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Per l’agro-fotovoltaico un potenziale enorme in Europa. L’Italia sarà della partita?

La stima è di oltre 700 GW fattibili su appena l'1% dei terreni coltivabili. Un documento di SolarPower Europe.












Bisogna fare molto più fotovoltaico anche sui terreni agricoli, per raggiungere gli obiettivi del PNIEC (il Piano nazionale per l’energia e il clima al 2030).

Il dibattito su quanta potenza FV installare e dove in Italia non si è mai spento e la questione si ripropone con forza con con il flop del fotovoltaico nelle procedure d’asta del decreto Fer-1, dovuto anche al divieto di fare FV incentivato su aree agricole.

Anche se la conversione in legge del decreto Semplificazioni ha ammorbidito il divieto, sancendo la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici incentivati almeno su ex cave e discariche, anche se aree classificate come agricole, la partita resta ancora tutta da giocare, come si è visto.

E tra i possibili sviluppi del fotovoltaico sui terreni agricoli, secondo un documento appena pubblicato da SolarPower Europe (SPE), c’è l’agro-fotovoltaico, agricultural photovoltaic (Agri-PV).

Il potenziale tecnico degli impianti Agri-PV in Europa, si legge nello studio, è amplissimo: si parla di oltre 700 GW se si sviluppassero progetti di questo tipo su appena l’1% dei suoli arabili europei.

La stessa Enea ha proposto di utilizzare una parte dei finanziamenti del Recovery Fund per realizzare un parco “agri-voltaico”, con cui testare le possibili integrazioni virtuose tra attività agricole e produzione energetica. Ad esempio, i possibili abbinamenti tra colture e tecnologie FV per ottimizzare il rendimento sia dei terreni che dei pannelli solari.

Intanto in Sardegna ci sono in ballo due progetti recentemente proposti da Progetika, per complessivi 60 MW di agro-fotovoltaico.

Anche la tecnologia sta cercando soluzioni per le nuove frontiere del fotovoltaico in agricoltura, con moduli bifacciali, strutture verticali per il montaggio dei pannelli, inseguitori monoassiali.

I vantaggi di abbinare agricoltura e fotovoltaico sono numerosi, come dimostrano diverse ricerche condotte negli Stati Uniti e in Germania.

In particolare, SolarPower Europe parla di “sinergie” tra colture agricole e pannelli fotovoltaici, che si possono tradurre in:
riduzione dei consumi idrici grazie all’ombreggiamento dei moduli;
minore degradazione dei suoli e conseguente miglioramento delle rese agricole;
risoluzione del “conflitto” tra differenti usi dei terreni (per coltivare o per produrre energia);
possibilità di far pascolare il bestiame e far circolare i trattori sotto le fila di pannelli o tra le fila di pannelli, secondo le modalità di installazione con strutture orizzontali o verticali, avendo cura di mantanere un’adeguata distanza tra le fila e un’adeguata altezza dal livello del suolo.

Per promuovere gli investimenti nel settore, SolarPower Europe suggerisce di definire schemi di supporto per gli impianti agro-fotovoltaici, ad esempio tramite aste dedicate – gli incentivi devono essere superiori a quelli concessi agli impianti FV standard, perché il fotovoltaico agricolo è sicuramente più costoso – prestiti agevolati agli agricoltori, obiettivi specifici per questa tecnologia nei piani nazionali al 2030, fissazione di criteri di qualità con cui valutare i progetti che concorrono agli incentivi.

fonte: https://www.qualenergia.it

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EM: Ottenuto brevetto Bonifca Terreni



Buongiorno cari amici degli EM, condividiamo con Voi questo grande successo! Che i microrganismi fossero efficaci per la bonifica dei terreni (e non solo...) da sostanze inquinanti quali PCB, diossine, metalli pesanti (e non solo...) lo avevamo già verificato praticamente, con la bonifica di un terreno inquinato nei pressi della famigerata area ex-Caffaro nel bresciano.

Bene, quei risultati hanno portato all'ottenimento di un brevetto, che sancisce l'efficacia del nostro metodo di bonifica dei terreni inquinati!

Eccone l'attestato appena ricevuto!

Ora non ci resta... che continuare il nostro lavoro... grazie agli EM, ma con un riconoscimento in più!


fonte: http://www.italiaem.it



Onu, ripristinare l’ecosistema degradato conviene (anche) all’economia

Il recupero di 350 milioni di ettari di terreni degradati tra oggi e il 2030 potrebbe generare 9.000 miliardi di dollari e liberare l'atmosfera di ulteriori 13-26 gigaton di gas serra




















