Visualizzazione post con etichetta #FedericoValerio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #FedericoValerio. Mostra tutti i post

Federico Valerio: Corso di ECOnomia e ECOlogia domestica

























Fresco di "stampa elettronica" è in rete il  "Corso di ECOnomia e ECOlogia domestica che raccoglie numerosi post inseriti nel mio Blog: “Scienziato Preoccupato”.

Il Blog fornisce ai miei quattro lettori strumenti e informazioni utili per comprendere le cause dei rapidi cambiamenti del nostro vivere sociale e per affrontare e risolvere i vari problemi che questi cambiamenti possono produrre.

In particolare, il Manuale ha l’obiettivo primario di aiutarvi a ridurre le bollette energetiche della vostra abitazione ma, contemporaneamente, vi permetterà di diminuire il peso della vostra “impronta ecologica” sull’intero pianeta.

Consumando meno elettricità e metano ridurrete anche la quantità di inquinanti che queste attività producono, a partire dalla produzione delle materie prime, fino al loro utilizzo finale e al loro smaltimento e riciclo.

In questo modo ridurrete i rischi prodotti dall’inquinamento per la vostra e altrui salute.

Quando, anche grazie ai consigli di questo manuale, riuscirete a riscaldare e rinfrescare la vostra casa con un minor uso di energia fossile, darete anche il vostro personale contributo alla riduzione dell’emissione di gas serra e quindi al riscaldamento globale del Pianeta.
Buona lettura e datemi notizie sui vostri risultati

federico.valerio@fastwebnet.it
Federico Valerio 


http://www.federico-valerio.it/


Bio-polimeri amici dell'ambiente?



Ma le bioplastiche sono davvero amiche dell'ambiente?

Per avere una risposta corretta bisognerebbe riscoprire la "merceologia", una antica materia che si insegnava negli istituti tecnici e raccontava le storie delle cose: come si fanno gli oggetti e i prodotti che consumiamo giornalmente.
Le bio plastiche nascono a partire da grandi molecole sintetizzate dalle piante: amido, cellulosa, legno, zuccheri... Queste materie prime, a loro volta sono estratte da piante quali mais, grano, riso, patate, soia, canna da zucchero che devono essere opportunamente coltivate.
Il vantaggio delle bioplastiche, rispetto alle plastiche convenzionali è che la materia prima, prodotta grazie alla sintesi clorofilliana delle piante, è rinnovabile e biodegradabile.
Come si sa, non è così con i polimeri (le plastiche) prodotti a partire da derivati del petrolio, una risorsa che si avvia all'esaurimento e in gran parte non biodegradabili.
Pertanto l'anidride carbonica che si libera durante il compostaggio delle bioplastiche, giunte alla fine del loro cilo di vita utile restituisce all'atmosfera l'anidride carbonica che le piante hanno assorbito dell'atmosfera e, grazie all'energia solare, trasformato in amidi, cellulosa, zuccheri.

E questo è il punto debole delle bioplastiche, in quanto con le attuali scelte produttive, si pongono in. concorrenza con la produzione di cibo e richiedono, comunque, l'uso di fonti di energia non rinnovabili.
Un altro punto di debolezza delle bioplastiche è che, al momento, gli oggetti fatti con questi materiali non sono riciclabili, non possono essere recuperati per diventare nuovi oggetti, come è possibile fare con tutte le plastiche "fossili".
Una volta che lo shopper di bioplastica usato per la spesa è vuotato, se è grande abbastanza e sufficientemente robusto può essere usato per la raccolta differenziata dell'umido e quindi avviato al compostaggio o alla digestione anaerobica per essere trasformato in metano e compost. Poi occorre coltivare nuovo mais , grano, soia... per poter produrre un nuovo sacchetto biodegradabile.
Anche la biodegradabilità merita un chiarimento. I biosacchetti si compostano completamente dopo alcune decine di giorni di trattamento solo in impianti industriali per il compostaggio e la digestione anaerobica di scarti biodegradabili.
Tuttavia, in compostiere domestiche la degradazione è estremamente lenta, tanto da sconsigliarne l'uso e ovviamente è molto probabile che la dispersione nell'ambiente delle bio-plastiche possa creare problemi di inquinamento non molto diversi da quelli prodotti dall'abbandono di plastiche convenzionali.
L'immagine che segue è la sequenza fotografica della degradazione di una bottiglia di Acido Polilattico ( PLA) prodotta a partir da zucchero.





