza americana che ha una storia molto interessante. La sfida è quella di creare un guardaroba composto da 33 pezzi, compresi scarpe e borse, da utilizzare per 3 mesi. In questo modo si acquistano meno cose, di migliore qualità e che sono coordinate tra loro. Naturalmente alcuni oggetti possono essere utilizzati per più stagioni Secondo Livia Firth, un capo di abbigliamento deve essere indossato almeno 30 volte, altrimenti vuol dire che non ci era utile. Indossare più a lungo un capo di abbigliamento significa anche valorizzare la qualità, scegliere con attenzione quello che indossiamo e liberarci anche dalla schiavitù del fast fashion, che cerca sempre di farci desiderare qualcosa di nuovo.

Comprare un capo d’abbigliamento riciclato o ancora meglio riciclabile, genera una sensazione di minore responsabilità rispetto alla grande quantità di rifiuti tessili che ogni anno produciamo. A che punto siamo, realmente, con il riciclo, in particolare delle fibre sintetiche che, ad oggi, rappresentano la materia prima di buona parte dei capi di abbigliamento in commercio ?

Secondo la Ellen Mac Arthur Foundation oggi al mondo vengono riciclati solo l’1% degli abiti usati, quindi c’è molta strada da fare. Gli abiti non vengono riciclati anche perché è difficile e poco conveniente farlo, se un capo non è progettato per essere riciclato: questo significa che deve essere facilmente smontabile nelle sue componenti, che deve essere a tinta unita e realizzato con materiale mono fibra. Quanti abiti oggi rispettano queste linee guida? L’abuso del termine “riciclato” ma soprattutto di “riciclabile” è al centro di numerose campagne di greenwashing: non basta l’utilizzo di un componente riciclato per definire così un capo. Per il riciclabile è ancora più complicato ed è una sfida che le giovani generazioni di designer dovranno affrontare.

Il riuso dei capi di abbigliamento sembra avere conquistato una parte di mercato, facilitato anche dalla nascita di molte piattaforme digitali, può essere una soluzione alla sovra-produzione e sovra-consumo di capi d’abbigliamento ?

C’è un vero e proprio boom del second-hand e per i prossimi anni si prevede che ci sarà una grossa crescita di questo mercato, soprattutto per i beni di lusso. Allo stesso tempo stiamo assistendo a progetti creativi che utilizzano i “deastock” per le proprie creazioni, ossia i tessuti che avanzano dalle produzioni e che così vengono riutilizzati. Lo scopo è quello di disincentivare la sovra-produzione, ma il fast fashion si basa proprio sulla capacità di innescare nuovi desideri e mandare in negozio collezioni nuove ogni settimana. Questo continuo desiderio di novità spesso lo incontriamo anche in coloro che acquistano capi vintage ogni settimana, causando emissioni per i trasporti, ad esempio. Penso che il mercato del riuso e l’upcycling siano realtà interessanti e che vanno incoraggiate, ma soprattutto dobbiamo educare i consumatori a creare un legame con quello che acquistano: un capo può essere riparato, usato, rinnovato. Prima di uscire dal nostro armadio deve superare questi step: ma di base deve trattarsi di un capo di qualità, altrimenti non potremo fare altro che gettarlo dopo il primo lavaggio.

fonte: www.arpat.toscana.it


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Cosa fare con i vestiti che non si usano più

Per chi ha fatto ordine nell'armadio e ora vorrebbe sbarazzarsene, ma non buttarli via








Spesso i vestiti che non usiamo più e di cui vogliamo sbarazzarci per fare spazio nell’armadio non sono rotti o da buttare, ma possono benissimo essere riutilizzati. Si possono ad esempio donare a enti benefici che li fanno avere a persone in difficoltà. Da qualche mese, però, a causa dei rischi legati alla pandemia, molte delle parrocchie e delle associazioni benefiche a cui era possibile portare vestiti usati hanno interrotto l’attività di raccolta. Abbiamo raccolto alcune alternative per liberarsene in modo sostenibile e senza rischi di contagio.

