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SULLA PRODUZIONE DI RIFIUTI: il Prof. Bellavista risulta molto convincente!
Due minuti di verità e filosofia sulla
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In Bosnia scorre un fiume di plastica: così è diventata la Drina
Un tempo le acque della Drina, in Bosnia-Erzegovina, erano cristalline. Ora nel fiume navigano gigantesche isole di rifiuti che minacciano l’intero ecosistema.
Un incidente a gennaio ha peggiorato una situazione già compromessa
Difficilmente l’anno poteva cominciare peggio. Una barriera costruita per proteggere il corso d’acqua dai rifiuti che le discariche illegali vi depositano si è rotta, così circa 4mila metri cubi di spazzatura l’hanno invaso arrivando fino alla diga della centrale idroelettrica nei pressi della città di Višegrad, e mettendone a rischio le operazioni. Sebbene si tratti di una situazione d’emergenza, le cose non vanno tanto meglio solitamente. Nonostante le barriere contribuiscano a impedire la dispersione dei detriti, ogni anno se ne raccoglie una quantità pari a 6-8mila metri cubi. Lo stesso problema riguarda gli affluenti della Drina, alcuni dei quali in Serbia e Montenegro, e il lago Potpecko.
“Ci hanno lasciati soli”
“È da decenni che la nostra società deve affrontare questa crisi. Considerati l’ultima ruota del carro, siamo lasciati soli”, rivela Nedeljko Perisic, direttore della centrale idroelettrica. “Le nostre previsioni non sono ottimistiche. Nella parte superiore della Drina, così come nei suoi affluenti, la situazione è molto grave. In base alle nostre stime, si parla di decine di migliaia di metri cubi di spazzatura, che da sola non sappiamo davvero come poter gestire. Ci serve l’aiuto delle istituzioni e dei paesi dai quali questi rifiuti provengono”, conclude Perisic, aggiungendo che la rottura è stata riparata dagli operai che lavorano alla diga.
Una vera e propria emergenza ambientale e sociale
Ci troviamo di fronte a un’emergenza ambientale che ha forti ripercussioni sulla biodiversità locale, ricca di uccelli acquatici e pesci come il salmone del Danubio (Hucho hucho), specie in pericolo di estinzione. A pagare le spese della pessima gestione dei rifiuti e della scarsa tutela del territorio sono anche le popolazioni autoctone. Quando l’immondizia viene raccolta, viene portata in una discarica dove spesso scoppiano incendi che immettono fumi tossici nell’aria, mentre gli scarichi nocivi finiscono per riversarsi nuovamente nel fiume. A denunciarlo è Dejan Furtula, attivista del gruppo Eko centar: “Siamo tutti in pericolo qui, l’intero ecosistema”.
Bosnia, Serbia e Montenegro ancora lontani dagli standard europei
Nonostante vogliano entrare nell’Unione europea, i governi di Bosnia, Serbia e Montenegro non avrebbero agito in maniera efficace per risolvere la crisi, stando al sito d’informazione Euronews. Tra il 1991 e il 2001 le guerre iugoslave hanno messo in ginocchio la penisola balcanica, che tuttora “si trova in condizioni di arretratezza rispetto al resto d’Europa, sia dal punto di vista economico che ambientale”.Leggi anche
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Nel 2019, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo ha concesso un finanziamento di cinque milioni di euro alla Bosnia per la costruzione di un centro di riciclaggio e di una nuova discarica a ridotto impatto ambientale; anche l’Unione europea ha stanziato fondi per la realizzazione del progetto, che si inserisce in una più ampia strategia nazionale per il raggiungimento degli standard previsti dall’Ue nell’ambito della gestione dei rifiuti.
fonte: www.lifegate.it
Un incidente a gennaio ha peggiorato una situazione già compromessa
Difficilmente l’anno poteva cominciare peggio. Una barriera costruita per proteggere il corso d’acqua dai rifiuti che le discariche illegali vi depositano si è rotta, così circa 4mila metri cubi di spazzatura l’hanno invaso arrivando fino alla diga della centrale idroelettrica nei pressi della città di Višegrad, e mettendone a rischio le operazioni. Sebbene si tratti di una situazione d’emergenza, le cose non vanno tanto meglio solitamente. Nonostante le barriere contribuiscano a impedire la dispersione dei detriti, ogni anno se ne raccoglie una quantità pari a 6-8mila metri cubi. Lo stesso problema riguarda gli affluenti della Drina, alcuni dei quali in Serbia e Montenegro, e il lago Potpecko.
