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Moda sostenibile: intervista a Silvia Gambi di solomodasostenibile

È tempo di saldi e allora abbiamo pensato di rivolgere qualche domanda a Silvia Gambi, giornalista esperta di moda sostenibile, per capire come sia possibile ridurre la nostra impronta sul Pianeta adottando nuove e diverse abitudini di acquisto di capi di abbigliamento e accessori


Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato la nostra "pillola di sostenibilità: vestirsi in modo sostenibile", una serie di eco-consigli per fare riflettere su come sia possibile, anche con semplici azioni, alleggerire la nostra impronta sul Pianeta dovuta ai nostri acquisti, talvolta continui, di capi di abbigliamento e accessori vari.

La "pillola di sostenibilità: vestirsi in modo sostenibile" è stata l'occasione per rivolgere alcune domande ad un'esperta di moda sostenibile, Silvia Gambi. Giornalista, da 15 anni lavora con le imprese tessili di Prato in numerosi progetti. È autrice del podcast e del sito "Solo Moda Sostenibile" e della newsletter gratuita, in uscita ogni sabato, con tutte le novità della settimana.

Ci stiamo avvicinando alla stagione dei saldi, le promozioni ci sono già, e complice anche la Pandemia che ci ha costretto a stare a casa per un lungo tempo, la voglia di acquistare, se possibile, non manca, ma possiamo trasformare il nostro acquisto da mero gesto commerciale in atto consapevole e rispettoso dell’ambiente e delle persone?

Questa è una stagione di saldi particolari, che arriva dopo un periodo in cui non solo non sappiamo nemmeno bene cosa ci serve, ma soprattutto abbiamo fatto i conti con il nostro armadio e con quello che ci è davvero utile. Io direi che è proprio questo che deve farci da guida negli acquisti che eventualmente faremo; comprare quello che ci serve. Il modo migliore è fare una lista e attenerci a quello che abbiamo indicato, resistendo alle tentazioni. I saldi sono spesso l’occasione per le aziende di svuotare i magazzini oppure di vendere capi di poco valore prodotti per rispondere alla richiesta del momento. In questa stagione, durante la quale si è prodotto anche meno, il rischio di fare acquisti poco convenienti è ancora più alto. I brand sostenibili spesso non mettono in saldo la propria merce, perché i loro prezzi sono costruiti con attenzione e non hanno una sovrapproduzione da mettere sul mercato a prezzo ridotto. Ogni capo che acquistiamo dà un impatto sociale e ambientale: il gesto più responsabile che possiamo fare è quello di acquistare solo ciò che ci serve davvero.

Possiamo veramente vivere con pochissimi capi nell’armadio, magari di qualità, oppure abbiamo bisogno di accumulare vestiti che utilizziamo poche volte e che gettiamo con estrema facilità, vista anche la loro scarsa qualità e il basso costo ?

C’è su Instagram una sfida molto interessante che si chiama #project333, che è stata lanciata da Courtney Carver, una ragazza americana che ha una storia molto interessante. La sfida è quella di creare un guardaroba composto da 33 pezzi, compresi scarpe e borse, da utilizzare per 3 mesi. In questo modo si acquistano meno cose, di migliore qualità e che sono coordinate tra loro. Naturalmente alcuni oggetti possono essere utilizzati per più stagioni Secondo Livia Firth, un capo di abbigliamento deve essere indossato almeno 30 volte, altrimenti vuol dire che non ci era utile. Indossare più a lungo un capo di abbigliamento significa anche valorizzare la qualità, scegliere con attenzione quello che indossiamo e liberarci anche dalla schiavitù del fast fashion, che cerca sempre di farci desiderare qualcosa di nuovo.

Comprare un capo d’abbigliamento riciclato o ancora meglio riciclabile, genera una sensazione di minore responsabilità rispetto alla grande quantità di rifiuti tessili che ogni anno produciamo. A che punto siamo, realmente, con il riciclo, in particolare delle fibre sintetiche che, ad oggi, rappresentano la materia prima di buona parte dei capi di abbigliamento in commercio ?