Cassonetti comunali

In molti comuni italiani, per strada, si trovano cassonetti che servono proprio alla raccolta di vestiti usati a scopo sociale: nella maggior parte dei casi sono gialli, ma esistono anche bianchi o di altri colori. Molte persone sono scettiche rispetto all’uso di questi punti di raccolta perché in passato sono state pubblicate diverse inchieste sulle attività che li legano ad aziende private che vendono vestiti usati all’ingrosso, talvolta con profitti e modalità non del tutto lecite. Chi vuole sapere con certezza dove finiranno i propri vestiti una volta lasciati nei cassonetti può fare due cose. La prima è visitare il sito del proprio Comune o contattarlo telefonicamente per chiedere quali cassonetti sono effettivamente autorizzati dall’amministrazione e destinati ad attività non profit. La seconda cosa è verificare che sul cassonetto siano indicati il nome e i contatti dell’ente che li gestisce, e poi cercare informazioni direttamente su quello.

Uno degli enti che gestiscono i cassonetti di alcune città è Humana, un’organizzazione umanitaria indipendente e laica nata nel 1998 per portare avanti vari progetti a scopo sociale in Italia e nel mondo. Tra le sue attività c’è la raccolta di vestiti usati, che avviene tramite oltre 5mila cassonetti distribuiti in circa 1.200 comuni italiani. I vestiti, le scarpe e le borse raccolte vengono smistate da un gruppo di addetti che ne decide la destinazione. La maggior parte viene destinata a persone che ne hanno bisogno, soprattutto in Africa. Gli abiti giudicati di particolare valore invece sono venduti nei negozi di abbigliamento vintage che Humana ha a Bologna, Milano, Roma e Torino. Il ricavato dei negozi viene poi investito nei progetti dell’organizzazione. I vestiti ritenuti inutilizzabili invece vengono destinati alle riciclerie. In nessun caso comunque Humana vende i propri vestiti ad altre aziende.

Un altro logo che potreste aver visto sui cassonetti gialli se abitate tra le province di Como, Lecco, Milano, Monza-Brianza e Varese è quello di Dona Valore, la rete di cassonetti di Caritas Ambrosiana. La gestione dei cassonetti è affidata a varie cooperative sociali: dopo essere stati raccolti e smistati, alcuni vestiti vengono destinati a persone che ne hanno bisogno, altri vengono venduti ad aziende e il ricavato viene utilizzato per finanziare iniziative di solidarietà. Nello specifico, sul sito di Dona Valore si legge che «una parte viene commercializzata ad imprese autorizzate a svolgere il lavoro di selezione, cernita ed igienizzazione che sottoscrivono contratti commerciali ed etici con le nostre cooperative garantendo il pieno rispetto di tutte le normative nazionali ed internazionali». Altri vestiti della rete Dona Valore, invece, finiscono nei negozi di abbigliamento di seconda mano Share.

Una precisazione doverosa: i cassonetti non sono fatti per gettare abiti logori e non più utilizzabili, come i calzini bucati. Quelli si possono buttare nei bidoni dell’indifferenziata.

Negozi che raccolgono vestiti usati

Recentemente anche nel settore della moda sta aumentando l’attenzione alle tematiche ambientali e di sostenibilità. Molte catene di negozi hanno cominciato a utilizzare per la propria produzione i tessuti riciclati ricavati dai vestiti usati che i clienti possono lasciare nei negozi spesso in cambio di un buono o di uno sconto sugli acquisti.

Per esempio il programma “Garment Collecting” della catena di fast fashion H&M permette di consegnare alla cassa un sacchetto di abiti usati di qualsiasi marca, tipologia e stato di usura (vanno bene anche calzini spaiati e lenzuola rovinate). In cambio si riceve un buono da 5 euro che vale per una spesa minima di 40 euro. Il programma di riciclo di & Other Stories, che fa parte dello stesso gruppo di H&M, consente di portare in qualsiasi punto vendita un sacco con qualsiasi tipo di prodotto tessile: in cambio si riceve uno sconto del 10 per cento per un acquisto su qualsiasi spesa nei tre mesi successivi. Di tutti i negozi che promuovono iniziative di questo tipo avevamo scritto qui: per essere sicuri che la raccolta sia ancora attiva nonostante la pandemia, vi consigliamo di chiamare direttamente il negozio più vicino a voi.

Armadioverde

È una piattaforma italiana che raccoglie vestiti usati in buone condizioni e li rivende. Chi vuole può prenotare un ritiro di abiti usati direttamente a casa e poi sfruttare le “stelline” guadagnate (una specie di moneta virtuale della piattaforma) per acquistare altri abiti sul sito a pochi euro. Armadioverde accetta solo vestiti in ottime condizioni e non è interessato a biancheria intima, abbigliamento da notte, valigie e scarpe per bambini di taglia inferiore al 17: i vestiti ritirati e successivamente giudicati non adatti alla vendita sul sito vengono mandati a Humana, l’organizzazione citata sopra. Il ritiro è sempre gratuito, ma bisogna rispettare le dimensioni del pacco indicate al momento della prenotazione: la scatola grande per esempio deve avere una somma di lunghezza, larghezza e altezza non superiore a 130 centimetri.