La diga della centrale idroelettrica di Višegrad © Elvis Barukcic/Afp via Getty Images
“Ci hanno lasciati soli”
“È da decenni che la nostra società deve affrontare questa crisi. Considerati l’ultima ruota del carro, siamo lasciati soli”, rivela Nedeljko Perisic, direttore della centrale idroelettrica. “Le nostre previsioni non sono ottimistiche. Nella parte superiore della Drina, così come nei suoi affluenti, la situazione è molto grave. In base alle nostre stime, si parla di decine di migliaia di metri cubi di spazzatura, che da sola non sappiamo davvero come poter gestire. Ci serve l’aiuto delle istituzioni e dei paesi dai quali questi rifiuti provengono”, conclude Perisic, aggiungendo che la rottura è stata riparata dagli operai che lavorano alla diga.
Una vera e propria emergenza ambientale e sociale
Ci troviamo di fronte a un’emergenza ambientale che ha forti ripercussioni sulla biodiversità locale, ricca di uccelli acquatici e pesci come il salmone del Danubio (Hucho hucho), specie in pericolo di estinzione. A pagare le spese della pessima gestione dei rifiuti e della scarsa tutela del territorio sono anche le popolazioni autoctone. Quando l’immondizia viene raccolta, viene portata in una discarica dove spesso scoppiano incendi che immettono fumi tossici nell’aria, mentre gli scarichi nocivi finiscono per riversarsi nuovamente nel fiume. A denunciarlo è Dejan Furtula, attivista del gruppo Eko centar: “Siamo tutti in pericolo qui, l’intero ecosistema”.
Bosnia, Serbia e Montenegro ancora lontani dagli standard europei
Nonostante vogliano entrare nell’Unione europea, i governi di Bosnia, Serbia e Montenegro non avrebbero agito in maniera efficace per risolvere la crisi, stando al sito d’informazione Euronews. Tra il 1991 e il 2001 le guerre iugoslave hanno messo in ginocchio la penisola balcanica, che tuttora “si trova in condizioni di arretratezza rispetto al resto d’Europa, sia dal punto di vista economico che ambientale”.Leggi anche
Nel 2019, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo ha concesso un finanziamento di cinque milioni di euro alla Bosnia per la costruzione di un centro di riciclaggio e di una nuova discarica a ridotto impatto ambientale; anche l’Unione europea ha stanziato fondi per la realizzazione del progetto, che si inserisce in una più ampia strategia nazionale per il raggiungimento degli standard previsti dall’Ue nell’ambito della gestione dei rifiuti.
fonte: www.lifegate.it
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Scontro sui rifiuti tra Canada e Filippine: Manila ritira l’ambasciatore da Ottawa
69 container di spazzatura canadese sostano dimenticati nel porto di Manila. Il governo filippino tuona: «Non siamo il raccoglitore di rifiuti dell’occidente»
Le Filippine hanno richiamato i propri diplomatici dall’ambasciata in Canada. Il motivo? 69 container di rifiuti, che Ottawa avrebbe spedito per errore tra il 2013 e il 2014 nel paese asiatico e poi completamente ‘dimenticato’. L’annuncio è arrivato direttamente dal Ministro degli Esteri Teodoro Locsin Jr che ha spiegato come «le Filippine manterranno una presenza diplomatica ‘a ranghi ridotti’ fino a quando il Canada non riprenderà la propria spazzatura».
Nei giorni scorsi il Presidente filippino Duterte aveva lanciato l’ultimatum, invitando il Canada a ritirare entro il 15 maggio i container. Salvator Panelo, portavoce del Presidente, era anche arrivato a dichiarare alla stampa che la spazzatura sarebbe stata rispedita personalmente dai filippini: «gliela getteremo sulle loro spiagge».
Ma l’accordo con il Canada non è stato raggiunto e, a partire dalla mezzanotte di oggi, Manila è passata all’azione.
Ma l’accordo con il Canada non è stato raggiunto e, a partire dalla mezzanotte di oggi, Manila è passata all’azione.
La storia dei 69 container di rifiuti
I container sono arrivati nelle Filippine a cavallo tra il 2013 e il 2014. Dentro sono stati rinvenuti vecchi fili elettrici, compact disc, bicchieri di plastica usati, pannolini per adulti, tutti appartenenti alla ditta canadese Chronic Plastics e classificati come non riciclabili dal Dipartimento ambientale e risorse naturali (Denr). Stando a quanto riporta il quotidiano canadese ‘The Star’ il peso della spazzatura stipata nei contenitori ammonterebbe a circa «2.500 tonnellate».