Senza che ce ne accorgiamo l’ecosistema – anzi, gli ecosistemi che vanno a comporre il variegato e magnifico mondo naturale – ci offre ogni giorno “servizi” indispensabili alla vita: la purificazione dell’aria e dell’acqua, il cibo e la difesa dai cambiamenti climatici, ad esempio. La natura lo fa gratuitamente, ma potrebbe presto chiederci il conto: secondo il Wwf il valore economico di questi servizi ecosistemici – una stima che rende giustizia soltanto in parte, perché in ballo è la vita – può essere «valutato intorno a 125.000 miliardi di dollari, una cifra superiore al prodotto globale lordo dei paesi di tutto il mondo, che si aggira sugli 80.000 miliardi di dollari». Un valore che il genere umano erode anno dopo anno facendo avanzare inquinamento, perdita di biodiversità e cambiamenti climatici.
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha appena dichiarato il periodo 2021-2030 come Decennio dell’Onu per il ripristino dell’ecosistema spiega chiaramente qual è la posta in gioco: il degrado degli ecosistemi terrestri e marini mina le condizioni di vita di 3,2 miliardi di persone e costa circa il 10% del prodotto lordo globale annuo in termini di perdita di servizi per specie ed ecosistemi. Da questa consapevolezza nasce il Decennio dell’Onu, che mira a potenziare in modo rilevante il ripristino degli ecosistemi degradati o distrutti come misura per combattere le crisi climatiche e migliorare la sicurezza alimentare, l’approvvigionamento idrico e la biodiversità.
«Il degrado dei nostri ecosistemi ha avuto un impatto devastante sia sulle persone che sull’ambiente – ricorda Joyce Msuya, direttore esecutivo del Programma ambientale delle Nazioni Unite – Siamo entusiasti del fatto che lo slancio per ripristinare il nostro ambiente naturale abbia guadagnato terreno, perché la natura è la nostra migliore scommessa per affrontare il cambiamento climatico e garantire il futuro». Come sottolineano dalla Fao (l’Organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, con sede a Roma), ad oggi circa il 20% della superficie vegetata del pianeta mostra un calo della produttività con perdite di fertilità legate all’erosione, all’impoverimento delle risorse e all’inquinamento in tutte le parti del mondo, ed entro il 2050 il degrado e il cambiamento climatico potrebbero ridurre i raccolti del 10% a livello globale e in alcune regioni fino al 50%. Per questo il ripristino dell’ecosistema è fondamentale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, e in primis quelli relativi ai cambiamenti climatici o all’eliminazione della povertà: lavorare per quest’obiettivo significa attivare un processo per invertire il degrado di paesaggi, laghi e oceani, rendendo loro possibile riprendere la propria funzionalità ecologica. «In altre parole, per migliorare la produttività e la capacità degli ecosistemi di soddisfare i bisogni della società – argomentano dalla Fao – Ciò può essere fatto consentendo la rigenerazione naturale degli ecosistemi sovra-sfruttati, ad esempio, o piantando alberi e altre piante».
Il Decennio accelererà dunque gli attuali obiettivi di ripristino globale, ad esempio la Bonn Challenge, che mira a ripristinare 350 milioni di ettari di ecosistemi degradati entro il 2030, un’area quasi delle dimensioni dell’India. Al momento 57 paesi, governi subnazionali e organizzazioni private si sono impegnate a restaurare oltre 170 milioni di ettari, e la posta in palio per il traguardo finale è altissima: il recupero di 350 milioni di ettari di terreni degradati tra oggi e il 2030 potrebbe infatti «generare 9.000 miliardi di dollari in servizi eco-sistemici e liberare l’atmosfera di ulteriori 13-26 gigaton di gas serra».
fonte: www.greenreport.it

Terre Colte: adotta un terreno per combattere l’abbandono!

Recuperare le terre abbandonate e incolte dai privati, avvicinando le persone alla terra e incentivando l'autoproduzione. Nasce in Sardegna con questo obiettivo Terre Colte, associazione che ha ideato un sistema replicabile ovunque per combattere l'abbandono dei terreni.

Adottare un terreno o una parte di esso, al fine di coltivare un orto o il grano da cui ricavare farina, da condividere insieme ad altre famiglie. Così come un campo dove poter seminare il grano Cappelli, in maniera tale da ricavarne la farina. Questi e altri i progetti dell’Associazione Terre Colte, che in Sardegna hanno ideato un sistema replicabile ovunque per combattere l’abbandono dei terreni e far tornare le famiglie alla terra.




















“Noi dobbiamo essere una famiglia, dobbiamo essere vicini a chi vive in situazioni di stress quotidiano, vogliamo essere un diversivo e una terapia”. Questo e molto altro è l’associazione Terre Colte, un’associazione di promozione sociale e culturale nata nel luglio 2014 allo scopo di di recuperare terreni incolti e abbandonati da privati e contadini dai quali non riescono a trarne un giusto profitto, incentivando le persone all’autoproduzione del cibo senza l’uso di pesticidi e sostanze chimiche, grazie all’agricoltura sinergica.
L’Associazione opera nell’area di Senorbì, nella provincia di Cagliari, anticamente nota come il “granaio di Roma”. Prima della nascita dell’Associazione, coloro che ne diventeranno poi i soci fondatori avevano tentato un primo progetto di recupero di un terreno abbandonato di 3000 metri quadrati: il terreno fu trasformato in un orto periurbano condiviso, e in poco tempo più della metà dei quaranta lotti a disposizione erano stati occupati. “A partire da questi primi successi, abbiamo capito che era arrivato il momento di fondare una vera e propria associazione” ci racconta Silvio Melis, tra i soci fondatori dell’esperienza “Oggi gli associati sono novecentocinquantasei che usufruiscono di tutti i progetti e i laboratori dell’Associazione, abbiamo sei sedi operative e almeno una quarantina di famiglie occupano i nostri spazi nei progetto Orti Condivisi”.


