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Plasmix nelle pavimentazioni

Accordo tra Iren e Mapei per la produzione di conglomerati bituminosi modificati con plastiche riciclate da raccolta differenziata.







La multiutility emiliana Iren, attraverso la controllata I.Blu, ha siglato un accordo con il fornitore di materiali da costruzione Mapei per utilizzare plastiche riciclate da rifiuti post-consumo nella produzione di conglomerati bituminosi destinati alla realizzazione di pavimentazioni stradali. L'obiettivo è sviluppare asfalti più sostenibili e duraturi per strade, autostrade, aree industriali, aeroporti, centri logistici e commerciali.

Negli anni scorsi Mapei e I.Blu hanno collaborato a progetti di pavimentazione di alcuni tra i principali scali aeroportuali del territorio nazionale, confermando la validità della tecnologia adottata. Formulazioni messe a punto anche grazie al supporto del Laboratorio Stradale del Politecnico di Milano.


“L’accordo stipulato con Mapei interpreta perfettamente il nostro concetto di multicircle economy, la nostra visione industriale a lungo termine focalizzata sull’uso consapevole ed efficiente delle risorse - commenta l'AD di Iren Massimiliano Bianco (a destra nella foto in alto) –. L’ingresso nel Gruppo Iren di I.Blu, avvenuto nel 2020 (leggi articolo), ci ha permesso di compiere un ulteriore passo avanti, sia in termini di innovazione industriale che nella valorizzazione economica ed ambientale del ciclo dei rifiuti, permettendoci di diventare leader nazionale nella selezione delle plastiche Corepla e nel trattamento del plasmix". "La partnership con Mapei aggiunge ulteriore valore a questo processo, permettendoci di chiudere il cerchio attraverso l’impiego dei polimeri termoplastici nei conglomerati bituminosi”.

"Mapei crede fortemente nello sviluppo di questo mercato ed ha recentemente creato la nuova linea Road Engineering dedicata proprio alle tecnologie e soluzioni per tutto quello che è il mondo dei conglomerati bituminosi, dalle grandi opere alle strade comunali o provinciali. L’economia circolare implica anche la ricerca di durabilità - aggiunge Marco Squinzi, CEO di Mapei (a sinsitra nella foto in alto) -. L’utilizzo di tecnologie innovative per interventi più risolutivi e più duraturi per estendere la vita delle strutture, sia nel nuovo che nel ripristino, deve diventare un impegno condiviso nell’ambito delle infrastrutture e dell’edilizia. Il fatto che questo si possa ottenere grazie all’utilizzo di materie prime seconde, aggiunge valore al progetto che si inserisce appieno nella scelta di Mapei di fare della sostenibilità un pilastro della propria attività”.

fonte: www.polimerica.it


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Taranto, ipotesi di impianto da 100mila tonnellate annue di Plasmix: tutti i dubbi di Zero Waste Puglia

Rifiuti plastici non riciclabili che diventerebbero SRA (Secondary Reducing Agent) da usare negli altoforni Ilva o C.S.S. da bruciare nei cementifici: "Proposta in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche"




Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa di Zero Waste Puglia che accende i riflettori sul progetto della milanese Unità di Misura, una proposta che secondo l'associazione "andrebbe rigettata in quanto in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche in corso di trasposizione nelle norme nazionali".

Un impianto per il trattamento di 100.000 tonnellate/anno di rifiuti plastici non riciclabili, cosiddetto plasmix, che opportunamente preparati diventano SRA (Secondary Reducing Agent) per utilizzo negli altoforni in sostituzione del carbone per la produzione di acciaio e/o C.S.S. (Combustibile Solido Secondario) da bruciare nei cementifici.


Secondo l’istanza presenta alla Provincia di Taranto da Unità di Misura S.r.l. di Milano per l’ottenimento del Provvedimento Autorizzativo Unico Regionale (PAUR), l’impianto avrà sede nell’area di sviluppo industriale di Taranto, in località Pantano sulla S.S. Jonica 106. Avrà una capacità di trattamento per tre volte la produzione di plasmix dell’intera regione Puglia e più di un quarto di tutta la plastica avviata a recupero energetico nel 2018 in Italia.

Il Proponente presenta come qualificante la tecnologia BEST che da una breve ricerca si è rilevata come precaria e senza precedenti operativi (vedi rif. https://bit.ly/2EANAwu, https://bit.ly/2D07Ozr ). In definitiva tale referenza non depone a favore della qualifica tecnico-organizzativa della società Proponente.

