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Far pagare i sacchetti di plastica funziona: nei mari inglesi diminuiti del 30%

Lo sostiene uno studio pubblicato su Science che però valuta anche altre ipotesi: dal cambio delle correnti ai nuovi materiali biodegradabili. Gli autori: "E' incoraggiante perché dimostra che tutti insieme possiamo risolvere il problema".















In mare ci sono meno sacchetti di plastica, almeno lungo le coste del Regno Unito. Lo rivela uno studio che mette in relazione il pagamento dei sacchetti da parte dei cittadini e la loro dispensione nell'ambiente: il numero di sacchetti di plastica in mare è diminuito di quasi un terzo rispetto allo scorso decennio, mentre sono aumentati gli altri tipi di rifiuti di plastica trovati in acqua. Tra le possibili cause suggerite dagli autori della ricerca c'è infatti l'introduzione del pagamento dei sacchetti di plastica nella grande distribuzione in tutta Europa, ma anche i cambiamenti delle correnti marine nelle dinamiche oceaniche.

La ricerca ha anche riscontrato un aumento della percentuale di detriti di plastica durante la pesca, una parte dei detriti potrebbe però non essere proveniente dal Regno Unito ma portata nel mare della Gran Bretagna dalla correnti proveniente da altre coste marine.  La riduzione dei sacchetti di plastica nei rifiuti marini è cominciata a partire dal 2010 in poi. C'è stato un calo di circa il 30% dal periodo pre-2010.
 
Se davvero i sacchetti alla deriva sono un numero minore perché costano e quindi in mare ne finiscono il 30 per cento in meno, questa tendenza al ribasso sarebbe la dimostrazione che le politiche possono influenzare la quantità e la distribuzione di alcuni tipi di rifiuti marini anche in tempi brevi, cioè nell'arco di pochi anni. Tuttavia nel loro documento scientifico, i ricercatori sottolineano che questo punto è controverso. E suggeriscono un'altra ipotesi:  la minore presenza di sacchetti in mare potrebbe essere dovuta al cambiamento nella composizione dei sacchetti di plastica biodegradabile, che si decompongono più velocemente.
 
Il co-autore dello studio Thomas Maes, che è uno scienziato che si occupa di rifiuti marini presso il Centro per l'ambiente del governo inglese, ha dichiarato che "è incoraggiante vedere che gli sforzi di tutta la società, pubblico, industria, Ong e governo, per ridurre i sacchetti di plastica stanno avendo un effetto. Abbiamo osservato cali netti nella percentuale di sacchetti di plastica catturati dalle reti da pesca a strascico in tutto il Regno Unito rispetto al 2010 e questa ricerca suggerisce che lavorando insieme possiamo ridurre, riutilizzare e riciclare e affrontare così il problema dei rifiuti marini".

Nel Regno Unito il costo di 5 pence a sacchetto è stato introdotto nel 2015. Lo

studio, pubblicato sulla rivista Science, ha esaminato i detriti di plastica sui fondali marini al largo delle coste britannic che nel corso di un periodo di 25 anni. Ha poi confrontato i risultati di 39 indagini separate che hanno spulciato la plastica presa in mare tra il 1992 e il 2015

fonte: http://www.repubblica.it

Buste biodegradabili e a pagamento, supermercato di Sirolo batte tutti

















Buste biodegradabili e a pagamento, supermercato di Sirolo batte tutti e ne pensa una più del diavolo.

L'ha pensata una più del diavolo il "Si con Te" di Sirolo. Da oggi infatti esporrà cestini in alternativa dei sacchetti a pagamento biodegradabili, come da nuova normativa nazionale. I cestini potranno essere portati fino alle casse dove il cliente potrà provvedere ad mettere nelle buste proprie perlomeno la frutta e verdura. E il prezzo e relativa etichetta affissa anche in un post it messo a disposizione.

