Visualizzazione post con etichetta #StopFossili. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #StopFossili. Mostra tutti i post

Dinosauri al contrattacco: quelli del nucleare

Il nucleare non si dà per vinto e rilancia con i reattori modulari. Servirà un trattato internazionale di non proliferazione del nucleare civile così come delle fonti energetiche fossili.




Chiamiamoli dinosauri, le potenti multinazionali dell’energia, per segnalarne il livello evolutivo e come segno di speranza: i dinosauri, primitivi ma potenti, si sono estinti e bisogna che anche questi si estinguano o si evolvano in altra specie, per evitare la nostra estinzione.

I dinosauri del Nucleare

Negli anni ’50 e ’60, la diffusione dell’energia nucleare sembrava inarrestabile.

Politici e industriali si aspettavano che sarebbe diventata «troppo a buon mercato per metterci un contatore». Il numero di centrali nucleari nel mondo continuò ad aumentare fino alla metà degli anni ’80, quando a causa della crescita dei sentimenti antinuclearisti, alimentata dagli incidenti di Three Mile Island (nel 1979) e di Chernobyl (nel 1986), subì un arresto.

Arresto della crescita che, tuttavia, non va attribuito solo agli effetti sull’opinione pubblica della tragedia di Chernobyl, ma anche (e forse soprattutto) allo sfaldamento dell’Unione Sovietica, culminato nella caduta del muro di Berlino. Fino a quel momento, infatti, nucleare civile e militare erano stati strettamente intrecciati per via della produzione, nelle centrali, di quel plutonio che serviva per fare le bombe atomiche.

Questo intreccio mascherava il costo reale del kWh nucleare. Venuta meno la necessità di espandere o mantenere il deterrente bombe, il nucleare civile si ritrova nudo come il re della favola di Andersen, e si scopre che il kWh prodotto da una nuova centrale è estremamente costoso, molto più di quello prodotto con le fonti fossili, e senza sussidi statali economicamente non regge.

Dunque, le nuove centrali in costruzione sono poche e fortemente sovvenzionate con fondi pubblici per mantenere in vita un’attività economica sostenuta da potenti lobby oppure per mettere sotto controllo Paesi in via di sviluppo, oppure per vanagloria di Paesi che si sono arricchiti grazie al petrolio oppure per tenere in piedi o accrescere il potenziale offensivo nucleare militare come nel caso di Pakistan, India, Israele e, sostengono gli USA, anche l’Iran; oppure ancora, ed è il caso della Cina, per acquisire padronanza di un sistema tecnologico che permette loro da una parte di attenuare la dipendenza dai combustibili fossili e dall’altra di proporlo a paesi in via di sviluppo ampliando l’influenza geopolitica; oltre che, naturalmente, per sostenere gli armamenti nucleari.

E mentre sono in costruzione alcune unità, altre intanto vanno in dismissione, perché giunte al limite di età, e altre, dopo il disastro di Fukushima nel 2011, sono fermate per volontà politica, sotto la pressione dell’opinione pubblica, com’è avvenuto in Giappone e in Germania.

Dopo Fukushima i dinosauri del nucleare sembrano rassegnati: le centrali non convengono economicamente, i tempi di costruzione e i costi si dilatano sempre più, l’opinione pubblica è sempre più avversa.

Si dibattono, resistono in tutti i modi, ma la loro esistenza è, nella migliore delle ipotesi, ridotta a una minima percentuale della produzione elettrica mondiale. Fine di un sogno di gloria.

Ecco che un’occasione insperata si affaccia all’orizzonte nel 2015: l’Accordo di Parigi sulla limitazione delle emissioni di CO2. Guarda caso, una centrale nucleare produce copiosamente kWh elettrici senza riversare un solo grammo di CO2 in atmosfera e può pure produrre idrogeno a zero emissioni, l’ideale per continuare la vita di sempre e fermare il riscaldamento globale.

La tecnologia è pronta e matura, e si presterebbe – tecnicamente – anche a entrare in simbiosi con le fonti rinnovabili non programmabili, perché le centrali nucleari possono modificare, sia pure con non grande prontezza, la potenza erogata sulla base della richiesta.

Il problema della poca prontezza si potrebbe risolvere facilmente con opportuni accumuli, ma questo aumenterebbe il costo d’investimento, che è già molto elevato.

Non è tanto questo il limite principale. Il fatto è che l’elevato costo capitale unito al basso costo del combustibile richiede, per una gestione economicamente conveniente, una produzione il più possibile continua alla massima potenza; per questo le centrali nucleari, anche se regolabili, di norma sono fatte funzionare “a tavoletta”, perché più kWh si producono in un anno, meno costa il kWh prodotto, poiché la parte predominate dei costi di produzione è fissa ed è costituita dall’ammortamento del capitale.

Usando una centrale con la funzione di produrre “kWh di soccorso” alle rinnovabili, quando occorrono, c’è il rischio – forse la certezza – che il kWh nucleare finisca per costare più del kWh prodotto dall’accoppiata centrale a metano + Ccs, quella promossa dai dinosauri dell’Oil&Gas.