La tecnologia di preparazione dello SRA è sicuramente matura, ma in tutti gli esempi internazionalmente noti la sua messa a punto specifica ha visto la compartecipazione attiva dell'utilizzatore finale (l'acciaieria per intenderci). Prima di tutto l'alimentazione dello SRA comporta delle modifiche strutturali all'altoforno, incluso l'impianto di stoccaggio e alimentazione dello SRA. La composizione e la granulometria dello SRA sono decisivi nella validazione del suo uso nello specifico altoforno. Non siamo riusciti a determinare se ILVA ha già esperienza di uso dello SRA e se ha emesso delle specifiche tecniche cui i vari fornitori si devono conformare. Senza tale indicazione e garanzia, la fornitura di SRA a destinazione ex-ILVA o altra acciaieria è del tutto aleatoria. Facciamo notare che il prodotto finale dell'impianto proposto è definito dal Proponente come SRA oppure CSS (Relazione tecnica - pag.10). Chiunque noterebbe l'assurdità dell'investimento se fallisse la fornitura di SRA all’impianto ex-ILVA o altra acciaieria. Mentre il Proponente accenna a un accordo con COREPLA per la fornitura dei rifiuti in ingresso, non si accenna neanche minimamente ad accordi o sperimentazioni fatte con Arcelor Mittal o altra acciaieria relativamente all'utilizzo dello SRA prodotto negli altoforni.

Non abbiamo trovato traccia delle condizioni economiche di fornitura dello SRA, essenziale per valutare il piano finanziario su cui si regge l'iniziativa proposta. A nostro parere questo resta un'incognita decisiva da risolvere prima di qualsiasi validazione del progetto.

Nella Relazione Tecnica si cita la norma UNI10667-17 come standard tecnico per lo SRA. Ma non si afferma esplicitamente che tale normativa sarà seguita e garantita dal Proponente in fase operativa. Né si descrivono le procedure di controllo di conformità a tale normativa dello SRA prodotto.


Il Proponente definisce la produzione di SRA come un processo di "riciclo chimico". Abbiamo forti dubbi che l’Agente Riducente Secondario (SRA) sia considerato come riciclo dalle norme europee, visto che distrugge materia. Diventa però essenziale la garanzia che il prodotto finale sia destinato a SRA e non a CSS per cementifici. Nel secondo caso infatti NON potrebbe essere classificato come "riciclo" e tra l'altro penalizzerebbe l'obiettivo obbligatorio relativo alle quantità di plastica riciclata da raggiungere in accordo alle recenti normative UE. Da notare altresì che i recenti accordi fra Stati membri hanno incluso una nuova tassa sulla plastica non riciclata. Che - per la quota parte di prodotto destinata a CSS - sarebbe a carico dello Stato e non del Proponente.

Il Proponente elenca i codici CER relativi alle materie prime usate nell'impianto. A nostro parere sono inammissibili due di essi:

- 150102/rifiuti da imballaggi in plastica da RD. Non trattandosi di scarti della selezione, si rischierebbe una competizione negativa con le piattaforme di selezione meccanica della plastica da RD, da avviare al riciclo come nuovi imballaggi;

- 191219/CDR o CSS. Trattandosi di un materiale già trattato e destinato a recupero energetico non si capisce l'utilità di trattarlo ulteriormente per fargli fare la stessa fine.

La stima di riduzione delle emissioni di CO2 è basata sull'utilizzo dello SRA in sostituzione del 6-13% di coke negli altoforni. Tale beneficio verrebbe completamente meno se l'impianto producesse CSS invece di SRA.

Alcune osservazioni minori e formali sulla Relazione Tecnica:

- a pag. 7 si indica al 26% l'obiettivo di riciclo degli imballaggi in plastica, mentre le recenti Direttive UE impongono l'obiettivo del 50% al 2025. Questa osservazione rileva in quanto l'impianto proposto contribuirebbe al raggiungimento dell'obiettivo solo nella misura in cui producesse effettivamente SRA da utilizzare in acciaieria. Ragione per cui l'ottenimento della garanzia dell'utilizzo finale dello SRA dovrebbe far parte della procedura di rilascio dell'autorizzazione alla sua realizzazione ed esercizio;

- alle pag. 59 e 72 della Relazione Tecnica la terza colonna delle Tabelle 5-4, 5-5 e 9-2 deve essere corretta indicando (m3) e non (ton).

