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La guerra del combustibile dai rifiuti. I comitati del no scrivono anche al Papa

Dopo la sentenza del Tar che ha riconfermato la validità del decreto del 2013 si organizzano le associazioni contrarie all’uso del Combustibile solido secondario


Dopo la sentenza del Tar Lazio, 60 comitati di tutt’Italia contrari all’uso del combustibile solido secondario si organizzano e scrivono lettere aperte al ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e otto di questi comitati si sono rivolti perfino al Papa Francesco. Chiedono che venga annullato il decreto che nel 2013 ne aveva definito le modalità d’uso.

Il decreto del 2013
Nel 2013 il ministro dell’Ambiente (era Corrado Clini) emanò un decreto applicativo per determinare gli standard di produzione e utilizzo del combustibile solido secondario (Css) in linea con il resto d’Europa. Il Css deve essere ottenuto da rifiuti selezionati, come carta e plastica, privi di componenti pericolose, e può essere utilizzato in sostituzione di combustibili più inquinanti come carbone o pet coke da petrolio in impianti come cementifici e centrali elettriche, a patto che le emissioni non siano quelle permissive consentite ai combustibili fossili negli impianti industriali bensì quelle molto rigorose imposte alla combustione di rifiuti.

La sentenza del Tar
Circa 180 cittadini della val d’Arda (Piacenza) insieme con alcune associazioni avevano fatto ricorso al Tar contro la Regione Emilia-Romagna per l’autorizzazione concessa in base al decreto al cementificio Buzzi Unicem di Vernasca. Il Tar ha invece dato ragione al cementificio e alla Regione, bocciando in modo netto la posizione dei comitati piacentini, per esempio rigettando la definizione estensiva di principio di precauzione. Secondo i giudici amministrativi, l’impatto sulla salute umana è documentato dagli atti e “non è contraddetto con argomenti specifici di segno contrario”. Le contestazioni sull’aumento del traffico di camion per alimentare il forno di cementeria riguarderebbero “6/8 mezzi al giorno nell’ipotesi estrema, ritenendola pienamente sostenibile dal punto di vista dell’ambientale e della salute”. Secondo i giudici l’accusa che il combustibile solido secondario avrebbe prodotto emissioni peggiori rispetto al pet coke è stata smentita dall’andamento delle emissioni: le “conseguenti variazioni negative”, dicono i magistrati, “sono smentiti dal rilievo effettuato a processo avviato”.

La lettera aperta di 60 comitati
Per questo motivo, 60 comitati hanno mandato una lettera aperta al ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, e per conoscenza a quello della Salute, Roberto Speranza.
I comitati sottoscrittori sono di ogni tipo e tra i promotori vi sono gli attivissimi comitati di Gubbio, quelli di Monselice e ovviamente quelli di Piacenza, ma la lettera è stata sottoscritta anche da altre associazioni. Qualche nome: Acqua Bene Comune di Pistoia, Antipuzza di Assisi, Basta Nocività in Val d’Arda, Coppula Tisa, Giustizia per Taranto, Gubbio Salute Ambiente, Isde, Lasciateci Respirare, Legamjonici, Legge Rifiuti Zero, Mamme contro l’Inceneritore, Mamme Libere per la Tutela dei Figli, Mamme No Pfas, Medicina Democratica, Movimento Sconforto Generale, No Antenna, Obiettivo Periferia, Rete Mamme da Nord a Sud, Salute Pubblica, Stop Solvay, Stop Veleni, Umbria Rifiuti Zero, Wwf Perugia, Wwf Salento, Zero Waste Lazio.