E una centrale a gas + Ccs si costruisce in un tempo molto minore di quello necessario per costruire una centrale nucleare, che parte da una base di dieci anni e finisce per estendersi oltre. Troppo tempo, perché bisogna ristrutturare il sistema energetico da subito e raggiungere certi obiettivi stringenti entro il 2030.

Con questa tempistica, di là dai costi, l’opzione nucleare non è proponibile.

I dinosauri del nucleare sono testardi, e non si danno per vinti. Anzi tirano fuori dal cilindro una soluzione che ribalterebbe la situazione; gli Smr (Small Modular Reactors, Piccoli Reattori Modulari), che sono reattori di nuova generazione progettati per generare energia elettrica tipicamente fino a 300 MW, i cui componenti e sistemi possono essere prefabbricati e quindi trasportati come moduli ai siti per l’installazione, riducendo notevolmente i costi e i tempi di costruzione.

Per i dinosauri del nucleare gli Smr sono come i velociraptor di Jurassic Park, veloci, astuti, implacabili. Pronti, se è il caso, a misurarsi con i dinosauri dell’Oil&Gas.

Su questa strada si sono avviati con decisione e dovizia di finanziamenti in tanti: da Bill Gates che ha fondato la TerraPower assieme a GE Hitachi Nuclear Energy, con l’obiettivo di commercializzare un piccolo reattore in cui si usa sodio liquido come refrigerante, cioè come fluido che estrae il calore ad alta temperatura dal nocciolo del reattore e lo trasferisce a una caldaia in cui si produce il vapore che aziona le turbine che muovono il generatore di energia elettrica.

Il vantaggio di questa soluzione è che il sodio si può pure adoperare come accumulatore di calore, se una parte di quello che circola è contenuto in un opportuno serbatoio. In questo modo, attraverso l’accumulo, si garantisce la produzione variabile richiesta dalla complementarietà alle fonti rinnovabili non programmabili, lasciando invece che il reattore funzioni sempre a pieno regime, cioè con i costi di produzione minimi. L’obiettivo è di competere con una centrale turbogas + Ccs o con un mega impianto di batterie.

Non c’è solo TerraPower, negli USA. Ha già completato la fase finale dei test di sicurezza anche l’Smr della NuScale, un concorrente, costituito da moduli da 60 MW ciascuno, assemblabili fino a 12. In questo caso si tratta di un più convenzionale reattore ad acqua pressurizzata, quello dei sommergibili nucleari, per intenderci, e si gioca la variabilità della produzione attivando o disattivando via via i singoli moduli, ciascuno dei quali va sempre a piena potenza.

In Europa è entrata in campo la Rolls-Royce, con Smr da 440 MW, un po’ più grandi quindi di quelli americani, con l’obiettivo di rendere realmente raggiungibile l’impegno britannico di essere a emissioni zero nel 2050, ponendosi come obiettivo quello di costruirne 16, coprendo così circa il 20% della domanda di energia elettrica del paese.

Spostandosi ancora verso est incontriamo la Russia, pure molto attiva nel campo degli Smr e anche più avanti degli altri. Già nel 2019 è stato connesso in rete l’Smr galleggiante Akademik Lomonosov da 70 MW. È il primo di una serie che serve ad alimentare nuovi insediamenti produttivi lungo le sconfinate coste della Siberia.

Non resta indietro in questa corsa la Cina, ovviamente, dove è prevista l’inaugurazione di un Smr da 200 MW.

Naturalmente, i problemi irrisolti relativi alla sicurezza (non si capisce perché se sono più piccoli dovrebbero essere più sicuri) e alla collocazione delle scorie rimangono tali e quali.

Anche qui l’idea fondamentale è di metterle sottoterra. Sembra proprio che i dinosauri dell’energia abbiano deciso che il solo modo per essere sostenibili sia quello di sotterrare i loro escrementi, come i gatti.

Per non finire estinti come i dinosauri

Ci si potrebbe chiedere: ma perché mai dovremmo opporci ai dinosauri? In fondo ci propongono soluzioni che convengono a loro, ma vanno nella direzione di stabilizzare il clima.

Per rispondere a questa domanda bisogna fare un esame più attento e distinguere fra i dinosauri dell’Oil&Gas e quelli del nucleare.

Cominciamo con l’esaminare i progetti dei dinosauri dell’Oil&Gas.

La cosa ci riguarda particolarmente da vicino perché uno di questi dinosauri, l’Eni, è di casa nostra, e noi cittadini italiani siamo fra gli azionisti.

Ciò che non va è che la cattura del carbonio sia usata come un cavallo di Troia per mantenere viva la domanda di combustibili fossili e avversare quella che dovrebbe essere l’anima della transizione ecologica: l’integrazione della tecnosfera, cioè la società umana con le sue tecnologie, nella biosfera, per garantire la sopravvivenza dell’umanità nel lungo periodo.

Ciò si può ottenere solo se la tecnosfera impara a mimare il funzionamento della biosfera, che è fatta dall’insieme di diversi tipi di ecosistemi distribuiti sulla superficie terrestre e marina, così come la tecnosfera è fatta da tanti tecnosistemi pure loro distribuiti sulla superficie terrestre.