Secondo la Ellen Mac Arthur Foundation oggi al mondo vengono riciclati solo l’1% degli abiti usati, quindi c’è molta strada da fare. Gli abiti non vengono riciclati anche perché è difficile e poco conveniente farlo, se un capo non è progettato per essere riciclato: questo significa che deve essere facilmente smontabile nelle sue componenti, che deve essere a tinta unita e realizzato con materiale mono fibra. Quanti abiti oggi rispettano queste linee guida? L’abuso del termine “riciclato” ma soprattutto di “riciclabile” è al centro di numerose campagne di greenwashing: non basta l’utilizzo di un componente riciclato per definire così un capo. Per il riciclabile è ancora più complicato ed è una sfida che le giovani generazioni di designer dovranno affrontare.

Il riuso dei capi di abbigliamento sembra avere conquistato una parte di mercato, facilitato anche dalla nascita di molte piattaforme digitali, può essere una soluzione alla sovra-produzione e sovra-consumo di capi d’abbigliamento ?

C’è un vero e proprio boom del second-hand e per i prossimi anni si prevede che ci sarà una grossa crescita di questo mercato, soprattutto per i beni di lusso. Allo stesso tempo stiamo assistendo a progetti creativi che utilizzano i “deastock” per le proprie creazioni, ossia i tessuti che avanzano dalle produzioni e che così vengono riutilizzati. Lo scopo è quello di disincentivare la sovra-produzione, ma il fast fashion si basa proprio sulla capacità di innescare nuovi desideri e mandare in negozio collezioni nuove ogni settimana. Questo continuo desiderio di novità spesso lo incontriamo anche in coloro che acquistano capi vintage ogni settimana, causando emissioni per i trasporti, ad esempio. Penso che il mercato del riuso e l’upcycling siano realtà interessanti e che vanno incoraggiate, ma soprattutto dobbiamo educare i consumatori a creare un legame con quello che acquistano: un capo può essere riparato, usato, rinnovato. Prima di uscire dal nostro armadio deve superare questi step: ma di base deve trattarsi di un capo di qualità, altrimenti non potremo fare altro che gettarlo dopo il primo lavaggio.

fonte: www.arpat.toscana.it


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Ecospedia, il nuovo servizio app per una spesa con meno plastica

Dal 1 ottobre è disponibile su Play Store e App Store un nuovo servizio rivolto a sette comuni del Consorzio dei Navigli per scegliere dove acquistare prodotti con meno imballaggi in plastica.




Da oggi una spesa con meno plastica e più consapevole è possibile grazie al servizio ECOSPEDIA, servizio offerto all’interno dell’App Junker e rivolto ai territori di Corbetta, Albairate, Cassinetta di Lugagnano, Cisliano, Cusago, Ozzero e Morimondo, su iniziativa del Consorzio dei Comuni dei Navigli e in collaborazione con Confcommercio Abbiategrasso.

ECOSPEDIA è stato realizzato da A.I.C.A. (Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale) nell’ambito del progetto “Plastic Challenge” indetto dalla Fondazione Cariplo.

L’obiettivo di ECOSPEDIA – accessibile scaricando l’App Junker tramite Play Store o AppStore a partire dal 1 ottobre 2020 – è quello di indicare attraverso una facile mappa l’esercizio commerciale più vicino che offre imballaggi alternativi alla plastica. I punti commerciali saranno consultabili direttamente sulla mappa oppure filtrando per prodotto (acqua, uova, latticini, carne, pesce, detersivi, ecc.). Inoltre, i negozi aderenti alla rete di ECOSPEDIA saranno identificabili tramite l’adesivo apposto all’ingresso del locale.

L’App viene lanciata con tutti i servizi informativi inerenti alla raccolta differenziata previsti da Junker, mentre nell’area dedicata a ECOSPEDIA, accessibile tramite un pulsante ben visibile, si potranno trovare già i primi negozi aderenti alla rete: da questo momento qualunque negozio dei territori selezionati sia in grado di offrire prodotti a basso contenuto di plastica o totalmente plastic-free può aggiungersi alla rete. Sarà sufficiente contattare l’associazione A.I.C.A. o rivolgersi al Consorzio dei Comuni dei Navigli.

Infine, il servizio ECOSPEDIA offre anche una serie di buone pratiche plastic-free: grazie a uno studio di benchmark realizzato prima del lancio della campagna, nell’App è stato inserito un elenco di consigli utili su come ridurre la plastica nella propria spesa e quali nuovi servizi potrebbe ospitare il proprio territorio in futuro.


