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Stoviglie in bambù presto vietate in Svizzera: possono rilasciare sostanze pericolose

 



Le stoviglie in bambù saranno presto vietate in Svizzera, perché possono essere dannose per la salute dei consumatori. Pubblicizzati come un’alternativa ecologica e vegetale a piatti e bicchieri di plastica, in realtà questi prodotti sono realizzati miscelando le fibre di bambù con resine e polimeri plastici, che possono contaminare gli alimenti con sostanze pericolose, come melammina e formaldeide. Di conseguenza, non sono nemmeno biodegradabili, né compostabili. Non è ancora stata annunciata la data precisa in cui entrerà in vigore il divieto, ma è stato confermato dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (Usav) a RSI. La decisione è arrivata dopo un’indagine del Servizio del consumo e degli affari veterinari (Scav) del cantone di Ginevra dai risultati preoccupanti.

Gli ispettori hanno prelevato 88 campioni di stoviglie realizzate con fibre vegetali, tra cui quelle in bambù, e li hanno analizzati alla ricerca di una quarantina di sostanze, tra cui formaldeide, melammina e interferenti endocrini. Per questi ultimi, i controlli non hanno rivelato irregolarità, ma non è così per le altre due sostanze. Il 38% delle stoviglie in bambù è risultato infatti fuori norma per il superamento dei limiti di formaldeide o melammina, sostanze alla base della resina plastica utilizzata per la fabbricazione di questi prodotti. 



La Svizzera ha deciso di vietare le stoviglie in bambù perché possono rilasciare nel cibo sostanze pericolose per la salute

Quando vengono scaldate o entrano in contatto con alimenti acidi, come il limone, l’aceto o il pomodoro, le stoviglie realizzate con questi polimeri possono liberare formaldeide e/o melammina, che così possono contaminare il cibo ed essere ingerite dai consumatori. La formaldeide è considerata dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) come una sostanza cancerogena per gli esseri umani (gruppo 1), mentre la melammina può causare lesioni ai reni.

Chi utilizza questo tipo di stoviglie può prendere alcune precauzione per ridurre i rischi. Come spiegano gli esperti dello Scav di Ginevra, è opportuno rispettare scrupolosamente le condizioni di utilizzo previste dal produttore: “con certi tipi di materiali, il riscaldamento, l’uso del microonde o tempi di contatto prolungati con gli alimenti sono sconsigliati perché ciò favorisce la migrazione di contaminanti nel cibo.”

Nel 2020 anche Altroconsumo aveva analizzato diverse stoviglie in bambù,

riscontrando il rilascio di formaldeide e melammina, anche se al di sotto i limiti di legge, e lo stesso problema era stato sollevato dall’Ufficio federale tedesco per la valutazione del rischio (BfR), che ne aveva sconsigliato l’uso per bevande e alimenti caldi. La Svizzera, dopotutto, non è il primo Paese a vietare il commercio delle stoviglie in bambù. Decisioni analoghe sono state prese da altri sei stati europei, cioè Austria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Quanto dura una lavastoviglie? E un frigorifero? Lo rivela un’indagine su affidabilità e soddisfazione di Altroconsumo

 










Quanto dura un frigorifero? E una lavastoviglie? Rispondere è difficile perché nessuno fa prove di questo tipo e poi molto dipende dall’uso, dalla manutenzione e da altri fattori come difetti di fabbricazione. Per rispondere a questa domanda alcune associazioni di consumatori europee (in Italia Altroconsumo) hanno chiesto ai soci di compilare un questionario esprimendo un giudizio sull’elettrodomestico che usano tutti i gironi in casa. Sono state raccolte esaminate 46 mila risposte e l’indagine ha interessato lavastoviglie, frigoriferi, lavatrici e asciugatrici. Il questionario serviva a definire un indice di affidabilità correlato a guasti o malfunzionamenti registrati negli anni e un indice di soddisfazione attribuito in relazione alle performance dell’apparecchio.

Quando si parla di elettrodomestici è lecito introdurre il concetto di obsolescenza programmata dai produttori, messa a punto per fare in modo che dopo alcuni i anni l’apparecchio debba essere sostituito. Questo è un tema su cui si discute molto a livello europeo. In Italia se ne occupa Altroconsumo che ha già raccolto 700 segnalazioni di apparecchi difettosi o che smettono di funzionare troppo presto (per informazioni e segnalazioni consultare questo indirizzo).

Le marche che hanno meritato i migliori giudizi su affidabilità e soddisfazione sono Bosch, Miele e Siemens

Dall’inchiesta di Altroconsumo emerge che per i frigoriferi la marca più diffusa nelle case dei consumatori è Samsung seguita da Electrolux. I problemi più frequenti riguardano la funzione no-frost (11%) e la temperatura (11%). Le marche che hanno meritato i migliori giudizi su affidabilità e soddisfazione sono Bosch e Siemens. In seconda fila troviamo Aeg, Beko, Haier, Hotpoint-Ariston, LG, Liebherr e Samsung.

