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La bulimia normativa non frena l’ecomafia. Legambiente: +23,1% reati nell’ultimo anno

Sempre più urgente un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre che delle pene














Dopo un piccolo e inconsueto calo registrato nel 2018, continua la corsa dei reati contro l’ambiente censiti nel rapporto legambientino Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia (in libreria con Edizioni Ambiente). Nel 2019 sono 34.648 quelli messi in evidenza dall’associazione ambientalista, con un incremento del +23.1% rispetto all’anno precedente.

In particolare preoccupa il boom degli illeciti nel ciclo del cemento, al primo posto della graduatoria per tipologia di attività ecocriminali, con ben 11.484 (+74,6% rispetto al 2018), che superano nel 2019 quelli contestati nel ciclo di rifiuti che ammontano a 9.527 (+10,9% rispetto al 2018). Da segnalare anche l’impennata dei reati contro la fauna, 8.088, (+10,9% rispetto al 2018) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018). La Campania è, come sempre, in testa alle classifiche, seguita nel 2019 da Puglia, Sicilia e Calabria, anche se la Lombardia da sola – con 88 ordinanze di custodia cautelare – colleziona più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme, che si fermano a 86. Da capogiro il business potenziale complessivo dell’ecomafia, stimato da Legambiente in 19,9 miliardi di euro per il solo 2019.

«Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, è fondamentale completare il quadro normativo».

Questo per Legambiente significa partire dall’approvazione dei seguenti provvedimenti legislativi: il ddl Terra Mia, che introduce nuove e più adeguate sanzioni in materia di gestione illecita dei rifiuti; i regolamenti di attuazione della legge 132/2016 sul Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente; il disegno di legge contro le agromafie, licenziato dal governo nel febbraio di quest’anno e ancora fermo alla Camera; il disegno di legge contro chi saccheggia il patrimonio culturale, archeologico e artistico del nostro paese, approvato dalla Camera nell’ottobre del 2018 e ancora fermo al Senato, l’approvazione dei delitti contro la fauna per fermare bracconieri e trafficanti di animali, promessa che si rinnova da oltre venti anni ed ancora in attesa che Governo e Parlamento legiferino.

L’esperienza empirica mostra però che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia, limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.

Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.

Basti guardare al trend degli ecoreati messo in fila proprio da Legambiente: gli illeciti ambientali documentati nel 2015 erano 27.745, poi nonostante l’approvazione in corso d’anno della legge 68 sugli ecoreati sono continuati a crescere di anno in anno fino ai 34.648 messi in fila oggi. Ma quella della legge 68 è solo una pietra di paragone tra le tante. Come documenta il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure, già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).

Nel 2019 la legge sugli ecoreati ha portato all’avvio di 3.753 procedimenti penali (quelli archiviati sono stati 623), con 10.419 persone denunciate e 3.165 ordinanze di custodia cautelare emesse, ma i problemi restano. Lapalissiano il caso dei rifiuti.

«Anche nel 2019 – snocciola Legambiente – il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale. Sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili per 27 inchieste), pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna».

Come affrontare davvero il fenomeno, dato che mentre si affastellano nuove leggi gli ecoreati veri o ancora da dimostrare continuano a crescere? Un’indicazione chiara la dà la Direzione investigativa antimafia (Dia): «La cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali». Più in particolare «la perdurante emergenza che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti vede tra le sue cause certamente l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbe consentire l’autosufficienza a livello regionale». Con la Dia che reputa «significativa, ad esempio, la mancata realizzazione di termovalorizzatori». Meno leggi ma più chiare dunque, e più impianti, potrebbe essere una via da tentare per ripulire l’economia circolare dalle mele marce e dare gambe all’imprenditoria onesta.

Più chiara invece la situazione per quanto riguarda un altro grande male del Paese. Come documenta ancora Legambiente, oltre ai reati legati al ciclo del cemento, resta diffusa la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni (ampliamenti compresi): si tratta di qualcosa come il 17,7% sul totale delle nuove costruzioni e degli ampliamenti significativi.

«La causa di questa persistenza dell’abusivismo edilizio in Italia – spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – è duplice: le mancate demolizioni da parte dei Comuni e i continui tentativi di riproporre condoni edilizi da parte di Regioni, ultima in ordine di tempo la Sicilia, leader e forze politiche. Per questo diventa indispensabile, oggi più che mai, lanciare una grande stagione di lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo in particolare un adeguato supporto alle Prefetture nelle attività di demolizione, in caso di inerzia dei Comuni, previste dalla legge 120/2020; la chiusura delle pratiche di condono ancora giacenti presso i Comuni; l’emersione degli immobili non accatastati, censiti dall’Agenzia delle entrate, per avviare la verifica della loro regolarità edilizia e sottoporre quelli abusivi all’iter di demolizione».

fonte: www.greenreport.it


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Mafia & rifiuti

Il focus della relazione semestrale gennaio-giugno 2019 della Direzione Investigativa Antimafia nazionale

