L'ondata di polemica sulla recente introduzione ha messo infatti in allarme molti esercenti, soprattutto quelli più piccoli. La fantasia di alcuni clienti anche nell'anconetano inoltre non ha avuto limiti: da chi suggeriva di etichettare la frutta senza imbustarla nei sacchetti a disposizione a chi proponeva di non comprare più frutta e verdura, soprattutto nei supermercati, o comunque l'invito stare un mese senza servirsi di prodotto che necessitano di essere imbustati.

Dal 1 gennaio 2018 infatti è entrato in vigore l’obbligo di usare i sacchetti biodegradabili a pagamento, per pesare e prezzare le merci sfuse. L’art. 9-bis della legge di conversione 123/2017 il cosidetto Decreto Mezzogiorno approvato lo scorso agosto, prevede infatti che non possano essere distribuite a titolo gratuito e il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dalla scontrino o fattura di acquisto delle merci o dei prodotti”. Nei supermercati dunque e in tutte le altre attività commerciali che usano questi sacchetti come ad esempio fruttivendoli, alimentari, ma anche farmacie o panetterie...ecc non potranno continuare ad usare il tradizionale sacchetto di plastica che andrà sostituito con quello biodegradabile con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%.

Ma ciò che più turba alcuni italiani, così come alcuni anconetani (alcuni si dichiarano infatti a favore del biodegradabile e contro i sacchetti di plastica, inquinanti e pericolosi per l'ambiente, soprattutto per i mari come denotano anche studi universitari sulla presenza di microplastiche presenti anche nel mar adriatico ndr) è che a pagare quel sacchetto saranno proprio loro, i cittadini. Questo prezzo si stima che oscillerà da 0,1 a 0,5 centesimi circa e per gli esercenti furbetti, ovvero quelli che non rispetteranno la nuova legge, continuando ad offrire buste di plastica, è prevista una sanzione da €. 2.500 ad 25.000 euro. Sanzione che aumenta a 100.000 se la violazione del divieto riguarda ingenti quantitativi di borse di plastica o un valore di queste ultime superiore al 10% del fatturato del trasgressore.

fonte: https://www.vivereancona.it

Sacchetti bio a pagamento? Andranno in discarica: gli italiani li pagheranno 2 volte

Il governo ha reso obbligatorie e a pagamento le buste dopo aver cominciato a incentivare gli impianti per la produzione di biogas e biometano dai rifiuti organici, dove però i sacchettini creano più di un problema e spesso vengono eliminati in ingresso. Due strade sempre più divergenti: da una parte cresceranno rapidamente questi impianti, dall'altra ci saranno 25mila tonnellate di buste da smaltire (con i costi che ricadranno nelle tasche degli italiani)




I nuovi sacchettini per l’ortofrutta sono biodegradabili, compostabili e quasi ovunque si possono usare per la raccoltadell’organico, ma nella realtà prenderanno sempre più spesso la via della discarica. Possibile? Sì, perché il governo ha reso obbligatorie e a pagamento queste bustine per gli alimenti sfusi nei supermercati dopo aver cominciato a incentivare (in accordo con le politiche energetiche dell’Ue) gli impianti per la produzione di biogas e biometano dai rifiuti organici, dove però i sacchettini creano più di un problema e vengono quindi eliminati in ingresso. Così, ci troveremo di fronte a due strade sempre più divergenti: da una parte cresceranno rapidamente questi impianti, dall’altra avremo 25mila tonnellate di sacchettini da gestire in qualche modo. Aspetti non valutati dal ministero dell’Ambiente prima di infilare questa estate l’emendamento balneare della legge di conversione del decreto Mezzogiorno. Il testo, infatti, è stato scritto senza chiedere un parere di merito al braccio scientifico del dicastero, l’Ispra: il ministro ripete che la misura “fa bene all’ambiente”, ma una valutazione tecnica avrebbe potuto far emergere, oltre ai pro, anche i contro della scelta. A partire proprio dalle criticità per gli impianti e i tempi lunghi di biodegradabilità nel mare, fino all’esortazione dell’Onu ad abbandonare l’usa e getta piuttosto che promuovere le bioplastiche.