Che cosa dicono
Nella lunga e dettagliata lettera, 16 pagine di cui la metà di testo e la metà di firme, si chiede di abrogare il decreto del ministero dell'Ambiente n° 22 del 14 febbraio 2013 e di scongiurare l’approvazione di qualunque altro provvedimento per l’incenerimento e il coincenerimento di rifiuti e loro derivati.
A parere dei comitati, “la combustione di Css nei cementifici non è affatto un contributo alla gestione dei rifiuti e non può configurarsi come la “chiusura del ciclo”. Essa non rappresenta neanche una soluzione migliorativa riguardo all'inquinamento da CO2 prodotto dagli impianti di produzione del cemento, alimentati purtroppo con combustibili derivati per lo più dagli scarti del petrolio, perché più economici rispetto ad altri. Sostituire con i CSS una quota di pet-coke, il peggiore tra i combustibili fossili (a sua volta, in ultima analisi, un “rifiuto”), anche se il più utilizzato nei cementifici, potrebbe ridurre alcuni inquinanti gassosi, come gli ossidi di azoto, ma questa riduzione non è affatto significativa”.
Oltre alle emissioni, andrebbe considerato l’inglobamento delle ceneri prodotte dalla combustione dei rifiuti nel prodotto finale, “vale a dire quel cemento che ritroviamo poi nelle nostre case, scuole, ospedali e strade”.

Chi usa questo combustibile
Sono più di 20 le cementerie italiane autorizzate a sostituire il pet coke con Css e, secondo l’industria del cemento, il nostro Paese è arretrato rispetto agli altri dell’Unione europea: il tasso di sostituzione calorica con combustibili di recupero è oggi al 20,7%, mentre in Germania i combustibili derivati dai rifiuti rappresentano due terzi dei consumi. È un contributo a ridurre la pressione dei rifiuti nelle discariche. Secondo Federbeton, usare questi combustibili alternativo “nel solco dell’economia circolare e dell’impegno alla mitigazione dei cambiamenti climatici” è necessario “un intervento da parte della politica a favore del superamento della sindrome Nimby (acronimo di Not in my back yard), così come la semplificazione dei processi autorizzativi, di durata incerta, che scoraggiano le aziende dal porre in essere investimenti, anche economicamente onerosi, senza alcuna ragionevole certezza sugli esiti dei procedimenti”.

fonte: www.e-gazette.it

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WWF inflessibile alle provocazioni dei cementieri




In riferimento all'articolo pubblicato nella giornata del 13 agosto, sugli assunti accordi tra WWF International ed il gruppo Lafarge, intendiamo innanzitutto ribadire e confermare che il WWF non condivide, anzi contesta l'attività di incenerimento del CCS nei cementifici. Quanto al citato accordo tra WWF International e Lafarge, ormai molto datato, aveva lo scopo di fissare obiettivi climatici stringenti in paesi emergenti quali Cina, India e Brasile. Il WWF ITALIA nulla ha a che vedere con il cementificio di Ternate e con l'uso che ivi si farebbe di rifiuti. 



Non possiamo che stigmatizzare la strumentalità' delle illazioni, poiché quegli obiettivi erano propri di quegli anni ed in paesi privi di efficaci norme disciplinanti la tutela dell' ambiente. L' Italia, ancor di piu' dal punto di vista ambientale, quale stato membro dell'UE, nel 2020 non può essere considerata un paese emergente. La legislazione italiana, come più' volte detto, non ha al momento recepito pienamente le direttive europee che Stato e Regioni devono far proprie. Secondo la direttiva CE 2018/851, modificativa della CE 2008/98, gli "ex rifiuti" (sempre rifiuti nella sostanza) divenuti combustibili (CSS) non sono compatibili ai fini del conseguimento degli obiettivi di riciclaggio. Nello specifico, la possibilità di chiudere il ciclo dei rifiuti umbro, ricorrendo all' incenerimento appare non solo superata, ma lontana dalle logiche dell'economia circolare che l'europa fa proprie e assolutamente in contrasto con il principio di precauzione.