App per la compravendita

Chi oltre a liberarsi dei propri vestiti usati vorrebbe provare a guadagnarci qualcosa, può provare a usare una app. Depop è forse la più usata in Italia e permette a chiunque di vendere i propri vestiti pubblicandone le foto e una breve descrizione. Per ogni vendita Depop trattiene il 10 per cento dell’importo. Chi vende si fa carico di tutto, dalla scelta del prezzo alla spedizione dell’articolo, perché Depop è solo una piattaforma che aiuta l’interazione tra venditori e compratori, ma non si occupa della logistica. Durante la pandemia è stata molto usata: ad aprile ha avuto un aumento del traffico del 100 per cento rispetto all’aprile dell’anno precedente.

Depop comunque non è l’unica app su cui si possono vendere vestiti e anzi ultimamente ne sono nate diverse: Vintag, Shpock e per il lusso Vestiaire Collective, solo per citarne alcune. A dicembre in Italia è arrivata anche Vinted, una app simile a Depop già molto diffusa in altri paesi europei: a differenza di Depop non trattiene commissioni, quindi ai venditori viene riconosciuto l’intero importo ricavato da ogni vendita.

Negozi che comprano vestiti usati

Negli ultimi anni si sono diffusi in diverse città italiane i negozi di abbigliamento che comprano e rivendono vestiti usati. Alcuni, come Bivio a Milano, hanno momentaneamente interrotto l’acquisto di vestiti a causa della pandemia. Altri, come Ambroeus, sempre a Milano, continuano invece a ritirare vestiti nei giorni di apertura dalle 14 alle 18, previa telefonata. Gli addetti di Ambroeus fanno una selezione dei vestiti, scelgono il prezzo a cui li rivenderanno e pagano al venditore il 35 per cento di quel prezzo o il 50 per cento in forma di buono da spendere in negozio. Chi invece vuole vendere vestiti per bambini, può provare con Baby Bazar, che ha negozi in tutta Italia e che permette ai venditori di ottenere il 50 per cento del prezzo di ogni articolo venduto, oppure Secondamanina, che funziona in modo molto simile.

fonte: www.ilpost.it

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Scegli, indossa e restituisci: la nuova frontiera del fashion

 



Un’automobile trascorre oltre il 90% della propria vita in sosta. È un dato che abbiamo sentito spesso e che sta spingendo sempre più persone a preferire l’uso del car sharing rispetto all’acquisto di un veicolo. E proprio come l’automobile, ci sono tanti altri prodotti che traggono un vantaggio, sia ambientale che economico, maggiore se noleggiati: pensiamo a macchinari industriali, macchinari agricoli, lavatrici, attrezzature sportive e molto altro.

E un abito? Avete mai pensato a quante volte avete davvero indossato un abito da cerimonia?

In un nostro articolo precedente, abbiamo sottolineato come il settore abbigliamento contribuisca alle emissioni globali di gas serra con 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Un abito “usa e getta nell’armadio” forse non è tanto diverso da un veicolo fermo.

Alcune realtà si sono mobilitate per avanzare nuovi modelli di business circolari per passare da una logica di fornitura di un prodotto ad una logica di fornitura di servizi. Questo modello viene chiamato “prodotto come servizio”.

In questo modello, l’azienda offre e vende sul mercato non più un bene, ma la possibilità di poter usufruire di tale bene, rimanendo pertanto proprietaria del prodotto. L’utente, quindi, paga per il tempo per cui utilizza tale bene (noleggio, affitto, pay for use).

E’ un modello pratico e flessibile. Da una parte, l’utente può prendere in prestito un oggetto solo per il tempo necessario all’utilizzo, dall’altra, l’azienda rimane proprietaria del bene e ha tutto l’interesse che questo mantenga alta la sua prestazione nel tempo.

Questo modello può essere applicato anche nel mondo dell’abbigliamento, pensato per quelle occasioni in cui abbiamo bisogno di specifici abiti o vestiti per specifiche e temporanee occasioni: vacanze, matrimoni, gite fuori porta, feste di laurea, ma anche per la maternità.