L’impianto di Bolzano: “Non buttate l’umido nei sacchettini” – Mentre i consumatori stavano ancora prendendo le misure con la novità, dalla società di igiene urbana di Bolzano Seab è partito l’allarme: “Da noi i cosiddetti sacchetti ecologici non sono adatti per la raccolta dell’organico. Utilizzate quelli in carta”. Il motivo? “Il tempo di degradazione di questi sacchi ecologici, significativamente più lungo rispetto agli altri materiali raccolti, influirebbe sull’intero processo. Inoltre, questi sacchi spesso si incastrano tra le lame del frantumatore causando dei guasti al sistema”. L’impianto in questione tratta i rifiuti umidi attraverso una fermentazione senza ossigeno: si chiama digestione anaerobica e rispetto ai vecchi impianti per il semplice compostaggio (fermentazione aerobica) dell’umido permette di ottenere, oltre a un ammendante per l’agricoltura, anche energia in forma di gas. Per questo, anche per effetto degli incentivi statali, è in corso una forte riconversione e nasceranno nel tempo anche nuovi digestori. Secondo l’Ispra, solo nel 2016 i rifiuti umidi trattati in maniera combinata sono cresciuti di oltre il 30% e il Consorzio italiano compostatori prevede che nel 2020 andranno a digestione anaerobica 5,7 milioni di tonnellate diorganico urbano, contro gli 1,8 milioni di adesso. Non solo: ad oggi, su quasi 30 grossi impianti di questo tipo attivi in Italia, i due terzi usano la tecnologia definita tecnicamente “wet”, quella in cui i sacchetti danno più problemi.

Il viaggio dei sacchetti: dal compostaggio alla discarica – Il punto, spiega a ilfattoquotidiano.it Mario Grosso, docente al dipartimento di Ingegneria civile e ambientale del Politecnico di Milano, è che “i sacchetti compostabili certificati ricevono il marchio dopo il test in un impianto aerobico, cioè di compostaggio, dove si disgregano in 90 giorni. Purtroppo però questo non implica che succeda la stessa cosa in un impianto di digestione anaerobica, dove le condizioni sono totalmente diverse e il processo più breve”. Non solo: “Se anche i sacchetti si disgregassero del tutto, molti impianti di questo tipo continuerebbero comunque a toglierli come fanno adesso perché si tratta di un materiale plastico e filamentoso che dà fastidio al funzionamento: si impiglia nelle lame, intasa le tubazioni”. E anche nei processi di compostaggio le buste vengono tolte in molti casi all’inizio: “In questo caso si fa soprattutto perché più del 40% dei sacchetti con cui i cittadini conferiscono l’umido continua a essere non compostabile”. È il problema delle buste contraffatte, che secondo Assobioplastiche rappresentano il 60% di quelle in circolazione. Così, anche dove i sacchetti biodegradabili e compostabili potrebbero trasformarsi in ammendante agricolo, vengono deviati in discarica: “All’ingresso degli impianti non è possibile distinguere le buste in regola da quelle fuori legge, e quindi si tolgono tutte”.
Il cittadino paga due volte – In Italia crescono pian piano le aree in cui si usano sacchetti in carta o addirittura, in qualche raro caso, direttamente i bidoncini, poi svuotati dagli operatori dell’igiene urbana. Ma i sacchetti biodegradabili rimangono la modalità più diffusa e in questi casi, dice a ilfatto.it – chiedendo di rimanere anonimo – il tecnico di una società che gestisce molti impianti di trattamento dell’organico, “il cittadino paga due volte: la prima al supermercato per il sacchetto, e la seconda nella tariffa rifiuti, visto che i costi di smaltimento degli scarti vengono ovviamente ribaltati in bolletta”. Non solo: “In media ogni sacchetto in plastica o bioplastica, quando viene tolto, si porta dietro materia organica pari a quattro volte il suo peso. Rifiuti che invece di diventare biogas vengono smaltiti. Dove ci sono molti sacchetti, si arriva al 30%-40% di rifiuto organico sprecato”, continua il professor Grosso.