Il Mulino ed i responsabili di Terre Colte
Il Mulino ed i responsabili di Terre Colte
Il Progetto Orti Condivisi

Come già accennato, il primo progetto per raggiungere lo scopo del recupero delle terre abbandonate è stato quello di “Orti Condivisi”: Terre Colte mette a disposizione per un anno cinquanta metri quadrati di terra a chi vive in città o in appartamento ed ha voglia di farsi un orto, passando qualche ora in campagna per riprendersi dallo stress. La famiglia che decide di avventurarsi a coltivare il suo pezzo di terra ha a disposizione da Terre Colte l’acqua, gli attrezzi e l’assistenza (sia con un primo laboratorio introduttivo di agricoltura naturale che  durante i lavori) la sorveglianza e l’assicurazione.

La singola famiglia o persona che prende direttamente in gestione l’area pagherà meno di un euro al giorno la sua parte di terra, dedicandosi direttamente alla lavorazione del suo spazio, decidendo personalmente come impostare l’appezzamento e cosa coltivarci in base alle proprie esigenze. Se una persona per vari motivi deve assentarsi per lungo tempo, saranno direttamente i membri di Terre Colte ad assisterla nell’irrigazione.

I soci di Terre Colte















I soci di Terre Colte
Dagli orti ci spostiamo ai campi di grano e al secondo progetto dell’Associazione Terre Colte che sta riscuotendo un successo importante: quello della “Farina del tuo Sacco”. Su quattro ettari di terreno abbandonato, viene seminato il grano Cappelli, una varietà di grano antico in passato comunemente coltivato nel sud Italia. Questo terreno viene poi suddiviso in quote tra i partecipanti; la quota massima è di mille metri quadrati, fino ad un metro quadrato per ciascuno. Una divisione pensata in base alle esigenze personali delle famiglie e dei partecipanti: chi adotta il campo di grano ha poi diritto al quantitativo di quei metri che il terreno ha prodotto. Facendo una stima di mille metri quadrati di terreno, si potranno ottenere centoventi chili di grano oppure il prodotto finale, una farina bio e a chilometri zero.
“Chi adotta un campo di grano nel progetto “Farina del tuo sacco” segue tutto il monitoraggio della crescita di quel chicco di grano” ci spiega Silvio Melis  “sono previste visite guidate dalla semina alla crescita della spiga per poi arrivare alla mietitura e alla lavorazione finale della farina. Per questo il nome “Farina del tuo Sacco”: i nostri associati, con il proprio sacchetto, sono invitati anche a prendersi direttamente la farina una volta che viene macinata”. Il progetto, dopo una prima fase di raccolta fondi andata a buon fine, ambisce oggi a realizzare uno scopo più strategico: chiudere la filiera, acquistando dei semplici ma fondamentali macchinari che permettano ai prodotti locali di arrivare già raffinati al consumatore, come ad esempio un micro mulino a pietra per trasformare il grano in farina.
Gli obiettivi futuri
Ad oggi Terre Colte è arrivata ad avere 956 associati che usufruiscono di tutti i progetti e i laboratori dell’Associazione. Il sogno e l’obiettivo futuro ce lo illustra Silvio: “vorremmo arrivare al punto di recuperare i vigneti, gli oliveti e i frutteti incolti, facendo in modo che queste colture vengano date in adozione alle famiglie che possano così condividere dei momenti insieme, durante e dopo la lavorazione. Io proprietario di un terreno, piuttosto che abbandonarlo, potrei organizzare all’interno un laboratorio su come si coltiva e gestisce l’appezzamento, vivendo la mia azienda da un altro punto di vista che sia anche divulgativo.

Oltre a questo, vorremmo creare una sorta di rete di orti condivisi che rispettino le caratteristiche originarie dell’esperienza: la disponibilità del proprietario a mettere a disposizione i suoi spazi con chi non ne ha e ad accettare la presenza periodica di alcuni noi membri di Terre Colte per le attività di manutenzione e controllo. Perché noi dobbiamo essere una famiglia, dobbiamo essere vicini a chi vive in situazioni di stress quotidiano, vogliamo essere un diversivo e una terapia. La terra è nel nostro DNA, ben prima della città come la viviamo oggi, c’erano terre che venivano coltivate. Noi ce l’abbiamo dentro e il ritorno alla terra sarà fondamentale per il nostro benessere psicofisico”.



fonte: http://www.italiachecambia.org/