In conclusione a nostro parere sono eccessivi i dubbi sulla proposta e le evidenze ad essa contrarie. La proposta andrebbe dunque rigettata in quanto in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche in corso di trasposizione nelle norme nazionali.

fonte: www.ecodallecitta.it


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Ecco come gestiamo gli imballaggi in plastica in Italia, una volta divenuti rifiuti

Nel 2019 sono 2.083.880 le tonnellate impiegate, il 43,39% è stato avviato a riciclo e il 48,63% a recupero energetico




















Nel 2019 sono oltre 1.370.000 le tonnellate di plastica raccolte in modo differenziato. Si tratta del 13% in più rispetto al 2018. Ma il bilancio 2019 per il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero della plastica si chiude con disavanzo pari a circa 13 milioni di euro. Un’ulteriore testimonianza di come una corretta gestione rifiuti e il loro recupero porti sempre vantaggi ambientali e possa migliorare la competitività economica del sistema-Paese – a maggior ragione per uno come l’Italia, manifatturiero ma storicamente povero di materie prime –, ma al contempo è fuorviante pensare che tutte le frazioni di rifiuti possano essere “risorse” economiche. Al contrario, è sempre vero che tenere pulite le proprie città costa.
Ad esempio – come spiega proprio Corepla nel bilancio 2019 appena presentato – i costi totali sono aumentati di 102 milioni di euro circa rispetto al 2018 in quanto a fronte della crescita della raccolta, al contempo sono aumentate “le difficoltà a riciclare alcune tipologie di imballaggi e i costi legati alla gestione del plasmix”, ovvero le plastiche miste difficili (quando non impossibili) da riciclare.
Tornando alla raccolta, in media ognuno di noi differenziato 22,8 kg all’anno. Le quantità conferite alla raccolta differenziata nel 2019 sono risultate essere composte per il 91% da imballaggi in plastica e per il restante 9% dalle frazioni estranee o neutre contenute nella raccolta mono materiale.
«Un risultato mai raggiunto prima – ha dichiarato il Presidente di Corepla Antonello Ciotti – per gli oltre 7.000 Comuni che hanno avviato il servizio di raccolta. Con una media di circa 23 kg /abitante anno di RD il sistema italiano del riciclo degli imballaggi in plastica è tra i primi in Europa. Siamo certi che lavorando così assiduamente nell’attività di sensibilizzazione di tutti gli attori e nello sviluppo di nuove tecnologie riusciremo a vincere la sfida dell’economia circolare, e saremo pronti a contribuire al raggiungimento degli ‘sfidanti’ obiettivi che la EU pone per il 2025 per il nostro Paese».
Anche perché, appunto, oltre alla raccolta differenziata c’è di più: il recupero di materia e, in subordine, quello di energia. Nel merito non è facile tratteggiare lo stato dell’arte in Italia, a maggior ragione nell’ultimo anno in quanto, come riporta il bilancio del consorzio, dal 2019 Corepla «rendiconta i flussi quantitativi di sola sua pertinenza, decurtando i volumi di competenza dei Sistemi autonomi; questo crea una discontinuità nel confronto con gli anni precedenti».
L’immesso al consumo di imballaggi in plastica nel corso dell’ultimo anno – pari a 2.083.880 tonnellate –, si riferisce ai volumi risultanti dalle dichiarazioni Cac (contributo ambientale Conai) che si assumono essere equivalenti all’immesso al consumo di pertinenza Corepla; un dato in flessione rispetto al 2018, quando le tonnellate immesse al consumo furono 2.292.000 tonnellate.
Come sono state gestite? Nel 2019 la raccolta differenziata gestita dal Consorzio è stata pari a 1.378.384 tonnellate, con un aumento dell’13% rispetto al 2018 e «lo scorso anno  sono state  riciclate 617.292 tonnellate di rifiuti di imballaggio in plastica, prevalentemente provenienti da raccolta differenziata urbana (sono incluse le quantità  provenienti dalle piattaforme da superfici private e dai Consorzi autonomi)», spiega Corepla, che ha inoltre «avviato a recupero energetico 445.812 tonnellate che sono state utilizzate per produrre energia al posto di combustibili fossili. Il materiale avviato da Corepla a recupero è stato destinato per il 75% a cementifici (41% in Italia e 34% all’estero) e per il restante 25% a termovalorizzazione». Dunque della differenziata raccolta da Corepla il 44,78% è stato avviato a riciclo, il 32,34% a recupero energetico.
Queste le cifre della gestione consortile. Ampliando il campo d’osservazione alla voce “riciclo totale” si arriva a 904.292 tonnellate rispetto a un immesso al consumo come detto pari a 2.083.880 tonnellate (43,39%), mentre il recupero energetico arriva a 1.013.322 (48,63%). Ecco dunque che «dei 2.084 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica immesse sul mercato e di pertinenza Corepla nel 2019, il sistema Italia è riuscito quindi a recuperarne 1.917.614, che corrisponde al 92%».
Numeri che riportano alla luce, nel Rapporto di sostenibilità Corepla, il problema di quegli imballaggi che sono tecnicamente difficili o impossibili da riciclare meccanicamente, per esempio quelli costituiti da più polimeri intrinsecamente legati fra loro, oppure ancora dei «residui derivanti dalla selezione dei rifiuti di imballaggio in plastica per i quali – attualmente – non esiste possibilità di riciclo meccanico o potrebbe esistere solamente a costi non sostenibili per motivi tecnologici o rese molto basse». Queste frazioni ad oggi vengono bruciate per ricavarne energia, mentre il ricorso alla discarica «è dovuto, principalmente, alla mancanza di impianti di termovalorizzazione e/o di cementifici in alcune aree del Paese o alla impossibilità di accesso in quanto già saturati da altri rifiuti indifferenziati».
Per migliorare il quadro della situazione sono indispensabili interventi per ridurre gli imballaggi immessi al consumo dove possibile e a livello di ecodesign, per rendere più riciclabili gli imballaggi necessari, entrambi interventi che ovviamente non possono essere messi in campo quando i rifiuti sono già stati prodotti e non resta che gestirli. A questo punto della filiera altre innovazioni tecnologiche possono provare a intervenire, come ad esempio il riciclo chimico e la gassificazione, entrambi punti focali della collaborazione instaurata tra Corepla e Eni.
In tutto questo, la “soluzione” del plastic-free che posto trova? «Non esistono materiali giusti o sbagliati – risponde Corepla – esistono imballaggi più o meno adatti in base allo scopo e alla situazione […] Il vero problema è la dispersione degli imballaggi nell’ambiente, a causa della non corretta gestione, nella fase di fine vita, indipendentemente dal materiale di cui sono fatti Anche i così detti imballaggi biodegradabili e compostabili non si degradano nell’ambiente: è comunque indispensabile che vengano raccolti e gestiti da un circuito che li avvii in impianti in grado di valorizzarli».
fonte: www.greenreport.it