Ebbene, il funzionamento degli ecosistemi si basa sui cicli: non esiste il rifiuto, tutto è adoperato e riadoperato ciclicamente grazie all’energia fornita dal Sole. Inoltre, nessuna risorsa è usata a una velocità superiore alla sua velocità di rigenerazione.

Non c’è niente che sia estratto indefinitamente e non c’è niente che sia tolto di mezzo definitivamente.

Con un’eccezione irripetibile: la CO2 prelevata dall’atmosfera milioni di anni fa, accumulata sotto forma di biomassa e sprofondata sotto strati di detriti inorganici. È quella biomassa che si è poi trasformata in carbone, petrolio e gas. Ma il processo è stato lentissimo, nell’arco di centinaia di migliaia di anni, e gli ecosistemi hanno avuto il tempo di adattarsi.

Dunque, estrarre fino all’ultima goccia gli idrocarburi e sotterrare, non mettere in ciclo, la CO2 che deriva dalla loro utilizzazione è in contrasto con i principi che hanno permesso agli ecosistemi e alla biosfera tutta di svilupparsi e mantenersi fino a oggi e per questo è un approccio perdente, non in linea con la transizione ecologica; e il peso della sconfitta dovrà caricarselo chi verrà dopo di noi.

Del resto, basti pensare al fatto che i luoghi idonei al contenimento sotterraneo della CO2 in condizioni di relativa sicurezza sono limitati in numero e dimensione e quindi, alla fine – chi dice cento, chi dice 400 anni – non avremo più dove metterla. E allora, cosa faranno i nostri discendenti?

E intanto le riserve di idrocarburi si saranno spremute fino in fondo e, poiché poco sarà stato fatto per mettersi nelle condizioni di dipendere solo dalle fonti rinnovabili e per attuare i princìpi dell’economia circolare, non ci sarà abbastanza energia per sostenere il tecnosistema e l’ecosistema si sarà totalmente degradato, con le facilmente immaginabili conseguenze sociali ed economiche.

Questo è il risultato di non effettuare la transizione ecologica.

Insomma, non si sfugge alle leggi della natura, che poi sono le leggi della fisica. Sono questi i temi su cui dobbiamo giocarci nella la lotta contro i dinosauri dell’energia, spalleggiati da una finanza che ama i grandi progetti, quelli tanto grandi che non possono fallire, per loro, perché tanto – come si è visto ampiamente in passato – alla fine a pagare siamo noi.

Questa volta la posta in gioco è l’umanità intera, e a rimanere travolti non saremo solo noi, ma anche e forse soprattutto, proprio loro, i dinosauri dell’energia, com’è già successo ai loro progenitori simbolici 60 milioni di anni fa, a causa del meteorite. Guarda caso, fra i pochi sopravvissuti in quell’occasione c’erano i nostri progenitori, i primi mammiferi. E questo ci deve dare fiducia.

Il Trattato di non proliferazione

Quali strumenti abbiamo a disposizione per combattere efficacemente i dinosauri dell’energia? Come rendere operativo l’Accordo di Parigi, sistematicamente eluso principalmente a causa della pressione esercitata dai dinosauri dell’Oil&Gas?

La situazione che ci troviamo a fronteggiare, non dimentichiamolo, è di estrema gravità e il pericolo ultimo del cambiamento climatico e del degrado ambientale è la sesta estinzione, ci ripete continuamente la comunità scientifica.

Ma non eravamo pure sull’orlo di un’estinzione di massa quando i due blocchi, quello capitalista e quello comunista si fronteggiavano brandendo centinaia, forse migliaia di ordigni nucleari che avrebbero raso al suolo la superficie terrestre eliminando ogni forma di vita?

E che cosa si fece allora, per scongiurare– o almeno rendere meno probabile – questo evento catastrofico? Si mise in atto un trattato di non proliferazione delle armi nucleari.

Ebbene, quali sono le armi che minacciano oggi la nostra sopravvivenza oltre a quelle nucleari? Non c’è dubbio che siano il gas metano, il petrolio e il carbone, il cui uso è la causa principale del cambiamento climatico. Occorre dunque mettere in atto, com’è stato proposto, un trattato internazionale di non proliferazione delle fonti energetiche fossili.

Procedendo in analogia al trattato di non proliferazione delle armi nucleari, bisogna creare le condizioni per il disarmo, ovvero prevenire la proliferazione di carbone, petrolio e gas ponendo fine immediata a tutte le nuove esplorazioni e produzioni.

I giacimenti di petrolio e gas e le miniere di carbone in corso di sfruttamento contengono già abbastanza carbonio da spingere il mondo ben oltre i limiti di temperatura dell’Accordo di Parigi. L’eliminazione graduale della produzione di combustibili fossili deve iniziare regolando l’approvvigionamento di combustibili fossili, limitando l’estrazione, rimuovendo i sussidi per la produzione.

Proprio come cinquant’anni fa il mondo aveva bisogno di un trattato per disinnescare le minacce rappresentate dalle armi di distruzione di massa, il mondo oggi ha bisogno di un Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili per disinnescare le minacce della sesta estinzione di massa, quella dell’Antropocene.

