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Amianto, 385 milioni per bonificare scuole e ospedali
fonte: https://www.ricicla.tv
Nasce LifeGate PlasticLess per ripulire i nostri mari dalla plastica
Da oggi, i mari italiani hanno un alleato in più: è LifeGate PlasticLess, il progetto di LifeGate che vuole contribuire in modo concreto alla riduzione dei rifiuti di plastica nei nostri mari e sostenere un’economia davvero circolare, che preveda un minor utilizzo di imballaggi di plastica e il corretto riciclo e riuso di questi oggetti.
Questo perché il Mar Mediterraneo è sempre più invaso dalla plastica, proprio come i grandi oceani del mondo. A causa di una cattiva gestione dei rifiuti e dell’atteggiamento noncurante di ancora troppe persone, finiscono nei mari italiani circa 90 tonnellate di plastica ogni giorno che, decomponendosi in piccoli frammenti (alcuni dei quali inferiori ai 5 mm, le cosiddette microplastiche), vengono ingerite dai pesci, col rischio di entrare nella catena alimentare. Secondo l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, tra il 15 e il 20 per cento delle specie marine che compaiono sulle nostre tavole contengono proprio microplastiche.
Se vogliamo davvero contribuire alla salvaguardia del Mediterraneo e proteggere anche la nostra salute, serve l’aiuto di tutti, subito.
Corretta informazione e buone pratiche
Il primo passo è quello di ridurre il numero di rifiuti a monte, diminuendo l’acquisto di prodotti imballati nella plastica e differenziando in modo corretto i rifiuti. Anche se a oltre metà degli italiani sta davvero molto caro il tema dell’acqua, nel nostro Paese, ci sono abitudini davvero molto dure a morire: lo hanno dimostrato i dati dell’ultimo Osservatorio sullo stile di vita sostenibilerealizzato da LifeGate in collaborazione con Eumetra MR, secondo cui il 67 per cento dei connazionali non rinuncia a mettere in tavola la classica bottiglia di plastica perché la ritiene un materiale “sicuro”, anche se destinato a diventare rifiuto immediatamente dopo l’uso.

Il 67 per cento degli italiani non rinuncia all’acqua nelle bottiglie di plastica, considerandole “sicure”, nonostante siano realizzate e progettate per diventare rifiuto immediatamente dopo l’uso.
Con il progetto PlasticLess, LifeGate si propone di continuare a informare correttamente la propria community sui rischi della plastica in mare e a diffondere consapevolezza sul tema, promuovendo anche buone pratiche quotidiane, come quella di evitare i prodotti usa e getta in plastica, preferire imballaggi durevoli e riciclabili al 100%, come il vetro, incentivare abitudini d’acquisto “green” come il baratto o il mercato dell’usato e ancora il riuso creativo degli oggetti in plastica.
LifeGate PlasticLess e Seabin: azioni concrete per combattere l’inquinamento
Se sensibilizzare la community è il primo passo per avere cittadini consapevoli, per ripulire i nostri mari dalla plastica servono anche azioni concrete immediate ed efficienti. I sistemi attuali di rimozione dei rifiuti dalle coste o dalla superficie dell’acqua, come le cosiddette trash boat, imbarcazioni che navigano intorno ai porti raccogliendo la spazzatura galleggiante tramite reti integrate alle imbarcazioni, o la raccolta manuale, realizzata da addetti nei porti e nelle marine che raccolgono con delle reti la spazzatura che si accumula negli angoli del porto, si rivelano troppo spesso inefficaci, oltre a non agire sul problema delle microplastiche, sempre più diffuse e dannose. Per questo LifeGate PlasticLess ha deciso di utilizzare una tecnologia nuova ed efficiente come quella di Seabin per ripulire i mari dalla plastica.
Grazie a Volvo Car Italia, main partner dell’iniziativa, a settembre saranno posizionati tre dispositivi nei porti di Marina di Cattolica (RN), Marina di Varazze (SV) e Venezia Certosa Marina (VE).