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Plastiche miste, Saipem testa una nuova tecnologia di smaltimento

La tecnologia “flameless”, messa a punto dall’Italia ITEA, permette la produzione di energia a basso costo utilizzando combustibili poveri



















Riciclare le plastiche miste rimane una sfida aperta per il comparto dell’economia circolare. I primi esperimenti di recupero non mancano, come nel caso del progetto di Pontedera dove questo tipo di rifiuti è stato trasformato in seggiolini da stadio. Nel complesso, tuttavia, la soluzione più frequente rimane la valorizzazione energetica del plasmix, nome che identifica l’insieme plastiche miste residue. Le ultime novità tecnologiche in questo campo arrivano dall’Italia e più precisamente ITEA S.p.A. La società ha siglato un accordo con la Saipem per testare un nuovo metodo di trattamento dei rifiuti plastici eterogenei.

Il sistema, brevettato dalla stessa ITEA, si avvale di un processo chiamato ‘flameless oxy-combustion’, ossia combustione con ossigeno in assenza di fiamma. Si tratta di un processo di ossidazione dei rifiuti che avviene all’interno di un reattore in modo ordinato, prevedibile e controllabile, con esclusiva produzione di vapore acqueo e CO2 pura. L’anidride carbonica non viene immessa nell’atmosfera, ma è idonea per essere utilizzata come prodotto destinato al mercato. Il processo è, inoltre, molto flessibile, relativamente semplice e consente di essere sfruttato anche in impianti di dimensioni ridotte. In prospettiva, consentirà di aumentare notevolmente la percentuale di materiale smaltibile in maniera sostenibile.

