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Interferenti endocrini nell’80% degli imballaggi dice l’agenzia svedese, in attesa di revisione europea delle regole sulla sicurezza

 










Uno studio dell’Agenzia svedese per le sostanze chimiche (Kemi), avverte che è necessario tenere alta l’attenzione su imballaggi alimentari e prodotti in carta e cartone destinati al contatto con il cibo. L’agenzia, sottoponendo a prove di laboratorio questi imballaggi, ha rilevato la presenza, in quantità inaspettate di diversi contaminanti come il bisfenolo A (*) e gli ftalati (**). Si tratta di una criticità che, stando allo studio, interesserebbe l’80% dei campioni analizzati. Tra i prodotti sottoposti a test compaiono confezioni per: hamburger, patatine fritte e popcorn, cannucce, piatti ma anche involucri per muffin, imballaggi per diversi prodotti alimentari come cereali per bambini e confezioni di biscotti. Dei 61 materiali di imballaggio testati, ben 49 contengono Dehp (Ftalato di bis (2-etilesile), noto interferente endocrino e classificato come tossico per la riproduzione. Nell’elenco troviamo anche il Dbp (Dibutilftalato), anch’esso riscontrato in buona parte della campionatura analizzata seppur in concentrazioni più basse.

Si tratta di sostanze il cui utilizzo è vietato in Europa in prodotti come giocattoli e articoli per l’infanzia data la loro pericolosità, ma che tuttavia possono essere usate per produrre plastiche destinate a entrare in contatto con gli alimenti, secondo l’attuale Regolamento sui polimeri. In altre parole, per quanto strano possa sembrare, l’uso di Dehp e Dbp non è contro la legge. È solo l’eventuale migrazione nell’alimento ad essere regolamentata. Il problema si allarga a macchia d’olio se si considera che molti degli articoli analizzati, al termine della propria vita utile, vengono riciclati: ciò significa che finiscono in questo ciclo di recupero anche le sostanze chimiche tossiche che l’agenzia svedese ha rilevato. Riscontrata anche la presenza di Bisfenolo A, altro importante contaminante e da tempo fonte di discussione tra le agenzie per la sicurezza alimentare dei diversi Stati membri.

La Francia ha da tempo iniziato una campagna contro gli interferenti endocrini

Questi test sono stati effettuati dalle autorità svedesi, ma non c’è motivo di credere che le cose siano diverse negli altri Paesi. La maggior parte dei prodotti oggi sono fabbricati in catene di fornitura globali e distribuiti in tutto il mondo. In questo contesto vi sono Paesi che si stanno muovendo autonomamente per tutelare i propri cittadini. È il caso della Francia che, dopo aver posto un bando nazionale alla presenza di Bpa in tutti i materiali a contatto con alimenti (slegandosi di fatto dalle disposizioni armonizzate europee), ha recentemente proposto un progetto di legge volto a fornire trasparenza sui prodotti chimici che alterano il sistema endocrino (gli interferenti endocrini) nei prodotti di consumo, tra cui i materiali a contatto con alimenti.

Secondo la bozza di decreto, che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2022, chi commercializza prodotti di consumo dovrà dichiarare su apposita piattaforma digitale pubblica, la presenza nei propri prodotti di eventuali interferenti endocrini. L’obbiettivo è fornire ai cittadini informazioni trasparenti sulla presenza di tali composti. Potrebbe tra l’altro essere valutata la possibilità di inserire queste informazioni direttamente in etichetta.

Tuttavia, anche la Commissione Europea non rimarrà solo spettatrice immobile di questa situazione che presenta un quadro legislativo evidentemente carente sotto molteplici aspetti. La Commissione si accinge finalmente a riformare le regole sulla sicurezza dei materiali a contatto con alimenti, e vi è in atto l’ipotesi di revisione del Regolamento quadro 1935/2004.

(*) Il Bisfenolo A (BPA) è prodotto sin dagli anni ’60 dello scorso secolo ed è una sostanza chimica molto utilizzata in tutti i paesi industrializzati. È impiegato nella produzione delle plastiche in policarbonato (molto diffuse per le proprietà di trasparenza, resistenza termica e meccanica), utilizzate nei recipienti per uso alimentare, e nelle resine epossidiche che compongono il rivestimento protettivo interno presente nella maggior parte delle lattine per alimenti e bevande.