Per le lavastoviglie la marca più diffusa nelle case dei consumatori è Bosch, seguita da Electrolux, Miele e Whirpool. I principali problemi rilevati riguardano per il 13% la pompa di scarico, seguita da tasti del display (9%) e da problemi con l’asciugatura (8%). Le marche che hanno meritato i migliori giudizi su affidabilità e soddisfazione sono Bosch, Miele e Siemens. Nella seconda fascia troviamo: Hotpoint-Ariston, Ikea e Indesit.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Alternative alla plastica, nei bicchieri monouso qualche criticità inaspettata. Lo rivela il test di Altroconsumo

















Nonostante una lettera inviata dell’associazione europea dei convertitori plastici EuPC indirizzata alla Commissione Europea che invitava a posporne l’entrata in vigore, l’ormai nota direttiva Sup (Single use plastics) metterà al bando dal prossimo anno diverse categorie di prodotti in plastica usa e getta, per i quali già oggi esistono valide alternative.

In particolare, dal 2021 saranno vietati: bastoncini cotonati per la pulizia delle orecchie; posate (forchette, coltelli, cucchiai, bacchette): piatti (sia in plastica che in carta con film plastico); cannucce; mescolatori per bevande; aste per palloncini (esclusi per uso industriale o professionale): contenitori con o senza coperchio (tazze, vaschette con relative chiusure) in polistirene espanso (Eps) per consumo immediato (fast-food) o asporto (take-away) di alimenti senza ulteriori preparazioni; contenitori per bevande e tazze in Eps; tutti gli articoli monouso in plastica oxo-degradabile.



I bicchieri di plastica usa e getta non sono compresi nel regolamento SUP, ma sono già in commercio alternative

Stranamente i bicchieri in plastica sono esclusi dal divieto di commercializzazione e non vengono elencati tra i prodotti per i quali la direttiva chiede misure ambiziose di riduzione nel consumo o attraverso sistemi di Epr, che allargano ai produttori il sostegno economico di trattamento e recupero dei rifiuti. Tuttavia il futuro di questi contenitori potrebbe seguire la medesima strada e sugli scaffali dei supermercati si trovano già oggi bicchieri monouso realizzati in materiali “alternativi” come la carta e la bioplastica. Materiali che il consumatore, in molti casi, fa fatica a distinguere e soprattutto a smaltire in modo corretto una volta usati.

Altroconsumo ha deciso di indagare sulla qualità di questi prodotti, spesso ritenuti implicitamente sicuri solo perché si trovano in commercio ma che in realtà possono nascondere insidie, anche di carattere rilevante, come dimostra lo studio. Le indagini di Altroconsumo hanno riguardato diversi parametri tra cui l’assenza di trasferimento di odori e sapori alle bevande, la robustezza, la capacità di contenere liquidi caldi ma soprattutto, di importanza fondamentale, la presenza di contaminanti e la loro capacità di migrare.

I risultati, relativi a bicchieri in carta e bioplastica, sono stati a volte eclatanti, visto che alcuni campioni prelevati dalle corsie dei supermercati, sono risultati non idonei al contatto con alimenti. Stiamo parlando in questo caso di requisiti cogenti, stabiliti dalla legge, e non di parametri “nice to have” o di carattere marginale.
Tradotto: si tratta di prodotti che, stando ai risultati delle analisi, non dovrebbero trovarsi in commercio.



Altroconsumo ha evidenziato criticità fra alcuni bicchieri in materiali alternativi alla plastica usati per bevande calde

Se in generale, dal punto di vista dell’assenza di odori, della robustezza e della stabilità i modelli realizzati in carta si sono rilevati migliori rispetto a quelli in bioplastica, sotto il profilo chimico la situazione si ribalta. Tre prodotti in carta su cinque hanno mostrato criticità di rilievo inerenti il mancato rispetto di requisiti di legge: sbiancanti ottici in quantità superiori ai limiti previsti, presenza di piombo e dell’interferente endocrino bisfenolo A.

Il piombo è un metallo pesante neurotossico, la cui esposizione va limitata soprattutto considerando i bambini, e potrebbe essere un contaminante della cellulosa usata per produrre i bicchieri o derivante dal contatto con i macchinari. Il bisfenolo A è invece un additivo usato per conferire durezza e resistenza, noto interferente endocrino al centro del dibattito scientifico. Si tratta di una sostanza che può agire in fasi particolari del ciclo vitale alterando l’equilibrio ormonale, e che sdarebbe meglio evitare.

Ma sono stati trovati anche ftalati (in tre bicchieri su cinque realizzati in carta e in uno su quattro in bioplastica). Si tratta di additivi che vengono aggiunti al polimero per renderlo flessibile e impermeabile e hanno effetti sul sistema endocrino e riproduttivo.