E anche l’attuale trattato di non proliferazione delle armi nucleari andrebbe aggiornato, mettendo al bando pure il nucleare civile che, a parte i pericoli noti di cui si è detto, costituisce fonte di approvvigionamento di materiale fissile, utile per la costruzione delle armi. E in più la proliferazione di piccoli reattori aumenta esponenzialmente la possibilità di attuazione di atti terroristici con strumenti letali, la portata del cui danno è incontrollabile.

fonte: www.qualenergia.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Clima, Mario Tozzi: "Va fermata subito l'estrazione di idrocarburi con lo stop alle sovvenzioni"

Il geologo: "Il rapporto Ipcc dice che servono azioni serie in poco tempo, ma nessuno le fa"





fonte: www.ansa.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Okavango, 130.000 elefanti africani in pericolo a causa della ricerca di petrolio

La vita di migliaia di elefanti di savana è in pericolo a causa della ricerca di nuovi pozzi di petrolio nell’area del delta dell’Okavango, tra Namibia e Botswana.








Sono decine di migliaia gli elefanti africani (Loxodonta africana) minacciati dalle ricerche per i pozzi esplorativi del giacimento petrolifero scoperto tra Namibia e Botswana, in Africa, di cui avevamo raccontato qui.

L’area della licenza per il giacimento si estende per più di 34mila chilometri quadrati di terreno di cui circa il 70 per cento si trova in Namibia, il resto in Botswana, e comprende parte dell’area vitale del delta dell’Okavango, uno dei più grandi delta interni del mondo. Il territorio è ricchissimo di flora e fauna, tanto che nel 2014 è entrato a far parte dei siti dell’Unesco. Tra le tante specie che abitano l’area – leoni, ippopotami, giraffe, antilopi, aquile – ci sono anche 130mila elefanti di savana che costituiscono la più grande popolazione di elefanti di savana d’Africa. L’elefante di savana, che insieme all’elefante di foresta costituisce una delle due specie di elefante africano, è a rischio d’estinzione. La popolazione di entrambe le specie ha subìto un forte calo dal 2008 a causa di un aumento significativo del bracconaggio che ha raggiunto il picco nel 2011 ma continua, ancora oggi, a minacciare le popolazioni. Il cambio d’uso del suolo costituisce un’altra minaccia significativa. Inoltre, in alcune parti del Botswana, il conflitto tra elefanti e comunità locali è in aumento poiché la perdita di habitat costringe gli animali ad avvicinarsi sempre di più ai raccolti. Secondo i dati dell’International union for conservation of nature, su un periodo di 31 anni, il numero di elefanti di foresta è diminuito di oltre l’86%, mentre quello degli elefanti di savana è diminuito di almeno il 60% negli ultimi 50 anni.


Il delta di Okavango, Botswana. © Chris Jackson/Getty Images
Una minaccia per la più grande popolazione di elefanti di savana d’Africa

La compagnia che sta esplorando l’area per gas e petrolio è ReconAfrica, una società canadese, quotata in borsa in Canada, Stati Uniti e Germania.

“Meno di 450mila elefanti sopravvivono in Africa, rispetto ai milioni di anni fa: 130mila di questi hanno stabilito questa regione come casa, e i piani illegittimi di ReconAfrica li mettono direttamente a rischio”, ha detto al Guardian Rosemary Alles della Global march for rhinos and elephants. E ha aggiunto: “C’è una profonda ironia qui. Abbiamo centinaia di elefanti che muoiono a causa di una fioritura di alghe causata dal cambiamento climatico, e a pochi chilometri di distanza vogliono iniziare a trivellare per ottenere ancora più petrolio”.

Inoltre, sembra che le vibrazioni emesse durante i lavori d’esplorazione petrolifera disturbano notoriamente gli elefanti, e l’aumento dei lavori di costruzione delle strade e il traffico non solo allontanerebbe gli animali, ma aprirebbe anche la zona ai bracconieri.

“Soprattutto quando hanno dei piccoli, evitano le zone dove c’è un’attività umana, dove c’è rumore e ciò che percepiscono come un pericolo. Questo può allontanarli dalle loro antiche rotte migratorie e avvicinarli ai villaggi e alle aree agricole, portando a più conflitti uomo-elefante”. Secondo gli esperti, dunque, il giacimento potrebbe avere effetti devastanti sugli ecosistemi, sulla fauna selvatica e sulle comunità locali.

Il Delta dell’Okavango, poi, è tra le più frequentate destinazioni per quanto riguarda l’eco turismo. Le trivellazioni hanno il potenziale di risultare in perdite ingenti non soltanto da un punto di vista ecologico, ma anche economico – soprattutto per le comunità locali il cui sostentamento si basa anche sulle entrate fornite dall’eco turismo.