(**) Gli ftalati sono sostanze chimiche utilizzate per ammorbidire (o “plastificare”) alcuni materiali usati in una serie di prodotti industriali e di consumo tra cui materiali a contatto con alimenti come il Pvc.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Plastica: tutti gli effetti sulla salute degli interferenti endocrini. Il rapporto di Endocrine Society e Ipen

 










Bisfenolo A e analoghi, ftalati, ritardanti di fiamma, per- e polifluoroalchili (Pfas), diossine, stabilizzanti UV e metalli pesanti come cadmio e piombo: è lunga la lista delle classi di sostanze, ciascuna delle quali contiene decine di composti, presenti nelle plastiche. E praticamente tutte hanno un impatto sulla salute umana. Conseguenze di cui a volte si sa molto, in altri casi molto meno, ma che dovrebbero essere tenute in maggiore considerazione. Così almeno la pensa la Endocrine Society, una società scientifica che riunisce decine di esperti di tutto il mondo, i quali hanno appena pubblicato insieme con i colleghi della Ipen (International pollutants elimination network) un dettagliato rapporto su quanto accertato finora.

Nel documento si legge che molti di questi composti sono interferenti endocrini (Edc), e possono causare cancro, diabete, disordini del sistema riproduttivo, danni allo sviluppo neurologico dei feti e dei bambini. Nonostante ciò, sono ubiquitari e sono presenti nel packaging, nei giocattoli, nei cosmetici, nelle auto, nei materiali per la casa, sono usati nella preparazione di alimenti industriali, oppure si sviluppano nella cottura: è praticamente impossibile non incontrarli nella vita di tutti i giorni. 


Gli interferenti endocrini sono presenti nella gran parte degli oggetti e degli imballaggi di plastica

Ecco allora le principali conclusioni su di essi e sulle altre sostanze contenute nel rapporto, in estrema sintesi:
Oltre 140 tra sostanze o classi di sostanze la cui pericolosità per la salute umana è accertata sono normalmente utilizzate nelle plastiche come antimicrobici, coloranti, ritardanti di fiamma, solventi, stabilizzatori UV e plastificanti;
L’esposizione può avvenire in tutte le fasi del ciclo vitale delle plastiche, dalla sintesi industriale (per chi ci lavora) al contatto e allo smaltimento o riciclo (per chi li usa da consumatore);
Gli interferenti endocrini sono ubiquitari e diversi studi hanno dimostrato che virtualmente ogni abitante della terra ne ha quantità più o meno rilevanti nel proprio organismo;
Le microplastiche contengono additivi che possono essere rilasciati ed entrare in contatto con la popolazione. Inoltre possono formare composti tossici con altre sostanze chimiche presenti nell’ambiente, per esempio nei sedimenti o negli scarichi delle fogne, trasformandosi in vettori di composti tossici;
Le plastiche biodegradabili e le bioplastiche, pubblicizzate come più ecologiche di quelle convenzionali, spesso contengono additivi molto simili, a loro volta interferenti endocrini.

Uno dei problemi più gravi, riguarda l’effetto cocktail, perché ogni giorno siamo tutti esposti a decine di queste sostanze, ma le combinazioni porrebbero avere effetti sconosciuti e determinare comunque il raggiungimento di valori soglia molto prima di quanto si immagini. È quindi indispensabile, secondo gli autori, determinare nuovi limiti di esposizione tenendo conto di questo.


Gli interferenti endocrini della plastica, essendo ubiquitari, possono andare incontro ad effetto cocktail

I governi dovrebbero essere più attivi, e come esempio di questo, il rapporto cita l’iniziativa della Svizzera, che nello scorso mese di maggio ha chiesto l’inclusione dell’UV-328, uno stabilizzante usato nelle plastiche per proteggerle dagli effetti appunto dei raggi UV, nella Convenzione di Stoccolma, cioè nell’elenco internazionale di sostanze che vanno valutate, monitorate e quando è il caso vietate perché potenziali o certi pericoli per la salute.