Altroconsumo suggerisce inoltre di usarli solo con bibite fredde: le criticità maggiori sono state individuate con i bicchierini che si propongono come adatti anche per bere bevande calde. Infine, spesso sulle etichette mancano indicazioni sul corretto smaltimento, punto piuttosto critico quando si parla di materiali nuovi, come le bioplastiche che i consumatori non sono abituati a gestire. La destinazione finale va definita in base alla compostabilità dei materiali (individuabile attraverso i marchi ufficiali), sia che si tratti di carta che di bioplastica.

fonte: www.ilfattoalimentare.it



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Sostenibilità alimentare: che ne pensano gli italiani? L’indagine Altroconsumo

Che rapporto hanno gli italiani con il cibo che portano in tavola? A rivelarlo è un’indagine Altroconsumo, che mostra le intenzioni degli italiani in tema di scelte alimentari




La scarsità di risorse e la crescente domanda di generi alimentari pone le nuove generazioni verso grandi sfide sempre più ambiziose. Rendere sostenibile la filiera alimentare e abbattere gli sprechi è il solo modo per ridurre l’impatto che la produzione di cibo ha sull'ambiente. La sola agricoltura genera circa il 30% di gas serra nell'atmosfera ed è responsabile del 70% dello sfruttamento delle risorse idriche . Per comprendere a fondo il rapporto che gli italiani hanno con la sostenibilità alimentare, Altroconsumo ha condotto un’indagine prima della pandemia Covid-19, che ha coinvolto complessivamente un campione di 1.025 individui tra i 18 e i 74 anni. La ricerca è stata condotta con il coordinamento del Beuc in 11 Paesi UE, con il fine di individuare i comportamenti più diffusi e i provvedimenti più urgenti in materia di alimentazione e sostenibilità.

Le intenzioni degli italiani

La ricerca mostra una forte propensione da parte degli italiani ad adottare comportamenti virtuosi per la salvaguardia dell’ambiente. Il 76% del campione ha dichiarato di fare attenzione all'impatto ambientale delle proprie scelte alimentari e il 68% si è dichiarato disposto a cambiare le proprie abitudini e ad abbracciare uno stile di vita più sostenibile. E ancora: ben 2 italiani su 3 sarebbero disposti ad acquistare solo frutta e verdura di stagione, mentre il 55% acquisterebbe più verdura e prodotti a base vegetale. Il 29% del campione ha anche dichiarato di voler spendere di più per l’acquisto di prodotti sostenibili. Il quadro cambia, però, nel momento in cui si passa dalle intenzioni ai comportamenti effettivi.

La disinformazione blocca gli italiani

Gli italiani sono ben disposti a porre l’attenzione verso la sostenibilità alimentare. Concretamente, però, i comportamenti effettivi sono ancora poco orientati ad uno stile alimentare più green. Basti pensare al consumo di carne rossa: solo il 7% ha smesso di mangiarla e il 45% ne ha ridotto il consumo per motivi ambientali; dall'altra parte, il 21% del campione non ne ha ridotto il consumo né ha intenzione di farlo. Ma cosa blocca gli italiani a passare dalle intenzioni alle azioni? Secondo Altroconsumo, vi sono tre barriere fondamentali:

● Il costo più alto dei prodotti sostenibili (44%)
● Poca chiarezza in etichetta rispetto ai metodi di produzione e le origini della materia prima (41%)
● Scarsa informazione sul tema (39%)

Per ottenere un cambiamento significativo nei comportamenti delle persone sono auspicabili interventi che agiscano direttamente su questi tre punti, favorendo la buona informazione e incentivando politiche alimentari sostenibili in UE.

Le proposte: il Manifesto Verde Altroconsumo

Altroconsumo ha presentato il suo Manifesto Green, un codice che raccoglie 10 best practices per sostenere uno stile di vita più sostenibile. Tra i punti di maggior rilievo, l’informazione di qualità e la lotta alle fake news sulla sostenibilità. Di pari passo con questo processo, anche la necessità di distinguere gli interventi di greenwashing dall'impegno concreto delle aziende in un percorso di sostenibilità. In più, grande enfasi è rivolta alla promozione dell’economia circolare, all'attenzione verso le risorse idriche, la difesa alla salute e l’educazione alla sostenibilità. Il manifesto completo è scaricabile qui.

fonte: https://www.nonsoloambiente.it



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Altroconsumo no alle stoviglie in bambù: non sono green e rappresentano rischio per la salute




















Stoviglie in bambù: leggere, pratiche, colorate, ideali per essere utilizzate dai bambini. Prodotti accattivanti che sono solo apparentemente alternative ecologiche alla plastica: è infatti impossibile realizzare piatti, posate o bicchieri utilizzando esclusivamente farina o fibra di legno ma occorre sempre una resina sintetica per tenere insieme ingredienti di questo tipo.A fronte del successo di questa tipologia di stoviglie, Altroconsumo ha analizzato 14 prodotti acquistati nei negozi e online, scoprendo gravi carenze nelle informazioni fornite o, in alcuni casi, informazioni ingannevoli.

Dai risultati pubblicati sulla rivista Altroconsumo Inchieste di febbraio 2020 emerge innanzitutto che circa la metà dei campioni si è definita eco-friendly e biodegradabile. Questa dicitura però non può essere veritiera in quanto tutti i prodotti contengono una resina sintetica a base melaminica che non è biodegradabile né riciclabile e, visto che è impossibile separarla dalla parte in bambù, il prodotto finirà comunque in discarica o nell’inceneritore. Eppure solo 3 dei prodotti analizzati indicano in etichetta la presenza di materiali diversi dal bambù mentre gli altri prodotti non presentano informazioni specifiche lasciando credere agli acquirenti di essere realizzate interamente in bambù.