La stessa bottiglia per degradare completamente  richiede 50 giorni di compostaggio a 65°C e 95% di umidità in un impianto di compostaggio industriale, in un impianto di compostaggio domestico a 40°C ci vogliono 120 giorni.

Se messo sotto terra o in acqua, per la completa biodegradazione ci vogliono rispettivamente 24 e 48 mesi!
I tempi di degradazione di polimeri di sintesi sono estremamente più lunghi,  ma dovrebbe essere evidente come sia opportuno evitare qualunque dispersione nell'ambiente di polimeri, qualunque sia la sua composizione.
Oggi l'impatto ambientale derivante dalla produzione ed uso dei bio-polimeri non desta particolare attenzione, ma occorre mettere a confronto l'attuale produzione mondiale di bio-polimeri (960.000 tonnellate nel 2017)  con i 200 milioni di tonnellate all'anno di plastiche derivanti dal petrolio prodotti in tutto il mondo.
Certamente non ci sono dubbi che l'uso di biopolimeri, al posto di polimeri di sintesi, riduca la perdita di risorse non rinnovabili e comporti un minore emissione di gas serra, ma chi vince se si mettono a confronto gli impatti ambientali dalla "culla alla tomba" di uno shopper di polietilene riciclato dopo l'uso, con un sacchetto di Mater B  delle stesse dimensioni che, una volta usato è avviato al compostaggio?
Questo confronto è stato realizzato da due ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Chimica dell'Università di Roma  che hanno usato le consolidate procedure di Analisi del Ciclo di Vita (LCA) per mettere a confronto gli impatti derivanti dalla produzione, uso e trattamento finale di due diversi tipi di sacchetto per la spesa.
Sorprendentemente il sacchetto di Polietilene, grazie al suo riciclo, che permette il risparmio di risorse non rinnovabili e al minor impatto nella fase di produzione della materia prima ( la coltivazione di mais per la produzione di amido) ha prestazioni migliori del sacchetto di Mater B con riferimento all'impatto sulla salute umana, la qualità degli ecosistemi e l'uso di risorse.
Per correttezza bisogna osservare che per il sacchetto in Mater B non è stato valutato l'evitato impatto che si può avere se questo sacchetto è usato per la raccolta dell'umido che potrebbe fargli guadagnare qualche punto a favore dell'impatto delle risorse.

Confronto LCA " dalla culla alla tomba" tra uno shopper in Mater B compostato (giallo)
  e uno shopper in polietilene riciclato (blu). Più alto il valore, maggiore l'impatto.

In conclusione, una valutazione più attenta dei processi produttivi, dovrebbe suggerire una maggiore prudenza nella sostituzione di polimeri di sintesi con biopolimeri, senza valutazioni critiche sulle modalità di produzione ed uso.
Certamente bisogna prepararsi per un futuro tutt'altro che remoto in cui non saranno più disponibili risorse fossili a costi accettabili e la possibilità di produrre polimeri da fonti rinnovabili è certamente una grande opportunità.
Ma è altrettanto importante prendere subito fatto che questa sceltadovrà accompagnarsi a preferire come materie prime biomasse di scarto di altre lavorazioni in modo da evitare di mettere il concorrenza la produzione di cibo con la produzione di plastiche.
E' infine indubbio, se qualcosa abbiamo imparato, che anche per i Bio-polimeri non è sostenibile una scelta finalizzata a produzioni "usa e getta "o ad oggetti non durevoli quali i sacchetti per la spesa o per pesare l'ortofrutta nei negozi della grande distribuzione.
Questi oggetti possono essere facilmente sostituiti con una bella borsa per la spesa  ( meglio se fatta con polimero di sintesi di cui si sfrutta la partita indistruttibilità) e per la pesata con sacchetti a rete su cui l'etichetta è facilmente toglibile e che sono anch'essi riutilizzabili molte volte.
Da tempo, in Svizzera fanno così.

