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Energia: ENEA lancia la prima rete nazionale per l’agrivoltaico sostenibile

 










Una rete italiana aperta a imprese, istituzioni, università e associazioni di categoria per promuovere l’agrivoltaico sostenibile, che consente di produrre energia elettrica da fotovoltaico e, al tempo stesso, di coltivare i terreni. È l’iniziativa coordinata dall’ENEA cui hanno già manifestato il sostegno: l’Associazione Italiana Architettura del Paesaggio (AIAPP), Confagricoltura, Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali (CONAF), Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica), Italiasolare, Legambiente, REM Tec, Società Italiana di Agronomia (SIA) e Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

L’obiettivo del network è di arrivare alla definizione di un quadro metodologico e normativo, di linee guida per la progettazione e valutazione degli impianti, di strumenti di supporto ai decisori e di contribuire alla diffusione di conoscenze e promuovere le eccellenze italiane nei settori delle nuove tecnologie per l’energia rinnovabile, dell’agricoltura e del paesaggio[1].

A livello operativo, ENEA ha costituito un'apposita task force multidisciplinare nell’ambito di due dipartimenti – “Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili” e “Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali” - con la possibilità di utilizzare laboratori, infrastrutture e professionalità pluriennali nei settori delle tecnologie green e dell’agroindustria.

L’iniziativa si inserisce nel più ampio contesto della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, che per lo sviluppo dell’agrivoltaico prevede investimenti per 1,1 miliardi di euro, una capacità produttiva di 2,43 GW, con benefici in termini di riduzione delle emissioni di gas serra (circa 1,5 milioni di tonnellate di CO2) e dei costi di approvvigionamento energetico.



Inoltre, lo sviluppo dell’agrivoltaico potrebbe contribuire a superare alcune delle criticità che oggi ostacolano la crescita del fotovoltaico. “La specificità dei contesti urbani italiani e il limitato potenziale di integrazione del fotovoltaico negli edifici, ma anche le incertezze legate al cambiamento di uso del suolo e alla trasformazione del paesaggio bloccano le autorizzazioni”, rimarca Ezio Terzini, responsabile divisione ENEA di Fotovoltaico e Smart Devices. “I sistemi agrivoltaici possono quindi rappresentare una valida risposta e per incoraggiarne la diffusione è necessario sviluppare soluzioni tecnologiche innovative e criteri di progettazione e valutazione delle prestazioni degli impianti”, aggiunge.

Secondo uno studio ENEA-Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, pubblicato sulla rivista scientifica Applied Energy, le prestazioni economiche[2] e ambientali[3] degli impianti agrivoltaici sono simili a quelli degli impianti fotovoltaici a terra, soprattutto se si utilizzano tensostrutture per limitare l’impiego di acciaio e cemento: il costo dell’energia elettrica prodotta risulta essere di circa 9 centesimi di euro per kWh, mentre le emissioni di gas serra ammontano a circa 20 g di CO2eq per megajoule di elettricità. “Ma i valori aggiunti sono rilevanti, in quanto alcune tipologie di installazioni agrivoltaiche (es. pannelli a 5 m di altezza, ricorso a tensostrutture) incidono in misura relativamente limitata sul consumo di suolo rispetto agli impianti a terra e, in specifiche condizioni ambientali (es. stress idrici), possono permettere di conseguire un aumento della resa di alcune colture in quanto l’ombra generata dagli impianti agrivoltaici, se ben calibrata, riduce la temperatura del suolo, e il fabbisogno idrico delle colture. In specifici contesti, l’agrivoltaico può contribuire ad aumentare la resilienza del settore agroalimentare rispetto agli impatti del cambiamento climatico e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030”, spiega Alessandro Agostini, ricercatore ENEA della Divisione Produzione, Storage e Utilizzo dell’Energia, e tra gli autori dello studio.

Secondo il World Energy Outlook 2020 dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), il fotovoltaico rappresenta la fonte di elettricità più economica e pertanto la sua diffusione risulta cruciale nell’ambito degli obiettivi energetici europei e del Piano Nazionale Energia e Clima, che al 2030 prevede un incremento della produzione elettrica da fotovoltaico da circa 24 TWh/anno a 73 TWh/anno e dell’ulteriore incremento previsto nell’ambito del Piano “Next Generation Italia”.