Danni alla biodiversità e all’ecosistema

Il governo namibiano ha fatto sapere che i pozzi esplorativi non sono situati in nessuna “area protetta o sensibile dal punto di vista ambientale e non avranno un impatto significativo sulla nostra fauna selvatica”, secondo quanto riportato dal Guardian. Ma gli scienziati, gli ambientalisti e le comunità locali dicono che il progetto potrebbe mettere in pericolo le forniture d’acqua e minacciare l’enorme area incontaminata del delta dell’Okavango in Botswana.

National Geographic ha riferito che la società, tra l’altro, sta smaltendo le acque reflue senza permessi, secondo un ministro del governo: le perforazioni per il primo pozzo di prova sono iniziate a gennaio e i fluidi di scarto vengono immagazzinati in quello che sembra essere uno stagno non rivestito, dove potrebbero essere assorbiti dal terreno e contaminare la fornitura d’acqua.

Lo stop ai fossili e il riscaldamento globale

Il mese scorso l’Agenzia internazionale per l’energia ha pubblicato il rapporto 2021 nel quale delinea la rotta del settore energetico globale per arrivare allo zero netto di emissioni entro il 2050. Dal rapporto non solo è chiaro che gli impegni dei governi sono ben al di sotto di ciò che è necessario per azzerare le emissioni di gas serra del settore energetico entro il 2050 e mantenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 1,5 gradi, ma anche che lo sfruttamento e lo sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas, e più in generale di combustibili fossili, deve fermarsi quest’anno se il mondo vuole rimanere entro i limiti di sicurezza posti dalla comunità scientifica. Non esiste più “la necessità” di nuovi investimenti fossili.

Questo giacimento petrolifero è solo la più recente delle minacce per gli elefanti della regione, centinaia dei quali sono morti misteriosamente nell’ultimo anno. Un gruppo di elefanti morti è stato segnalato per la prima volta nel delta dell’Okavango all’inizio di maggio 2020, con 169 individui morti entro la fine del mese. A metà giugno, il numero era più che raddoppiato, con il 70 per cento delle morti intorno alle pozze d’acqua.

Gli scienziati stanno cercando di trovare la causa delle morti, ma credono che possano essere legate ad una quantità crescente di alghe tossiche, i cianobatteri, comparse nelle pozze d’acqua dove gli animali vanno ad abbeverarsi e a lavarsi. Secondo gli esperti, la loro comparsa sarebbe una conseguenza del riscaldamento globale.

In dosi sufficientemente elevate, i cianobatteri possono uccidere i mammiferi interferendo con la capacità del sistema nervoso di inviare segnali in tutto il corpo. Questo può risultare nella paralisi e nell’insufficienza cardiaca o respiratoria. Molti degli elefanti morti in Botswana sono stati visti camminare in cerchio prima di crollare improvvisamente, ha riferito il Guardian.

In un momento in cui la biodiversità è gravemente minacciata dagli effetti della crisi climatica e dalla perdita di habitat, i governi dovrebbero agire con urgenza per tutelare il più possibile le popolazioni, soprattutto le specie che sono più a rischio e quelle aree che sono cruciali per la loro sopravvivenza, proprio come l’Okavango.

fonte: www.lifegate.it

 

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Ue: Mise,da progetto su batterie investimento per 1 miliardo

 

Al secondo importante progetto di interesse comune europeo (Ipcei) sulle batterie, che ha ottenuto il via libera dalla Commissione europea, l'Italia partecipa con 12 imprese e 2 centri di ricerca per un investimento di oltre 1 miliardo di euro. Lo sottolinea il Mise, in una nota, spiegando che l'obiettivo del progetto è quello di creare una catena del valore sostenibile e innovativa che porterà l'Europa a produrre materie prime, celle, moduli e sistemi di batterie di nuova generazione e che consentirà la riconversione e il riciclaggio delle batterie con metodi innovativi e più efficienti.


In particolare, spiega, l'Italia partecipa al progetto, "su impulso del ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, con ben 12 imprese (Endurance, Enel X, Engitec, Fca Italy, Fiamm, Fluorsid Alkeemia, Fpt Industrial, Green Energy Storage, Italmatch Chemicals, Manz Italia, Midac, Solvay) e 2 centri di ricerca (Enea e Fondazione Bruno Kessler), consolidando il proprio presidio innovativo nel campo delle batterie di nuova generazione grazie agli investimenti programmati attraverso questo grande progetto: l'erogazione di aiuti di Stato per oltre 600 milioni di euro produrrà un investimento totale di oltre 1 miliardo a livello nazionale".

Questo nuovo progetto integrato europeo, "favorendo la transizione dai combustibili fossili verso un'energia più pulita, risponde pienamente all'ambizioso obiettivo fissato dall'Unione europea che mira a trasformare radicalmente il proprio tessuto economico ed industriale, attraverso una transizione verde e digitale che porterà l'Europa alla neutralità climatica nel 2050", conclude il Mise.

fonte: www.ansa.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Ripresa post Covid-19. La Spagna non finanzierà più le fossili

Il disegno di legge prevede di azzerare da subito tutti i nuovi progetti di estrazione di carbone, petrolio e gas e vietare i sussidi alle fonti fossili.