“Bioplastiche biodegradabili in 90 giorni solo negli impianti” – Insomma, se i biopolimeri rimangono un’invenzione eccezionale perché permettono di ottenere manufatti a contenuto di materia fossile più contenuto, o addirittura al 100% rinnovabili, sui singoli usi delle bioplastiche è necessaria una valutazione. La stessa Rete europea delle agenzie ambientali, di cui fa parte anche l’Ispra, ha chiesto a Bruxelles “un approccio consapevole sull’uso delle bioplastiche”, evidenziando che per promuoverne “la produzione e l’uso su larga scala, questi prodotti dovranno misurarsi con il bisogno di essere completamente degradabili”. Requisito oggi assente.
Se infatti associazioni come Legambiente ritengono che i sacchettini per l’ortofrutta siano un passo avanti nella lotta all’inquinamento del mare dalle plastiche, per gli esperti del network europeo “le plastiche bioegradabili non possono essere considerate veramente biodegradabili al momento. Dati affidabili sugli effetti ambientali, in particolare sul suolo e sulle acque marine, non sono disponibili”. Numerosi studi scientifici a livello mondiale confermano i tempi molto lunghi necessari ai sacchetti in plastica biodegradabile per smembrarsi in mare. Tra gli ultimi c’è quello di un gruppo di scienziati dell’università di Pisa, pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment e condotto usando dei sacchetti biodegradabili e compostabili per la raccolta dell’umido, più spessi di quelli per l’ortofrutta ma più sottili delle buste distribuite alle casse dei supermercati. “Studi precedenti al nostro dimostravano che le buste, degradandosi, alterano la composizione e le caratteristiche del sedimento marino e la comunità microbica presente. Partendo da qui, ci siamo chiesti come questo fatto avrebbe potuto influenzare le piante che vivono in quegli ambienti in Mediterraneo”, spiega a ilfattoquotidiano.it la biologa pisana Elena Balestri. “Abbiamo allestito un esperimento in vasca considerando due specie di piante marine e ci siamo accorti che i frammenti di bioplastiche erano ancora presenti nei sedimenti dopo 6 mesi, e avevano modificato la concentrazione di ossigeno, pH e temperatura e alterato i rapporti tra le due specie. Queste alterazioni potrebbe influenzare la composizione delle praterie marine e anche dei popolamenti animali ad esse associati. Le nostre ricerche su questo tema vanno avanti per considerare sia la eventuale completa degradazione dei frammenti sia per osservare come tali processi possono influenzare le specie a lungo termine”.