Informazioni carenti anche per quanto riguarda la sicurezza d’uso di queste stoviglie: solo 6 prodotti su 14 riportano indicazioni relative alle temperature di utilizzo dei prodotti con l’avvertenza di mantenersi entro certi limiti. Non tutti i prodotti specificano in etichetta che queste stoviglie non devono essere utilizzate nel microonde: un punto particolarmente importante visto che il caldo favorisce il rilascio di sostanze nocive. L’Organizzazione ha anche verificato se le stoviglie rilasciassero sostanze indesiderate una volta a contatto con alimenti caldi.

Formaldeide e melamina – le due sostanze ricercate potenzialmente cancerogene – sono state riscontrate in quantità inferiori ai limiti di legge tranne nel caso del kit pappa Biubu, che ha rilasciato sostanze in quantità pari ai limiti massimi previsti dal Regolamento europeo e per questo si trova all’ultimo posto della classifica.Il massimo punteggio, ovvero 5 stelle, è stato assegnato solo a due tazze (Casa Collection e Heyholi) e a un kit pappa (Lesser & Pavey) che si sono dimostrati sicuri, non mostrando alcun rilascio di formaldeide e melamina.

A partire dai risultati dei test, Altroconsumo ha segnalato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato queste pratiche volte ad influenzare in maniera scorretta gli acquisti dei consumatori, chiedendo di aprire una istruttoria e procedere con eventuali sanzioni ed interventi.

A confermare le conclusioni di Altroconsumo c’è anche un recente studio dell’istituto tedesco che si occupa di sicurezza alimentare (BfR), che analizzando i dati di migrazione di centinaia di stoviglie a base di resina melaminica − con e senza bambù – ha concluso che non sono adatte a ripetuti contatti con sostanze calde. Addirittura l’ente tedesco ha evidenziato che le stoviglie contenenti bambù possono rilasciare una quantità di formaldeide e melamina negli alimenti caldi maggiore rispetto alle classiche stoviglie in sola resina melaminica.

La criticità di questi prodotti è confermata anche dai dati del sistema di allerta rapido europeo (Rasff) che solo nel 2019 ha ricevuto circa 40 segnalazioni relative a prodotti in bambù nei quali è stata riscontrata una migrazione di formaldeide e/o melamina che superava i limiti previsti dalla legge europea (Regolamento Ue n.10 del 2011). La formaldeide è classificata dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) come «cancerogeno certo» mentre la melamina è presente nel novero dei cancerogeni possibili.


fonte: www.greencity.it

Il viaggio illecito dei rifiuti elettronici



Sai dove va a finire il tuo frigorifero dopo che hai smesso di usarlo? E la tua lavatrice? Molti seguono la strada giusta verso gli impianti di trattamento, ma tanti, 4 su 10, prendono strade parallele. Anzi, per dirla tutta, illecite. Nella nostra videoinchiesta i dettagli di questo sommerso.




fonte: Altroconsumo

Al via la campagna di Altroconsumo contro l’obsolescenza programmata

Parte oggi il progetto PROMPT con cui Altroconsumo vuole contribuire in maniera concreta ad arginare il fenomeno dell’obsolescenza precoce dei prodotti.
Si può partecipare attivamente all’iniziativa compilando il form presente su www.altroconsumo.it e segnalare apparecchi che sono diventati inutilizzabili troppo presto: i risultati serviranno a sensibilizzare le aziende a mettere in commercio prodotti più sostenibili.




Parte oggi il progetto PROMPT - Premature Obsolescence multi-stakeholder product testing programme – con cui Altroconsumo, insieme alle Organizzazioni di consumatori di Spagna, Belgio e Portogallo - prosegue la sua battaglia contro l’obsolescenza programmata dei prodotti. Un fenomeno che comporta elevati costi per l’ambiente, l’economia e le tasche dei consumatori.

A chi non è capitato di avere a che fare con una lavatrice che si è rotta troppo presto e che non conviene o è impossibile riparare? O uno smartphone con un sistema operativo impossibile da aggiornare dopo un anno? Il fenomeno dell’obsolescenza programmata è sotto gli occhi di tutti: Altroconsumo ricevi molti reclami da parte dei consumatori delusi da dispositivi elettronici che si usurano e cessano di funzionare troppo presto perché mal costruiti e difficili da riparare.

Per arginare questo fenomeno al link altroconsumo.it/obsolescenza-programmata è aperta una piattaforma online dove è possibile segnalare casi di questo tipo, inserendo dati e caratteristiche del prodotto malfunzionante: più alto sarà il numero di segnalazioni, maggiore sarà la forza delle azioni che saranno intraprese per tutelare i consumatori da questa pratica.


Rifiuti elettronici e malfunzionamenti:

Prodotti che funzionano male e che i consumatori si trovano a dover sostituire troppo presto, una tendenza che è confermata dai dati: la produzione di rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) è aumentata infatti negli ultimi decenni con una crescita del 3-5% all’anno raggiungendo 12 milioni di tonnellate entro il 2020.

Per quanto riguarda invece le problematiche più frequenti che vengono riscontrate, secondo le nostre indagini, le parti più “deboli” di uno smartphone sono: batteria, touchscreen e caricatore. Per quanto riguarda invece i televisori, in questo caso i principali responsabili sono: telecomando, schermi e connettori. Per quanto riguarda i PC, ancora una volta sono le batterie a non funzionare al meglio, seguite da hard disk e dagli alimentatori.