Il problema si è protratto sostanzialmente immutato fino ad oggi. A nulla sembra essere valsa la visita del Primo ministro canadese Justin Trudeau a Manila, avvenuta nel 2015 e in cui ebbe modo di dichiarare che la situazione, se pur incresciosa, «non si sarebbe verificata nuovamente» e che «una soluzione era in fase di studio».
Nel corso di quest’anno, però, la situazione è diventata incandescente: in aprile Duterte ha sostenuto in conferenza stampa che avrebbe dichiarato guerra al Canada, qualora non avesse riportato indietro i container colmi di spazzatura: l’uditorio sorrise, ma il Presidente confermò quanto appena pronunciato tanto in inglese quanto in tagalog.
Nel corso di quest’anno, però, la situazione è diventata incandescente: in aprile Duterte ha sostenuto in conferenza stampa che avrebbe dichiarato guerra al Canada, qualora non avesse riportato indietro i container colmi di spazzatura: l’uditorio sorrise, ma il Presidente confermò quanto appena pronunciato tanto in inglese quanto in tagalog.
Il mese successivo [maggio 2019 n.d.r.] il portavoce del Ministro degli esteri canadese, disse che il Canada si stava impegnando per riportare i rifiuti in patria e che i due paesi stavano collaborando «fattivamente per risolvere i dettagli pendenti dell’annosa questione legata ai rifiuti». Contestualmente, però, Panelo sostenne che anche le Filippine avrebbero dovuto interrompere, come già fatto dalla Repubblica popolare cinese, la pratica occidentale di vendita dell’immondizia ai paesi asiatici: «Non siamo un raccoglitore di rifiuti occidentali», accogliendo le numerosissime proteste di attivisti ambientali filippini che invitavano il governo ad intraprendere azioni drastiche al fine di prevenire l’importazione di rifiuti e di interrompere la Convenzione di Basilea, ratificata nel marzo 1989, che consente ai paesi l’importazione di rifiuti pericolosi a condizione che il governo abbia ottenuto il consenso informato.
fonte: www.rinnovabili.it
Dove vanno i rifiuti
Cosa succede alle cose che buttiamo nei bidoni della raccolta differenziata, e soprattutto cosa succede se sbagliamo bidone
In Italia ogni persona produce in media 497 chilogrammi di rifiuti urbani all’anno, il 51 per cento dei quali viene sottoposto a riciclaggio e compostaggio, riducendo sensibilmente il loro impatto sull’ambiente. Il dato è più o meno in linea con quello medio dei 28 paesi dell’Unione Europea, dove nel complesso ogni cittadino produce 482 chilogrammi di rifiuti, il 47 per cento dei quali viene riciclato. Risultati di questo tipo – tra i migliori al mondo, ma non ancora sufficienti – sono resi possibili dall’impegno (e dalla pazienza) di tutti noi, alle prese quotidianamente con bidoni di colori diversi e sacchi in cui separare plastica, vetro, lattine, carta e rifiuti organici. Dopo anni di leggi, campagne informative e qualche multa, inizia a crescere la consapevolezza che per avere un mondo più pulito e libero dai rifiuti sia essenziale la differenziata. Ma cosa succede quando sbagliamo bidone? E se lasciamo un po’ di scotch sul cartone da riciclare o un’etichetta sul barattolo di vetro? Proviamo a capirci qualcosa.
La raccolta differenziata in Italia ed Europa
Prima di arrivare al come, un po’ di dettagli sul cosa. Il dato medio sul riciclo italiano, come quello europeo, comprende grandi differenze a seconda dell’area geografica: il paese più virtuoso nel riciclo è la Germania (66 per cento), mentre agli ultimi posti ci sono Malta (8 per cento) e Romania (15 per cento). In Italia sono più virtuose le regioni settentrionali con il 64,2 per cento di rifiuti urbani riciclati rispetto alla produzione totale; il dato scende al 48,6 per cento nel centro e al sud si riduce ulteriormente al 37,6 per cento (dati ISPRA 2016).