Mancano standard per il mare – Sul comportamento in mare di questi nuovi materiali, dunque, molte domande devono ancora trovare una risposta. Dall’Istituto sui polimeri e biomateriali del Cnr, Mario Malinconico spiega a ilfattoquotidiano.it: “Premesso che bisogna scoraggiare l’abbandono delle plastiche nell’ambiente e che l’Italia è all’avanguardia nel settore delle bioplastiche, al momento i tempi di degradazione in un ambiente non controllato non sono prevedibili. In futuro saranno fissati degli standard anche per il mare: una plastica che sopravvive anche solo tre mesi potrebbe comunque creare problemi agli animali”. In questo quadro, dalle Nazioni Unite sono stati chiari, considerando anche il peso del fenomeno delle buste contraffatte: “Fino a che non c’è una definizione di biodegradabilità in mare accettata a livello internazionale, l’adozione di prodotti plastici etichettati come biodegradabili non porterà una diminuzione significativa né nella quantità di plastica che finisce negli oceani né rispetto al rischio di impatti fisici e chimici sull’ambiente marino”.
Il governo contro l’Onu: solo sacchetti usa e getta – Per l’Unep, il programma ambientale dell’Onu, “a salvare davvero il mare sarà il cambiamento dei nostri comportamenti. La cosa più importante è abbandonare la nostra mentalità usa e getta”. Un indirizzo che però il governo italiano ha totalmente ignorato.Dopo il no del ministero dell’Ambiente alla possibilità per i consumatori di portarsi da casa borsine riutilizzabili per l’ortofrutta al supermercato, è arrivato il sì del ministero dello Sviluppo economico e infine il passo indietro di quello della Salute: ammessi sono sacchettini usa e getta portati da casa, sulla cui conformità però il supermercato ha l’onere di vigilare. Un provvedimento inattuabile nella pratica, mentre sull’esclusione delle borsine riutilizzabili continua il dibattito. “È un provvedimento senza senso: si fa appello a ragioni igienico-sanitarie, ma parliamo di alimenti che non sono pronti per il consumo e devono essere prima lavati e sbucciati dal consumatore. Una mela o un pomodoro arrivano al supermercato già contaminati da una carica batterica, non sarebbe certo il fatto di metterli in una borsina riutilizzabile a creare problemi per la salute delle persone”, dice a ilfattoquotidiano.it Alessandro Del Nobile, docente di Scienze e tecnologie alimentari all’università di Foggia. E dall’associazione Comuni Virtuosi, che sette anni fa ha lanciato l’iniziativa “Mettila in rete” proprio a questo scopo, la responsabile campagne Silvia Ricci spiega: “Così non si ottiene alcuna riduzione dei rifiuti come invece chiesto dall’Europa e dall’Unep, e ci fa piacere che gli allarmi da noi lanciati da tempo ora vengano condivisi anche da altri soggetti. Questo bagno di sangue poteva essere evitato con un tavolo di ascolto preventivo di tutti i portatori di interessi e gli esperti in materia. Purtroppo il rischio da noi evidenziato di un approccio di disincentivazione economica che non va a colpire tutti i materiali monouso si sta concretizzando, perché la grande distribuzione sta in questi giorni massicciamente passando ai sacchetti di carta”.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Sacchetti ultraleggeri: scelte giuste, modalità sbagliate. Il Ministro dell’Ambiente può superare le polemiche di questi giorni in poche ore