Obsolescenza pianificata su scala europea

L'obiettivo del progetto PROMPT è proprio quello di sviluppare un programma di test indipendenti per valutare la longevità dei prodotti elettronici. Diversi membri del BEUC, la federazione europea di organizzazioni di consumatori, e tra queste Altroconsumo hanno aderito all’iniziativa che, oltre a stimolare i produttori, servirà anche a incentivare i consumatori ad utilizzare più a lungo i prodotti, a ripararli e ad accettare anche prodotti di seconda mano. I risultati dei test andranno anche a delineare i prodotti migliori per ciascuna categoria considerata.


La Direttiva dell’Unione Europea

Recentemente la Commissione ha adottato nuove regole per incoraggiare i produttori a progettare prodotti pensando alla rigenerazione, al recupero e al riciclo. E’ recente anche il nuovo regolamento Ecodesign adottato dalla Commissione europea[1], emanato proprio come misura per sostenere la riparabilità e la riciclabilità dei prodotti. Il pacchetto prevede una regolamentazione che rende obbligatorio mantenere sul mercato per almeno 7 anni alcuni pezzi di ricambio. Le 10 categorie di strumenti tecnologici coinvolti sono: frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, display elettronici (televisori inclusi), motori elettrici, trasformatori, alimentatori, impianti di illuminazione, frigoriferi con funzioni di vendita e attrezzature per saldatura. Un provvedimento che contribuirà agli obiettivi di economia circolare, migliorando la durata della vita, la manutenzione e il riutilizzo degli apparecchi e al tempo stesso alleggerirà le spese delle famiglie. 


fonte: https://www.altroconsumo.it

Rifiuti, il 40% degli elettrodomestici scompare in flussi paralleli

Indagine Altroconsumo e Ecodom ha seguito la rotta con il satellite


















In Italia scompare quasi il 40% dei grandi elettrodomestici: dismessi dai cittadini, non arriva agli impianti di trattamento autorizzati e scompare in flussi paralleli. Lo rivela un'indagine - presentata oggi a Roma - condotta da Altroconsumo in collaborazione con Ecodom (il Consorzio per il recupero e il riciclaggio degli elettrodomestici) su oltre 200 Raee (Rifiuti da apparecchiatura elettriche ed elettroniche) usciti dalle case degli italiani, sparsi su tutto il territorio nazionale, e monitorati con dispositivi satellitari.
Il peso dei grandi elettrodomestici (chiamati 'grandi bianchi', per esempio il frigorifero fa parte di questa categoria) che si perdono per strada arriva a circa 44mila tonnellate, secondo l'indagine che sfrutta su larga scala la tecnologia satellitare per seguire le rotte dei rifiuti elettronici domestici: su 205 Raee, il campione valido è stato di 174 (per altri 31 non è stato possibile effettuare un'analisi completa); solo 107 esemplari (il 61% del totale) sono "effettivamente approdati in impianti autorizzati, in grado di garantire un trattamento corretto dal punto di vista ambientale.
Gli altri 67 esemplari (pari al 39%) sono stati sottratti alla filiera formale, finendo in impianti non autorizzati oppure in mercatini dell'usato o in abitazioni private". 

fonte: www.ansa.it

Carta o plastica: entrambi i materiali presentano criticità ma in Europa le normative di sicurezza non sono armonizzate


