“Meno plastica, una spesa fantastica”

È questo il claim che accompagna il lancio di ECOSPEDIA. In Italia, infatti, su circa 2,2 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica immessi al consumo nel 2017, circa il 43,5% è stato avviato a riciclo, mentre il 40% è stato oggetto di recupero energetico. Su un trend che vede un aumento costante dell’immissione al consumo, la quota parte di plastiche non riciclate è rimasta essenzialmente invariata negli ultimi 4 anni. Tale contesto ci dimostra che è necessario agire soprattutto in un’ottica di prevenzione e riduzione, puntando prioritariamente sul cambiamento delle abitudini di consumo e degli stili di vita, in ottica di economia circolare.

Il progetto ha come obiettivo quello di rendere protagonisti di questo paradigma gli esercizi commerciali di prossimità, perché siano essi stessi a farsi portatori del cambiamento.

«Il progetto Ecospedia prevede un cambio delle abitudini di acquisto dei cittadini e il coinvolgimento del territorio in un progetto innovativo che crea da un lato legami e gesti nuovi e che dall’altro coinvolge interlocutori differenti, da chi gestisce i rifiuti, ai commercianti, ai Comuni oltre al Consorzio dei Comuni dei Navigli e alla Confcommercio Abbiategrasso. – spiega Emanuela Rosio, Presidente di A.I.C.A. – L’obiettivo di A.I.C.A. è aiutare i cittadini a scegliere e renderli consapevoli che si può fare acquisti in modo diverso e soprattutto che è un diritto dei consumatori acquistare prodotti con meno imballi, rispondendo proprio alle loro richieste che abbiamo raccolto e analizzato con una survey realizzata nei mesi scorsi».

«Continuano le azioni concrete per promuovere nel territorio “buone pratiche” quotidiane, volte da un lato a ridurre l’inquinamento, dall’altro ad aumentare progressivamente gli standard di qualità della vita. – afferma Carlo Ferrè, presidente dei Comuni del Consorzio dei Navigli – I cittadini dei nostri comuni consorziati hanno sempre aderito con grande interesse ai progetti e alle campagne di sensibilizzazione ambientale dimostrando di essere virtuosi e lungimiranti. In questo modo si riesce a creare una fitta rete territoriale, fatta di persone “responsabili e consapevoli”, che permette anche di ottimizzare il sistema di gestione integrata dei rifiuti urbani, per esempio riducendo le diverse tipologie di scarti, in primis la plastica, e migliorando la qualità della differenziata».

fonte: www.envi.info


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Con “biciXtutti” nuovi incentivi per favorire la mobilità sostenibile nei Comuni della provincia di Torino

I Comuni della Zona Ovest di Torino, nell’ambito del progetto “ViVO”, lanciano il bando biciXtutti, che assegna incentivi economici per l’acquisto di biciclette e rivolto a residenti, imprese, organizzazioni non profit e condòmini. Un programma sperimentale di mobilità sostenibile finalizzato alla riduzione dell’inquinamento e alla disincentivazione dell’utilizzo dell’automobile negli spostamenti casa-scuola e casa-lavoro.















Quanto tempo passiamo al volante? Muoversi tutte le mattine per andare a lavoro imbottigliati nel traffico, le ricerche disperate di un parcheggio e persino l'abitudine all'utilizzo dell'auto anche negli spostamenti più brevi. 
Per non parlare dei costi economici e del “costo” che ricade sulla nostra salute, sul nostro umore e, non per ultimo, sulla nostra pazienza! 
Ma se esistesse la possibilità di spostarci in altro modo, perché non approfittarne?
Ora ciò è finalmente possibile! I comuni della Zona Ovest di Torino si stanno infatti impegnando a promuovere politiche ambientali in tema di mobilità sostenibile su tutto il territorio, prevedendo l’assegnazione di contributi economici sull’acquisto di biciclette e altri mezzi leggeri a emissioni zero ad uso urbano, che disincentivino l’utilizzo dell’automobile.
Si tratta dell’azione “biciXtutti” che fa parte del “Progetto “Vi.VO” promosso dal Comune di Collegno, quale ente capofila, ed esteso a tutti i comuni della Zona Ovest di Torino quali Alpignano, Buttigliera Alta, Collegno, Druento, Pianezza, Grugliasco, Rivoli, Rosta, San Gillio, Venaria Reale e Villarbasse.


