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IsdeUmbria: Lettera Aperta al Ministro della Transizione Ecologica ROBERTO CINGOLANI



Gentile ministro sono un medico di famiglia (in pensione) nonno e medico per l’ambiente ISDE-Italia. Abito e vivo a Gubbio dove ci sono (a 10 km uno dall’altro e a morsa rispetto al nostro territorio) due grossi cementifici che, oltre ai combustibili già in uso: Carbone e Olio da petrolio e dal 2002 anche il Petcok, hanno richiesto l’autorizzazione per bruciare anche CSS (100.000 t/a).

Stanno arrivando voci che nel DECRETO SEMPLIFICAZIONI, il CSS (definito CSS-combustibile) sarà messo nella posizione stabile di combustibile (green?). Lei è un fisico non posso certo ricordare a Lei, la legge di conservazione della massa, ma riporto la definizione data dallo stesso Ministero dell’ambiente attraverso l’ing Mininni (8 luglio 2020) in una trasmissione della TV locale di proprietà di uno dei due cementieri, Trg: https://www.youtube.com/watch?v=WAmEv91ZukQ&t=187s]

Giornalista: «C H E C O S’ È I L C S S C O M B U S T I B I L E ? P E R C H É E S I S T E U N C S S C O M B U S T I B I L E, U N C S S R I F I U T O E D U N C D R ; Q U A L È LA D I F F E R E N Z A ? »

R i s p o s ta i n g G. MININNI: «Il CSS-COMBUSTIBILE è un materiale che può essere ‘‘RIFIUTO-NON RIFIUTO’’ a seconda dei casi; … certamente viene prodotto dai rifiuti. …nei processi di recupero dei rifiuti, … Non è più un rifiuto ma diventa un materiale di recupero da rifiuti, … perde la sua inziale qualifica di rifiuto…”. Credo che qualsiasi persona sensata leggendo questa definizione, alla domanda cosa sia il CSS, risponda che è un materiale fatto di rifiuti!

La mia domanda è: si può trasformare per legge la pirite perchè gialla come l’oro, nell’oro stesso? Cosa che invece successe al petcok nel 2002, che da rifiuto TOSSICO-NOCIVO fu trasformato in combustibile! Stessa cosa nel 1998 per i rifiuti con un altro decreto; Ronchi trasformò i rifiuti in CDR (combustibile da rifiuti), poi sempre per decreto, Clini lo trasformò ancora, in CSS.

TUTTO PER LEGGE come se le legge può trasformare le caratteristiche fisiche e merceologiche di una sostanza in ben altro e che il solo cambiamento di nome ne decretasse implicitamente l’innocuità.

Da medico sottopongo alla sua attenzione questa immagine. Che potrà ulteriormente, spero, far comprendere la preoccupazione di chi vive, lavora e genera figli in territori dove ci sono INDUSTRIE INSALUBRI di classe 1.

Registro Tumori Umbro di Popolazione dati pubblicati nel 2009 e nel 2018




La prego da medico e da cittadino di una zona che ha già sulle spalle (sommando gli anni di attività) 110 ANNI DI PRODUZIONE CEMENTIFERA, affinchè Lei metta in atto davvero una transizione che salvaguardi l’AMBIENTE e con esso il bene più prezioso: la SALUTE.

Gubbio 5 maggio 2021


Giovanni Vantaggi (Gubbio - Pg)

gvantaggoi@gmail.com 3389358091


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No ai rifiuti bruciati nei cementifici: a Bruxelles le ragioni dei cittadini

Il Parlamento europeo riceverà oggi un rappresentante dei comitati che da tempo si battono per l'abrograzione del cosiddetto decreto “Clini” che consente di utilizzare combustibili ricavati dall'incenerimento di alcuni rifiuti per alimentare le industrie, soprattutto cementifici.


