Lo scorso 19 maggio, per mano della vice Presidente e ministro per il Recupero ecologico Teresa Ribera, il governo spagnolo ha presentato al Parlamento un ambizioso disegno di legge sul clima che, una volta approvato, metterà la Spagna sulla strada per raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050 e per produrre elettricità al 100 per cento da fonti rinnovabili. Inoltre azzererà da subito tutti i sussidi alle fonti fossili e vieterà nuovi nuovi progetti di estrazione di carbone, petrolio e gas naturale. Il disegno di legge si inserisce nella linea già dettata dall’Europa con il pacchetto legato all’European green deal e al più recente Recovery plan, ovvero il piano per la ripresa dell’Europa come risposta alla pandemia causata dal coronavirus.

Teresa Ribera (sx) insieme a Carolina Schmidt (c) e Patricia Espinosa (dx) durante la COP25 tenutasi a Madrid lo scorso novembre © Sean Gallup/Getty

Il 21 gennaio scorso il governo spagnolo dichiarava l’emergenza climatica e tra le misure per combattere l’emergenza includeva l’impegno a preparare e presentare il disegno di legge al Parlamento entro i suoi primi 100 giorni di mandato, ma la pandemia COVID-19 lo ha ritardato. “Avremmo voluto presentare questa legge in altre circostanze diverse settimane fa”, ha detto il ministro Teresa Ribera in una nota ufficiale. “Sfortunatamente, è stata presentata al Parlamento in un momento in cui stiamo discutendo su come ricostruire e recuperare il nostro paese da una crisi. La legge sarà utile per guidare questo dibattito e facilitare una ripresa in linea con il Green Deal europeo”.
Quali sono gli obiettivi del Green deal della Spagna

Il testo approvato in queste settimane arriva dopo un lungo percorso iniziato già a fine 2018 e conclusosi a febbraio 2019 con una consultazione pubblica. Arrivare in Parlamento è stato quindi un passo importante in quanto il disegno legge sarà sottoposto al dibattito e agli emendamenti di tutti i partiti politici, per poi diventare legge. L’obiettivo, come spiegato dalla stessa Ribera, è che “la transizione energetica diventi una forza trainante importante per generare attività economica e occupazione a breve termine e in modo coerente con ciò di cui avremo bisogno come paese a medio e lungo termine”.

Per raggiungere le emissioni nette entro metà secolo, il pacchetto prevede della fasi intermedie. Ad esempio ridurre, entro il 2030, le emissioni del 23 per cento rispetto ai livelli del 1990, raddoppiare la percentuale di energia rinnovabile totale al 35-42 per cento, rendere l’elettricità almeno al 70 per cento rinnovabile e ridurre il consumo energetico complessivo di almeno il 35 per cento attraverso l’efficienza energetica e la ristrutturazione di edifici e abitazioni.

Un capitolo a parte rappresenta la mobilità, che dovrebbe ricevere una forte incentivazione a diventare interamente elettrica. Il progetto di legge infatti richiede che tutte le nuove auto siano a zero emissioni entro il 2040. “Questo disegno di legge pone la lotta ai cambiamenti climatici e la transizione energetica al centro dell’azione pubblica”, ha aggiunto il ministro. “È un progetto nazionale che mostra la responsabilità del nostro presente, della nostra salute, della nostra qualità della vita, del nostro modello di prosperità e, soprattutto, del nostro futuro”.

Un impianto fotovoltaico in Spagna ©Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images
La ripresa post Covid-19

La legge dovrebbe generare oltre 200.000 milioni di euro di investimenti entro il 2030 e creare fino a 350.000 nuovi posti di lavoro. Ma secondo Ana Barreira, direttrice dell’International institute for law and the environment (Iidma), come spiega in un editoriale pubblicato su Euroactiv, “il presente progetto di legge prevede la creazione di un comitato per i cambiamenti climatici e l’energia per valutare e formulare raccomandazioni sulle politiche in materia di energia e cambiamenti climatici.Sebbene questo comitato rispecchi il comitato per i cambiamenti climatici del Regno Unito e altri organi consultivi simili che sono stati istituiti in paesi come la Francia e la Svezia, la proposta spagnola non è abbastanza forte”, in quanto “la Spagna è un paese in cui le comunità autonome possiedono molte delle competenze necessarie per attuare la futura legge. Per questo motivo, il progetto di legge avrebbe dovuto includere un quadro di governance rafforzato per la cooperazione e il coordinamento”.

fonte: www.lifegate.it


#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Il Fondo monetario internazionale chiede la fine dei sussidi ai combustibili fossili (VIDEO)



















Durante un meeting virtuale del World Economic Forum (Wef), l’amministratore delegato del Fondo monetario internazionale (FMI), Kristalina Georgieva, ha annunciato la svolta: «Ora è il momento di porre fine ai sussidi per i combustibili fossili e creare un’economia più verde e più equa per il futuro».


La Georgieva lo ha dichiarato in occasione del lancio del “Great Reset”, l’iniziativa globale del Wef per costruire un mondo migliore dopo la pandemia di Covid-19, mettendo così tutto il peso dell’FMI sull’accelerazione del passaggio dai combustibili fossili alla green economy.


