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Il Fondo monetario internazionale chiede la fine dei sussidi ai combustibili fossili (VIDEO)



















Durante un meeting virtuale del World Economic Forum (Wef), l’amministratore delegato del Fondo monetario internazionale (FMI), Kristalina Georgieva, ha annunciato la svolta: «Ora è il momento di porre fine ai sussidi per i combustibili fossili e creare un’economia più verde e più equa per il futuro».


La Georgieva lo ha dichiarato in occasione del lancio del “Great Reset”, l’iniziativa globale del Wef per costruire un mondo migliore dopo la pandemia di Covid-19, mettendo così tutto il peso dell’FMI sull’accelerazione del passaggio dai combustibili fossili alla green economy.


La Georgieva ha sottolineato che «ora dobbiamo fare un passo avanti, usare tutta la forza che abbiamo, che nel caso del FMI ammonta a 1 trilione di dollari per garantire che la storia parli di una grande ripresa e non di un grande rovesciamento. Questo significa mettere in atto i giusti investimenti e incentivi e rompere con quelli insostenibili. Sono particolarmente desiderosa di sfruttare i bassi prezzi del petrolio per eliminare i sussidi dannosi».


Il documento “Global Fossil Fuel Subsidies Remain Large: An Update Based on Country-Level Estimates” pubblicato dall’FMI nel 2019 ha stimato sussidi annuali globali per combustibili fossili in 5,2 trilioni di dollari nel 2017, ovvero il 6,5% dell’economia globale, illustrando l’entità della sfida. Secondo il sesto dossier “Stop sussidi alle fonti fossili – Stato dei sussidi e dei finanziamenti diretti e indiretti, al settore Oil&Gas” presentato a fine marzo 2019 da Legambiente, sono invece «circa 18,8 i miliardi di euro che sono arrivati in un anno in Italia al settore delle fonti fossili, tra sussidi diretti e indiretti al consumo o alla produzione di idrocarburi».


Ma i leader che hanno partecipato al meeting Wef hanno convenuto che «questo momento di crisi è anche un momento di opportunità per tracciare un percorso diverso». La Georgieva ha tracciato un parallelo con il modo in cui la Seconda Guerra Mondiale ha portato alla fondazione del Servizio sanitario nazionale nel Regno Unito: «Il miglior memoriale che possiamo costruire per coloro che hanno perso la vita nella pandemia è un mondo più verde, più intelligente e più giusto».


Persino l’amministratore delegato di Bp, Bernard Looney, ha affermato di appoggiato la fine dei sussidi per i combustibili fossili e di «sostenere le politiche di investimento ecologico che le istituzioni, compresa l’Ue, stanno iniziando a mettere in atto. Il portafoglio di energia alternativa di BP comprende energia eolica, solare e biocarburanti. Sappiamo tutti che esiste un bilancio del carbonio. E’ limitato, si sta esaurendo».


Looney ha raccontato di aver parlato con un operaio di una raffineria che lo ha ringraziato per aver avviato la transizione verso le energie rinnovabili, sulla base del fatto che: «Data la scelta, la sceglierei ogni volta per i miei nipoti».


Al Wef sottolineano che «a meno che le cose non cambino, le prospettive per questa generazione sono desolanti. Senza azione, entro la fine del secolo è previsto un riscaldamento catastrofico di oltre 4 gradi, con le attuali politiche che ci mettono in rotta verso i circa 3 gradi di riscaldamento, abbastanza per far finire sott’acqua le principali città, portare a estinzioni di massa e rendere inabitabili ampie parti del mondo».


Usa e Cina sono i maggiori inquinatori del mondo e in Cina, dopo la pausa del blocco per il Covid-19 che ha portato a un calo delle emissioni di CO2 e dello smog, l’inquinamento atmosferico è già tornato ai livelli precedenti. Per questo anche Ma Jun, presidente del China Green Finance Committee, ha sostenuto una grande revisione dell’attuale modello produttivo: «Deve essere più ecologico di qualsiasi altra ripresa precedente» e ha sollecitato che la ripresa post-Covid-19 comprenda «Relazioni e normative più rigorose per le aziende, incentivi al consumo come incentivi per beni ad alta efficienza energetica, sviluppo di infrastrutture verdi e utilizzo di green bond per incanalare gli investimenti».





fonte: http://www.greenreport.it


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Energia e clima, senza una carbon tax globale non si va da nessuna parte

Il Fondo monetario internazionale ribadisce che è necessario definire una politica fiscale per tassare la CO2, altrimenti gli obiettivi climatici rimarranno fuori portata.