 
Federico Valerio

fonte: http://federico-valerio.blogspot.it






Vecchio stupidario per nuovi inceneritori: il traffico inquina di più


Mettiamo noi le centraline!

E' ormai un classico.

Ogni volta che si vuole imporre un inceneritore, c'è il personaggio di turno che racconta che "non c'è da preoccuparsi, l'inceneritore inquina meno di qualche macchina".

Nel tempo, a sostenere questa schiocchezza, si sono succeduti il presidente Berlusconi, il sindaco di Genova Pericu, il presidente Commissione Ambiente Realacci...

Oggi, per far digerire l'impianto che dovrebbe trattare  198.000 tonnellate  l'anno, nella Piana di Firenze, a pronunciare questa schiocchezza, almeno da quanto riportato sui giornali, sono la prof.ssa Loredana Musumeci, direttore del dipartimento Ambiente dell'Istituto Superiore di Sanità- "Impianti come questo inquinano meno del traffico"- e la società Quadrifoglio che gestisce i rifiuti fiorentini -"Quando siamo fermi ai semafori ne respiriamo molta di più"- con riferimento alle diossine.

E evidente che tutti questi personaggi non si sono letti i numerosi documenti su questo tema che ho pubblicato in rete fin dal lontano 2004 ma, evidentemente, non si sono neanche presi la briga di verificare quante diossine emette l'attuale parco veicolare italiano, consultabile nel sito SINANET di Ispra Ambiente.

Nel 2014, in media, per ogni chilometro percorso lungo il nostro Paese, una  vettura a benzina  ha emesso 0,00467 nanogrammi di diossine; più inquinanti le solite vetture diesel: 0,01690 nanogrammi di diossine per chilometro.

Le statistiche fiorentine ci dicono che il 90% delle vetture immatricolate in questa città percorre meno di 60 chilometri al giorno.

Pertanto una autovettura diesel che, girando per Firenze e dintorni, percorre 50 chilometri, rilascia lungo le strade percorse  0,845 nanogrammi di "diossine".

L'inceneritore della Piana Fiorentina, al meglio delle sue prestazioni (concentrazione di diossine nei fumi a metà del valore autorizzato) emetterà giornalmente sulla Piana, 204.000 nanogrammi di diossine.

Pertanto l'emissione giornaliera di diossine dell'inceneritore corrisponde alle emissioni giornaliere di diossine da parte di 241.420 autovetture diesel in giro per la stessa Piana.

Per capire cosa significano questi numeri e quanto sia stupido confrontare l'inquinamento prodotto dal traffico con quello di un inceneritore è il caso di ricordare che nel 2009 tutte le autovetture circolanti a Firenze (diesel e a benzina) erano 205.543.

Quindi, se mai l'inceneritore nella Piana  si farà, i fiorentini oltre all'inquinamento da traffico subiranno anche l'inquinamento di questo impianto assolutamente evitabile.

Non mi sembrano scelte lungimiranti. 