E’ un programma sperimentale di azioni fortemente integrate - sia di sostegno della domanda che di miglioramento dell'offerta di servizi di mobilità – finalizzate alla promozione di politiche ambientali e alla riduzione non solo dell’inquinamento atmosferico ma anche utilizzo massivo dell’automobile ad uso individuale. Insomma, un programma che favorisce nuove pratiche ed abitudini collettive improntate ad una maggior sostenibilità.
Su quali mezzi sono applicati gli incentivi?
I mezzi disponibili su cui ottenere un incentivo sono le biciclette a pedalata assistita (nello specifico velocipedi dotati di un motore ausiliario elettrico avente potenza nominale di 0,25 kW), biciclette tradizionali da città, biciclette pieghevoli, minibici, gravel bike e mountain, cargo bike attrezzate per la consegna ed il trasporto di merci o persone, tricicli, handbike e tandem.
Come si legge dal bando, “gli obiettivi del progetto sono promuovere la mobilità alternativa per tutte le categorie di utenti, incentivare l’utilizzo di mezzi di mobilità sostenibile all’interno del territorio comunale e creare una relazione positiva con i cittadini sui temi della mobilità sostenibile”.


Chi sono i destinatari?
Trattandosi di un progetto che intende ridurre gli spostamenti in auto e promuovere la mobilità sostenibile nei tracciati casa-scuola e casa-lavoro, coloro che possono accedere al servizio sono in primis i residenti dei Comuni inclusi nel Patto Ovest di Torino, con un contributo esteso anche ai minori residenti che abbiano compiuto i 6 anni di età. Ad ogni richiedente potrà essere concesso un solo contributo di acquisto, ad eccezione del caso in cui si acquisti per uno o più figli minorenni. 
Altri destinatari sono organizzazioni senza scopo di lucro e persone fisiche o giuridiche titolari di partita iva attiva con sede operativa negli stessi Comuni.


La somma disponibile per l’attuazione dell’iniziativa, per l’anno 2019, è di 45.000,00 euro ed è finanziata con fondi del Ministero dell’Ambiente. L’entità dell’agevolazione è fissata al 50% della spesa effettivamente sostenuta in base alla tipologia di veicolo.
Ai fini dell’erogazione del contributo il beneficiario si impegna a far monitorare per 2 mesi i propri spostamenti dal gruppo di lavoro del progetto e dall’Agenzia della Mobilità Piemontese per mezzo di un’applicazione sul proprio smart-phone o navigatore gps e detenere il mezzo acquistato per un periodo di almeno due anni a partire dalla data di liquidazione del contributo.
Per accedere ad ulteriori informazioni è possibile consultare il sito del "Patto Zona Ovest Torino".

fonte: http://piemonte.checambia.org

Comprare Non È Più Sostenibile. Per Salvare Il Mondo Dobbiamo Prendere In Prestito.