La soluzione migliore è prevenire la produzione di rifiuti e valorizzare i rifiuti prodotti mediante riuso e riciclo. L’incenerimento costituisce sempre e soltanto smaltimento, che provoca soltanto danni all'ambiente e alla salute dei cittadini, in particolare, dei più deboli, bambini e anziani, senza risolvere problema alcuno, né tale pratica, prettamente industriale, è in linea con la normativa quadro 2030 per il clima e l'energia, peggiorando la qualità delle emissioni in atmosfera.

Il WWF collabora e dialoga con tutte le aziende che perseguono il miglioramento dei loro standards ambientali indicando la strada della sostenibilità con studi e percorsi specifici e concreti. Non è un caso se il gruppo Lafarge ha inteso ascoltare i consigli del WWF per centrare obiettivi climatici stringenti nei paesi indicati. Scarsa lungimiranza continuano a dimostrare i cementieri eugubini ed italiani. Tanto abbiamo ritenuto di dire riaffermando la più assoluta indipendenza del WWF.


WWF PERUGIA

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Covid-19 e ciclo dei rifiuti: crisi, ecomafie e rischio ambientale


















Covid-19 e ciclo dei rifiuti: gli impianti hanno retto, anche perché la mole di rifiuti è tornata a cifre di vent’anni fa. Ma le deroghe alla normativa applicate in emergenza, unite a una crisi che deve ancora manifestarsi in tutta la sua portata, espongono le imprese alla lunga mano delle ecomafie e l’impatto dei rifiuti speciali sull’ambiente rischia di essere pesante.

È quanto emerge dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) sul tema “Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti”.

Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa annuncia un tavolo di lavoro con Ispra, Istituto superiore di Sanità e operatori del settore rifiuti, esprime apprezzamento per l’emendamento 229-bis del decreto rilancio sui Criteri ambientali minimi di mascherine, dispositivi di protezione individuale e medici, e annuncia l’inizio dell’iter parlamentare sul prossimo decreto “Terra mia”.

“Le prime bozze del Decreto Semplificazioni in discussione sembrano apportare, al contrario, alcune complicazioni nelle materie di Valutazione impatto ambientale (VIA) e bonifiche” lancia l’allarme Alessandro Bratti, direttore generale di Ispra.
La relazione della Commissione Ecomafie su Covid-19 e ciclo dei rifiuti

La relazione – illustrata dal presidente Stefano Vignaroli, dal senatore Massimo Berutti e dall’onorevole Giovanni Vianello e approvata all’unanimità – ha avuto per oggetto il ciclo dei rifiuti nel periodo dell’emergenza. Non solo dal punto di vista dell’operatività, ma anche rispetto ai provvedimenti normativi statali e regionali messi in atto durante l’emergenza stessa. Il documento è stato presentato in conferenza stampa e analizzato in un incontro in diretta streaming con i vertici Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) disponibile su webtv.camera.it.

“Il sistema impiantistico italiano ha tenuto e non si sono registrati picchi di contagio tra gli operatori della raccolta, né interruzioni del servizio – da dichiarato il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli – In questi mesi si è assistito anche a un aumento di particolari rifiuti come guanti, mascherine, stoviglie e imballaggi monouso. Adesso che la fase più acuta dell’emergenza è alle spalle, è necessario usare in maniera più razionale questi prodotti, puntando sulla sensibilizzazione di cittadini e imprese. Nella vita quotidiana, infatti, l’uso dei guanti non garantisce maggiore sicurezza e le mascherine di comunità riutilizzabili consentono una protezione adeguata. Nei locali pubblici, le stoviglie usa e getta non garantiscono più sicurezza e sono quindi da evitare in favore di quelle riutilizzabili. Sul fronte dell’illegalità ambientale, sono preoccupato per le molte aziende in situazione di difficoltà e per questo più permeabili a interessi illeciti. Proprio per non alimentare rischi di gestioni dei rifiuti illegali o irregolari, la Commissione raccomanda fortemente di superare i numerosi provvedimenti derogatori messi in campo a livello statale e regionale: c’è già un percorso avviato in questo senso a livello parlamentare. La Commissione continuerà a monitorare le criticità del settore dei rifiuti e i rischi di illegalità e di infiltrazioni illecite in aziende in difficoltà”.