“Il sistema agroalimentare deve affrontare i temi della decarbonizzazione, della sostenibilità e della competitività e, in questo contesto, l’agrivoltaico può rappresentare una nuova opportunità per gli agricoltori tramite modelli win-win che esaltino le sinergie tra produzione agricola e generazione di energia”, commenta Massimo Iannetta, responsabile della Divisone ENEA di Biotecnologie e Agroindustria. “Il settore, inoltre, può contribuire a rafforzare il tessuto produttivo agricolo attraverso l'approccio Nexus che guarda alla stretta interdipendenza tra produzione di cibo, energia e acqua, allargando la visione ad un altro fattore cruciale, il suolo, con le sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche che vanno salvaguardate”, aggiunge.

“L’agrivoltaico è un settore dalle caratteristiche uniche in grado di combinare energia, nuove tecnologie, agricoltura e conservazione del paesaggio anche a tutela delle comunità locali e delle loro attività, con benefici in termini di sostenibilità ambientale, economica e sociale”, sottolinea Alessandra Scognamiglio, ricercatrice ENEA del Laboratorio Dispositivi innovativi presso il Centro ricerche di Portici e coordinatrice della task force AgrivoltaicoSostenibile@ENEA. “Riteniamo che non esista un solo agrivoltaico, ma diverse soluzioni da declinare secondo le specifiche caratteristiche dei siti oggetto di intervento: la sfida è trasformare una questione tecnica in una questione di cultura complessa, con un approccio transdisciplinare supportato dai risultati della ricerca sulle migliori combinazioni colture/sistemi fotovoltaici”, aggiunge. Occorre infatti valutare i potenziali impatti dell’agrivoltaico sotto diversi punti di vista, includendo i servizi ecosistemici associati ai sistemi agrari integrati con la produzione di energia e gli impatti ambientali e paesaggistici associati a tutto il ciclo di vita delle infrastrutture associate a questi impianti. Su questi temi è fondamentale il ruolo della ricerca scientifica a supporto delle decisioni politiche, rispetto allo sviluppo economico associato all’industria delle energie rinnovabili. “Il rischio è che una diffusione decontestualizzata di questi impianti porti di fatto a un cambio di destinazione d’uso di terreni agricoli, dal momento che la produzione di energia oggi permette redditi ben superiori alle coltivazioni, in quanto nella valutazione economica non vengono contabilizzati servizi ecosistemici, inclusi la qualità del paesaggio e del suolo, di cui la società beneficia senza che questi siano remunerati ai produttori”, dichiara Michele Perniola, presidente della Società Italiana di Agronomia.

Dopo la presentazione nell’ambito della 29th European Biomass Conference & Exhibition (EUBCE), in collaborazione con ETA-Florence Renewable Energies, la rete nazionale dell’agrivoltaico sostenibile farà il suo esordio in Europa l’11 maggio dalle 11:35 alle 12:20 nel contesto del SolarPower Summit 2021, l’evento annuale di SolarPower Europe, con oltre 2000 partecipanti tra rappresentanti di istituzioni, associazioni, aziende e policy maker del settore energetico europeo, in programma dal 10 al 12 maggio 2021.

Luogo di confronto sulle varie iniziative nazionali, la rete è dotata di una piattaforma web aperta al più ampio coinvolgimento dei diversi attori interessati con diverse modalità, tra cui la partecipazione al comitato scientifico o al comitato consultivo, lo sviluppo di dimostratori, lo scambio di informazioni su casi studio reali o su nuovi risultati scientifici.

fonte: www.enea.it


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Fotovoltaico e agricoltura: la fantasia al potere non funziona, meglio fatti e dati

Le dichiarazioni sul FV del ministro dell'Agricoltura Patuanelli sono scoraggianti. Solare e coltivazioni devono e possono convivere, come mostrano vari esempi.




Nel 1968 molti auspicavano che la fantasia andasse al potere. Fra gli slogan di maggiore successo ce n’era uno che diceva: “La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà!”.

A mezzo secolo di distanza, la fantasia di populismi vari non ha distrutto il potere, lo ha anzi rivestito, sotto diversi colori e in diversi paesi, e a seppellirci rischia di essere non una risata, ma le fantasie stesse di chi fa scarso ricorso ai fatti, alla scienza e ai dati, da cui devono scaturire le azioni necessarie per attenuare i mutamenti climatici.

È un po’ questa la situazione in cui si trova l’Italia in questa fase, con un neo-ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, ex ministro dello Sviluppo economico, apparentemente incline a dare più peso alle suggestioni ideologiche che non alle evidenze empiriche e scientifiche.