La Georgieva ha sottolineato che «ora dobbiamo fare un passo avanti, usare tutta la forza che abbiamo, che nel caso del FMI ammonta a 1 trilione di dollari per garantire che la storia parli di una grande ripresa e non di un grande rovesciamento. Questo significa mettere in atto i giusti investimenti e incentivi e rompere con quelli insostenibili. Sono particolarmente desiderosa di sfruttare i bassi prezzi del petrolio per eliminare i sussidi dannosi».


Il documento “Global Fossil Fuel Subsidies Remain Large: An Update Based on Country-Level Estimates” pubblicato dall’FMI nel 2019 ha stimato sussidi annuali globali per combustibili fossili in 5,2 trilioni di dollari nel 2017, ovvero il 6,5% dell’economia globale, illustrando l’entità della sfida. Secondo il sesto dossier “Stop sussidi alle fonti fossili – Stato dei sussidi e dei finanziamenti diretti e indiretti, al settore Oil&Gas” presentato a fine marzo 2019 da Legambiente, sono invece «circa 18,8 i miliardi di euro che sono arrivati in un anno in Italia al settore delle fonti fossili, tra sussidi diretti e indiretti al consumo o alla produzione di idrocarburi».


Ma i leader che hanno partecipato al meeting Wef hanno convenuto che «questo momento di crisi è anche un momento di opportunità per tracciare un percorso diverso». La Georgieva ha tracciato un parallelo con il modo in cui la Seconda Guerra Mondiale ha portato alla fondazione del Servizio sanitario nazionale nel Regno Unito: «Il miglior memoriale che possiamo costruire per coloro che hanno perso la vita nella pandemia è un mondo più verde, più intelligente e più giusto».


Persino l’amministratore delegato di Bp, Bernard Looney, ha affermato di appoggiato la fine dei sussidi per i combustibili fossili e di «sostenere le politiche di investimento ecologico che le istituzioni, compresa l’Ue, stanno iniziando a mettere in atto. Il portafoglio di energia alternativa di BP comprende energia eolica, solare e biocarburanti. Sappiamo tutti che esiste un bilancio del carbonio. E’ limitato, si sta esaurendo».


Looney ha raccontato di aver parlato con un operaio di una raffineria che lo ha ringraziato per aver avviato la transizione verso le energie rinnovabili, sulla base del fatto che: «Data la scelta, la sceglierei ogni volta per i miei nipoti».


Al Wef sottolineano che «a meno che le cose non cambino, le prospettive per questa generazione sono desolanti. Senza azione, entro la fine del secolo è previsto un riscaldamento catastrofico di oltre 4 gradi, con le attuali politiche che ci mettono in rotta verso i circa 3 gradi di riscaldamento, abbastanza per far finire sott’acqua le principali città, portare a estinzioni di massa e rendere inabitabili ampie parti del mondo».


Usa e Cina sono i maggiori inquinatori del mondo e in Cina, dopo la pausa del blocco per il Covid-19 che ha portato a un calo delle emissioni di CO2 e dello smog, l’inquinamento atmosferico è già tornato ai livelli precedenti. Per questo anche Ma Jun, presidente del China Green Finance Committee, ha sostenuto una grande revisione dell’attuale modello produttivo: «Deve essere più ecologico di qualsiasi altra ripresa precedente» e ha sollecitato che la ripresa post-Covid-19 comprenda «Relazioni e normative più rigorose per le aziende, incentivi al consumo come incentivi per beni ad alta efficienza energetica, sviluppo di infrastrutture verdi e utilizzo di green bond per incanalare gli investimenti».





fonte: http://www.greenreport.it


#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

#FFFPerugia: #Vogliamounalternativa - Venerdi 31 ore 11 a PonteSanGiovanni


A Ponte San Giovanni sono stati registrati livelli di polveri sottili superiori al limite massimo consentito diverse volte dall'inizio del 2020. La qualità percepita dell'aria da parte dei cittadini è, in media, scarsa.
In Umbria sono molteplici le criticità ambientali che la Regione e i Comuni dovrebbero affrontare e una di queste è sicuramente la mobilità e l'uso smodato di combustibile fossile. Siamo la Regione con il più alto rapporto auto-abitanti (722 autovetture ogni 1000 abitanti), auto che nel 99% dei casi sono a carburante. Metano, GPL, diesel, benzina: questo non ci interessa, tutti emettono CO2 e peggiorano la qualità dell'aria, questo è un dato scientifico inconfutabile. Quindi per noi sono tutti da abolire.
E, guarda a caso, i combustibili fossili sono anche la principale causa del cambiamento climatico.
Come se non bastasse, i trasporti pubblici praticamente non esistono. Un servizio di bassa qualità e diffusione.
Certo, non abbiamo nubifragi. Certo, non abbiamo inondazioni. Certo, non abbiamo fenomeni migratori insostenibili. Certo, non dobbiamo ancora indossare una mascherina per respirare.
Ma...siamo proprio sicuri che tutto ciò non succederà mai?
Conviene aspettare che prima o poi succeda anche a noi o vogliamo agire in anticipo e risolvere i problemi prima che diventi troppo tardi?
E' ora di svegliarsi dal sonno eterno, istituzioni e grandi aziende. L'Umbria non è più il cuore verde d'Italia. La stiamo disboscando, la stiamo cementificando, la stiamo inquinando: lentamente la stiamo devastando.
Il problema è che non sempre abbiamo una situazione di emergenza climatica e ambientale realmente percepibile e quindi è come se non ci importasse, perché ancora non è un nostro problema.
Alcuni fenomeni iniziano a intravedersi, vedi Ponte San Giovanni. Ed è per questo che saremo lì.
Noi non vogliamo che a pagare la transizione ecologica siano solo i cittadini: le istituzioni devono impegnarsi ad affrontare economicamente e politicamente la ricerca di alternative e favorire al conversione.
Noi non vogliamo che a pagare le conseguenze dell'inquinamento siano solo i cittadini: le istituzioni, tanto quanto le grandi aziende, devono farsi carico della propria responsabilità nei confronti delle persone e dell'ambiente.
Noi venerdì 31 gennaio dalle 11.00 saremo a Ponte San Giovanni a manifestare contro l'immobilismo delle istituzioni, contro l'immobilismo delle grandi aziende. Contro l'assenza di alternative.
E tu?