Secondo alcuni degli autori, inoltre, particolare attenzione andrebbe posta alle sostanze plastiche usate nei processi industriali, visto che si prevede una continua crescita del loro utilizzo (del 30-36% nei prossimi sei anni a livello mondiale).

È imperativo – concludono – adottare politiche globali il più possibile standardizzate e omogenee finalizzate all’eliminazione degli interferenti endocrini dalle materie plastiche nelle sintesi, così come al riciclo o all’incenerimento di quanto resta dopo l’utilizzo. Anche perché gli Edc e le altre sostanze pericolose pongono interrogativi molto pesanti sulla salute delle future generazioni, visto che iniziano ad avere effetto già sullo sviluppo fetale e dato che restano nell’ambiente a tempo indeterminato. Ne sanno qualcosa i Paesi più poveri, che pagano il prezzo dell’assenza di regole internazionali stringenti: è lì che molti altri Paesi, più ricchi e industrializzati, trasportano i loro rifiuti dannosi, senza preoccuparsi delle conseguenze sull’ambiente e sulla salute di chi ci abita.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Gli ftalati potrebbero essere responsabili della demenza. Il nuovo studio francese

Uno studio francese suggerisce che l’inquinamento da plastica, e in particolare gli ftalati, potrebbero avere un ruolo nello sviluppo di una malattia neurodegenerativa, la demenza a corpi di Lewy.





Nello sviluppo delle malattie neurodegenerative, accanto ai fattori genetici, viene sempre più preso in considerazione il possibile intervento di fattori ambientali, ad esempio l’esposizione a pesticidi o altre sostanze inquinanti.

I ricercatori del Centre national de la recherche scientifique (CNRS) hanno appena pubblicato un studio che ipotizza che gli ftalati, microinquinanti plastici ampiamente utilizzati nell’industria e diffusi nell’ambiente, potrebbero essere responsabili della comparsa della demenza a corpi di Lewy (DLB), una forma di demenza (la seconda causa di demenza neurodegenerativa dopo l’Alzheimer).

Mentre il coinvolgimento dei pesticidi e altri inquinanti ambientali è stato più volte correlato allo sviluppo del morbo di Parkinson, scienziati e medici dell’Università di Strasburgo, CNRS e Ospedali universitari di Strasburgo hanno cercato di evidenziare la presenza di microinquinanti nel sistema nervoso centrale di pazienti con una malattia neurodegenerativa molto simile anche se meno conosciuta: la demenza a corpi di Lewy .

Il loro lavoro, pubblicato sul Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry, ha scoperto che i pazienti con questa malattia presentavano anche livelli elevati di uno ftalato nel proprio liquido cerebrospinale.

Per effettuare lo studio sono stati selezionati 45 pazienti: 16 con DLB allo stadio prodromico, 8 con DLB allo stadio avanzato, 8 pazienti con malattia di Alzheimer (AD) allo stadio prodromico e 13 pazienti con AD allo stadio avanzato.

Analizzando il liquido cerebrospinale di tutte le persone si è potuta notare chiaramente la differenza: i pazienti affetti da DLB avevano livelli più elevati di un particolare ftalato, il Di-2-etilesilftalato.

Il problema è che gli ftalati sono onnipresenti. Utilizzati in particolare come plastificanti, si trovano nei materiali da costruzione e per mobili, in molti prodotti per la casa, nel confezionamento di prodotti alimentari e bevande, cosmetici, giocattoli e apparecchiature mediche.

Sebbene gli effetti tossici di queste sostanze sul sistema endocrino e riproduttivo fossero già noti, è la prima volta che uno studio ipotizza il loro possibile coinvolgimento nell’insorgenza della demenza.

La demenza a corpi di Lewy è caratterizzata dall’accumulo di depositi anormali di una proteina chiamata alfa-sinucleina. Tali depositi, i famosi “corpi di Lewy”, si formano all’interno dei neuroni e interrompono i messaggi trasmessi dal cervello.