Prima di arrivare al come, un po’ di dettagli sul cosa. Il dato medio sul riciclo italiano, come quello europeo, comprende grandi differenze a seconda dell’area geografica: il paese più virtuoso nel riciclo è la Germania (66 per cento), mentre agli ultimi posti ci sono Malta (8 per cento) e Romania (15 per cento). In Italia sono più virtuose le regioni settentrionali con il 64,2 per cento di rifiuti urbani riciclati rispetto alla produzione totale; il dato scende al 48,6 per cento nel centro e al sud si riduce ulteriormente al 37,6 per cento (dati ISPRA 2016).
L’Unione Europea ha obiettivi molto ambiziosi per il riciclo. Durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo dello scorso aprile, per esempio, sono stati decisi nuovi obiettivi vincolanti per il riciclo, così come per la gestione degli imballaggi e delle discariche. Entro il 2025 si dovrà arrivare al riciclo di almeno il 55 per cento dei rifiuti urbani. L’obiettivo va di pari passo con una progressiva riduzione dell’impiego delle discariche, il metodo più economico e inquinante per smaltire i rifiuti. Il Parlamento Europeo ha stabilito che entro il 2035 al massimo il 10 per cento del totale dei rifiuti potrà essere smaltito nelle discariche; più del 25 per cento dei rifiuti urbani viene ancora smaltito in quel modo.
La gestione dei rifiuti non riguarda naturalmente solo quelli urbani, prodotti cioè dai singoli abitanti con le loro attività quotidiane, ma su scale molto più grandi anche i rifiuti industriali, che sono molto inquinanti. Le leggi italiane ed europee, che indicano in che direzione devono muoversi i singoli stati, prevedono un progressivo passaggio verso un’economia “circolare”, dove buona parte dei materiali viene riciclata e riutilizzata più volte. Le industrie e le grandi aziende fanno di solito ricorso a particolari consorzi, che offrono assistenza e coordinano i processi di smaltimento dei loro rifiuti, aiutandole anche a produrne di meno (per esempio gestendo meglio gli imballaggi). Anche se la quantità di rifiuti urbani è più bassa di quelli industriali, il suo impatto sull’ambiente rimane comunque significativo e per questo è importante fare la raccolta differenziata.
I rifiuti urbani
La gestione dei rifiuti cambia molto da città a città, a seconda del numero di abitanti, dell’estensione del suo territorio, della disponibilità di discariche, inceneritori e centri di smaltimento, senza dimenticare delle risorse economiche per farli funzionare. Esistono linee guida alle quali le amministrazioni cittadine devono fare riferimento, mentre sui dettagli (come il colore del bidoni, le modalità di raccolta e ritiro) ogni comune è sostanzialmente libero di scegliere come fare. Questo comporta un po’ di confusione, soprattutto per chi si sposta tra una città e un’altra.
La gestione dei rifiuti cambia molto da città a città, a seconda del numero di abitanti, dell’estensione del suo territorio, della disponibilità di discariche, inceneritori e centri di smaltimento, senza dimenticare delle risorse economiche per farli funzionare. Esistono linee guida alle quali le amministrazioni cittadine devono fare riferimento, mentre sui dettagli (come il colore del bidoni, le modalità di raccolta e ritiro) ogni comune è sostanzialmente libero di scegliere come fare. Questo comporta un po’ di confusione, soprattutto per chi si sposta tra una città e un’altra.
Semplificando moltissimo, il servizio di ritiro e smaltimento dei rifiuti urbani viene finanziato attraverso un sistema di tassazione locale. L’importo che ognuno deve pagare cambia a seconda delle politiche scelte dal comune: i criteri variano dalle dimensioni dell’abitazione in cui si vive alla stima o misurazione effettiva della quantità di rifiuti prodotta. La gestione dei rifiuti è tra le spese più consistenti per un comune e di solito viene affidata a un’azienda, che stipula un contratto con l’amministrazione e si fa carico della raccolta e dello smaltimento. Le aziende possono essere private, pubbliche o miste, spesso con un coinvolgimento diretto degli stessi comuni.
Tanti materiali, molti bidoni
La raccolta differenziata interessa quattro grandi tipologie di rifiuti: carta, vetro, alluminio/acciaio e plastica, oltre a quelle più limitate, come medicinali, pile, ecc. A questi si aggiunge, in alcuni comuni, l’ulteriore separazione tra l’organico (“umido”) e i rifiuti non differenziabili. Come sa bene chi fa la raccolta differenziata, questo significa tenersi in casa diversi cestini per le varie famiglie di rifiuti, che dovranno poi essere vuotati nei bidoni condominiali corrispondenti o nei cassonetti per la differenziata, per strada.