La plastica è oggi nell’occhio del ciclone per il suo impatto sull’ambiente e sulla salute dell’uomo. Il bando di alcuni prodotti tra cui posate e piatti di plastica è ormai certo e fissato per il 2021 (grazie a una Direttiva Europea), parallelamente si moltiplicano le ordinanze anti-plastica emesse da comuni, provincie e regioni che decidono di dire addio a questo materiale anzitempo (vedere lista allegata – PLASTICA Bandi in Italia).
Gli interessi in gioco sono tanti, e a testimoniarlo ci sono numerosi riscorsi contro le ordinanze avviati in alcuni comuni siciliani, in Puglia e in Sardegna. Alcuni ricorsi si sono già conclusi con la vittoria dei produttori di stoviglie monouso (con alle spalle la Federazione Gomma Plastica/Unionplast prima promotrice dei ricorsi) e la conseguente sospensione dell’ordinanza, altri invece sono stati respinti.
Inevitabilmente si accendono però anche i riflettori su materiali che potenzialmente sostituiranno la plastica nelle situazioni in cui non potrà più essere impiegata: uno su tutti la carta.
Qualche giorno fa, l’associazione europea dei consumatori Beuc (che riunisce più di 40 associazioni nazionali tra cui Altroconsumo, la norvegese Forbrukerrådet, la danese Forbrugerrådet TÆNK e la spagnola Ocu) ha presentato uno studio mirato ad individuare potenziali criticità sull’impiego di carta da usare per i prodotti che dal 2021 non potranno più essere realizzati in plastica.
Il rapporto denominato “More than a paper tiger” (più di una tigre di carta) , riporta i risultati delle analisi di laboratorio condotte su 76 articoli in carta colorata destinati a entrare in contatto con alimenti. Il gruppo comprende: tazze da caffè, bicchieri, piatti, cannucce, tovaglioli, sacchetti per il pane e imballaggi per alimenti come pasta, cereali e caramelle.
I campioni sono stati analizzati per verificare la presenza di ammine aromatiche primarie (una famiglia di composti, alcuni dei quali cancerogeni, altri sospettati di esserlo, che possono generarsi nei materiali a partire da sostanze autorizzate o sostanze usate per colorare i materiali) e di fotoiniziatori, come il benzofenone, (alcuni sospetti cancerogeni e collegati a proprietà di interferenza endocrina).
Tra i 76 campioni, le ammine aromatiche primarie sono state rilevate nel 17% dei casi (13 campioni) di cui 9 “al di sopra dei limiti”: si è trattato principalmente di prodotti come cannucce e sacchetti per caramelle; valori contenuti, secondo lo studio, in un intervallo variabile tra 5 a 65 microgrammi per litro (ug/L).
Le ammine aromatiche primarie sono state rilevate nel 17% dei casi di cui 9 “al di sopra dei limiti
Sono stati rilevati fotoiniziatori e altre sostanze correlabili all’uso di inchiostri da stampa in quasi tutti i campioni di imballaggi testati; solo cinque campioni sono risultati negativi. Due campioni contenevano benzofenone ad alti livelli e in 50 campioni è stata evidenziata una potenziale migrazione eccedente i limiti dell’ordinanza svizzera che regola gli inchiostri in materiali a contatto (600 microgrammi per chilo di alimento per il benzofenone e 10 microgrammi per ogni chilogrammo di alimento per sostanze non contemplate nella legge svizzera).
Il riferimento a un’ordinanza svizzera e non a leggi di carattere europeo viene fatta perché per la carta (eventualmente stampata) non esiste una legislazione europea armonizzata (ogni Paese può stabilire una normativa propria, diversa da quella di altri Stati membri).
Ad oggi valide legislazioni esistono in Italia, Germania, Francia, Olanda, Belgio ma le disparità sono evidenti. Se nel nostro Paese l’uso di carta riciclata è previsto solo per alimenti solidi secchi (sale, zucchero, riso, pasta secca) in Germania è ammesso l’uso per tutti i tipi di alimenti «previa verifica della conformità».
Il problema è che la maggior parte dei Paesi europei è sprovvista di disposizioni in materia e questo rappresenta una gravissima mancanza.
Nel complesso i risultati sembrerebbero dimostrare che l’impiego di carta e cartone stampato per alimenti, porta con sé il rischio legato alla presenza di sostanze chimiche piuttosto problematiche in grado di migrare negli alimenti e non ancora valutate dall’Efsa.
Le criticità maggiori sarebbero attribuibili, più che alla carta, agli inchiostri da stampa per gli imballi alimentari (miscele chimiche complesse di coloranti, leganti, solventi e additivi in cui possono essere impiegate oltre 5.000 sostanze diverse).
I risultati dello studio di Beuc sono stati rilanciati da PRO.MO(gruppo produttori stoviglie monouso in plastica) sulle pagine del sito che intitola il comunicato “Imballaggi di carta e cartone per alimenti, possibili rischi per la salute”.
cartone cinese takeaway carta
Importante sarebbe invece definire una soglia di sicurezza comune per definire un materiale “privo di rischi per la salute”
Sebbene i risultati ottenuti da Beuc siano pressoché in linea con quelli ottenuti in studi simili (nel 2016 il centro comune di ricerca – JRC – della Commissione europea a Ispra rilasciò una relazione sul contenuto di ammine aromatiche primarie in tovaglioli di carta colorata prelevati dai diversi Paesi europei), va precisato che alcune valutazioni non sono chiare.
Per esempio, per valutare la presenza di ammine aromatiche primarie non è chiaro se sia stata usata la soglia definita dal Regolamento Europeo sulle plastiche (pari a 10 ppb) o quella suggerita dal BfR, l’Istituto di valutazione del rischio tedesco (pari a 2ppb).
Nel rapporto BEUC si legge infatti: “nove campioni contenevano PAA al di sopra del limite stabilito nel regolamento sulla plastica (10ppb) oppure nelle raccomandazioni BfR (2ppb)”
La questione non è di poco conto perché se venisse preso come riferimento “2ppb”, probabilmente anche in molte plastiche si riscontrerebbero migrazioni eccedenti questo valore.
Quante plastiche pur rispettando l’attuale legge Europea supererebbero la soglia di sicurezza richiesta dalla Germania?
Questa è una domanda che oggi non ha risposta e che questo studio certamente non chiarisce: importante sarebbe invece definire una soglia di sicurezza comune usando lo stesso metro di valutazione per definire un materiale “privo di rischi per la salute”, indipendentemente dal fatto che si tratti di carta o di plastica.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Sacchetti fuorilegge: in Italia il 40% delle buste sono falsi biodegradabili. I risultati di un’indagine di Altroconsumo


