Ulteriore vantaggio della tecnologia è quello offerto dalla possibilità di processare, insieme al Plasmix, fanghi di depurazione derivanti dai trattamenti delle acque reflue, un materiale oggi difficile da smaltire.
Spiega Mauro Piasere, direttore della Divisione XSIGHT di Saipem “Il tema del riciclo della plastica è un obbiettivo di grande interesse per Saipem che ancora richiede studi e tecnologie, ma non vogliamo stare fermi mentre i nostri mari e le nostre terre combattono con l’inquinamento delle plastiche. L’applicazione diffusa del processo di oxy-combustion consentirebbe di recuperare il prezioso contenuto di energia delle plastiche di scarto evitando la loro dispersione. L’applicazione di questa tecnologia conferma la nostra capacità di adattare tecnologie dell’oil&gas alle nuove esigenze del mercato e dei nostri clienti e di supportarli fornendo loro soluzioni orientate verso una maggiore sostenibilità”.

fonte: www.rinnovabili.it

Il riciclo va allo stadio: i primi seggiolini nati dai rifiuti di plastiche miste

Revet, in collaborazione con l’azienda bolognese Omsi, ha trasformato le plastiche miste delle raccolte differenziate toscane, in 3000 nuove sedute dello stadio di Pontedera



















La città di Pontedera rivendica con soddisfazione ed orgoglio la scelta di aver dotato il proprio stadio comunale con i primi seggiolini al mondo realizzati con le plastiche miste. Così Matteo Franconi, sindaco del comune pisano, ha presentato ieri il nuovo progetto di riciclo a km zero: nell’impianto sportivo Mannucci sono state installate 3.000 nuove sedute ottenute dai rifiuti, frutto della raccolta raccolta differenziata toscana e del riprocessamento del vicino stabilimento Revet. “Si tratta di una applicazione concreta di quell’economia circolare davvero a km zero – ha affermato Franconi – in cui i rifiuti raccolti, i cittadini che li hanno conferiti, e gli impianti industriali che li hanno ulteriormente selezionati e poi riciclati, sono interamente del nostro territorio: lo stadio Mannucci li utilizza oggi come ri-prodotti”.

L’iniziativa pontederese ha più di un elemento di distinzione. A cominciare dalla materia prima seconda impiegata: si tratta in questo caso di plastiche miste o eterogenee, per loro natura le più difficile da riciclare. Revet, attraverso la sua controllata Revet Recycling, si è affermata in  Italia come la prima azienda in grado di dare una seconda vita a questi rifiuti piuttosto che trasformali in combustibile. Dal riciclo delle plastiche miste derivate da imballaggi post-consumo (plasmix), scarti industriali e Raee, oggi nascono tegole, pavimentazioni carrabili, vasi, utensili per la casa, compostiere, articoli per l’edilizia e l’arredamento. E ora anche sedute per impianti sportivi e stadi.
Come spiegato da Livio Giannotti, presidente dell’azienda L’inaugurazione di oggi corona un lungo lavoro portato avanti da Revet e dal suo ufficio Ricerca e sviluppo che certifica l’elevatissima qualità raggiunta dal nostro granulo. Ora  – continua Giannotti – stiamo lavorando alla riduzione dei costi per unità di prodotto, in modo da rendere il prodotto finale competitivo (non solo ambientalmente, ma anche economicamente), con quello realizzato al 100% in materiale vergine, che sfrutta anche le economie di scala finora attuate in tutto il mondo”. Il progetto, condotto in collaborazione con l’azienda bolognese Omsi, consente di ridurre dal 30% al 40% il prelievo di materie prime dall’ambiente.

fonte: www.rinnovabili.it

Pisa, nuovi progetti per il riciclo della plastica e l’economia circolare

Alle “Giornate della Ricerca” promosse dal consorzio Corepla in collaborazione con la Scuola Sant’Anna, presentate soluzioni alternative per riciclare gli imballaggi.