COMUNICATO STAMPA
Rileviamo anzitutto con soddisfazione come il tema abbia scalato le classifiche degli interessi dell’opinione pubblica. Anche se il dibattito ha sofferto di alcune distorsioni sul merito della Legge e sui suoi effetti, l’attenzione generatasi ha consentito, per una volta, di mettere il tema ambientale e quelli collegati in cima all’agenda politica, stimolando riflessioni da parte dell’opinione pubblica sul problema della plastica, dei danni da essa provocati, della sua prevenzione e delle alternative. Riconosciamo che la Legge intendesse costituire una estensione ai sacchetti ultraleggeri delle previsioni già a suo tempo adottate, e con successo, per gli shopper, allo scopo di:
  • estendere i principi di riduzione del ricorso alla plastica tradizionale ad altri ambiti, contigui, di intervento;
  • evitare fenomeni di elusione delle precedenti disposizioni, quali l’uso come shopper dei sacchetti in plastica tradizionale, codificati come “per uso interno”, allo scopo di aggirare il divieto sugli shopper od eluderne il costo;
  • conseguire uniformità di approccio su tutti i sacchetti, ed evitare la contaminazione dei flussi avviati a compostaggio, fenomeno determinato proprio dalla confusione spesso ingenerata nell’utente, tra shopper e sacchetti ultraleggeri.
Come tale, l’intenzione di partenza della Legge, ossia superare l’uso della plastica tradizionale nei sacchetti ultraleggeri per asporto dei generi alimentari, è condivisa e va nella direzione di mettere anche in questo caso (come nel caso degli shopper, in cui l’iniziativa italiana ha poi stimolato l’adozione di disposizioni analoghe da altri Paesi e della Direttiva europea in merito) l’Italia alla testa di un fronte di eliminazione progressiva delle buste in plastica. Ricordiamo che gli shopper di plastica costituiscono uno degli elementi più soggetti a dispersione nell’ambiente con conseguenti danni agli ecosistemi e alle catene alimentari.
Nell’ambito di questa strategia, siamo a favore del rendere evidente il prezzo dell’ultraleggero, cosi come già nel caso degli shopper, proprio per disincentivarne il prelievo, ma è altrettanto evidente, e per noi fondamentale, che una strategia di disincentivazione deve mettere a disposizione l’alternativa, che sia ambientalmente preferibile e dunque economicamente incentivata: anche in questo caso, l’alternativa è la borsa (“sporta”) riutilizzabile. Una alternativa pratica, conveniente, ambientalmente sostenibile, che rispetta la gerarchia del riuso come opzione preferibile ed immediatamente adottabile, almeno nel caso di generi alimentari (come è il caso in genere per l’ortofrutta) che non creano, a differenza di carni, pesci, e prodotti caseari molli, problemi di imbrattamento e sgocciolamento.
È qui che è intervenuto l’errore (fondamentale, a nostro avviso) commesso dal Ministero, ossia la lettera alla Grande Distribuzione (GDO) in cui si dichiara che le borse riutilizzabili non possono essere impiegate; rileviamo per inciso che nella Legge, di questo divieto non vi è traccia.
Purtroppo, ed inevitabilmente, questo errore, oltre a determinare un allontanamento dalle finalità stesse della Legge, ha fatto avvertire l’uso del sacchetto biodegradabile come imposizione e balzello, distorcendo il dibattito e deviandolo dal merito ambientale della strategia (superamento della plastica tradizionale) a quello economico: l’imposizione del prezzo esplicito del sacchetto, che doveva funzionare da incentivo all’adozione della alternativa ambientalmente preferibile, nel momento in cui viene impedita tale alternativa, è stato percepito come una vessazione.
Sono a nostro avviso irricevibili le motivazioni di carattere sanitario addotte nella comunicazione del Ministero alla GDO, e nella più recente nota del Ministero della Sanità, di cui abbiamo avuto notizia dai media, se solo si pensa a tutta la filiera di produzione, raccolta, trasporto, distribuzione della ortofrutta: una filiera in cui non è certo il prelievo finale dallo scaffale il momento più delicato. Né possono essere additati come irresponsabili tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea (Paesi certo non meno attenti del nostro ai temi della sicurezza alimentare) in cui le borse riutilizzabili sono consentite, ed addirittura promosse, senza incorrere in procedure di infrazione.
Chiediamo dunque al Ministro di tornare, in forma coordinata con gli altri Ministeri, alle previsioni della Legge, revocando la lettera alla GDO. Se, si procederà in questo modo sarà possibile garantire un vantaggio ambientale, economico e sociale per tutti, consumatori ed esercenti.
Chiediamo contestualmente al Ministero e agli altri soggetti interessati di sviluppare una campagna di informazione sul destino preferenziale dei sacchetti ultraleggeri, laddove acquistati dal consumatore al posto della borsa riutilizzabile. Tale campagna dovrebbe superare molta della confusione che avvertiamo nel dibattito in corso ed andrebbe focalizzata sui comportamenti virtuosi (es. apposizione delle etichette adesive sui manici, onde poterle asportare senza danno al resto del sacchetto) finalizzati a fare reimpiegare successivamente i sacchetti per la raccolta differenziata dell’organico.
Zero Waste Italy
http://www.zerowasteitaly.org