Secondo un’inchiesta condotta nel quadro del progetto CIRC-PACK sul comportamento dei cittadini europei nei confronti dei sacchetti di plastica, la messa al bando delle buste sta funzionando (il 70% degli italiani dichiara di portare sacchetti da casa senza più acquistarli mentre il 42% preferisce quelli di stoffa). In Italia la situazione è leggermente diversa: secondo un’indagine di Altroconsumo la metà dei sacchetti in circolazione sarebbe fuori legge, in quanto non rispetta i requisiti minimi di legge che prevedono la biodegradabilità, la compostabilità e l’impiego di almeno il 40% di materia prima rinnovabile per quelli monuso destinati a contenere e trasportare alimenti. C’è di più, le borse monouso da asporto non possono essere cedute gratuitamente ai consumatori e la biodegradabilità e la compostabilità devono essere certificate da organismi accreditati e presentare i loghi stampati (vedi immagine sotto).
L’indagine condotta in 11 città (Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma e Torino) prevedeva l’acquisto di vari tipi di shopper presso ipermercati, supermercati, mercati rionali e cinque negozi scelti tra: casalinghi, detersivi e cura della persona, fruttivendoli, macellerie e panetterie, per un totale di quasi 200 punti vendita e 247 sacchetti prelevati.
sacchettiSe nella grande distribuzione non sono state rilevate irregolarità, la situazione peggiore si trova nei negozi (22% di sacchetti fuorilegge). Analizzando poi il tipo di borse acquistate nei mercati, il 70% non era a norma. L’altro aspetto importante è che nei mercati il sacchetto non viene quasi mai fatto pagare, come invece prevede la legge, e non compare mai sullo scontrino. Il tema delle buste a pagamento ha scatenato gli animi dei consumatori, ma va ricordato che possono essere usate per la raccolta dell’umido e il costo di 1 – 2 centesimi (costo che incontriamo nei reparti ortofrutta) è ben inferiore a 10 – 17 centesimi dei sacchetti venduti in rotolo specificatamente per la frazione umida.
Per chi ancora pensasse che il passaggio ai sacchetti compostabili sia stato inutile e che i vecchi sacchetti in plastica potessero essere riciclati, esistono finalmente risposte chiare: la fattibilità del riciclo è solo teorica in quanto il ridotto spessore dei sacchetti li rendeva poco riconoscibili dagli impianti automatizzati, con il risultato che buona parte delle buste in plastica venivano scartate, finendo negli inceneritori. “I sacchetti irregolari purtroppo sono prodotti sia da aziende italiane che estere” sostiene Marco Versari, presidente di Assobioplastiche. “Secondo nostre stime solo il 20-30% delle buste per ortofrutta sarebbe a norma; non parliamo di nomi importanti della distribuzione, ma delle zone più periferiche dove il commerciante che smercia prodotti irregolari senza farli pagare raccoglie il consenso dei consumatori”.
Quali mezzi ha il consumatore per difendersi? La legge impone ai produttori di indicare il nome sul sacchetto, il marchio di certificazione e l’indirizzo, in modo da poter risalire alla fonte della catena produttiva (chi lavora legalmente ci tiene a farlo sapere, mentre i prodotti anonimi potrebbero nascondere qualcosa che non va).
Se nel 2011 l’Italia aveva già fatto da virtuoso apripista a livello europeo con l’introduzione dei sacchetti da supermercato compostabili, ora le regole sono state estese anche ai sacchetti ortofrutta e bisogna intensificare i controlli, soprattutto nelle bancarelle ambulanti e nei negozi al dettaglio. “Di recente – prosegue Versari – le autorità hanno scoperto un distributore milanese che vendeva decine di milioni di sacchetti illegali. Il giro d’affari è importante visto che i ricarichi arrivano anche al 500 per cento e le multe sono basse, rispetto al rapido guadagno che si può fare. Ma i danni per il consumatore e l’ambiente sono enormi”.

fonte: https://ilfattoalimentare.it

Allerta microplastiche in cozze, gamberi e sale: contaminato il 70%
















Più di due terzi di campioni di cozze, gamberi e sale sono contaminati dalle microplastiche. Lo si apprende dalle ultime analisi condotte in laboratorio di Altroconsumo, che denuncia una vera e propria emergenza.

Nello specifico l’inchiesta è stata svolta in collaborazione con altre quattro associazioni di consumatori europee di Austria, Belgio, Danimarca e Spagna, e sono stati analizzati in tutto 102 campioni: 38 di sale marino, 35 di cozze e 29 di gamberi.

La presenza delle microplastiche è qui pervasiva, contaminando fino al 70% degli alimenti. In 70 casi su 102, il campione è contaminato da micro particelle di plastica presenti in quantità significativa:

"La plastica massicciamente prodotta da sessant’anni a questa parte (300 milioni di tonnellate all’anno) è ovunque. La respiriamo. La beviamo: è stata trovata sia in acque minerali sia in acque potabili. La spalmiamo sulla pelle. La mangiamo. Da qui l’indagine di Altroconsumo su sale da cucina, cozze e gamberi."