Patuanelli si è infatti recentemente detto sostanzialmente contrario alla convivenza di agricoltura e fotovoltaico.

“Credo che si debba abbandonare il percorso del fotovoltaico a terra che incide troppo sulla produzione agricola”, ha detto durante un recente convegno organizzato da Legambiente.

“Attraverso il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, ndr), si stanno studiando soluzioni per gli impianti fotovoltaici sospesi, al di sotto dei quali è possibile coltivare alcune colture che traggano anche beneficio dall’ombra portata dagli impianti. Ma è una tecnologia ancora molto onerosa e che bisogna sviluppare”, ha aggiunto.

Tale orientamento di Patuanelli è in contraddizione con la necessità di rafforzare il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), recentemente sottolineata anche dallo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, come raccontato in un precedente articolo.

Il contributo che l’agricoltura come settore può dare da questo punto di vista è legato “all’istituzione delle coperture e alla realizzazione di impianti fotovoltaici sulle coperture degli stabilimenti che ci sono”, e dunque non a terra, ha detto l’ex titolare del MiSE.

Tale visione non trova giustificazione né nella realtà produttiva ed economica, né nei principi teorici e tecnici che presiedono al dispiegamento del fotovoltaico in agricoltura e sui terreni agricoli.

Tanto per fare un paio di esempi, in Francia, una serra fotovoltaica ha prodotto contestualmente 3,1 GWh di energia e 4 tonnellate per ettaro di asparagi. Si tratta di una serra solare costruita dallo sviluppatore francese Tenergie nel 2017, nel sud del paese, con una potenza installata di 2,1 MW.

“Quattro anni dopo la messa in funzione di questa serra di 33.000 m², il nostro feedback è positivo, con una resa di quattro tonnellate/ettaro per questo primo anno di coltivazione di asparagi verdi della Provenza, dopo un periodo di coltivazione diversificata, tra cui zucchine, rape, [e] patate dolci durante i primi tre anni e una produzione di 3,1 GWh di elettricità verde, che è l’equivalente del consumo di 700 famiglie, escluso il riscaldamento”, ha scritto in una relazione la società, secondo cui, nel 2022, la resa agricola dovrebbe aumentare a nove tonnellate per ettaro.

Tra i vantaggi di questo concetto di serra, l’installazione di moduli fotovoltaici permette di ridurre l’ombra proiettata sul terreno (36% contro 52% per una serra tradizionale).

La luce viene sfruttata meglio grazie all’uso di policarbonato filtrante e diffondente, migliorando così l’uniformità della luce sul terreno. La ventilazione basata su un sistema di apertura del tetto, accoppiato a un’apertura motorizzata su tutto il lato, controllata in base al clima interno e alle condizioni meteorologiche esterne, permettono un controllo accurato del clima.

Tornando in Italia, l’azienda energetica tedesca Steag vuole costruire tre impianti fotovoltaici per un totale di 244 MW in diversi uliveti della Puglia. Si tratta di progetti agrovoltaici non incentivati che mirano a vendere elettricità attraverso accordi privati di compravendita, i cosiddetti “Power purchase agreement” (PPA). La distanza tra i filari dell’uliveto e l’impianto fotovoltaico è stata concepita sia per evitare l’ombra che per consentire il passaggio dei macchinari necessari per la coltivazione degli ulivi.

La sfida principale nella costruzione di questo tipo di progetti agrovoltaici sarà mantenere la massima efficienza di entrambi i sistemi di produzione, ha detto l’addetto stampa di Steag, Daniel Mühlenfeld, a PV Magazine. “Ci sono costi aggiuntivi per integrare il fotovoltaico negli uliveti, ma ci sono anche entrate aggiuntive”, ha detto.

L’approvazione finale per i tre impianti dovrebbe essere ottenuta tra il terzo o il quarto trimestre di quest’anno, con la costruzione prevista alla fine dell’anno, sempre che non ci siano ricorsi dell’ultimo minuto alla giustizia amministrativa o al Presidente della Repubblica, da parte di associazioni o altri soggetti convinti che qualunque tentativo di installare un impianto energetico rinnovabile di grandi dimensioni sia di per sé uno sfregio alla patrie bellezze.

L’idea che per raggiungere gli obiettivi climatici europei siano sufficienti tetti e coperture, senza dover toccare i terreni agricoli, è infatti falsa e fuorviante, secondo Legambiente, come detto anche in un precedente articolo.