Sacchetti per frutta e verdura a pagamento? Evitiamo i supermercati













Dovranno essere biodegradabili e compostabili secondo la norma UNI EN 13432 e con un contenuto di materia prima rinnovabile di almeno il 40% (che diventerà del 50% dal 2020 e del 60% dal 2021). E in più saranno a pagamento.
Non basta, dal 2019 saranno vietati in Italia i cotton fioc non biodegrabili, e dal 2020 stop anche ai cosmetici contenenti microplastiche. In Francia, ancora meglio, dal 2020 si vieteranno anche le stoviglie monouso in plastica. Ottime notizie per l’ambiente, devastato dalla plastica (in media 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono ogni anno nei mari di tutto il mondo, i polimeri microscopici vengono ingurgitati dai pesci e finiscono nella catena alimentare).
Alcuni aspetti del divieto agli shopper di nylon sono però poco chiari: il Ministro Galletti spiega che dal 1 gennaio non saranno permessi nemmeno i sacchetti riusabili per il contatto diretto con alimenti, per motivi igienici. Chi come me era abituato a fare spesa al mercato diretto dei contadini, portandosi da casa shopper usati e riusabili, dovrà essere riempito di sacchetti compostabili usa e getta a pagamento? Dal 2010 l’associazione Comuni Virtuosi avevano promosso l’iniziativa “Mettila in rete” che proponeva alla grande distribuzione di affiancare ai normali sacchetti per l’ortofrutta anche delle borse riutilizzabili in rete (cosa già praticata in altri paesi europei come nelle Fiandre).
Alcuni grandi supermercati avevano aderito, ora questa iniziativa sarà destinata a naufragare proprio a causa della legge? Si dice che questi sacchetti potranno essere usati come sacchi per la raccolta dell’organico, ma solo dopo aver tolto gli adesivi del prezzo, e sempre che non si rompano… Sarebbe stato molto più logico se accanto agli shopper a pagamento compostabili fosse  permessa l’alternativa degli shopper riusabili in rete, vietando al contempo gli assurdi imballaggi in plastica nei reparti ortofrutta, macelleria e gastronomia nella GDO. Perché vietare gli shopper trasparenti in plastica e non vietare anche le ingombranti vaschette di polistirolo che imballano petti di pollo, formaggi, carote e ogni altro alimento fresco?
D’altra parte, la situazione rifiuti in Italia è sempre in bilico tra buone e cattive notizie. La riduzione dei rifiuti resta ancora un traguardo lontanoil Rapporto Rifiuti Urbani redatto dall’Ispra, ci dice che abbiamo raggiunto quota 52,5% di raccolta differenziata nel 2016, ma di contro aumenta anche la produzione totale di rifiuti: in Italia nel 2016 si sono prodotti circa 497 kg di rifiuti pro capite, contro i 486,7 kg del 2015.
Differenziare e riciclare non basta più, la soluzione più razionale ed etica al problema rifiuti è quello di non produrli, perché una volta prodotti, sono un peso sull’ambiente e sul nostro futuro. Anche il riciclo pesa sull’ambiente.
“Gran parte della plastica raccolta per il riciclaggio in Europa, Stati Uniti, Giappone e altri paesi industrializzati è spedita in nazioni con standard di riciclaggio più basso”, scrive il manager del Worldwatch Institute. Molti rifiuti finiscono in Cina, dove spesso la plastica usata è lavorata in aziende a conduzione familiare sotto scarsi controlli di produzione ambientale, ad esempio sul corretto smaltimento di contaminanti e acque reflue.Quindi ben vengano tutte le azioni tese a ridurre i rifiuti in plastica e altri materiali, ma in un’ottica di riuso. Occorre un impegno da più parti: da parte delle aziende, per progettare i prodotti  senza imballaggi, oppure con imballaggi riusabili o facilmente riciclabili; da parte delle amministrazioni occorre incentivare il compostaggio domestico o di comunità, le ecofeste con stovigli riusabili, i negozi che vendono sfuso, i bar che fanno vuoto a rendere; da parte delle famiglie privilegiando acqua di rubinetto, pannolini lavabili, alimenti sfusi, bevande alla spina, autoproduzione… (strategie spiegate nel mio libro Impatto Zero, Vademecum per famiglie rifiuti zero).
… ma come fare con gli shopper? Evitiamo i supermercati e rechiamoci nei mercatini diretti o dai nostri produttori di fiducia; se proprio non ci sarà permesso imbustare frutta e verdura con sacchetti portati da casa, potremo sempre chiedere di mettere frutta e verdura in una cassetta riusabile, da ridare vuota al produttore la volta successiva. Alimenteremo il commercio locale, a km zero, risparmieremo e ridurremo i rifiuti!
Linda Maggiori
fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it