Queste realtà offrono la possibilità di acquistare diversi “pacchetti” e noleggiare gli abiti per uno, due, tre giorni fino a qualche mese, come nel caso degli abiti premaman.

E non si noleggiano solo abiti, ma anche scarpe, accessori e capi sportivi tecnici, pensato per quelle occasioni in cui gli sport richiedono abbigliamento preciso (mute da sub, tute da sci, ecc..)

L’app Mercato Circolare raccoglie alcune realtà che hanno fatto proprio il modello di business “prodotto come servizio”:

Dress You Can è una start up al femminile che permette di affittare vestiti e accessori di grandi marchi, invece che di comprarli. Le sue fondatrici, Caterina ed Elena, fanno ricerca in tutto il mondo, per individuare capi esclusivi da proporre alle loro clienti. Lo showroom Dress You Can ha sede nel centro di Milano, dove è possibile provare tutti i vestiti presenti a magazzino, approfittare del servizio di consulenza e sartoria e ritirare e/o riconsegnare gli abiti noleggiati, risparmiando così sulle spese di spedizione. Altro elemento interessante del business Dress You Can è la raccolta e l’elaborazione dei dati: quello delle utenti (taglie, gusti e preferenze) e quello dei capi (tipo tessuto, tenuta dei colori, resistenza ai lavaggi).




VIC – Very Important Choice è un’impresa di abbigliamento di Treviso che permette di noleggiare per cinque giorni o acquistare abiti selezionati tra una serie di brand sostenibili e artigiani sulla base di 3 criteri: design, sostenibilità e trasparenza. Il servizio di Ecorenting di VIC è disponibile a Treviso e provincia, ma VIC offre anche un servizio ad hoc in tutta Italia con consulenza privata in videocall.



Infine, Circos, un marchio di abbigliamento premaman e bambino dell’omonima impresa sociale con base ad Amsterdam. Con Circos, da 8 a 10 famiglie riutilizzano e godono degli stessi capi di abbigliamento di alta qualità, prolungando la durata dei prodotti. Una volta che un capo di abbigliamento si consuma, il tessuto viene riutilizzato per creare nuovi prodotti. Anche gli imballaggi e le spedizioni sono ecosostenibili. Infatti, per la spedizione, vengono utilizzate buste postali a base vegetale, biodegradabili e compostabili.

fonte: www.mercatocircolare.it


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Il 27 Novembre di Reborn Ideas sarà nuovamente Green Friday

Per il secondo anno consecutivo, Reborn Ideas porterà avanti il Green Friday, la risposta sostenibile al Black Friday e donerà il 20% dei profitti a The Ocean Cleanup


Cos’è il Green Friday

Per contrastare il consumismo eccessivo e gli sprechi legati alla ricorrenza del Black Friday, nel 2017 nasce in Francia il Green Friday per merito dell’associazione di imprese Envie.

L’obiettivo dell’iniziativa è educare a un consumo più responsabile ricordando alle persone che ogni acquisto ha un impatto e che esistono alternative alle logiche commerciali tradizionali.


Il Green Friday non prevede sconti che incentivano all’acquisto eccessivo, ma fin dall’inizio dell’iniziativa ogni azienda che prende parte a questo progetto dona una parte del proprio ricavato a enti che lavorano nel nome della sostenibilità e a favore dell’ambiente.

REBORN IDEAS

Quest’anno, per il secondo anno consecutivo, Reborn Ideas aderisce all’iniziativa e donerà il 20% del ricavato di ogni vendita realizzata dal 27 ottobre al 27 novembre, giorno del vero Black Friday, a The Ocean Cleanup, una fondazione impegnata nello sviluppo di tecnologie in grado di rimuovere la plastica dagli oceani.


Reborn Ideas è la prima social commerce community di prodotti realizzati secondo i principi dell’upcycling, recycling e del riciclo creativo.

Una piattaforma che vuole essere punto di incontro tra i produttori e i consumatori consapevoli, con un’offerta di prodotti che varia dall’abbigliamento all’arredamento, passando per gli accessori.


Tutti i prodotti a cui viene data visibilità su www.rebornideas.com si caratterizzano per la grande originalità e unicità e soprattutto sono prodotti che rappresentano una storia.