Francia: stop alle auto a diesel e benzina entro il 2040
















La Francia ha annunciato l’intenzione di bloccare la vendita di veicoli a benzina e diesel entro il 2040 e di diventare carbon neutral 10 anni dopo. Ed è soltanto una parte degli obiettivi inseriti in un piano ambientale più ampio presentato dal ministro dell’Ecologia Nicolas Hulot.
Sembra quasi che la decisione di Trump di ritirare gli Usa dall’accordo di Parigi abbia spinto gli altri Paesi – ma anche i sindaci di molte città, con in testa quelle americane – a rafforzare il proprio impegno nella lotta ai cambiamenti climatici. 

Incentivi per chi rinuncia alle vecchie auto
Per i nuclei familiari meno abbienti, il piano francese prevede incentivi per liberarsi delle vecchie auto, quelle che inquinano maggiormente, ed acquistare modelli più avanzati. Sicuramente si tratterà dei veicoli sfornati dalle case automobilistiche prima del 1997 e di quelli a diesel a partire dal 2001. Ma il ministro non ha precisato l’ammontare di questo bonus.

Stop alla vendita di auto inquinanti entro il 2040
Allo stesso tempo, la Francia vuole evitare che i cittadini continuino ad acquistare veicoli inquinanti, per questo è stato pensato uno stop alla vendita di auto a benzina o gasolio entro il 2040. Nel breve periodo, Hulot conferma la promessa del presidente Macron in campagna elettorale: far convergere la tassazione su benzina e diesel verso la fine del quinquennio.

La Francia vuole la leadership
Non si tratta di una deduzione dei cronisti, è lo stesso Hulot ad affermare che
una delle azioni simbolo del piano è che la Francia ha deciso di diventare carbon neutral al 2050 a seguito della decisione degli Usa. Vogliamo dimostrare che la lotta ai cambiamenti climatici si può tradurre in un miglioramento delle condizioni di vita dei francesi”.
Di fatto, l’annuncio di un piano ambientale incisivo arriva anche dopo quanto dichiarato dalla Volvo: stop alla produzione di auto non elettriche entro il 2019.
Mobilità sostenibile: le case automobilistiche cavalcano il cambiamento
Il piano francese contro i cambiamenti climatici
Il piano comprende 6 macroaree e 23 assi e sarà strutturato sui prossimi 5 anni. Hulot lo ha presentato come simbolo della voglia della Francia di voler arrivare prima degli altri ad imprimere la propria leadership su una questione tanto rilevante. Il piano prevede, oltre a quanto specificato sul fronte della vendita delle auto inquinanti:
  • Efficienza energetica degli edifici: smantellamento in 10 anni degli edifici che consumano troppo, quelli che vengono definiti “colabrodo”, e contrasto alla precarietà energetica offrendo ai francesi anche la possibilità di una diagnosi a tariffa agevolata nel caso sussistano problemi economici;
  • Stop alle fossili: la Francia vuole diventare carbon neutral ponendosi come obiettivo una cattura delle emissioni che sia pari a quelle prodotte;
  • Blocco dei permessi di esplorazione: petrolio e gas naturale avranno vita dura già dal prossimo autunno, quando non saranno più rilasciati permessi ulteriori alle società delle fossili;
  • Un prezzo per l’inquinamento: Hulot vuole dare un prezzo alla tonnellata di carbone, offrendo invece vantaggi alla produzione verde;
  • Meno nucleare: l’atomo occuperà il 50% nel mix energetico entro il 2025, questo implica che alcuni reattori saranno spenti secondo criteri di sicurezza, sociali ed economici che al momento non sono stati chiariti;
  • L’accordo di Parigi sarà irreversibile: il ministro vuole creare un panel di cittadini in modo che la società civile possa dare continua ispirazione al mondo della politica, tutto questo per far sì che l’accordo di Parigi non sia tradito e, anzi, diventi una guida concreta per la nazione.
fonte: https://www.greenme.it