Sacchetti per ortofrutta: dal 1° gennaio 2018 saranno biodegradabili e compostabili, ma a pagamento! Approvata la legge alla Camera



















Dal 1° gennaio 2018 anche i sacchetti per ortofrutta dovranno essere biodegradabili e compostabili, lo annuncia un comunicato di Assobioplastiche, commentando l’approvazione alla Camera della legge di conversione del decreto legge Mezzogiorno, che definisce i nuovi requisiti per tutte le buste con spessore inferiore ai 15 micron (micrometri). La legge conferma anche le regole per gli shopper monouso biodegradabili per asporto merci.
La nuova norma riguarda i sacchetti leggeri utilizzati per trasportare la spesa, quelli più leggeri usati per imbustare la frutta e la verdura venduta sfusa e anche carne, pesce, prodotti da forno e di gastronomia che si acquistano al banco nei  supermercati. Tutti dovranno essere biodegradabili e compostabili, rispettando lo standard internazionale UNI EN 13432 e per questo motivo necessiteranno di una certificazione da parte di enti accreditati.
C’è di più: tutti i sacchetti biodegradabili e compostabili, comprese le shopper per la spesa, a partire dal nuovo anno dovranno contenere almeno il 40% di materia prima da fonte rinnovabile. Una percentuale che salirà al 50% nel 2020 e al 60% l’anno dopo. Inoltre, per i sacchetti da usare a contatto con il cibo è richiesta l’idoneità alimentare.














I nuovi sacchetti per ortofrutta biodegradabili dovranno essere ceduti a pagamento
L’ultima novità che rappresenta una nota dolente per i consumatori, è che dal gennaio 2018 tutti i sacchetti leggeri e ultraleggeri dovranno essere ceduti esclusivamente a pagamento, come avviene adesso per le shopper monouso da spesa in vendita alle casse dei supermercati al prezzo di 10 centesimi circa. Tra pochi mesi i consumatori dovranno dire addio ai sacchetti per ortofrutta (macelleria, pescheria, gastronomia, ecc.) distribuiti gratuitamente. Il prezzo di vendita (ancora sconosciuto) dovrà risultare sullo scontrino o sulla fattura, come già accade per le buste da asporto merci.

Una decisione che non piace a Coop, che si dice contraria alla scelta di far pagare i sacchetti ai consumatori, ma a cui sarà costretta ad adeguarsi. Chi non rispetta le nuove regole, infatti, rischia multe salatissime, fino a 100 mila euro. Il legislatore vuole così punire chi cerca di aggirare la normativa utilizzando espedienti e diciture come “per uso interno” e “non per asporto merci” per poter utilizzare buste non compostabili e vanicando gli sforzi per ridurre il consumo di plastica usa e getta.
Il nuovo provvedimento è importante e anche condivisibile ma restano dubbi sulla scelta di vietare la cessione gratuita. Dietro a questa decisione c’è la volontà di scoraggiare l’abuso di sacchetti monouso, una misura che ha funzionato benissimo per le shopper biodegradabili, tanto che la maggior parte degli italiani usa buste riutilizzabili per la spesa. Nel caso di sacchetti per frutta e verdura in vendita al supermercato però i consumatori non hanno alternative e dovranno pagarlo (secondo alcune fonti si parla di 5-6 centesimi a pezzo). Il rischio è che il tanto atteso sbarco dei sacchetti biodegradabili nei banchi dell’ortofrutta finisca per essere percepito come l’ennesimo balzello per la popolazione.

fonte: www.ilfattoalimentare.it