“L’emergenza Covid rappresenta una sorta di lente di ingrandimento per dinamiche e aspetti presenti strutturalmente e dei quali sarà necessario tener conto in futuro – ha osservato il senatore Massimo Berutti – Quello che è emerso dall’inchiesta in termini di livelli e modalità di intervento di Stato e Regioni e di caratteristiche e carenze dell’impiantistica e delle strategie nazionali della gestione dei rifiuti non è qualcosa di nuovo. Alla luce di questa consapevolezza, sarà necessario tra l’altro considerare l’impatto economico dell’emergenza sulle tariffe e sugli introiti delle imprese e degli enti pubblici; affrontare il tema dell’end of waste in modo rapido e sistematico e intervenire in modo strutturale su impianti e strategia nazionale”.
Meno rifiuti urbani, più rifiuti speciali

Nella fase più intensa del contenimento, è crollata la produzione dei rifiuti speciali di origine industriale e sono aumentati rifiuti domestici e organico. Una variazione causata soprattutto dalla chiusura di commercio, turismo e terziario, che – in linea con le previsione sul crollo del Pil – potrebbe portare la quantità totale a fine pandemia ai livelli di venti anni fa e cioè a 28,7 milioni di tonnellate.

Al tempo stesso sono praticamente raddoppiati i rifiuti sanitari, anche se ancora non è possibile fare una valutazione corretta, i dati mostrano una capacità degli impianti pari a 340mila tonnellate, a fronte delle 144mila trattate nel 2018.

L’auspicio è che tali rifiuti si riducano prima di diventare un’emergenza, anche perché, suggerisce la Commissione, nella vita quotidiana “l’uso dei guanti non garantisce maggiore sicurezza e le mascherine riutilizzabili consentono una protezione adeguata. Nei locali pubblici le stoviglie usa e getta non garantiscono più sicurezza e sono, quindi, da evitare in favore di quelle riutilizzabili”.
Normativa e illegalità

La relazione ha analizzato il contesto normativo di gestione dell’emergenza, i suoi effetti immediati e conseguenze future. A livello statale sono state messe in atto norme derogatorie di portata generale, in particolare sul regime dei rifiuti sanitari. Ma gli interventi effettivi sul ciclo dei rifiuti sono, in buona parte, derivati da ordinanze delle singole Regioni, a loro volta in deroga rispetto alle regole generali, sulla base di una circolare del ministero dell’Ambiente che ha suggerito alle Regioni stesse l’uso di tali strumenti di deroga. “Il risultato – spiega la relazione – è una normativa non più uniforme su tutto il territorio nazionale che ha suscitato perplessità sin dalla fase iniziale e qualche incertezza negli operatori”.

Come approfondito da Il Fatto Quotidiano, Vignaroli non nasconde la sua preoccupazione, sul fronte dell’illegalità ambientale “per le molte aziende in situazione di difficoltà e per questo più permeabili a interessi illeciti”. Proprio per non alimentare rischi di gestioni dei rifiuti illegali o irregolari, la Commissione raccomanda fortemente di superare i provvedimenti derogatori messi in campo a livello statale e regionale.
L’impatto sull’ambiente

Infine sono state prese in esame questioni correlate ma altrettanto fondamentali: l’impatto ambientale di forme di sanificazione diffusa, il trattamento delle acque reflue e le correlazioni con l’epidemia COVID-19, il possibile rapporto tra inquinamento atmosferico e contagio.

In tal senso la relazione si conclude con una serie di raccomandazioni alle istituzioni per una ripresa rispettosa degli obiettivi di economia circolare e recupero della materia, di efficientamento del sistema dei controlli ambientali e di contrasto all’illegalità.
Tavolo di lavoro, Cam mascherine e decreto Terra mia

Oltre che ai presidenti dei due rami del Parlamento, e, come da prassi, a tutti gli interlocutori dell’inchiesta, la Commissione ha inviato la relazione anche ai presidenti delle Regioni, per il ruolo che le Regioni hanno avuto nell’emergenza e che dovrà essere costruito per il futuro.