PISA – Nuovi spunti per il riciclo della plastica e l’economia circolare sono emersi nella seconda edizione delle Giornate della Ricerca promosse da Corepla, il consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi di plastica, in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna, in programma a Pisa lunedì 10 e martedì 11 giugno.
Sono stati approfonditi temi vitali come il trasporto dell’acqua, la salute, l’igiene e la sicurezza, l’energia e il cibo. Una continua ricerca di soluzioni alternative, da affiancare al riciclo tradizionale degli imballaggi di plastica, che possano garantire risposte a una sempre crescente raccolta differenziata.
Sottolinea Antonello Ciotti, presidente del Corepla: “Per un’Italia che innova ed è in veloce trasformazione verso un’economia circolare occorrono interventi imprenditoriali e pubblici: servono nuovi impianti per far fronte all’aumento della raccolta differenziata e serve che le amministrazioni pubbliche impongano l’uso di materiale riciclato nei loro acquisti”.
Aggiunge Marco Frey, direttore del Master GECA sull’economia circolare, promosso dall’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna: “Per una maggiore circolarità occorre trasformare il ciclo di vita dei prodotti/servizi in tutte le loro fasi, a partire dal design per chiudere con il riciclo, mettendo in campo tutta la creatività di cui noi italiani siamo capaci”.
Tra i nuovi progetti Luisa Lavagnini, direttore R&D e Innovazione Tecnologica Versalis (Eni) ha presentato un progetto per utilizzare polistirene proveniente da raccolta differenziata all’interno della propria filiera produttiva: una nuova materia prima espandibile contenente riciclato che trova impiego nella produzione di lastre isolanti. Si sommano così i vantaggi sul breve periodo del packaging stirenico, utile per il trasporto e la conservazione dei cibi, con quelli dell’applicazione in edilizia in cui l’isolante riduce per decenni i consumi energetici delle abitazioni.
Teresa Galardi, Sustainability leader di Equipolymers, ha presentato Viridis 25, un PET di grado alimentare che utilizza fino al 25% di PET riciclato chimicamente.
L’Istituto di Biorobotica della Sant’Anna di Pisa, nell’ambito del progetto Blue Resolution, ha presentato SILVER 2, un robot a forma di granchio con 6 zampe, progettato e costruito per esplorare i fondali marini e analizzare e monitorare la presenza di plastiche.
Paolo Fiaschi, vice presidente Eni Refining & Marketing, ha presentato le attività del Gruppo Eni nell’ambito dell’economia circolare con un focus particolare sul progetto di gassificazione del CSS proveniente dai rifiuti solidi urbani di Venezia in miscela con il plasmix originato dalle attività di selezione Corepla e destinato alla produzione di idrogeno che verrà poi utilizzato nella bioraffineria Eni di Porto Marghera.
Alessando Canovai, direttore generale di Revet, importante azienda toscana di riciclo plastica, ha illustrato il nuovo granulo messo a punto valorizzando la componente poliolefinica del plasmix, derivato dagli imballaggi di plastica raccolti in Toscana, utilizzato recentemente anche per la stampa 3D.
Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna

Da rifiuti in plasmix a nuovi prodotti stampati in 3D: nuovo record per l’innovazione toscana

Revet Recycling e R3direct hanno siglato un accordo per l’utilizzo di plastiche riciclate, in un’economia circolare tutta a km zero



















Il plasmix, ovvero quell’insieme di plastiche eterogenee che – una volta divenuto rifiuto – arriva a comporre circa la metà di tutti gli imballaggi in plastica raccolti in modo differenziato, rappresenta da sempre una sfida per il mondo del riciclo: grazie a un’innovazione tutta toscana si aprono però adesso nuove prospettive in termini di economia circolare. Un accordo di ricerca siglato tra la pontederese Revet Recycling e la lucchese R3direct ha infatti permesso di utilizzare per la prima volta granuli ottenuti dal riciclo del plasmix per la produzione di oggetti durevoli tramite stampa 3D.
A darne notizia è direttamente Revet Recycling – azienda controllata al 100% da Revet, da oltre trent’anni leader dell’economia circolare in Toscana –, che dal 2013 ricicla la componente poliolefinica delle plastiche miste delle raccolte differenziate toscane producendo profili per l’arredo urbano e granuli adatti alla produzione di manufatti (anche di alta gamma) tramite stampa a iniezione, ma adesso pure in 3D. Nuovi orizzonti resi possibili dalla collaborazione con R3direct, una start-up con sede in provincia di Lucca che utilizza tecnologie di stampa 3D di grande formato per la produzione di oggetti durevoli in plastica riciclata post consumo.
Proprio in questi giorni Revet Recycling e R3direct hanno siglato un accordo finalizzato ad avviare un percorso di ricerca e sviluppo sulle potenzialità della stampa 3D con l’utilizzo di plastiche riciclate per individuare una nuova generazione di semilavorati (filamenti e/o granuli) e prodotti finiti. Le possibilità che si celano all’interno di questo nuovo percorso d’innovazione industriale sono però già state toccate con mano a Ecomondo 2018 – la fiera internazionale dell’economia circolare, che si è appena conclusa a Rimini –, dove modellini di barche stampate in 3D sono state consegnate ai protagonisti del progetto Arcipelato pulito, di cui più volte abbiamo dato conto sulle nostre pagine.
Queste barchette sono il simbolo di una doppia sfida: da una parte Arcipelago pulito – un progetto tutto toscano, lanciato dalla Regione in collaborazione con molti soggetti come la stessa Revet, Legambiente, Unicoop Firenze e i pescatori di Livorno – ha permesso di dimostrare che è possibile collaborare con i pescatori per rendere più puliti i nostri mari, dando il là ad iniziative legislative, in Italia e in Europa, per correggere un’evidente anomalia normativa che impone ai pescatori di rigettare in mare i rifiuti accidentalmente pescati con le loro reti.
Dall’altra parte la “flotta” stampata in 3D e battente la doppia bandiera Revet-R3direct costituisce uno dei primi esempi al mondo di stampa 3D da granulo poliolefinico proveniente da riciclo degli imballaggi in plastica mista delle raccolte differenziate. Finora infatti la tecnologia 3D ha sviluppato in particolar modo solo la stampa da filamenti, quasi sempre a matrice  PLA o comunque monopolimeri vergini.