Forse il vento sta cambiando. Dopo aver superato il vaglio dell’Ufficio Petizioni del Parlamento Europeo, a Dicembre 2017, la Petizione predisposta dal Comitato La Nostra Aria e da Rete Rifiuti Zero Lombardia è stata pubblicata sul portale Europeo delle petizioni, riconoscendo così la fondatezza delle questioni sollevate. Oggi 18 Giugno un rappresentante del Comitato “La nostra aria” sarà ricevuto a Bruxelles e spiegherà in quella sede le ragioni dei cittadinifirmatari la petizione, di fronte ai Deputati Parlamento Europeo.


Cementifici trasformati in inceneritori. Cosa dice il “decreto Clini

Con il Decreto Ministeriale 14 Febbraio 2013 n.22, c.d. Decreto “Clini”, il governo eleva al rango di combustibili alcuni rifiuti che hanno subito particolari trattamenti e controlli.

Questa normativa si basa sul concetto di End Of Waste che implica però il rispetto di un’ importantissima clausola determinante per la classificazione del rifiuto: si stabilisce che un rifiuto cessa di essere tale (End of Waste) ….se “l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà ad impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”; ciò significa che nel ciclo di “utilizzo” dei rifiuti gli impianti che li utilizzano come combustibili, non devono produrre un aumento delle emissioni o di ceneri residue, cosa che invece sembra si sia verificata in impianti che lo hanno utilizzato.

Così facendo è stato creato un vero e proprio “commercio” di tali materiali (che dal punto di vista pratico sono sempre rifiuti), liberamente gestiti nell’ambito di logiche commerciali della compravendita e divenendo quindi motivo di ingenti guadagni per chi li tratta a tutto danno per la salute pubblica e in totale spregio del concetto di recupero e riutilizzo della materia e della tutela della salute dei cittadini!

Cosa chiede la Petizione?

La Petizione chiede al Parlamento Europeo di:

- intervenire con le opportune azioni affinché si arrivi all’abrogazione del Decreto “Clini” in quanto in palese contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti e loro utilizzo. Si vuole così eliminare l’anomalia che permette ai cementifici di bruciare rifiuti nel ciclo di produzione del cemento “spacciandoli” per “normali combustibili”, con l’effetto di incrementare in modo drammatico le emissioni nocive nell’atmosfera.
- Verificare se negli impianti italiani, in particolare i cementifici che adottano i rifiuti CSS (Combustibili Solidi Secondari), vi sia stata violazione della normativa europea in essere in materia di incenerimento e coincenerimento.


La giornata di oggi a Bruxelles, scrivono i comitati promotori della petizione, “sarà l’occasione per ribadire di fronte all’Europa il nostro ‘no’ alla classificazione del CSS come combustibile! No al CSS nei cementifici! Per un sì convinto al diritto alla salute delle comunità e al rispetto dell’ambiente”.


fonte: http://www.italiachecambia.org/


Salute, allarme per i cementifici trasformati in inceneritori

Scritto dall’ex ministro Clini e potenziato dal Governo Renzi, un decreto su misura trasforma questi impianti in inceneritori. Con pericoli seri per la salute. Come dimostrano gli studi dell’Arpa e i casi in Lombardia e Puglia

Salute, allarme per i cementifici trasformati in inceneritori 

Una rivoluzione tra le ciminiere dei 69 impianti italiani. Una rivoluzione che fa la gioia del settore. Anche i cementifici possono bruciare i rifiuti. Dove nascono i sacchi indispensabili al ciclo del cemento si usano i forni per altri scopi.

La decisione è stata prima scritta dal Governo Monti e poi confermata e potenziata dal premier Renzi quando nell’estate del 2014 spiegava la sua idea di futuro e ripresa economica con il decreto Sblocca Italia:«Non ho paura di sognare un’Italia che, se cambia, diventa “smart”. Vogliamo liberare interventi fermi da 40 anni».

Dietro allo storytelling del rottamatore c’è un’accelerata per bruciare di più ma con meno regole: fino al 2013 la quota era minima, ma per evitare la costruzione di nuovi impianti di incenerimento ecco la soluzione low-cost e veloce. Con pesanti ricadute sull’aria, l’ambiente e la salute pubblica.