Secondo le stime di Legambiente, Greenpeace, Italia Solare e Wwf, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del fotovoltaico dell’Italia servono 80 GW di installazioni: almeno il 30% circa da realizzare su tetti e terreni industriali o contaminati; la parte restante su 50-70.000 ettari di terreni agricoli, che rappresentano solamente lo 0,4-0,6% della superficie agricola utile (SAU) italiana; qualcosa di sideralmente lontano dagli scempi e cannibalizzazione di territori paventati da chi si affida a idee preconcette e non ai dati.

“Il raggiungimento degli obiettivi climatici – commenta Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – passerà dalla quantità di fonti rinnovabili che riusciremo a installare nei territori. Il maggior contributo deve arrivare proprio da solare e eolico, con tassi di installazione decisamente superiori a quelli attuali. Molti studi dimostrano come tetti, coperture e superfici marginali non siano assolutamente sufficienti al raggiungimento di tali numeri entro scadenze coerenti con i target europei. Per questo sarà necessario utilizzare anche altre superfici, come quelle agricole, coniugando così il lavoro agricolo con quello energetico”.

Lo stesso concetto è stato espresso da Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, una delle maggiori associazioni imprenditoriali di settore. Rispondendo via Twitter all’affermazione di Patuanelli, secondo cui “il fotovoltaico a terra, incide troppo”, Re Rebaudengo ha replicato che “non è così”, poiché “35 GW di fotovoltaico a terra impiegherebbero solo 0,3% di superficie agricola totale oppure soltanto 1,4% di superficie agricola non utilizzata”.

È tempo, insomma, di abbandonare le fantasie.

Come sottolineato anche da Legambiente e La Nuova Ecologia nella loro campagna “Unfakenews”, è assolutamente urgente che il governo approvi al più presto norme adeguate e uniformi, che permettano una realizzazione degli impianti corretta e trasparente. Anche alla luce delle esperienze passate, in parte negative, riguardo all’installazione del fotovoltaico.

Le norme devono garantire la buona conduzione dell’agricoltura negli ambiti interessati da installazioni agrovoltaiche, per prevenire approcci speculativi che potrebbero mettere a rischio la continuità dell’attività agricola.

È necessario, infine, che governo, regioni e comuni nel loro insieme superino il riflesso condizionato che spesso fa erroneamente percepire il fotovoltaico e l’eolico di grande taglia come qualcosa di intrinsecamente contrario al paesaggio.

Se si vogliono evitare la crisi climatica e il depauperamento ambientale ed economico delle campagne nei decenni a venire, si deve poterne utilizzarne adesso l’1-2% per grandi impianti a energie rinnovabili.

fonte: www.qualenergia.it


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Per l’agro-fotovoltaico un potenziale enorme in Europa. L’Italia sarà della partita?

La stima è di oltre 700 GW fattibili su appena l'1% dei terreni coltivabili. Un documento di SolarPower Europe.












Bisogna fare molto più fotovoltaico anche sui terreni agricoli, per raggiungere gli obiettivi del PNIEC (il Piano nazionale per l’energia e il clima al 2030).

Il dibattito su quanta potenza FV installare e dove in Italia non si è mai spento e la questione si ripropone con forza con con il flop del fotovoltaico nelle procedure d’asta del decreto Fer-1, dovuto anche al divieto di fare FV incentivato su aree agricole.

Anche se la conversione in legge del decreto Semplificazioni ha ammorbidito il divieto, sancendo la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici incentivati almeno su ex cave e discariche, anche se aree classificate come agricole, la partita resta ancora tutta da giocare, come si è visto.

E tra i possibili sviluppi del fotovoltaico sui terreni agricoli, secondo un documento appena pubblicato da SolarPower Europe (SPE), c’è l’agro-fotovoltaico, agricultural photovoltaic (Agri-PV).

Il potenziale tecnico degli impianti Agri-PV in Europa, si legge nello studio, è amplissimo: si parla di oltre 700 GW se si sviluppassero progetti di questo tipo su appena l’1% dei suoli arabili europei.

La stessa Enea ha proposto di utilizzare una parte dei finanziamenti del Recovery Fund per realizzare un parco “agri-voltaico”, con cui testare le possibili integrazioni virtuose tra attività agricole e produzione energetica. Ad esempio, i possibili abbinamenti tra colture e tecnologie FV per ottimizzare il rendimento sia dei terreni che dei pannelli solari.

Intanto in Sardegna ci sono in ballo due progetti recentemente proposti da Progetika, per complessivi 60 MW di agro-fotovoltaico.