E’ stata da poco pubblicata la consueta relazione semestrale relativa alla prima parte del 2019, della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) nazionale.
Nell’articolato documento prodotto dalla DIA è contenuto un interessantissimo focus sul tema “mafia e rifiuti”. Nel focus si evidenzia come già da alcuni decenni le organizzazioni criminali hanno compreso la reale portata del business derivante dalla loro infiltrazione nel ciclo dei rifiuti a fronte di un ampio margine di impunità rispetto ad altri settori criminali.
Questa consapevolezza è sinteticamente espressa nella frase “Trasi munnizza e n’iesci oro” tratta da una intercettazione telefonica di tre decenni fa. Il senso di quella frase – declinata, nel tempo, non solo in siciliano e in altri dialetti, dal nord al sud del Paese, ma anche in perfetto italiano e in diverse lingue straniere – viene ancora oggi rinvenuto, nelle attività tecniche quotidianamente svolte in tema di criminalità ambientale.

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estratto del focus “Mafia & rifiuti” dalla Relazione della DIA
Il Focus si pone l’obiettivo di analizzare l’intera filiera di gestione dei rifiuti, mettendola in relazione (grazie a dati di fatto emersi in indagini ed operazioni di servizio) con l’infiltrazione della criminalità organizzata, per cercare di individuare gli snodi più a rischio, affinché le Autorità preposte possano eventualmente intervenire sul ciclo dei rifiuti. Il rapporto sottolinea come oggi si registra, nel profilo criminale, un modus operandi quasi sempre sovrapponibile, indipendentemente dal contesto territoriale in cui si opera, caratterizzato da una tale specializzazione da consentire, in caso di necessità, l’immediata rimodulazione delle condotte e delle rotte dei rifiuti.
La lunghissima filiera dei rifiuti (produzione – assegnazione dei servizi – raccolta – trasporto – trattamento – smaltimento) vede la contestuale presenza di diversi “attori” – gli enti pubblici che assegnano i servizi di raccolta, i produttori dei rifiuti, gli intermediari, i trasportatori, gli impianti di stoccaggio e di trattamento dei rifiuti, i laboratori di analisi e gli smaltitori.
Un ruolo fondamentale viene svolto dalla figura del produttore del rifiuto, cioè l’imprenditore che ha la necessità di disfarsi dei quantitativi prodotti dalla propria azienda. Non di rado la scelta d’impresa, tesa ad economizzare sui costi e ad imporsi sul mercato, coincide con la volontà di liberarsi illegalmente dei rifiuti per abbattere i costi di produzione e acquisire, così, una posizione di vantaggio rispetto ad altre aziende che, con trasparenza ed onestà, affrontano tutti gli oneri previsti dalle disposizioni di legge. Ma tutti gli altri attori coinvolti nel ciclo dei rifiuti presentano criticità analizzate in dettaglio dal rapporto.
Il focus approfondisce nella prima parte gli aspetti criminogeni della complessa filiera dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi – compresi i recenti casi che hanno visto, a macchia di leopardo sul territorio nazionale, numerosi incendi presso aree periferiche e capannoni – tenendo presenti le criticità registrate, negli ultimi decenni, in primo luogo in Campania, punto nodale delle problematiche connesse ai reati ambientali.
Successivamente l’analisi si estende alle altre regioni, a cominciare da quelle a tradizionale presenza mafiosa, basandosi sulle inchieste concluse, nel tempo, dalla DIA e dalle Forze di polizia, sui provvedimenti di scioglimento degli enti locali e sulle interdittive antimafia, che danno conto della complessa azione di contrasto, nel
profilo preventivo e repressivo, sviluppata in tale settore negli ultimi anni.
Già nel dicembre 1994, Legambiente e l’Arma dei carabinieri, con l’Istituto di ricerca “Eurispes”, presentarono il primo Rapporto sulla criminalità ambientale in Italia. In quell’occasione, venne coniato il termine “ecomafia” che entrò cinque anni più tardi nei dizionari della lingua italiana.
La DIA osserva che “il crimine ambientale è un fenomeno in preoccupante estensione proprio perché coinvolge, trasversalmente, interessi diversificati. Il prodotto di tali comportamenti illeciti interferisce sull’ambiente e sull’integrità fisica e psichica delle persone, ledendone la qualità della vita, con conseguenti rilevanti costi sociali.”
Già da quella ricerca emergeva uno scenario preoccupante sull’illegalità ambientale nel nostro Paese e sul ruolo che giocava in questo settore la criminalità organizzata
di tipo mafioso, soprattutto nel meridione d’Italia. Era un quadro che raccontava di rifiuti speciali pericolosi che, dal nord, finivano smaltiti illegalmente nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), in quei territori cioè dove maggiore era il controllo da parte delle organizzazioni criminali.
fonte: https://www.snpambiente.it