La scelta di Revet e R3direct va invece in direzione diversa, quella di provare a nobilitare la frazione plastica delle raccolte differenziate più difficile da riciclare: il plasmix appunto. Un percorso che durante la scorsa legislatura sembrava potesse finalmente ricevere una spinta anche a livello nazionale, grazie a un credito d’imposta rivolto al riciclo del plasmix, introdotto (per la prima volta nella storia della legislazione italiana) nella legge di Bilancio 2018. Da allora è passato quasi un anno però, i decreti attuativi non si sono visti e la misura è di fatto ferma. Ma la Toscana va avanti.

fonte: www.greenreport.it

Che fine hanno fatto gli incentivi per il riciclo degli imballaggi in plastica?

La legge di Bilancio 2018 ha previsto, per la prima volta in Italia, un credito d’imposta per favorire il recupero del plasmix. Ma dei decreti attuativi previsti non c’è traccia, e la misura è ferma




La crescente presenza di plastica nell’ambiente marino, dovuta all’eccessivo impiego di prodotti dalla vita utile brevissima se non monouso, e soprattutto all’incapacità mostrata dall’uomo di gestire adeguatamente questi materiali una volta divenuti rifiuti, ha finalmente indotto le massime autorità globali – tra cui l’Onu – a mettere nel mirino il problema. Neanche il tempo di prenderne pienamente coscienza, e nuove ricerche avvisano che l’emergenza potrebbe essere ben più ampia di quanto pensassimo: l’inquinamento da microplastiche del suolo, ad esempio, sembra molto più alto di quello marino (da 4 a 23 volte superiore, a seconda dell’ambiente), aggravando ulteriormente la minaccia.
È dunque evidente come, oltre a denunciare lo stato di degrado ambientale, sarebbe urgente mettere in campo anche le soluzioni al problema, che sono in larga parte già disponibili: guardando agli ultimi dati raccolti da Legambiente lungo il Mediterraneo, si nota ad esempio che la cattiva gestione dei rifiuti urbani è causa del 54% dei rifiuti spiaggiati. Occorre dunque migliorarla e irrobustirla.
A tal fine un’ottima notizia è spuntata tra le pagine della legge di Bilancio 2018, approvata nel dicembre scorso: per la prima volta nella storia nazionale, grazie a un emendamento che vede come primo proponente Stefano Vignaroli (M5S) ma che ha trovato una condivisione di principi trasversale, sono stati introdotti incentivi per favorire il riciclo del plasmix.
Ovvero di quegli imballaggi in plastica che, una volta divenuti rifiuti, sono di più difficile gestione. E non si tratta di una minoranza: queste plastiche eterogenee arrivano a comporre oltre il 50% di tutti gli imballaggi plastici raccolti come rifiuti, e solo poche eccellenze a livello nazionale (la prima è stata la Revet, in Toscana) sono capace di riciclarle per poi poterle re-immetterle sul mercato sotto forma di prodotti riciclati. Una volta re-immessi sul mercato questi prodotti in plastica riciclata devono infine essere anche ri-acquistati, naturalmente, perché il cerchio dell’economia circolare possa dirsi chiuso. Ed è qui che interviene l’ultima legge di Bilancio, prevedendo un credito d’imposta per l’acquisto pari al 36%.
Per il momento la misura ha un importo poco più che simbolico, 3 milioni di euro in tre anni (2018, 2019 e 2020), ma non per questo poco significativa. Il problema, piuttosto, è che non può agire. Mancano i decreti attuativi: un grande classico della produzione legislativa italiana. E un problema noto da tempo.