Da molti anni gli scienziati sono alla ricerca di un microrganismo, una tossina o un microinquinante che, entrando nell’organismo per inalazione, tratto digerente o via transcutanea, sia in grado di indurre o promuovere l’aggregazione di questa proteina.

Gli ftalati, in grado di entrare nel nostro corpo proprio attraverso le suddette vie di assorbimento, potrebbero quindi essere quello che si stava cercando da tempo. Ma se è stato dimostrato che gli ftalati si trovano in maggiore concentrazione nei pazienti con DLB, resta comunque ancora da provare che queste sostanze siano effettivamente in grado di indurre o promuovere l’aggregazione dei corpi di Lewy.

Servono dunque ulteriori ricerche per confermare quanto ipotizzato dalla ricerca francese.

Fonte: Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry / France Soir

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Plastica: i contenitori alimentari sono sicuri? Un articolo del Guardian riassume tutte le principali problematiche

















Meno del 10% della plastica prodotta finora è stata riciclata. La filiera impiega centinaia di composti diversi (che, con i prodotti della degradazione, diventano migliaia), i cui effetti sul corpo umano sono in gran parte sconosciuti. E quando ci sono i dati, si tratta quasi sempre di informazioni poco rassicuranti. Incomincia così un lungo articolo pubblicato dal Guardiandedicato ai rapporti tra plastica e alimenti, che fa il punto sulle attuali conoscenze e sottolinea quanto ci sia ancora da capire su questi materiali così ubiquitari.
Iniziando dalle questioni più note, si possono considerare i contenitori per alimenti e quindi, per esempio, gli ftalati. Anche se sono stati banditi da alcuni materiali come quelli per le stoviglie dei bambini, perché responsabili di effetti dannosi sul sistema endocrino e riproduttivo, in realtà sono talmente diffusi da essere presenti virtualmente nel corpo di tutti i cittadini americani, secondo i CDC di Atlanta.
Un’altra categoria sotto accusa è quella del bisfenolo A (Bpa)  e dei suoi derivati che, come gli ftalati, sono interferenti endocrini e sono stati associati a disturbi nello sviluppo del feto, soprattutto a carico del sistema nervoso. Anche il Bpa è stato escluso da alcuni prodotti, e molti materiali sono ormai etichettati come Bpa free. Ma questo significa, nella maggior parte dei casi, che il Bpa è stato rimpiazzato dai suoi sostituti Bps e Bpf che, stando a quanto riportato in numerosi studi, provocano gli stessi danni. Su tutti, il Guardian ne cita alcuni come quelli dell’Università del Texas e della Washington State University. Le ricerche hanno mostrato come anche un quantitativo pari a una dose per trilione abbia già conseguenze misurabili. E poi uno, del 2019, della New York University, che ha associato il Bus e il Bpf all’obesità infantile.
A ulteriore conferma, è di questi giorni un’altra ricerca, pubblicata su PNAS e condotta su animali, dalla quale emerge che il Bus compromette la funzionalità della placenta e riesce sempre a raggiungere il feto. In più altera il passaggio dei neurotrasmettitori serotonina e dopamina, fondamentali per il corretto sviluppo del cervello dell’embrione.
Il Food Packaging Forum ha censito 900 composti probabilmente usati e 4.300 potenzialmente impiegati negli imballaggi di plastica
Non esistono, naturalmente, solo i contenitori. I cibi moderni entrano in contatto con moltissime altre materie plastiche, per esempio attraverso gli incarti, interni ed esterni. Nel 2019 il Food packaging forum, associazione non profit con base in Svizzera, ha censito ben 900 composti probabilmente utilizzati, e oltre 4.300 potenzialmente impiegati negli imballaggi alimentari. Per il 60% di questi ultimi – ricorda il quotidiano – non è disponibile alcun dato sulla sicurezza.
Nel 1988, in realtà, sono state introdotte delle sigle per identificare sette tra le plastiche più diffuse, e di sicuro quelle più comuni tra i contenitori alimentari sono il polipropilene e il polietilene, ma si tratta, evidentemente, della punta dell’iceberg.
I dubbi principali riguardano la stabilità dei materiali, in teoria garantita, ma nella realtà soggetta ad attacchi continui da parte di agenti fisici e chimici, per esempio del calore (di lavastoviglie e forni a microonde) o da alcuni alimenti grassi (che attraggono molecole dalla plastica). Per non parlare delle eventuali impurità e dei radicali liberi (specie chimiche altamente reattive) che si formano durante la produzione dei polimeri, e che possono rendere il prodotto finale qualcosa di diverso da ciò che si pensa di ottenere. Nel 2019 ricercatori tedeschi e norvegesi hanno testato, in vitro, l’effetto di campioni estratti da flaconi di shampoo, vasetti dello yogurt e altri contenitori di uso comune: sono stati trovati composti tossici sulle cellule, molti dei quali non identificati.
Sono i produttori a stabilire se un contenitore di plastica è adatto all’uso in microonde
I produttori hanno naturalmente contestato lo studio, rivendicando la sicurezza dei polimeri e i controlli cui sono soggetti, ma restano comunque ampie zone d’ombra, a partire dai regolamenti della Fda americana. L’ente governativo per quanto attiene la sicurezza, si basa sulle informazioni fornite dalle aziende, e solo grazie a queste ammette o meno una plastica nella specifica classe di materiali che possono stare a contatto con il cibo. L’agenzia lascia poi anche alle industrie la possibilità di dire se un prodotto può, per esempio, essere usato nel forno a microonde o nella lavastoviglie, e non richiede aggiornamenti dei test (neanche su nuovi impieghi) per polimeri che, a volte, sono stati studiati negli anni Sessanta e poi mai più verificati.
In definitiva, quindi, il consiglio è quello di sostituire tutte le volte che si può la plastica con i metalli appositi o con il vetro, di non esporre le plastiche a fonti di calore o ad agenti chimici, di tenere sempre conto della data di scadenza (nel caso di bottiglie destinate a durare come quelle per fare l’acqua gasata in casa), e di non conservare olio e cibi grassi nella plastica.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Allarme su cialde e capsule caffè: studio rivela cosa rilasciano nell’acqua (e i rischi per la salute)


