La raccolta differenziata interessa quattro grandi tipologie di rifiuti: carta, vetro, alluminio/acciaio e plastica, oltre a quelle più limitate, come medicinali, pile, ecc. A questi si aggiunge, in alcuni comuni, l’ulteriore separazione tra l’organico (“umido”) e i rifiuti non differenziabili. Come sa bene chi fa la raccolta differenziata, questo significa tenersi in casa diversi cestini per le varie famiglie di rifiuti, che dovranno poi essere vuotati nei bidoni condominiali corrispondenti o nei cassonetti per la differenziata, per strada.

Modelli di cassonetti e bidoni per la raccolta differenziata in una città italiana: i colori cambiano nei vari comuni (AMIAT – Torino)
Dove vanno i nostri rifiuti da riciclare
Cosa succede dopo avere buttato la differenziata resta per molti un mistero: sappiamo che a un certo punto arriva un camioncino a portarsela via, poi non se ne sa molto altro. È soprattutto per la carenza di informazioni sul destino della nostra spazzatura, e per una certa diffidenza, che negli anni si sono sviluppate leggende metropolitane piuttosto radicate che finiscono più o meno tutte allo stesso modo: “Tu fai la differenziata, poi loro passano coi camion e alla fine mettono tutto insieme lo stesso”. Ecco, no.
Cosa succede dopo avere buttato la differenziata resta per molti un mistero: sappiamo che a un certo punto arriva un camioncino a portarsela via, poi non se ne sa molto altro. È soprattutto per la carenza di informazioni sul destino della nostra spazzatura, e per una certa diffidenza, che negli anni si sono sviluppate leggende metropolitane piuttosto radicate che finiscono più o meno tutte allo stesso modo: “Tu fai la differenziata, poi loro passano coi camion e alla fine mettono tutto insieme lo stesso”. Ecco, no.
I rifiuti sono ritirati porta a porta o per strada da mezzi di diverse dimensioni, a seconda delle diverse tipologie. Vengono poi trasportati nelle stazioni di trasferimento, impianti dove i vari tipi di rifiuti sono smistati, se necessario compattati, e caricati su camion più grandi che li porteranno negli impianti finali per il loro trattamento. Le stazioni di trasferimento sono molto importanti, soprattutto nelle grandi città dove ogni giorno si devono gestire molte tonnellate di rifiuti.
E allora perché non fare in modo che siano le stazioni di riferimento a differenziare i rifiuti al posto nostro, e senza l’impiccio di cinque cestini diversi, si starà chiedendo qualcuno di voi. La risposta è che non è per niente semplice separare i materiali in un sacco dell’immondizia, dopo che sono stati messi tutti insieme: vetri che nel trasporto si sono frantumati, contenitori di plastica che si sono unti, carta diventata poltiglia a causa dell’umido e così via. Se ognuno separa i propri rifiuti, provvede nel suo piccolo a una parte del lavoro più complicato del processo di riciclo. Non ci pensiamo spesso perché ha a che fare con cose di cui vogliamo liberarci il prima possibile, soprattutto se poi puzzano in casa, ma quando differenziamo i rifiuti ci comportiamo un po’ come un’intelligenza collettiva, una cosa da rendere fieri molti formicai.
Lasciate le stazioni di trasferimento, i rifiuti raggiungono gli stabilimenti dove vengono trattati a seconda della loro tipologia, prima della loro rigenerazione, cioè la trasformazione in nuovi oggetti. Come suggerisce il nome, questi centri di selezione hanno il compito di effettuare una suddivisione più accurata nelle varie sottotipologie di rifiuti.
Prendiamo la plastica: nel bidone buttiamo insieme bottiglie di vario colore, flaconi del detersivo, vaschette, sacchetti e altri imballaggi. Ognuno di questi è realizzato con diversi polimeri, le macromolecole sintetiche che formano la plastica. Sono indicate sulla confezione con una sigla e un simbolo: la più conosciuta è PET, polietilene tereftalato, utilizzato per le bottiglie e altri contenitori alimentari.
Polimeri diversi richiedono sistemi di trattamento diversi, quindi non possono essere riciclati tutti insieme. Un tempo nei centri di selezione la plastica da riciclare veniva fatta passare su lunghi nastri trasportatori, con operatori che riconoscevano e separavano manualmente imballaggi e contenitori. Era un’operazione lunga e con elevata probabilità di errore, ora sostituita da soluzioni automatiche più veloci e affidabili. Si utilizzano sistemi che emettono onde elettromagnetiche indirizzate verso il materiale che transita sul nastro trasportatore. Le onde vengono riflesse in modi diversi dai rifiuti, a seconda dei polimeri che li costituiscono. Il macchinario rileva le differenze e smista il materiale, anche in base al colore, utilizzando per esempio getti d’aria compressa per indirizzarlo su altri nastri trasportatori. Un numero ridotto di operatori sorveglia il lavoro della macchina, intervenendo se viene commesso un errore.