Tra le eredità della crisi economica iniziata nel 2008 si trova una nuova tendenza all’acquisto più consapevole e più ecologico. La moda del vintage, ormai consolidata da qualche anno, ne è stata un primo segnale: secondo i dati dell’Osservatorio 2017 Second Hand Economy di Doxa, il giro d’affari italiano per la compravendita di oggetti di seconda mano – che ha nei millennial la fascia di popolazione più attiva – ammontava nel 2017 a circa 21 miliardi di euro, grazie alla crescita costante per la diffusione del web. Alle origini di questo boom non c’è solo l’aspetto economico: dalla ricerca emerge che, tra le principali ragioni di questa compravendita, per oltre il 60% degli intervistati contano la tutela dell’ambiente e la lotta allo spreco, senza dimenticare (35%) la possibilità di trovare pezzi unici e non più in commercio, sottraendosi così agli stilemi delle mode passeggere. Che il second hand stia vivendo un momento florido è chiaro, ma lo è meno il fatto che sia visto come un modo per sfuggire alla pubblicità martellante e per limitare le ripercussioni del consumismo senza freni. Parlare della fine dell’epoca dell’usa e getta sarebbe eccessivo e ottimistico. Le file davanti ai negozi in occasione del Black Friday si formeranno ancora per molti anni, ma si sta diffondendo la consapevolezza che è possibile sottrarsi a tutto questo, acquistando con maggiore coscienza etica e ambientale, o non facendolo affatto. La possibilità di non comprare qualcosa è la prospettiva che sta emergendo negli ultimi anni, la più radicale e potenzialmente rivoluzionaria.
Se in una parte del mondo – soprattutto nei Paesi dove il boom economico è più recente, come la Cina – il consumismo ha ancora un immenso appeal, da noi iniziano a crescere nicchie sempre più numerose di persone che rifiutano lo stile di vita improntato allo spreco e alla dipendenza materiale e psicologica dagli acquisti e dalla novità. La passione per il decluttering lanciata da Marie Kondo non è che un sintomo del malessere che spesso sfocia in un cambiamento nello stile di vita, che non si limita al settore dell’abbigliamento, dove sono sempre più diffusi vintage e swap party. Si compra meno, infatti, anche nei settori un tempo considerati quelli degli investimenti a lungo termine, simbolo della conquistata indipendenza dell’età adulta: l’immobiliare e l’automobile. Stipendi bassi, precarietà e concorsi – tentati in tutto il Paese e che costringono spesso a trasferirsi da una città a un’altra – hanno tenuto lontano i millennial dalla casa di proprietà. Ma la novità è che i vantaggi dell’appartamento in affitto – dalla scelta del quartiere o della città più interessante dove abitare, all’evitare l’impegno di scelte a lungo termine, alla libertà dalle incombenze della manutenzione – vengono riscoperti anche dalle altre fasce di età, specialmente quella che più di tutte può permettersi di vivere come e dove vuole. Per il New York Times negli Stati Uniti si è infatti registrato un boom degli over 60 abbienti che prediligono l’affitto, che non è più percepito come la scelta obbligata di chi non può permettersi di comprare una casa; in Germania, dove l’economia è tra le più stabili d’Europa, grazie all’equilibrio tra intervento statale, investimenti privati e per effetto della legislazione in materia (ad esempio non ci sono detrazioni sul mutuo), il numero di affittuari è tra i più alti del continente.
Anche il mercato dell’auto deve adeguarsi alla nuova tendenza, che oltre al car sharing sta favorendo la diffusione del noleggio a lungo termine (soprattutto in America, ancora poco in Europa) in cambio del pagamento di una rata mensile in cui sono comprese tutte le spese, dal cambio gomme all’assistenza stradale, dal bollo all’assicurazione su furto e incendio. La novità sta prendendo piede anche in Italia, come emerge da un rapporto Aniasa: ogni giorno sarebbero circa 900mila le persone a usare il noleggio a lungo termine (che è cresciuto del 18% tra il 2016 e il 2017) e 130mila a breve termine. Accanto a queste possibilità si sta diffondendo anche il car sharing peer to peer, una sorta di Airbnb dell’auto in cui il proprietario di un veicolo può affittarlo nei periodi di inutilizzo. 