Le macchinette per il caffè sono ormai sempre più diffuse nelle nostre cucine e stanno rubando sempre più la scena alla tradizionale moka. Il caffè in cialde e in capsule è infatti più comodo e pratico, si prepara più velocemente e spesso risulta più gustoso rispetto al caffè preparato con la caffettiera.
Utilizzare cialde e capsule presenta però anche qualche svantaggio, e non di poco conto. Innanzitutto il caffè in confezioni monodose risulta più costoso di quello ben più economico venduto sfuso macinato o in chicchi; una capsula contiene dai 5 ai 7 grammi di polvere e una tazzina di caffè può arrivare a costare 40 centesimi, contro i 15 di quella preparata con la moka.
In secondo luogo le capsule presentano problemi legati allo smaltimento: le confezioni monodose di caffè sono spesso realizzate in plastica o alluminio che nella maggioranza dei casi non sono riciclabili.
Infine, da una ricerca recente condotta sul caffè preconfezionato sono emerse preoccupazioni sulla salubrità di cialde e capsule.
Lo studio è stato condotto da alcuni ricercatori italiani e ha misurato la quantità di ftalati e metalli pesanti rilasciati dalle capsule di caffè in alluminio, plastica e materiale biodegradabile.
Gli ftalati e i metalli pesanti sono ampiamente riconosciuti come inquinanti, presentano tossicità e interferiscono con alcuni processi chiave dello sviluppo e della riproduzione.
Durante l’estrazione del caffè dalle capsule con acqua ad alta temperatura, queste sostanze possono finire nella tazzina, causando problemi di salute da non sottovalutare.
I risultati dello studio hanno mostrato un rilascio di ftalati in quantità simili nelle diverse capsule analizzate.
Sebbene i livelli di ftalati rilevati siano inferiori rispetto ai limiti giornalieri tollerati dal nostro organismo, va considerato l’effetto additivo che questi potrebbero avere nel tempo.
L’esposizione a queste sostanze chimiche dipende infatti dalla quantità di caffè che si beve nel corso della giornata e dalle altre fonti di ftalati con cui si viene a contatto. Gli ftalati si trovano infatti in molti cosmetici, nelle vernici, nelle plastiche, nei contenitori per alimenti e, di conseguenza, negli alimenti confezionati.
Tornando alle capsule di caffè, per quanto riguarda i metalli pesanti è stata riscontrata la presenza di quantità significative di piombo e nichel: anche per queste sostanze va considerato l’effetto additivo, come per gli ftalati.
Secondo i ricercatori questi risultati sono preoccupanti per via delle molteplici vie di esposizione umana a tali sostanze, della presenza ubiquitaria di questi inquinanti nei prodotti di consumo e dei loro effetti a lungo termine sulla salute umana.
fonte: https://www.greenme.it