Non sono stati scelti pesci, perché le microplastiche rimangono circoscritte al tratto intestinale, che è una parte che normalmente non si consuma, mentre in molluschi, gamberi e sale sì. Secondo Altroconsumo, bisogna “intervenire nella catena di consumo delle plastiche prima di soffocare per utilizzo e rifiuti eccessivi”

fonte: www.greenstyle.it

Ecco la lista degli elettrodomestici che durano di più e si rompono meno. Le marche più affidabili secondo le riviste dei consumatori


















Quando compriamo un elettrodomestico facciamo attenzione a diverse caratteristiche: prezzo, ingombro, consumo energetico… ma raramente ci domandiamo quanti anni funzionerà. Altroconsumo ha fatto chiesto a 34.000 soci residenti in cinque diversi Paesi, di cui 8.000 in Italia, quanto fossero soddisfatti, sul lungo periodo, dei loro elettrodomestici. L’indagine ha evidenziato i problemi più comuni, i punti deboli e le criticità delle 15 marche più presenti sul mercato italiano.
Quelle posizionate in cima alla classifica delle lavastoviglie, valutando affidabilità e soddisfazione, secondo il giudizio dei consumatori sono: Miele, Siemens e Bosch. Per questo apparecchio, usato da molti consumatori anche tutti i giorni, il problema più diffuso riguarda la pompa di scarico. Per i frigoriferi combinati invece, a maggiore criticità è l’isolamento delle porte. Sul podio della classifica ci sono: Lg, Siemens e Bosch.
La stessa metodologia di ricerca utilizzata da Altroconsumo, basata sull’esperienza diretta di un gran numero di persone, è stata adottata dalla rivista francese 60 Millions de Consommateurs che ha chiesto ai lettori di rispondere a un questionario. In questo caso l’indagine ha preso in considerazione solo apparecchi acquistati al massimo dieci anni prima, valutando l’affidabilità, la soddisfazione e la disponibilità di pezzi di ricambio. Secondo la rivista gli inconvenienti i guasti e quant’altro non sono il risultato di un’obsolescenza programmata dalle aziende, ma piuttosto l’esito di scelte industriali che cercano in tutti i modi di abbassare i costi di produzione.
Anche per questo motivo conviene seguire alcuni consigli:
– Pagare di più un elettrodomestico potrebbe servire, perché in genere quelli venduti a minor prezzo raramente sono progettati per durare molto o per essere riparati. Va detto, però, che i modelli di fascia alta non sono necessariamente più robusti.
– In genere conviene scegliere le aziende che hanno ricevuto buoni risultati nei test comparativi che pubblicano le riviste dei consumatori perché il rischio di guasti è inferiore e le parti di ricambio sono disponibili per lungo tempo.
– Evitare i dispositivi complessi e con tante funzioni “extra” perché potrebbero aumentare le criticità


60 Millions de Consommateurs ha chiesto a 5.000 lettori di rispondere a un questionario
La classifica dei frigoriferi vede ai primi posti tre marchi: Bosch, Siemens e Beko che hanno soddisfatto tutti e tre i parametri: affidabilità, disponibilità di pezzi di ricambio e la soddisfazione. Beko è un marchio di origine turca, meno conosciuto, ma che offre spesso dispositivi più economici e compete con le migliori aziende di marca, oltre che per i frigoriferi anche per le lavastoviglie (vedi sotto). La considerazione complessiva è che si tratta si tratta di un elettrodomestico piuttosto robusto, con un tasso di affidabilità che supera il 90%. I guasti possono riguardare la capacità dell’apparecchio di raffreddare o problemi con le porte.
Secondo l’inchiesta della rivista francese anche il forno è un dispositivo che dura a lungo: più di nove anni come media con un tasso medio di affidabilità dell’87%. La posizione top della classifica, per i forni da incasso, è ancora una volta occupata dai due marchi del gruppo tedesco BSH: Bosch, particolarmente affidabile, e Siemens. Questa volta, lo svedese Electrolux conquista il terzo gradino del podio.
Le lavastoviglie sono, tra tutte le tipologie analizzate dalla rivista, gli elettrodomestici che causano più preoccupazioni al loro proprietari. I problemi riguardano soprattutto le guarnizioni difettose e la pompa di scarico… Il terzetto sul podio è identico a quello dei frigoriferi: Bosch e Siemens, seguiti da Beko.


Le macchine per il caffè espresso sono tra gli elettrodomestici più “giovani”, ma nel giro di pochi anni hanno conquistato milioni di affezionati. È difficile decidere tra i due principali produttori di macchine compatibili Nespresso, che si dividono la cima alla classifica: la Magix (primo posto) e la Krups (secondo e terzo posto). Le differenze nella valutazione riguardano soprattutto la disponibilità dei pezzi di ricambio: alcune aziende promettono di mantenere le scorte disponibili per dieci anni, altre se ne lavano le mani dopo pochi anni con il risultato di grandi quantità macchinette irreparabili per mancanza di pezzi di ricambio disponibili.
Infine l’inchiesta della rivista francese ha esaminato 2.773 robot, raggruppando diverse tipologie (multifunzione, da cucina e da pasticceria). Tra tutte le famiglie di elettrodomestici, questa è la meno incline al fallimento. KitchenAid e Magimix dominano le classifiche. KitchenAid è il marchio più popolare, apprezzato soprattutto per la qualità dei preparati ottenuti e la facilità di utilizzo e pulizia. Criticato invece il famoso Bimby Thermomix (Vorwerk), non tanto per la soddisfazione delle prestazioni, quanto per l’affidabilità, con numerose segnalazioni di problemi agli accessori o al motore, soprattutto se si considera il prezzo elevato: più di mille euro per l’acquisto.
fonte: www.ilfattoalimentare.it