Compostaggio domestico in città: l'esempio di Genova. Intervista a Federico Valerio

In vista della conferenza 'La città e il compost' in programma a Torino il 19 aprile, Eco dalle Città ha intervistato Federico Valerio, protagonista insieme ad Italia Nostra dell'esperienza genovese sul compostaggio domestico
Immagine: Compostaggio domestico in città: l'esempio di Genova. Intervista a Federico Valerio
“Autorizzare anche in contesti senza orto e giardino il compostaggio domestico. Puntare sulla formazione dei cittadini piuttosto che sulla distribuzione delle compostiere”. Questi sono alcuni degli ingredienti che hanno portato al successo dell’esperienza genovese di compostaggio domestico. A raccontarla ad Eco dalle Città è il protagonista, Federico Valerio, autore del manuale Corso di compostaggio domestico in campagna e in città edito da Italia Nostra.
Tutto ebbe inizio circa dieci anni fa. All’epoca, nel capoluogo ligure, era quasi pronto il contratto per far partire un nuovo inceneritore. Ma un movimento popolare bloccò il progetto. “In quella occasione - racconta Federico Valerio - mi chiesi cosa potevo fare. Navigando in rete, scoprii che a San Francisco facevano il compostaggio domestico. La novità mi incuriosì e partirono le mie prime sperimentazioni. La tecnica funzionava e, viste le esperienze già maturate con Italia Nostra in tema di educazione ambientale, proposi al Museo di Storia Naturale di Genova di tenere un corso di compostaggio domestico rivolto agli adulti”. I risultati furono sorprendenti fin dall'esordio. “L’Aula Magna del museo, 120 posti a sedere, era completamente piena. Ed altrettante persone erano in attesa”. Da quel momento iniziò l’avventura.
Il progetto crebbe fino ad allargarsi a livello regionale. “Vennero formati dei ragazzi. Furono realizzate dimostrazioni presso i centri di educazione ambientale regionali. Insegnammo a migliaia di allievi le tecniche per il compostaggio domestico” ha spiegato Valerio. L'iniziativa fu anche accompagnata da un’indagine che aggiunse elementi interessanti: alla domanda “quale spazio avete a disposizione?”, la maggior parte degli allievi rispose “balconi o terrazzi”. Da qui l’idea del compostaggio domestico a livello urbano. Anche a Genova, dove gli orti sono una rarità.
Senza anticipare troppo del caso genovese, che sarà approfondito in occasione della conferenza del 19 aprile a Torino, Federico Valerio ci tiene a sottolineare le potenzialità e i risultati già conseguiti nel capoluogo ligure: “Il percorso intrapreso ha portato al riconoscimento da parte del Comune di uno sconto sulla Tari per i cittadini che fanno compostaggio domestico (praticato anche su balcone o davanzale). Nel giro di pochi mesi siamo arrivati a 3.800 famiglie che hanno chiesto la riduzione. Ma sono certo che sono molte di più i cittadini che praticano il compostaggio senza aver richiesto lo sconto”.
Un elemento che tuttavia vale la pena sottolineare sono state le “resistenze”, poi superate. “Il riconoscimento da parte del Comune non è stato immediato - ha spiegato Valerio - C’era il timore dei possibili odori. Prima della delibera, l’amministrazione ha infatti chiesto una verifica: una decina di famiglie da me formate sono state monitorate per sei mesi. Alla fine è stato verificato che non ci sono stati problemi di cattivi odori”. Da qui il semaforo verde per lo sconto Tari.
E per il futuro? L’amministrazione sembra intenzionata a continuare sulla strada dello riduzione della tariffa. A maggior ragione, ora che la città non può più portare l’organico in discarica a Scarpino. E qui si inserisce la proposta di Federico Valerio: “Insieme alla raccolta dell’organico su tutta la città, ho lanciato l’idea di estendere in modo massiccio il compostaggio domestico a Genova. Le potenzialità sono grandi: in Italia quante sono le famiglie dedite al giardinaggio in modo non occasionale?” Non serve per forza avere i campi, bastano una decina di piante in casa o sul balcone. “I dati parlano del 20-25% di famiglie che praticano giardinaggio in modo non occasionale. Numeri importanti per una città di 600 mila abitanti. Stimando - ha concluso Valerio - sarebbero 160 mila, i genovesi, che dopo aver fatto il corso, potrebbero sottrarre una quantità importante di frazione organica dal circuito di raccolta e smaltimento”.

fonte: http://www.ecodallecitta.it/