Assorbenti e tamponi con glifosato e ftalati, anche nei marchi bio. Il test francese

Cosa c’è davvero dentro ad assorbenti e tamponi? Un nuovo test segnala la presenza di glifosato e ftalati anche nei marchi biologici
















Vi siete mai chiesti cosa contengono davvero gli assorbenti e i tamponi che le donne utilizzano ogni mese? Diverse indagini hanno cercato di fare luce sulla questione, dato che non vi è trasparenza riguardo agli ingredienti con cui sono realizzati. Ora un nuovo test ha voluto analizzare 15 prodotti e ciò che ha trovato non è molto confortante.
Purtroppo non esiste una regolamentazione che obbliga i marchi di assorbenti e tamponi a esporre la composizione dei prodotti, a meno che non abbiano all’interno una delle 26 sostanze allergizzanti elencate nel regolamento europeo sui cosmetici. E questo è senza dubbio il primo problema...

Ingredienti più o meno chiari (o addirittura non presenti) in etichetta

Nonostante la normativa non lo imponga, alcune marche hanno deciso comunque di mostrare la lista ingredienti sulle confezioni o, in alternativa, sul loro sito web.
Metà dei campioni presi per il test di cui parliamo oggi, e nello specifico quelli a marchio Saforelle, Love & Green, Tampax, Nett, Organyc, JHO e Natracare, hanno reso noti i componenti con cui sono realizzati i loro prodotti. In generale, quelli a base di cotone organico, tendono ad essere più trasparenti sui componenti di ciascuna parte dell'assorbente (superficie, cuore, ecc.) rispetto a quelli di altre marche che si accontentano di mettere una meno dettagliata lista degli ingredienti, in alcuni casi visibile esclusivamente sul loro sito web.

Per scoprire i veri ingredienti delle altre marche analizzate, quelle che non riportano indicazioni di nessun tipo, l’associazione dei consumatori francesi 60 Million Consumers ha contattato direttamente il servizio clienti dei vari marchi che hanno promesso di mettersi in contatto a breve con i vari produttori per poi fargli sapere. Da parte di Carrefour, Doulys-E. Leclerc, Labell-Intermarché e Siempre-Lid non si è avuta però più alcuna notizia in merito. Ovvero le aziende hanno bypassato la richiesta.
I produttori di Always, Nana, Nett e Vania hanno fatto sapere invece che stanno gradualmente aggiungendo la lista dei componenti al loro packaging, ma a volte vengono utilizzati termini generici come "polimeri" o "sintetici".
Purtroppo, sottolinea 60 Million Consumers, in assenza di vincoli reali, le marche hanno poche possibilità di impegnarsi veramente fornendo tutte le informazioni necessarie.