I Seabin sono “cestini della spazzatura” posizionati direttamente in mare, all’interno dei porti e delle marine (che sono, per definizione, punti di “accumulo” dei rifiuti). Grazie all’azione della pompa ad acqua, “catturano” i rifiuti per 24 ore al giorno, sono in grado di attrarre circa 1,5 kg di detriti al giorno e di contenerne fino a 20 kg, per un totale di 500 kg di spazzatura all’anno, comprese le microplastiche da 5 a 2 mm di diametro e le microfibre a partire da 0,3 mm. Grazie all’azione spontanea del vento, delle correnti e alla posizione strategica del Seabin, i detriti vengono convogliati direttamente all’interno del dispositivo. La pompa ad acqua, collegata alla base dell’unità, è capace di trattare e filtrare 25.000 litri di acqua marina all’ora.
Una volta raccolta, la plastica “catturata” dai Seabin potrà essere non solo correttamente riciclata, ma anche riutilizzata nella percentuale utile a scopi industriali e debitamente integrata con altra plastica riciclata proveniente anche dagli oceani, per produrre nuovi oggetti, come teli mare o felpe, rientrando così nel ciclo produttivo.
Più Seabin riusciremo a posizionare lungo le coste italiane grazie al progetto PlasticLess, con l’aiuto di una rete di persone e aziende attente ai nostri mari, maggiore sarà il contributo per mantenere il Mare Nostrum il più possibile pulito e sano. Anche un solo cestino può fare la differenza: tante “gocce” di consapevolezza possono fare un oceano… senza plastica!
fonte: www.lifegate.it
Friuli Venezia Giulia: aiuti economici ai privati per rimuovere e smaltire l'amianto
Costi alti per la rimozione e smaltimento dell'amianto in edifici ad uso residenziale e pochi aiuti da parte delle Amministrazioni Locali, in controtendenza il Friuli Venezia Giulia
fonte: http://www.arpat.toscana.it
L'amianto è presente ovunque
in edifici pubblici e privati, rimuoverlo e smaltirlo può avere un
costo economico anche elevato, infatti, la rimozione deve essere
realizzata da ditte specializzate e con personale formato, in più,
trattandosi di un rifiuto speciale, l'amianto ha costi alti anche nella fase di smaltimento.
I costi previsti per la rimozione e lo smaltimento di questo materiale possono creare difficoltà economiche al singolo, che, spesso, decide di non farne di nulla e lascia il manufatto senza alcuna manutenzione con un peggioramento costante del suo stato di conservazione; purtroppo, non senza conseguenze, come ormai sappiamo, i manufatti in amianto, in stato di obsolescenza, possono creare effetti nocivi sulla salute.
Lodevole, quindi, quanto fatto dalla Regione Friuli Venezia Giulia, che ha deciso di sostenere economicamente tutti i cittadini che intendono rimuovere e smaltire amianto presente negli edifici ad uso residenziale.
La giunta regionale, infatti, ha approvato il regolamento per la concessione di contribuiti per chi intende rimuovere o smaltire amianto da edifici privati adibiti ad uso residenziale.
L'importo non potrà superare 1 500 euro per ogni edificio o nel caso di condominio, per ciascuna unità abitativa.
I contributi previsti dal regolamento potranno essere ottenuti per gli interventi di rimozione e smaltimento dell'amianto da edifici, posti sul territorio regionale del Friuli Venezia Giulia, ad uso residenziale. Il richiedente deve essere il proprietario, comproprietario, locatario, comodatario, usufruttuario o titolare di altro diritto reale di godimento sull'immobile oggetto della bonifica.
Le domande per ottenere il beneficio economico dovranno essere corredate:
I costi previsti per la rimozione e lo smaltimento di questo materiale possono creare difficoltà economiche al singolo, che, spesso, decide di non farne di nulla e lascia il manufatto senza alcuna manutenzione con un peggioramento costante del suo stato di conservazione; purtroppo, non senza conseguenze, come ormai sappiamo, i manufatti in amianto, in stato di obsolescenza, possono creare effetti nocivi sulla salute.