Come dimostra un’analisi di Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Piemonte, pubblicata poche settimane fa. Sono stati studiati gli effetti per gli abitanti che vivono vicino ad uno storico inceneritore, quello di Vercelli.

Lo studio mostra un aumento della mortalità generale del 20 per cento nei residenti e un aumento di patologie invalidanti come il tumore del colon retto del 400 per cento, e ancora tumore del polmone (più 180 cento), cardiopatia ischemica-infarto (più 90 per cento), enfisema e bronchite cronica (più 50 per cento).

In questo caso sotto osservazione è finito un inceneritore, concepito allo scopo di bruciare rifiuti, dotato di filtri e sistemi di abbattimento degli inquinanti, ma quali risultati si avrebbero se lo studio fosse applicato a un cementificio, costruito con un’altra mission e trasformato in un forno per la distruzione dell’immondizia?

A portare questi dubbi in Parlamento ci ha pensato Alberto Zolezzi, medico pneumologo ed eletto alla Camera per il Movimento cinque stelle: «Assistiamo ad una deregulation totale: un cementificio che vuole bruciare non chiede nessun permesso speciale, basta l’ok del Comune e si inizia. Con effetti devastanti, le emissioni di diossine e metalli pesanti sono quindici volte più alte rispetto agli impianti tradizionali. Il motivo è chiaro: sono stati progettati e costruiti 50 anni fa con tutt’altro scopo».

Se in Europa la tendenza è smantellare e potenziare la raccolta differenziata, il nostro Paese ha deciso da fare eccezione. A febbraio 2014  con il governo Letta agli sgoccioli viene approvato il cosiddetto decreto Clini (dal nome dell’ex ministro dell’ambiente finito a processo con l’accusa di corruzione ) che consente di svolgere, pur utilizzando un combustile ritenuto meno inquinante, lo stesso sporco lavoro degli inceneritori: bruciare i rifiuti.

Sette mesi dopo entra in vigore lo “Sblocca Italia”, 13 provvedimenti governativi per far ripartire edilizia e grandi opere con lo scopo di spingere la ripresa economica.

Nel decreto si parla anche di immondizia: addio al vecchio federalismo ambientale (ogni regione deve essere auto-sufficiente, dotandosi degli impianti necessari e aumentando la differenziata) in nome di una ritrovata “solidarietà” nazionale, che consente di portare i rifiuti della Campania in Trentino trasformandoli da problema a risorsa.

Lo scenario cambia in maniera radicale. E la preoccupazione di maggiori emissioni sale soprattutto al Nord. Nella mappa dei 69 centri di produzione, un terzo sono concentrati in Pianura Padana:  6 in Veneto, 5 in Lombarda, 5 in Piemonte, 4 in Emilia Romagna, 3 in Friuli Venezia Giulia, uno in Trentino Alto Adige. Impianti che vanno ad aggiungersi agli inceneritori. Anche in questo caso sono le regioni settentrionali a detenere il record assoluto con 25 siti contro i cinque del centro-sud con la possibilità di salire di altri dodici nei prossimi anni.

LA TERRA DEI FUOCHI IN LOMBARDIA

Tra le province di Milano, Lecco e Bergamo, c’è un triangolo delle emissioni dove si trovano cinque impianti per ridurre in cenere i rifiuti e produrre materia prima per l’edilizia nel raggio di appena trenta chilometri. Una concentrazione senza eguali, che fa di quest’area, dove vivono oltre due milioni di persone, una delle zone più inquinate in Europa.

Una terra dei fuochi in salsa lombarda dove è nato un comitato (Rete Rifiuti Zero Lombardia, La Nostra Aria e Aria Pulita) che chiede di bloccare l'autorizzazione di Italcementi per salire da 30.000 alle future 110.000 tonnellate all’anno per il polo di Calusco D’Adda, comune a metà strada tra Monza e Bergamo.