Anche la tecnologia sta cercando soluzioni per le nuove frontiere del fotovoltaico in agricoltura, con moduli bifacciali, strutture verticali per il montaggio dei pannelli, inseguitori monoassiali.

I vantaggi di abbinare agricoltura e fotovoltaico sono numerosi, come dimostrano diverse ricerche condotte negli Stati Uniti e in Germania.

In particolare, SolarPower Europe parla di “sinergie” tra colture agricole e pannelli fotovoltaici, che si possono tradurre in:
riduzione dei consumi idrici grazie all’ombreggiamento dei moduli;
minore degradazione dei suoli e conseguente miglioramento delle rese agricole;
risoluzione del “conflitto” tra differenti usi dei terreni (per coltivare o per produrre energia);
possibilità di far pascolare il bestiame e far circolare i trattori sotto le fila di pannelli o tra le fila di pannelli, secondo le modalità di installazione con strutture orizzontali o verticali, avendo cura di mantanere un’adeguata distanza tra le fila e un’adeguata altezza dal livello del suolo.

Per promuovere gli investimenti nel settore, SolarPower Europe suggerisce di definire schemi di supporto per gli impianti agro-fotovoltaici, ad esempio tramite aste dedicate – gli incentivi devono essere superiori a quelli concessi agli impianti FV standard, perché il fotovoltaico agricolo è sicuramente più costoso – prestiti agevolati agli agricoltori, obiettivi specifici per questa tecnologia nei piani nazionali al 2030, fissazione di criteri di qualità con cui valutare i progetti che concorrono agli incentivi.

fonte: https://www.qualenergia.it

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Impianti a biomassa, l’Europarlamento chiede nuovi criteri sostenibilità

Un nuovo progetto di parere chiede standard più stringenti sugli impianti a biomassa, abbassando la soglia d’applicazione dei criteri di sostenibilità e alzando quella d’efficienza

















Ridurre la soglia per l’applicazione dei criteri di sostenibilità alla biomassa destinata a impianti con una capacità di combustibile uguale o superiore a 1 MW. Questa la richiesta della Commissione Ambiente dell’Europarlamento (ENVI) e contenuta in un progetto di parere alla nuova direttiva sulle energie rinnovabili 2030. La proposta, presentata dal relatore Bas Eickhout (Gruppo Verde/Alleanza libera europea), colpisce il provvedimento redatto da Bruxelles in tutti i suoi punti deboli.

A partire dall’obiettivo rinnovabili al 2030, che nella draft opinion di Eickhout passerebbe dal quel temerario 27 per cento chiesto dalla Commissione Europea, addirittura ad un 45 per cento. Gli emendamenti più interessanti sono tuttavia quelli riguardanti le agroenergie. Spunta fuori così la richiesta di metter mano alla soglia dei criteri di sostenibilità applicati alla biomassa usata nella produzione elettrica e termica.

Biomasse e criteri di sostenibilità

L’attuale normativa prevede che le fonti agroenergetiche se impiegate per produrre biocarburanti o bioliquidi debbano rispondere a precisi standard per poter essere contati all’interno del target UE. Tali criteri di sostenibilità servono a garantire che vi sia un reale risparmio di emissioni, tutelando la biodiversità. Bruxelles nella sua bozza di direttiva ha proposto che tali obblighi vengano assegnati anche alla biomassa impiegata nelle centrali termiche ed elettriche, a patto che esse abbiano con una capacità uguale o superiore ai 20 MW. Nel rapporto ENVI, la soglia si abbassa drasticamente a 1 MW.

“Impostare una soglia da 20 MW rischia di far sì che la biomassa che non soddisfa tali requisiti sia riservata agli impianti più piccoli di sostenibilità” e quella “a norma”, per così dire, alle grandi istallazioni (“effetto perdita” o “leakage effect”)”, si legge nel rapporto. “La soglia di 1 MW è coerente con la direttiva sulle centrali a combustione media e rappresenta già un impianto di grandi dimensioni (1 MW può alimentare circa 400-900 case)”.

Non solo. Il relatore propone anche requisiti più stringenti per gli Stati membri che intendano fornire sostegno finanziario agli impianti di biomassa su larga scala. In linea con la raccomandazione contenuta nella direttiva, i sussidi dovrebbero essere concessi solo a tecnologie con un’efficienza di conversione di almeno l’85% per applicazioni residenziali e commerciali.

fonte: www.rinnovabili.it