«Con il nostro Green Friday – spiega Maurizio Mazzanti, co-founder di Reborn Ideas – vogliamo trasmettere ai consumatori un ulteriore stimolo a creare community: donare il 20% del ricavato delle vendite significa condividere obiettivi insieme, contribuendo al tempo stesso a una causa importante come la riduzione dell’inquinamento delle acque. Lo scorso anno abbiamo aderito all’iniziativa e quest’anno abbiamo deciso di allungarne il periodo per poter dare un contributo di visibilità ed economico ancora più importante».

fonte: www.economia-circolare.info


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Moda sostenibile: Principe Carlo anti-spreco, fa riparare abiti e scarpe

Il Principe Carlo fa riparare scarpe e abiti, è contrario allo spreco e al fast-fashion e ha lanciato un nuovo progetto.




C’è un aspetto della vita del Principe Carlo che in pochi conoscono ma che è davvero importante: è un appassionato di moda sostenibile. Il Principe di Galles da anni combatte l’usa e getta sostenendo lo stile green.

La moda sostenibile del Principe Carlo

Il primogenito di Queen Elizabeth ha la reputazione di far rammendare e riparare le sue scarpe di cuoio fatte su misura e di far rattoppare vecchi abiti fatti a mano a Saville Row.

A Vogue ha raccontato: «Quando ero bambino, portavamo le nostre scarpe dal calzolaio in Scozia e guardavo affascinato il momento in cui strappavano le suole e poi mettevano le nuove». Pratica che ha mantenuto viva nel tempo. «Mi capita di essere una di quelle persone a cui far riparare le scarpe o qualsiasi capo di abbigliamento se posso, piuttosto che buttarle via».

Il Principe detesta buttare gli oggetti che ha acquistato: «Compra una volta, compra bene» è il suo mantra. «La difficoltà è che, invecchiando, si tende a cambiare forma e non è così facile vestirsi. Ma non sopporto alcuno spreco, compresi gli sprechi alimentari. Preferisco di gran lunga trovare un altro uso. Questo è il motivo per cui ho parlato così a lungo della necessità di un’economia circolare, piuttosto che lineare in cui devi solo fare, prendere e buttare via. Una tragedia, perché inevitabilmente sfruttiamo eccessivamente le risorse naturali che si stanno rapidamente esaurendo», ha raccontato alla rivista di moda.

Recentemente il Principe Carlo ha anche lanciato un progetto con Yoox. Si tratta di Modern Artisan. Esiste ora un file rouge che unisce alcuni studenti del Politecnico di Milano e alcuni studenti in Scozia che, grazie alla Fondazione del Principe Carlo, hanno avviato un progetto di formazione tessile in alta moda e abilità di cucito. L’obiettivo è unire in una collezione moda, lusso e sostenibilità. Un’opportunità interessante per il settore moda ma anche per quello della didattica in un momento così difficile per tutti.

fonte: www.greenstyle.it


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H&M: ricicla i vestiti da capo a capo

H&M offrirà presto ai clienti in Svezia la possibilità di trasformare gli indumenti indesiderati in nuove mode con l’aiuto del sistema di riciclaggio da capo a capo “Looop“.





Looop apre al pubblico in un negozio Drottninggatan a Stoccolma il 12 ottobre.

Questa è la prima volta che questo sistema di riciclaggio da capo a capo viene mostrato in negozio da un rivenditore di moda e H&M offrirà presto ai clienti l’opportunità di guardare questo contenitore- macchine di dimensioni adeguate riciclano i loro vecchi tessuti in qualcosa di nuovo.


Questo fa parte di un piano più ampio: l’ambizione di H&M è diventare completamente circolare e positiva per il clima.


“Esploriamo costantemente nuove tecnologie e innovazioni per aiutare a trasformare l’industria della moda mentre stiamo lavorando per ridurre la dipendenza dalle risorse vergini. Coinvolgere i clienti è la chiave per ottenere un cambiamento reale e siamo così entusiasti di vedere cosa ispirerà Looop”, afferma Pascal Brun, responsabile della sostenibilità di H&M.

COME FUNZIONA

Looop utilizza una tecnica che dissimula e assembla vecchi indumenti in nuovi. Gli indumenti vengono puliti, sminuzzati in fibre e filati in nuovo filato che viene poi lavorato a maglia in nuovi reperti di moda.

Alcuni materiali vergini di provenienza sostenibile devono essere aggiunti durante il processo. Il sistema non utilizza acqua e prodotti chimici, avendo così un impatto ambientale notevolmente inferiore rispetto alla produzione di capi da zero.


Entro il 2030 H&M punta a che tutti i materiali siano riciclati o acquistati in modo più sostenibile, una cifra che per il 2019 era al 57%.

fonte: www.economia-circolare.info

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