I rifiuti di plastica suddivisi per tipologia, vengono immagazzinati e successivamente venduti alle industrie che li lavorano per il riciclo vero e proprio. Alcune di queste aziende partono dai rifiuti e realizzano il prodotto finito, altre trasformano la plastica da riciclare in piccole sfere (granuli o pellet), da destinare ad altre aziende. Da 20 bottiglie PET si può ottenere una coperta di pile, per esempio. La plastica riciclata viene usata per innumerevoli scopi, compresa la costruzione di nuovi arredi urbani come panchine, staccionate e giochi per i parchi pubblici. Mischiata a plastica ottenuta dalla lavorazione del petrolio, quella riciclata può anche essere impiegata per prodotti di maggior pregio.
Qualcosa di analogo avviene con il vetro, l’alluminio e la carta. Anche questi rifiuti vengono selezionati e destinati al loro recupero. La carta è tra i materiali più riciclati, sia per produrre fogli e cartoni derivanti al 100 per cento dal riciclo, sia per produrre carta di maggiore qualità e resistenza mischiandola alle preparazioni derivanti dal trattamento del legno. Il 90 per cento circa dei sacchetti, delle scatole e dei giornali è realizzato con carta riciclata. Il vetro e l’alluminio hanno una resa ancora migliore e possono essere riciclati teoricamente all’infinito. Con un chilogrammo di vetro riciclato si possono produrre un chilogrammo di nuovi recipienti, senza la necessità di aggiungere materiale. Si stima che ormai in Italia oltre il 70 per cento delle bottiglie di vetro sia prodotto tramite il materiale vetroso recuperato con la raccolta differenziata.
E se sbaglio qualcosa? 
Davanti ai vari bidoni di diverso colore molti vanno in ansia da prestazione, incerti su dove debba essere inserito un rifiuto e se debba essere prima preparato in qualche modo. Di solito i comuni e le aziende che si occupano del recupero della spazzatura distribuiscono volantini con le istruzioni, ma non sono sempre molto dettagliate e qualche dubbio può rimanere. Il consiglio è consultare i loro siti o mettersi in contatto telefonicamente, nel caso di dubbi.
Davanti ai vari bidoni di diverso colore molti vanno in ansia da prestazione, incerti su dove debba essere inserito un rifiuto e se debba essere prima preparato in qualche modo. Di solito i comuni e le aziende che si occupano del recupero della spazzatura distribuiscono volantini con le istruzioni, ma non sono sempre molto dettagliate e qualche dubbio può rimanere. Il consiglio è consultare i loro siti o mettersi in contatto telefonicamente, nel caso di dubbi.
CONAI, il Consorzio per il Recupero degli Imballaggi nato proprio per coordinare il lavoro di raccolta differenziata in Italia, ha pubblicato un decalogo con regole generali su come differenziare. Sono indicazioni di massima, se qualcosa non vi torna il consiglio è di consultare l’azienda dei rifiuti del vostro comune.
Questa è una versione supercondensata del Decalogo, che trovate nella sua versione completa qui.
- Separare correttamente ogni imballaggio in base al materiale di cui è fatto.
- Ridurre il più possibile l’ingombro degli imballaggi prima di inserirli nei bidoni.
- Dividere gli imballaggi composti da materiali diversi: barattoli di vetro e tappi di metallo, involucri di plastica con scatole di carta al loro interno.
- Rimuovere scarti e residui di cibo dai contenitori.
- Non mettere carta sporca e unta, scontrini e fazzoletti usati nella raccolta per la carta.
- Non mettere oggetti in ceramica, porcellana, cristallo, pyrex e lampadine nel bidone del vetro.
- Oltre alle lattine, ci sono molti altri imballaggi di alluminio riciclabili: vaschette, bombolette, tubetti e fogli di alluminio da cucina.
- Attenzione agli imballaggi di ferro e acciaio, di solito riciclabili nello stesso bidone per l’alluminio.