Lodevole, quindi, quanto fatto dalla Regione Friuli Venezia Giulia, che ha deciso di sostenere economicamente tutti i cittadini che intendono rimuovere e smaltire amianto presente negli edifici ad uso residenziale.
La giunta regionale, infatti, ha approvato il regolamento per la concessione di contribuiti per chi intende rimuovere o smaltire amianto da edifici privati adibiti ad uso residenziale.
L'importo non potrà superare 1 500 euro per ogni edificio o nel caso di condominio, per ciascuna unità abitativa.
I contributi previsti dal regolamento potranno essere ottenuti per gli interventi di rimozione e smaltimento dell'amianto da edifici, posti sul territorio regionale del Friuli Venezia Giulia, ad uso residenziale. Il richiedente deve essere il proprietario, comproprietario, locatario, comodatario, usufruttuario o titolare di altro diritto reale di godimento sull'immobile oggetto della bonifica.
Le domande per ottenere il beneficio economico dovranno essere corredate:
- del preventivo dettagliato di spesa, relativo alle spese ammissibili
- della dichiarazione del comproprietario dell'immobile che autorizza la realizzazione dell'intervento, o del verbale dell'assemblea condominiale che autorizza l'intervento
- di due fotografie dell'immobile
- di copia del documento di identità del sottoscrittore della domanda.
fonte: http://www.arpat.toscana.it
La rimozione dei rifiuti, moderna psicosi contro ambiente e salute
Lampante il caso amianto: a 25 anni dal bando semina ancora malattie e paure, ma le bonifiche latitano e i materiali rimossi non hanno impianti dove essere smaltiti
Rimozione. Solo la psicanalisi può aiutarci a capire come mai l’essere umano tenti in ogni modo di “allontanare dalla propria coscienza ciò che non tollera perché provoca vergogna”. E in questo caso parliamo di rifiuti. La rimozione dei rifiuti.
L’esempio più lampante che torna in questi ultimi giorni, per avere un aggancio con la cronaca, è l’amianto. Una parola che da tempo fa paura solo a pronunciarla. Amianto che fa rima con morte per mesiotelioma. E che nella nostra provincia – anche l’Osservatorio naizonale amianto (Ona) ce lo ricorda continuamente – ha già mietuto tante troppe vittime e altre ne mieterà.
Soluzione finora cercata? Rimozione fisica di tutto l’amianto presente (tonnellate e tonnellate, e ce ne saranno ancora per anni) e risarcimento per le vittime e i loro parenti. Ma ecco l’altra “rimozione”: dove si mette l’amianto raccolto? La normativa indica che deve essere smaltito in sicurezza, in discariche ad hoc o almeno in moduli appositamente dedicate all’interno delle discariche esistenti.
Pacifico che più è vicina la discarica rispetto a dove l’amianto viene bonificato, minori saranno i costi e più brevi – e quindi più sostenibili e maggiormente rintracciabili – i viaggi dei camion che lo trasporteranno.
Tutto bene? No, tutto male. Perché se si rimuove a livello di coscienza questa parte per paura (della cittadinanza), per codardia (delle istituzioni) o per qualunque altra ragione, che ragione non è, la soluzione al problema amianto non la troveremo mai e le vittime non avranno giustizia.
Perché la discarica con modulo dedicato all’amianto che, una volta sotterrato torna a fare il minerale come spiegano gli esperti, non la vuole nessuno. Si preferisce spedire tutto in Germania a costi folli (almeno finché in Germania troveranno conveniente lo scambio) girando le spalle al problema e quindi “rimuoverlo”, piuttosto che prendersi l’onere di una gestione corretta fatta in casa nel rispetto della legge.
