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Per il bando ai monouso manca il decreto

In Italia la Direttiva SUP non è ancora vincolante, poiché manca il decreto di recepimento, tranne per un punto controverso...




Il 3 luglio è passato, la Direttiva UE sugli articoli monouso (Direttiva SUP) è entrata formalmente in vigore, ma non in Italia, dove manca ancora il decreto di recepimento, nonostante sia stata approvata dal Parlamento la Legge di delegazione, che affida al Governo il compito di dar forma alla direttiva. La bozza è ferma al Ministero della Transizione ecologica e, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale alla fine dell'estate.

La ragione delle melina governativa risiederebbe nel contrasto con la UE sull'impiego delle bioplastiche nei monouso messi al bando, in particolare le stoviglie: il nostro paese vorrebbe una sorta di dispensa per le plastiche compostabili con elevato contenuto biobased in ragione della rilevanza di questa industria e dell'avvio di un circuito per la raccolta differenziata della frazione organica (Biorepack). A Bruxelles, invece, non essendo dimostrata la biodegradazione delle bioplastiche in ambiente marino, la deroga appare immotivata.


In questa situazione di limbo, tutti gli articoli monouso - compresi quelli elencati nel famigerato allegato B della Direttiva SUP (bastoncini cotonati, posate, cannucce, agitatori per bevande, aste di palloncini), possono essere prodotti, venduti e utilizzati senza restrizioni, o quasi. Già, perché c'è una parte della Direttiva entrata comunque in vigore, poiché normata da un Regolamento UE, che - a differenza delle direttive - diviene vincolante, automaticamente in tutta l'Unione una volta pubblicato in GUCE.


Stiamo parlando del Regolamento n. 2020/2151/Ue del 17 dicembre 2020 (leggi articolo), che disciplina le specifiche tecniche relative alle etichette a apporre sui prodotti di plastica monouso elencati nell'allegato D (assorbenti e tamponi igienici, salviette umidificate, prodotti del tabacco con filtri e filtri, tazze per bevande), ovvero "Plastica nel prodotto" e "Fatto di plastica", già oggetto di polemiche (leggi articolo) soprattutto per quanto concerne tazze e bicchieri monouso in plastica, compresi quelli di carta rivestita con plastica.

L'Italia non è però l'unico paese ad aver disatteso la data del 3 luglio. Secondo EuPC, che rappresenta a livello europeo i trasformatori di materie plastiche, anche Francia è Svezia sono in ritardo con il recepimento, ancora alle prese con il confronto con gli operatori interessati dalle norme, mentre altri stati membri, come Romania e Bulgaria, non avrebbero compiuto passi concreti verso l'adozione. Secondo l'associazione, la ragione va cercata nel ritardo con il quale sono state diramate le linee guida e, più in generale, nella fretta con cui la Direttiva è stata elaborata e varata, anche se sono ormai passati due anni dalla sua approvazione.


La mancata approvazione della legge di recepimento , così come una attuazione parziale o difforme della direttiva, ha delle conseguenze: la Commissione può avviare una procedura formale di infrazione e, qualora ciò non sia sufficiente, deferire il caso alla Corte di giustizia europea.

L'iter è abbastanza complesso: la Commissione invia una lettera di costituzione in mora con cui richiede ulteriori informazioni al paese in questione, che dovrà inviare una risposta dettagliata entro un termine preciso, generalmente due mesi.
Se Bruxelles si convince che il paese sia venuto meno ai propri obblighi a norma del diritto comunitario, può inviare un parere motivato, vale a dire una richiesta formale di conformarsi al diritto dell’Unione in cui spiega perché ritiene che il paese violi le norme. Contestualmente, viene chiesto di comunicare le misure adottate entro un termine preciso, anche in questo caso due mesi. Se il paese continua a non conformarsi alla legislazione, la Commissione può deferirlo alla Corte di giustizia e chiedere di imporre sanzioni.

In termini pratici, volendo tirarla alla lunga, tra dilazioni (tre mesi per il recepimento), burocrazia e smaltimento delle scorte, la fine dei monouso potrebbe non giungere prima della primavera 2022, lasciando un settore nella completa incertezza per ancora molti mesi.

fonte: www.polimerica.it



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Stoviglie in bambù presto vietate in Svizzera: possono rilasciare sostanze pericolose

 



Le stoviglie in bambù saranno presto vietate in Svizzera, perché possono essere dannose per la salute dei consumatori. Pubblicizzati come un’alternativa ecologica e vegetale a piatti e bicchieri di plastica, in realtà questi prodotti sono realizzati miscelando le fibre di bambù con resine e polimeri plastici, che possono contaminare gli alimenti con sostanze pericolose, come melammina e formaldeide. Di conseguenza, non sono nemmeno biodegradabili, né compostabili. Non è ancora stata annunciata la data precisa in cui entrerà in vigore il divieto, ma è stato confermato dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (Usav) a RSI. La decisione è arrivata dopo un’indagine del Servizio del consumo e degli affari veterinari (Scav) del cantone di Ginevra dai risultati preoccupanti.

Gli ispettori hanno prelevato 88 campioni di stoviglie realizzate con fibre vegetali, tra cui quelle in bambù, e li hanno analizzati alla ricerca di una quarantina di sostanze, tra cui formaldeide, melammina e interferenti endocrini. Per questi ultimi, i controlli non hanno rivelato irregolarità, ma non è così per le altre due sostanze. Il 38% delle stoviglie in bambù è risultato infatti fuori norma per il superamento dei limiti di formaldeide o melammina, sostanze alla base della resina plastica utilizzata per la fabbricazione di questi prodotti. 



La Svizzera ha deciso di vietare le stoviglie in bambù perché possono rilasciare nel cibo sostanze pericolose per la salute

Quando vengono scaldate o entrano in contatto con alimenti acidi, come il limone, l’aceto o il pomodoro, le stoviglie realizzate con questi polimeri possono liberare formaldeide e/o melammina, che così possono contaminare il cibo ed essere ingerite dai consumatori. La formaldeide è considerata dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) come una sostanza cancerogena per gli esseri umani (gruppo 1), mentre la melammina può causare lesioni ai reni.

Chi utilizza questo tipo di stoviglie può prendere alcune precauzione per ridurre i rischi. Come spiegano gli esperti dello Scav di Ginevra, è opportuno rispettare scrupolosamente le condizioni di utilizzo previste dal produttore: “con certi tipi di materiali, il riscaldamento, l’uso del microonde o tempi di contatto prolungati con gli alimenti sono sconsigliati perché ciò favorisce la migrazione di contaminanti nel cibo.”

Nel 2020 anche Altroconsumo aveva analizzato diverse stoviglie in bambù,

riscontrando il rilascio di formaldeide e melammina, anche se al di sotto i limiti di legge, e lo stesso problema era stato sollevato dall’Ufficio federale tedesco per la valutazione del rischio (BfR), che ne aveva sconsigliato l’uso per bevande e alimenti caldi. La Svizzera, dopotutto, non è il primo Paese a vietare il commercio delle stoviglie in bambù. Decisioni analoghe sono state prese da altri sei stati europei, cioè Austria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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