- Oltre alle bottiglie, nel bidone della plastica possono essere inseriti una grande quantità di imballaggi, ma non giocattoli e piccoli elettrodomestici.
- Gli imballaggi in legno devono essere smaltiti separatamente, conferendoli presso le isole ecologiche.
Leggendo il Decalogo probabilmente vi sarà venuta in mente quella volta che avete sbagliato a mettere un tipo di rifiuto in uno dei bidoni della differenziata, oppure avrete scoperto di avere sempre fatto qualcosa di sbagliato. Niente paura: come abbiamo visto, i sistemi di selezione nelle stazioni di trasferimento si occupano anche di rimediare agli errori di questo grande lavoro collettivo di separazione dei rifiuti. Non deve però diventare una scusa per fare meno attenzione quando si fa la raccolta differenziata: meno errori ci sono, più si ricicla facilmente e meno costi si devono affrontare per farlo (costi che in fin dei conti sono quasi tutti a carico nostro). Inoltre, se la raccolta non viene effettuata in modo adeguato, i comuni hanno la facoltà di multare i singoli cittadini (se vivono da soli) o i condomini, quindi meglio fare attenzione.
“Buttano tutto insieme”
C’è un luogo comune, al limite della leggenda metropolitana e piuttosto diffuso, secondo il quale in realtà separare nei bidoni non servirebbe a nulla “perché tanto poi mettono tutta l’immondizia insieme in discarica, o per bruciarla”. Ad alimentare questa credenza hanno contribuito isolati casi di cronaca, la scarsa conoscenza di come funziona la raccolta differenziata e una certa diffidenza verso le pubbliche amministrazioni e le aziende che se ne occupano. In realtà il ministero dell’Ambiente, le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e gli stessi comuni effettuano periodicamente controlli per verificare che raccolta e gestione dei rifiuti siano effettuate nei modi concordati. I rapporti sono resi pubblici, qui ne trovate un esempio, e offrono informazioni e statistiche sull’andamento della raccolta. Inoltre i consorzi come CONAI si occupano di verificare che i loro membri osservino le regole, anche per tutelare il loro interesse.
C’è un luogo comune, al limite della leggenda metropolitana e piuttosto diffuso, secondo il quale in realtà separare nei bidoni non servirebbe a nulla “perché tanto poi mettono tutta l’immondizia insieme in discarica, o per bruciarla”. Ad alimentare questa credenza hanno contribuito isolati casi di cronaca, la scarsa conoscenza di come funziona la raccolta differenziata e una certa diffidenza verso le pubbliche amministrazioni e le aziende che se ne occupano. In realtà il ministero dell’Ambiente, le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e gli stessi comuni effettuano periodicamente controlli per verificare che raccolta e gestione dei rifiuti siano effettuate nei modi concordati. I rapporti sono resi pubblici, qui ne trovate un esempio, e offrono informazioni e statistiche sull’andamento della raccolta. Inoltre i consorzi come CONAI si occupano di verificare che i loro membri osservino le regole, anche per tutelare il loro interesse.
Meno della metà
In numerosi comuni italiani la raccolta differenziata non è ancora attiva o non copre porzioni significative della popolazione. Nelle 14 principali città metropolitane, solo 6 superano il 50 per cento di rifiuti trattati con la raccolta differenziata. Roma supera di poco il 40 per cento, Milano è intorno al 64 per cento, mentre Palermo supera di poco il 10 per cento. C’è quindi ancora molto da lavorare per rendere più diffusa la differenziata nel nostro paese, che offre evidenti vantaggi sia sul piano ambientale sia economico.
In numerosi comuni italiani la raccolta differenziata non è ancora attiva o non copre porzioni significative della popolazione. Nelle 14 principali città metropolitane, solo 6 superano il 50 per cento di rifiuti trattati con la raccolta differenziata. Roma supera di poco il 40 per cento, Milano è intorno al 64 per cento, mentre Palermo supera di poco il 10 per cento. C’è quindi ancora molto da lavorare per rendere più diffusa la differenziata nel nostro paese, che offre evidenti vantaggi sia sul piano ambientale sia economico.
fonte: www.ilpost.it
Terra dei fuochi. Fumo nero su Caivano, rifiuti e interessi criminali ci uccidono
Mercoledì, tarda mattinata. Un’immensa nuvola di fumo nero oscura il cielo di Caivano e paesi limitrofi. Si vede da Napoli, da Caserta, dall’autostrada. Qualcosa di grave sta succedendo, qualcosa che da anni si ripete in questo nostro territorio martoriato. La gente, per intuito, si chiude in casa, mette al riparo i figli: l’aria in breve tempo si è fatta irrespirabile.