“Questo è il momento di strutturare il ciclo dei rifiuti per fare in modo che una situazione emergenziale non rimanga tale anche in futuro – ha annunciato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa in una nota di commento alla presentazione della relazione della Commissione – Per questo abbiamo aperto presso il ministero un tavolo sull’analisi del flusso dei rifiuti con Ispra, Iss e operatori del settore per comprendere come il sistema abbia tenuto prima durante la fase emergenziale e come si sta orientando adesso”.

Il ministro ha poi dichiarato di aver apprezzato molto l’emendamento 229-bis del decreto rilancio che spinge anche il Ministero ad andare verso i Cam (Criteri ambientali minimi) delle mascherine e dei dispositivi di protezione individuale e dei dispositivi medici.

“Il decreto Terra Mia – ha concluso il ministro – che è praticamente pronto ed è in diramazione ai ministeri competenti, secondo me è un luogo dove aprire un dibattito parlamentare e raccogliere la massima disponibilità di tutti i gruppi parlamentari indipendentemente dalle appartenenze politiche”.

Un richiesta di attenzione particolare al Decreto Semplificazioni in corso di discussione arriva infine da Alessandro Bratti, direttore generale di Ispra: “In materia di Valutazione impatto ambientale (VIA) e bonifiche, eccessive semplificazioni rischiano di portare enti come il nostro a giocare troppi ruoli nel processo, quando invece va mantenuta salva l’integrità di alcuni passaggi tecnici indispensabili al corretto funzionamento di processi complessi”.

fonte: http://www.recoverweb.it


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Rifiuti: la differenziata cresce in Italia, ma i materiali riciclati chi li compra?

Quagliolo (Conai): la domanda di materiale riciclato arranca, va incentivata. Altrimenti il cerchio non si chiude




Non va a gonfie vele, ma l’avvio a riciclo dei rifiuti di imballaggi in Italia è in costante crescita e nel 2019 ha segnato un +3,1%. A preoccupare semmai è la domanda di prodotti riciclati, che è debole, e che – è la richiesta esplicita del presidente del Consorzio Conai Giorgio Quagliuolo – : «Va incentivata».

Il riciclo ha toccato quota 70% e va subito ricordato che si tratta di imballaggi, che pagano il Cac e sono oggetto di raccolta differenziata, e che rappresentano il 25% del totale dei rifiuti urbani ma solo l’8% dei rifiuti totali compresi gli speciali. In peso il 70% vuol dire: 9 milioni e 560mila tonnellate sui 13 milioni e 655mila immessi al consumo. Un incremento del 3,1%, come indicato dal Conai, rispetto ai quantitativi del 2018, che aveva visto l’avvio a riciclo di 9 milioni e 270mila tonnellate. La crescita è trainata essenzialmente da un aumento del 6,2% nel riciclo dei rifiuti provenienti dalla raccolta urbana. Ma come ha detto Quagliuolo, ora è tempo di incentivare anche la domanda di materiali riciclati, altrimenti il sistema andrà gioco forza in crisi. I metodi posso essere diversi, tramite ad esempio l’Iva più bassa su prodotti da riciclo, crediti d’imposta ad hoc (quelli varati finora però non sono divenuti operativi a causa di mancanza dei decreti attuativi) e soprattutto attraverso un’effettiva applicazione degli acquisti verdi gpp (vessata quaestio di cui greenreport scrive da anni).