Il test

Il dubbio riguardo a cosa contengano davvero questi prodotti che entrano in contatto con parti molto delicate della donna rimane, soprattutto relativamente al problema di eventuali contaminanti come glifosato e ftalati.
L’associazione francese per la difesa dei diritti dei consumatori 60 Million Consumers, tramite i suoi laboratori, ha voluto testare 15 prodotti tra assorbenti e tamponi per verificare la presenza delle seguenti sostanze tossiche:
  • Glifosato e il suo derivato AMPA
  • Ftalati
  • Diossine
  • idrocarburi policiclici aromatici (IPA)
  • AOX
  • EOX
  • formaldeide

Risultati

Nonostante altre indagini e test effettuati negli scorsi anni dalla stessa 60 Million Consumers avevano individuato e segnalato contaminazioni da parte di sostanze tossiche, purtroppo queste, anche a distanza di tempo, persistono.
Per quanto riguarda la presenza di glifosato, i Nana sono risultati gli assorbenti più contaminati, mentre nel caso dei tamponi, i Natracare (proprio quelli biologici) ne contenevano di piùma è stato trovato anche in Tampax e JHO.
Un altro risultato non proprio piacevole riguarda la presenza di ftalati che non erano stati rilevati prima. Si tratta del DnBP per quanto riguarda il marchio Saforelle, ma soprattutto del DEHP, nel caso dei marchi Vania, Always, Siempre e Saforelle.
A loro difesa, i produttori sostengono che pesticidi e altri residui non vengono aggiunti intenzionalmente (e ci mancherebbe altro!).
Guardate voi stessi la sintesi dei risultati ottenuti in queste tabelle...
assorbenti test


 
tamponi test

L'Agenzia per la sicurezza sanitaria già da tempo esclude comunque qualsiasi rischio grave, senza pronunciarsi però sul problema della presenza di possibili interferenti endocrini. I reali rischi della presenza di glifosato in questi prodotti è controversa e dibattuta. Va notato che l'Agenzia non classifica il glifosato come un sospetto perturbatore endocrino, a differenza di alcune organizzazioni non governative. Sembra manchino sufficienti dati scientifici per mettere fine a questo dibattito.
Il problema, secondo la rivista dei consumatori, è che le soglie sanitarie, quando esistono, non sono state stabilite per l'esposizione attraverso la vulva o la mucosa vaginale.
L'Agenzia comunque vuole essere rassicurante e resta cauta nelle sue conclusioni. Pertanto, esclude tutti i principali rischi, ma "raccomanda di eliminare o ridurre al massimo la presenza di queste sostanze nella protezione intima, comprese le sostanze con effetti CMR [cancerogeni, mutageni, tossici per la riproduzione]".
Dai risultati del test sembra però che i produttori non si stiano impegnando in questo senso...

Cosa possiamo fare?

E’ molto semplice smettere di comprare assorbenti esterni o interni passando subito alla coppetta mestruale, un’alternativa comoda, ecologica e sicura. Un’altra possibilità è quella di utilizzare assorbenti lavabili.
fonte: www.greenme.it

La plastica è dentro di noi. E nei nostri bambini. Molti i danni per la salute

Trovate nelle urine dei bambini sostanze impiegate per imballaggi di plastica e oggetti usa e getta. Provocano obesità, ritardo nello sviluppo ormonale, riproduttivo e neurologico














Anche i bambini e i ragazzi italiani assumono, senza saperlo, ogni giorno, ftalati e Bisfenolo A, plastificanti e additivi classificati come interferenti endocrini. Sostanze chimiche non persistenti, impiegate nell’imballaggio di plastica e svariati oggetti di uso quotidiano, in grado di provocare obesità, alterazioni e ritardo nello sviluppo ormonale, riproduttivo e neurologico, soprattutto nei più giovani.
La conferma della loro presenza negli organismi di bambini e adolescenti italiani arriva, dopo quattro anni, dall’Istituto Superiore di Sanità, con le prime conclusioni dello studio di biomonitoraggio LIFE PERSUADED, coordinato da Cinzia La Rocca del Centro di Riferimento Medicina di Genere.
Non essendo legati chimicamente al polimero in cui sono contenuti, possono essere rilasciati negli alimenti o nei liquidi con cui sono a contatto. Finendo così nella nostra catena alimentare. Il loro uso è stato via via ridotto negli anni, ma sono presenti, ancora, in numerosi prodotti di uso quotidiano (contenitori per alimenti, giocattoli, cosmetici, carta termica) e molto diffusi nell’ambiente.