Non si può fare a meno di una carbon tax globale per ridurre le emissioni inquinanti.
La proposta di tassare la CO2 in modo uniforme in tutto il mondo è tornata alla ribalta nell’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionaleFiscal Monitor 2019 (allegato in basso), interamente dedicato agli strumenti fiscali volti a combattere il cambiamento climatico.
Tra le varie “armi” necessarie per diminuire le emissioni di gas a effetto serra, si legge nel documento, quelle più efficaci e potenti sono le tasse sul carbonio applicate ai combustibili fossili in proporzione al loro contenuto di CO2 (carbon content), perché spingono chi produce e utilizza l’energia a investire in tecnologie più pulite e a ridurre i consumi energetici complessivi.
A patto però che il costo della CO2 sia abbastanza elevato.
Secondo il Fondo monetario internazionale, per rimanere in linea con l’obiettivo fissato dagli accordi di Parigi – limitare sotto 2 gradi il surriscaldamento terrestre – si dovrebbe varare subito una carbon tax mondiale portandola rapidamente a 75 dollari per tonnellata di CO2 nel 2030.
Di recente, alcuni economisti hanno proposto una cura shock con una carbon tax da almeno 100 $/tonnellatavedi qui lo studio della National Academy of Science americana.
Altri esperti di finanza, invece, sono convinti che già una tassazione intorno a 40 $/tCO2 sarebbe molto difficile (per non dire impossibile) da attuare a livello internazionale perché andrebbe a sovvertire gli equilibri geopolitici e sociali.
Il rovescio della medaglia, tornando alle stime del Fondo monetario internazionale, è che in dieci anni si assisterebbe un aumento notevole dei prezzi medi dell’energia per i paesi del G20: ad esempio, +43% per l’elettricità e +13% per la benzina.
Più in dettaglio, con una tassa di 75 $/tCO2 in Italia il prezzo medio del gas naturale salirebbe del 50% al 2030 e quello dell’elettricità del 18%, mentre la benzina avrebbe un incremento più contenuto (+9%).
D’altronde, lo scopo di una carbon tax è proprio questo: rendere poco conveniente l’impiego di fonti energetiche con elevato contenuto di CO2 e favorire il passaggio alle alternative più “verdi”.
Un punto fondamentale, quindi, raccomanda il Fondo monetario internazionale, è reinvestire i ricavi delle tasse sul carbonio – che potrebbero arrivare fino all’1,5% del Pil per i paesi del G20 – in misure per alleviare i disagi dei soggetti più immediatamente colpiti da una rivoluzione fiscale di così vasta portata (famiglie a basso reddito, pendolari, lavoratori delle industrie minerarie, eccetera).
In altre parole: è indispensabile collegare una carbon tax globale con una serie di politiche per tutelare le fasce più deboli della popolazione e del tessuto industriale dalla crescita dei costi energetici, attraverso una redistribuzione del gettito fiscale aggiuntivo – sotto forma di riduzione delle bollette ad esempio – oppure con un contemporaneo taglio di altre tasse.
Inoltre, si dovranno destinare più risorse agli investimenti in fonti rinnovabili, efficienza energetica, riqualificazione edilizia, trasporti elettrici e così via.
Anche un sistema per lo scambio delle quote di emissione, come l’ETS europeo (Emissions Trading Scheme) potrebbe funzionare con efficacia, si legge poi nel rapporto del Fondo monetario internazionale, ma solo se applicato a tutti i settori economici e con un prezzo sufficientemente alto della CO2.
Cosa che invece non è avvenuta negli anni passati sull’ETS europeo, a causa di un surplus invenduto/inutilizzato di quote che ha fatto crollare il costo della tonnellata di CO2 sul mercato.
Tra gli altri sistemi di carbon pricing citati dallo studio, ci sono quelli basati su schemi “feebates” (fees and rebates), cioè premi e penalità (tasse e sconti) sui prodotti energetici in base al loro livello di emissioni inquinanti, sopra/sotto una certa soglia “base” di riferimento.
fonte: www.qualenergia.it