Dibattiti pubblici, gruppi di studio con l'associazione “Medici per l'ambiente” e 10 mila firme raccolte e consegnate alla Regione Lombardia e alla Provincia di Bergamo non hanno però avuto alcun risultato.
«Bruceranno anche fanghi di depurazione, pneumatici e derivati da imballaggi, oltre ai rifiuti già classificati» spiega allarmato il Comitato zero rifiuti.

Se la società civile si è organizzata, tutti i comuni hanno invece accettato – con le eccezioni di Paderno d'Adda (Lecco) e Solza (Bergamo) – la proposta di Italcementi: compensazioni ambientali sotto forma di opere pubbliche in cambio del via libera all'aumento della quantità da bruciare. Con una postilla: le amministrazioni locali «rinunciano irrevocabilmente ed incondizionatamente ad ogni pretesa, richiesta, ragione o azione».

In ballo dieci nuove “casette dell'acqua” e soprattutto la promessa di un nuovo scalo per togliere i tir dalle intasate strade provinciali e portare i convogli dei rifiuti grazie alla ferrovia. Dopo tre anni però le rotaie sono sparite dal progetto e ritornate nei cassetti.

«Sono decisamente mutate le condizioni di riferimento», spiega Italcementi a “l’Espresso”: «È stato detto con trasparenza che l’impegno per la realizzazione dello scalo non è più commisurato ai benefici attesi».
Niente scalo, rimane solo la promessa di ridurre ancora di più le emissioni.

Ma intanto i sindaci che hanno firmato l’accordo faticano a spiegare ai loro cittadini che arriveranno altri disagi. E delle rotaie promesse nessun sindaco vuole parlare. È solo il presidente del Parco Adda Nord, Agostino Agostinelli, che non retrocede: «La ferrovia deve essere fatta, perché sarebbe il simbolo di un accordo rispettato».

DISASTRO AMBIENTALE NEL CORTILE DI CASA

Non è solo un problema lombardo. In Puglia la Procura non ha dubbi: a Barletta (capoluogo della provincia di Barletta-Andria-Trani) si sono spinti oltre e la cementeria locale ha smaltito rifiuti speciali oltre i limiti imposti. Nessuna remora e rispetto per chi vive a duecento metri dalle ciminiere.

Mesi di indagini con diciotto indagati che dovranno rispondere di reati di cooperazione in disastro ambientale colposo, falso e abuso d'ufficio. Al centro del ciclone i rappresentanti legali della cementeria “Buzzi Unicem” di Casale Monferrato in provincia di Alessandria a cui fa capo la filiale di Barletta, di “Dalena Ecologia” di Putignano, “Trasmar” di Barletta e “Corgom” di Corato più sei componenti del comitato provinciale che hanno rilasciato la Valutazione d'impatto ambientale (l’autorizzazione necessaria che certifica il rispetto delle norme) e due dirigenti del settore Ambiente della Regione Puglia e cinque tecnici dell'Arpa, l’agenzia regionale incaricata dei controlli.

Secondo quanto è emerso dalle indagini della Guardia di finanza, la cementeria avrebbe ottenuto i permessi «sul falso presupposto del possesso di un'autorizzazione a incenerire 20mila tonnellate l'anno di rifiuti pericolosi costituiti da oli minerali» si legge nell’ordinanza.

Non trattandosi di un impianto di incenerimento inizialmente creato ad hoc, ma appunto di una cementeria, ha poi ottenuto una nuova autorizzazione, sostituendo la dicitura di rifiuto “pericoloso” con quella di “speciale”, con una potenzialità che saliva da 140 a 178 tonnellate al giorno. Proprio questa nuova attività di incenerimento dei rifiuti avrebbe provocato la «diffusione areo-dispersa di sostanze oltre i limiti di legge esponendo la popolazione della città di Barletta al rischio di inalazione di fattori inquinanti dannosi alla salute».  

fonte: http://espresso.repubblica.it/