Mercoledì, tarda mattinata. Un’immensa nuvola di fumo nero oscura il cielo di Caivano e paesi limitrofi. Si vede da Napoli, da Caserta, dall’autostrada. Qualcosa di grave sta succedendo, qualcosa che da anni si ripete in questo nostro territorio martoriato. La gente, per intuito, si chiude in casa, mette al riparo i figli: l’aria in breve tempo si è fatta irrespirabile.

L'intervento è davvero difficile (Ansa)
Sui social compaiono le prime foto. Il rogo è enorme. È andata in fiamme un’azienda che lavora al riciclo della carta e della plastica. In questi ultimi due anni sono centinaia queste aziende che vanno prendendo fuoco. Nessuno può dire se si tratti di un incendio doloso o di un incidente.
Una cosa è certa: l’immondizia, in un modo o in un altro, ci sta rendendo invivibile la vita. Che cosa sta accadendo? Parlando di se stesso, un camorrista dice: faccio parte del “sistema”. Ecco, il sistema. C’è un sistema, un ingranaggio, un modo di ragionare, di agire cui ho aderito. Credo che anche per quanto riguarda la raccolta, lo smaltimento, il trattamento, il riciclo dei rifiuti siamo entrati in una sorta di sistema maledetto che mette al riparo il singolo industriale e rovina l’esistenza a una folla di persone di cui è impossibile sapere il numero.
Che effetti avrà la diossina sprigionatosi per tutto il pomeriggio di mercoledì dalla zona industriale di Caivano? Una volta spento il rogo tutto passerà nel dimenticatoio. Ci sono azioni cattive che vengono punite, altre che resteranno per sempre in una sorta di limbo legale. Io non so se questo ennesimo incendio sia doloso, non sta a me dirlo, dico solo che mi viene sempre più difficile credere, in questi casi, che si tratti di incidenti.

Le operazioni per spengere le fiamme sono andate avanti a lungo (Kontrolab)
La recente legge sugli ecoreati infatti punisce severamente chi appicca i roghi, ma non prevede alcuna punizione se a bruciare sono rifiuti plastici ammassati in quantità enormi, in modo dissennato, in aziende legali in attesa di essere smaltiti o trattati. Per cui viene il sospetto che ai roghi piccoli - che bruciavano all’aperto – si siano sostituiti i roghi giganti, incredibilmente e dolorosamente “legali”. In questa tristissima storia dei rifiuti c’è sempre qualcosa che non torna, una sorta di anello mancante.
L’incendio che ci ha rapinato l’aria e la gioia di vivere mercoledì scorso, se ancora ce ne fosse bisogno, è l’ennesima prova che “Terra dei fuochi” non è più solo un luogo ma un fenomeno che riesce sempre di più ad uscire dalla macchia e ammantarsi di legalità. E non c’è niente di più terribile per il popolo indifeso che essere colpiti e affondati da un nemico “legale”.
Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, conosce molto bene questo meccanismo perverso. Da lui ci apettiamo molto. Dove c’è la “monnezza”, in un modo o in un altro, c’entra la camorra. Per impaurire, per affossare, per consigliare. A volte degli industriali è nemica e pretende il pizzo, altre volte diventa loro buona amica e il pizzo lo incassa senza far rumore, altre volte ancora arriva ad essere loro socia in affari.

Il fumo si vede da molto lontano (Kontrolab)
Questo nostro popolo ne ha subito tante. È stanco, amareggiato, deluso. È arrabbiato. Ha paura. C’è bisogno di più Stato. O, meglio, c’è bisogno che lo Stato in “Terra dei fuochi” si decida a fare lo Stato. Uno Stato attento, vicino, che sa ascoltare e al momento intervenire. Che punisce severamente chi deve essere punito e si fa custode attento dei suoi cittadini. La domanda è sulla bocca di tutti: come è possibile ammassare tonnellate e tonnellate di materiali altamente infiammabili in un sito senza prevedere un sistema antincendio funzionante e all’avanguardia? I Vigili del fuoco non stanno dietro la porta e le autobotti in questi casi somigliano a minuscoli secchi d’acqua. Occorre bloccare il sistema. È un sistema disumano, che uccide. Ingiusto. Un sistema che premia gli scaltri e abbatte gli onesti.
Don Maurizio Patriciello
fonte: www.avvenire.it
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