Il dato più negativo, se si leggono con attenzione i dati forniti dal consorzio, è che i rifiuti di imballaggio conferiti al sistema dai Comuni italiani sono cresciuti del 14,3% a causa soprattutto “del crollo dei listini del macero a fine 2019”. Questo significa che “avviare la carta a riciclo non era più profittevole”. E così, ha spiegato sempre Quagliolo, «abbiamo aperto finestre che hanno consentito a molti Comuni l’ingresso in convenzione con Comieco, il nostro consorzio che si occupa degli imballaggi in carta e cartone. Conai si è quindi fatto carico dei maggiori oneri per l’avvio a riciclo di questo materiale in un momento in cui il suo valore di mercato era negativo, dimostrando ancora una volta il suo ruolo di sussidiarietà al mercato nel considerare l’interesse ambientale superiore a quello economico».

Il consorzio segnala anche che se alle cifre del riciclo si sommano quelle del recupero energetico, i numeri lievitano: le tonnellate di rifiuti di imballaggio recuperate superano gli 11 milioni, quasi l’81% dell’immesso al consumo. Più di quattro imballaggi su cinque, insomma, evitano di finire in discarica.

«Il sistema nel suo complesso ha già superato gli obiettivi di riciclo che l’Europa chiede entro il 2025», commenta sempre il presidente del Consorzio Giorgio Quagliuolo. «L’economia circolare in Italia funziona e si impone per l’efficacia del suo modello. Anche i risultati per i sei materiali di imballaggio che Conai gestisce sono molto positivi: per quasi tutti gli obiettivi al 2025 sono stati superati. Manca solo la plastica, che però resta indietro di pochi punti percentuali, serenamente recuperabili nel corso dei prossimi cinque anni. Per questo è importante continuare a lavorare sia sulla strada dello sviluppo di nuove tecnologie per il riciclo sia su quella della prevenzione, incentivando eco design e design for recycling». Ovvero, come scrivevamo ieri, i prodotti devono essere progettati in modo tale da poter essere facilmente riciclati (e dovrebbero anche durare segnatamente di più).

Ma veniamo ai numeri: lo scorso anno l’Italia ha avviato a riciclo 399mila tonnellate di acciaio, 51mila di alluminio, 3 milioni e 989mila di carta, 1 milione e 997mila di legno, 1 milione e 54mila di plastica e 2 milioni e 69mila di vetro. In Italia sono oltre 58 milioni gli abitanti serviti grazie all’Accordo con Anci per il ritiro dei rifiuti di imballaggio in modo differenziato. A stipulare convenzioni con il sistema consortile, lo scorso anno, è stato più del 92% dei Comuni italiani.

Ma quanto ci costa? Per coprire i maggiori oneri della raccolta differenziata – quindi i costi maggior che genera questo tipo di raccolta – nel corso del 2019 Conai ha trasferito ai Comuni del nostro paese 648 milioni di euro. «Stiamo parlando di una percentuale significativa della spesa sostenuta per la raccolta differenziata degli imballaggi che, rispetto al totale dei rifiuti urbani, rappresentano una percentuale che oscilla fra il 25% e il 28%», spiega il presidente Quagliuolo. «Si tratta di risorse provenienti dalle 800.000 aziende che, aderendo al Consorzio, si fanno carico della responsabilità di una corretta gestione degli imballaggi che immettono sul mercato, quando questi diventano rifiuti». Altri 421 milioni di euro sono stati invece destinati da Conai alla copertura dei costi per attività di trattamento, riciclo e recupero.

Il costo complessivo, però, ce lo dice oggi Cispel: i costi effettivi della raccolta differenziata ammontano a oltre 2 miliardi di euro l’anno. Come noto, anche secondo l’indagine condotta dall’AgCom nel 2016 “il finanziamento da parte dei produttori (attraverso il sistema Conai) dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”.

In ogni caso, lo scorso anno i quantitativi di rifiuti di imballaggio conferiti al sistema dai Comuni italiani sono cresciuti del 14,3%. «Un incremento notevole», commenta Quagliuolo. «Una delle sue cause è sicuramente il crollo dei listini del macero a fine 2019: avviare la carta a riciclo non era più profittevole. Per questo abbiamo aperto finestre che hanno consentito a molti Comuni l’ingresso in convenzione con Comieco, il nostro consorzio che si occupa degli imballaggi in carta e cartone. Conai si è quindi fatto carico dei maggiori oneri per l’avvio a riciclo di questo materiale in un momento in cui il suo valore di mercato era negativo, dimostrando ancora una volta il suo ruolo di sussidiarietà al mercato nel considerare l’interesse ambientale superiore a quello economico».