Fare una bonifica e non occuparsi di dove smaltire ciò che viene rimosso, rende invece in parte vana la bonifica stessa. Spostare in Germania (se va bene, perché molte volte l’amianto finisce direttamente nei nostri boschi e nelle nostre colline, quando non prende la via dei paesi poveri alimentando traffici illegali) vuol dire solo spostare “altrove” lo stesso problema.
La cosa peraltro vale esattamente allo stesso modo per tutti i rifiuti, perché altra spiegazione non c’è di fronte a chi crede che una raccolta differenziata fatta ottimamente bene, ma dei soli imballaggi (che sono il 7% di tutti i rifiuti, urbani e speciali) e per di più “dimenticando” che anche dal riciclo si ottengono nuovi rifiuti come scarti di processo, possa tout court palesarsi come la migliore corretta gestione del ciclo dei rifiuti. La battaglia quindi rimane innanzitutto culturale, ma su questo fronte purtroppo i progressi latitano da anni.
fonte: www.greenreport.it
Biomassa agricola, se non ben immagazzinata diventa rifiuto
Gli scarti vegetali utilizzati per produrre energia
rinnovabile non rientrano nella disciplina dei rifiuti solo se ben
stoccati e non dispersi nell'ambiente. In caso contrario, risultano
materiale abbandonato e quindi classificabile come rifiuto.
Questo quanto stabilito dai Giudici nella sentenza Tar Toscana 1611/2016
che ha esaminato il caso di un deposito di residui di materiale
insilato, presso un impianto di produzione di energia elettrica da
biogas.
In seguito ai rilievi effettuati dall'Arpa presso l'impianto, è stato "riscontrato l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti costituiti da residui di materiale insilato non avente più le caratteristiche di quello destinato ad alimentare l'impianto aziendale". Il Sindaco del Comune nel quale è ubicato l'impianto ha, perciò, emanato un'ordinanza per la rimozione dei rifiuti.
In seguito ai rilievi effettuati dall'Arpa presso l'impianto, è stato "riscontrato l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti costituiti da residui di materiale insilato non avente più le caratteristiche di quello destinato ad alimentare l'impianto aziendale". Il Sindaco del Comune nel quale è ubicato l'impianto ha, perciò, emanato un'ordinanza per la rimozione dei rifiuti.
L'azienda propietaria
dell'impianto ha contestato che il materiale riscontrato dall'Arpa e
dalla Polizia Municipale possa essere qualificato come rifiuto, perchè
si tratta di una modica quantità di biomassa costituita da prodotti
vegetali non trattati chimicamente, non pericolosa per l'ambiente e
accidentalmente caduta al suolo durante le operazioni di stoccaggio.
I Giudici hanno respinto il ricorso dell'azienda,
in quanto i rivieli effettuati dall'Arpa mostrano chiaramente che "il
materiale risulta abbandonato sul terreno, e ciò evidenzia l'intenzione
della ricorrente di disfarsene. Correttamente, quindi, il Sindaco, ...
ha impartito l'ordine di rimuoverlo".
I materiali agricoli utilizzati per produrre energia sono esclusi dalla disciplina sui rifiuti (articolo 185, comma 1, lett. f) del Dlgs 152/2006) solo fintantoché vengono utilizzati per produrre energia e non quando siano stati abbandonati, come accaduto nel caso esaminato. Caso che ha procurato anche un evidente danno ambientale, derivante
dal percolato rilasciato dai residui vegetali abbandonati e dal
relativo ruscellamento nei corsi d'acqua limitrofi all'azienda
ricorrente.
Inoltre, i materiali rinvenuti non possono essere nemmeno considerati come funzionali a fertilizzare il terreno
- come dicharato dall'azienda - perchè esso è stato compattato con
l'apporto di materiali sabbiosi e detriti rocciosi, trasformandolo in
piazzali per ospitare i silos di stoccaggio. E ciò fa venir meno la sua
natura agricola.
fonte: www.nextville.it
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