L’indagine

Il progetto ha coinvolto un campione di 2023 coppie madre-bambino, reclutate attraverso il network dei medici pediatri coinvolti in Life Persuaded, al Nord, al Centro e al Sud, grazie al programma finanziato dalla Commissione Europea, LIFE+ Environment Policy and Governance.
Secondo i dati raccolti e analizzati dai ricercatori dell’ISS e del CNR di Pisa, il 100% dei bambini, di età compresa tra i 4 e i 14 anni, sottoposti al controllo, ha riportato la presenza di Ftalati (DEHP) nelle urine e ben il 76% ha rivelato presenza di Bisfenolo A (BPA).

Livelli più alti per chi usa giocattoli di plastica

La quantità più elevata di ftalati si è osservata nei bambini che giocano più di 4 ore al giorno con giocattoli di plastica, inclusi quelli elettronici e risulta più evidente nei bambini più piccoli tra i 4 e i 6 anni. Mentre i bambini di età compresa tra i 7 e i 14 anni che svolgono attività fisica, hanno livelli più bassi di ftalati e BPA. Quantità che variano, quindi, anche a seconda dello sport praticato, del sesso e dell’area di residenza.

..e per chi mangia nella plastica

Life Persuaded ha indagato anche sullo sullo stile di vita e i pasti consumati dalle famiglie. Questo ha permesso di stabilire ai ricercatori dell’ISS come, sia nei bambini sia nelle madri, i livelli più alti queste sostanze chimiche siano associati all’utilizzo di plastica monouso (bicchieri, piatti). Livelli che aumentano in relazione alla frequenza d’uso e all’utilizzo di contenitori in plastica nel microonde, conferma nello studio, Luca Busani, del Dipartimento di Malattie Infettive dell’ISS.
“I risultati dimostrano come, sebbene ftalati e BPA non siano composti persistenti – confermano gli studiosi – l’esposizione è diffusa e continua, ed è più rilevante per i bambini più piccoli. Con le conseguenze di salute possibili legate ad esposizioni precoci a queste sostanze, una loro riduzione potrebbe avere un impatto positivo per la salute”.

Le conseguenze per la salute

Per questo, una parte del progetto è stata dedicata alla valutazione degli effetti dell’esposizione a DEHP e BPA, con uno studio tossicologico che ha utilizzato un modello animale innovativo, in grado di riprodurre gli effetti delle sostanze chimiche sui bambini, attraverso ratti trattati con dosi pari ai livelli misurati nella popolazione infantile del campione.
“Sia per il BPA sia per il DEHP si evidenzia un cambiamento dei valori ormonali che riguarda principalmente la riduzione dei livelli sierici di estradiolo, leptina nelle femmine e un aumento dei livelli di adiponectina nei maschi”. Variazioni correlate alla presenza con alcune patologie infantili di origine endocrina, quali telarca prematuro (lo sviluppo delle ghiandole mammarie ndr), pubertà precoce e obesità infantile. Meccanismi su cui lo studio Life Persuaded proseguirà ad indagare, assicurano i ricercatori di ISS.
Intanto, un nuovo gruppo di lavoro EFSAl’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare, di esperti scientifici valuterà di nuovo i potenziali pericoli del BPA negli alimenti e riesaminerà il livello di sicurezza temporaneo stabilito nella sua precedente valutazione del rischio eseguita nel 2015. La nuova valutazione dovrebbe terminare nel 2020.
Serve più informazione
Nel frattempo, che fare? Applicare il principio di precauzione, fare informazione e sensibilizzare le famiglie alla riduzione dell’uso delle plastiche, anche in collaborazione con i medici di famiglia, così come proposto dal progetto Life Persuaded. Riducendo l’uso di plastiche, l’utilizzo di oggetti o l’ingestione di cibi potenzialmente contaminati. “Prima dell’inizio dello studio più del 50% dei pediatri non aveva grosse conoscenze sugli interferenti endocrini – conferma nello studio dell’ISS, Giacomo Toffol, pediatra dall’Associazione Culturale Pediatri Italiani – e addirittura il 17% di essi non ne aveva mai sentito parlare o ne conosceva solo il nome; solo il 44% ne aveva una conoscenza abbastanza approfondita”.
Rosy Battaglia
fonte: www.valori.it