Recentemente il The Guardian ha dedicato la sua attenzione a iniziative come la “biblioteca delle cose” (o Lot, Library Of Things) e altri progetti simili, dal canadese Thingery al “negozio”californianoche, inaugurato nel 1979, si vanta di essere uno dei primi di questo tipo al mondo. Si tratta di spazi in cui vengono raccolti oggetti di ogni tipo, dai tosaerba alle impastatrici, che possono essere presi in prestito da tutti gli iscritti, proprio come in una biblioteca. È un modello che funziona bene soprattutto per quei prodotti, anche costosi, che si utilizzano raramente. Anche nei casi in cui il servizio non è completamente gratuito ma prevede la sottoscrizione di una quota associativa per coprire i costi di manutenzione, prendere in prestito si è rivelato comunque conveniente. Oltre al vantaggio economico, però, c’è anche il risparmio di spazio in casa e, non ultimo, quello sui costi ambientali. L’idea del prestito, nata tra i figli dei fiori e le altre sottoculture negli anni Settanta, sull’onda della presa di coscienza contro il consumismo dilagante, si è rinnovata grazie al web, che permette di far pubblicità a questi progetti e ne facilita l’organizzazione. Anche la crisi economica ha contribuito a diffonderla, perché le persone hanno cominciato a chiedersi come risparmiare senza troppe rinunce. Un contributo fondamentale è arrivato anche dalla nuova coscienza ambientalista, soprattutto tra i più giovani. 
Il prolungamento del ciclo di vita di un oggetto ha una grande influenza sul suo impatto ambientale, oltre a garantire un risparmio economico. Questo è tanto più vero per elettrodomestici ed elettronica la cui produzione necessita di sostanze anche preziose, spesso di difficile estrazione e che si trovano nei Paesi in cui le condizioni di lavoro sono pessime e la situazione politica ambigua, come nel caso del Venezuela. Si calcola che in Europa, riutilizzando i beni che ora vengono buttati, si risparmierebbero ogni anno quasi 6 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra e 44 milioni dimetri cubi di acqua. Lo smaltimento degli oggetti dismessi ha dei costi altrettanto pesanti: tra ferro, rame, alluminio e altri metalli, gettare elettrodomestici e prodotti tecnologici significa da un lato sprecare le materie preziose e la plastica con cui sono realizzati e dall’altro mettere in circolazione rifiuti pericolosi. Si calcola che in Europa circa un terzo dei prodotti gettati potrebbe essere riutilizzato se sottoposto a manutenzione e la situazione è tanto più drammatica se si considera il divario tra la durata ideale di un bene e quella effettiva. Secondo i calcoli del rapporto dell’Onu The long view. Exploring product lifetime extension, per ottimizzare l’impatto ambientale causato dalla sua produzione, uno smartphone dovrebbe essere utilizzato fino a 12 anni (contro gli uno o due anni di effettivo utilizzo) e un computer dai 7 agli 88 anni, a seconda dei parametri presi in considerazione; per quanto riguarda gli elettrodomestici, in media dovrebbero durare circa 10 anni, ma spesso si rompono o smettono di funzionare molto prima. Secondo l’Eurobarometro il 77% dei cittadini europei preferirebbe riparare i propri oggetti anziché sostituirli, ma non lo fa perché costa troppo, finendo per comprare un nuovo prodotto.
Questo meccanismo, noto come obsolescenza programmata, è stato dichiarato fuorilegge in Francia nel 2015, con l’introduzione di un’etichetta che attribuisce un punteggio al prodotto in base alla sua durata. L’allungamento del ciclo di vita dei prodotti, tra miglioramento della durata, manutenzione e riutilizzo, può avere effetti positivi non solo per il singolo consumatore, ma anche per le aziende stesse, che guadagnerebbero in fiducia e fidelizzazione degli acquirenti e quindi una maggiore competitività sul mercato. Ne beneficerebbe l’intera società, grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro non delocalizzabili: circa 296 nel solo settore della riparazione ogni 10mila tonnellate di beni riutilizzati, secondo i dati della relazione redatta nel 2017 dalla Commissione per il Mercato Interno e la Protezione dei Consumatori presso il Parlamento Europeo. Nonostante il parere positivo dell’Unione europea, l‘organizzazione RReuse, che riunisce le imprese del continente impiegate nel riciclo e riutilizzo di prodotti, denuncia gli attuali ostacoli esistenti per la riparazione, dai costi elevati (talvolta superiori all’acquisto di un prodotto nuovo) alla scarsa accessibilità dei punti di riparazione, al design stesso che spesso rende difficile se non impossibile la riparazione di alcune componenti (ad esempio, negli elettrodomestici, la fusione di alcuni componenti anziché l’impiego di viti). Le istituzioni si stanno muovendo per tagliare gli sprechi soprattutto sul lato della qualità del prodotto: in Italia, ad esempio, il decreto 140/2016  ha chiesto ai produttori di implementare le strategie di eco-progettazione con accorgimenti che prolunghino la vita media dei prodotti e ne facilitino la riparazione, permettendone l’aggiornamento tecnico. 
Nell’attesa di vedere effetti concreti dell’azione normativa, i cittadini da parte loro rispondono puntando sulla condivisione di oggetti, dall’auto all’attrezzatura per il giardino, verso cui emerge un nuovo approccio: quel che conta non è più possedere un bene, ma usufruire del servizio che garantisce. Negli ultimi anni sono aumentati anche i punti di freecycling e i repair cafè, negozi in cui si riparano, anche gratuitamente, gli oggetti che necessitano di manutenzione. Il ciclo acquisto-consumo-smaltimento può essere spezzato in più modi, producendo beni più duraturi e di migliore qualità, promuovendone la manutenzione, prolungando il periodo di garanzia e condividendoli con altre persone, con un grande risparmio ambientale oltre che economico. Un nuovo stile di vita e di acquisto è possibile, spostando il nostro focus dall’acquisto e possesso all’utilizzo. È l’economia circolare e può cambiare la tua vita e quella del pianeta. 
fonte: https://thevision.com