A influenzare il +14,3% nei conferimenti al sistema Conai ha contribuito anche lo sprint delle macro-aree geografiche del Centro e del Sud, che hanno messo a segno rispettivamente un +16,4% e un +16% di raccolta in convenzione. Crescono in particolare la raccolta della plastica, che al Centro passa da 237mila a 268mila tonnellate e a Sud da 362mila a 442mila, e quella del vetro, che balza da 314mila a 364mila tonnellate nel Centro e da 472mila a 541mila tonnellate nelle Regioni del Sud.

fonte: www.greenreport.it


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L'appello accorato di ringraziamento che giunge da Gubbio




Grazie a tutti coloro che hanno partecipato ieri all'assemblea pubblica a Gubbio sull'utilizzo dei rifiuti nel processo produttivo delle due cementerie (Colacem e Barbetti). È stato un momento di confronto e dibattito democratico come non avveniva da anni.
Ringraziamo i comitati che hanno organizzato, il cva di Semonte per aver messo a disposizione lo spazio, il Sindaco Stirati e la Vicesindaco Tasso, che sono intervenuti, il Dott. Vantaggi, l'Avv. Valeria Passeri, l'Avv. Paola Nuti, il WWF con il suo ottimo Presidente Sauro Presenzini, le forze dell'ordine che sono venute a vigilare lo svolgimento dell'incontro e tutti i cittadini accorsi in gran numero nonostante la bellissima giornata di fine giugno. 



Ringraziamo soprattutto la stampa locale sempre presente in massa, come al solito! Si fa per dire.
Non c'era nessuna testata locale nonostante fossimo più di 250 persone. È inutile domandarsi il perché! Sappiamo bene chi sono i proprietari delle testate locali quindi non ci aspettiamo che ora la libera informazione arrivi anche a Gubbio! 
Grazie all'unico giornalista presente Giancarlo Piergentili.


La partecipazione dei cittadini fa la differenza! Sono anni che si bruciano porcherie nei cementifici e la gente muore. Dopo copertoni, pet coke che è un derivato della lavorazione  del petrolio, adesso pure la monnezza vogliono bruciarci! Ricordiamoci che il CSS è immondizia, ed è costituito da vernici, pneumatici, scarti di pellame, fanghi, pellicole e altre sostanze, che se bruciate provocano gravissimi danni alla salute. 
Adesso basta!


La città si è stufata di tutto questo! Gubbio resiste e si ribella.
Basta perseguire il profitto di pochi sulla pelle di molti!
La salute non ce la ridà nessuno, come ha ben espresso un cittadino, durante l'intervento del Presidente WWF, mettendo in evidenza di aver subito 3 funerali nella sua famiglia in un ristretto frangente temporale.
I danni all'ambiente non si riparano nel tempo! Rappresentano un costo enorme per la collettività!


Basta logiche economiche lineari basate sull'inquinamento e il guadagno facile di oggi che comporterà un costo inaudito per il futuro!Questi giri di affari ci siamo stufati! Prima molti dormivano, ora si sono svegliati da questo incubo e vogliono alzare la testa!
Cittadini, non siamo noi a dover chinare la testa e ad avere paura! Paura la deve avere chi da anni sta inquinando la città e sta bruciando in modo immondo sostanze che producono metalli pesanti, diossina, polveri sottili cancerogene e che ora, per darci il colpo di grazia, vuole far diventare questa città la pattumiera dell'Umbria! Basta! Ne abbiamo avuto abbastanza!


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I Comitati Eugubini uniti contro i CSS


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