Il quotidiano economico Italia Oggi già a fine dicembre 2017, pochi giorni dopo l’approvazione della legge di Bilancio, avvisava che «sarà comunque un decreto attuativo a regolare condizioni, modalità e termini per la spettanza e la fruizione del credito fiscale. A emanarlo sarà il ministero dell’Economia, di concerto con i dicasteri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge (ossia entro fine marzo 2018)». Marzo però si è concluso, e dei decreti attuativi ancora non c’è traccia: il riciclo della plastica, evidentemente, non è così urgente.

fonte: www.greenreport.it

Rifiuti: quali conseguenze dopo la stretta cinese? Plasmix destinato ad accumularsi, rischio paralisi della filiera



















Iniziano a manifestarsi i primi segni della stretta cinese sulle importazioni di rifiuti. Andrea Fluttero, presidente di UNICIRCULAR, ad Eco dalle Città: " I materiali saranno destinati ad accumularsi nei piazzali con il rischio che si paralizzi la filiera fino alla raccolta stessa"

Nei mesi scorsi la Cina ha annunciato e poi messo in pratica la stretta sulle importazioni di rifiuti. Uno degli ultimi passaggi in questo senso è l’entrata in vigore, dal 1° marzo 2018, del nuovo tetto massimo alle impurità presenti nei materiali inviati a trattamento negli impianti cinesi (0,5% del peso complessivo del carico). Su questo tema abbiamo interpellato Andrea Fluttero, presidente di UNICIRCULAR:
Partiamo dall’origine della scelta presa dalla Cina: da cosa è stata dettata?
La Cina sta evolvendo il suo modello di sviluppo. Il gigante asiatico sta crescendo in maniera molto rapida. Cresce in dimensioni ma cresce anche in qualità. E così ha deciso di definire dei limiti molto più restrittivi alle impurità presenti nei materiali che importava. In questo modo elimina tutta una serie di materiali di scarsa qualità in entrata e riduce l’uscita di prodotti di bassa qualità. Questa decisione, tuttavia, mette in crisi l’Europa, in particolare i Paesi che hanno spinto sulla raccolta differenziata.
Quali sono esattamente i rifiuti che vengono “colpiti” da questa stretta?
Fino ad ora le frazioni di qualità più alta hanno trovato collocazione a livello europeo nel circuito del riciclo. Le frazioni con maggiori impurità, invece, avevano uno sbocco collaudato nelle aziende cinesi. Tra i materiali più colpiti dalla stretta cinese, ci saranno le plastiche eterogenee, il cosiddetto plasmix. Questi materiali prima venivano comprati anche se a prezzi bassi. Il plasmix veniva e viene utilizzato in Italia, anche se in quantità limitate, per nuove produzioni. Il materiale restante veniva esportato (con costi di trasporto bassi verso la Cina). Oggi non è più così e questo materiale perde interesse nelle aste dove i compratori acquistano la plastica da lavorare per il riciclo.
Quali sono le conseguenze all'orizzonte?
Venendo meno il mercato asiatico, l’Europa si trova davanti a un problema non indifferente. Il WTO ha cercato di convincere la Cina a rivedere i parametri, ma le modifiche sono state minime e di conseguenza ora si stanno manifestando una serie di fenomeni ambientali/economici. Nel Nord Europa, dove ci sono molti termovalorizzatori, i flussi che prima andavano in Cina tendono ad essere avviati a recupero energetico. Nei Paesi dove ci sono meno impianti, invece, questi materiali devono essere esportati verso altri stati europei con capacità residua.
Ma con costi differenti rispetto a quelli verso la Cina...
Dalle prime indicazioni, i prezzi per lo smaltimento di queste frazioni poco nobili stanno salendo da 80/100 euro a tonnellata (trasporto compreso) a 150/160 euro a tonnellata (senza trasporto).
Cosa fare per gestire e superare le eventuali criticità?
In questo quadro i materiali saranno destinati ad accumularsi nei piazzali con il rischio che si paralizzi la filiera fino alla raccolta stessa. Il sistema deve cercare vie di sbocco. Una soluzione a questa situazione sarebbe il recupero energetico. Ma servono gli impianti, e quelli presenti in Italia sono già saturati dai rifiuti provenienti dalle regioni non dotate di termovalorizzatori. Occorrerebbe intervenire a monte riducendo la quantità di queste plastiche che non trovano uno sbocco e ri-orientare il packaging verso plastiche che sono più facili da inserire in un circuito di recupero meccanico e con bio plastiche compostabili. Una strada da percorrere, i cui frutti, tuttavia, non si raccolgono subito.
fonte: www.ecodallecitta.it




Per la prima volta in Italia entrano in legge di Bilancio incentivi al riciclo

In arrivo il credito di imposta per l’acquisto di prodotti e arredi derivanti dal plasmix, previsti tre milioni di euro in tre anni







Con 296 voti a favore e 160 contrari, la Camera dei deputati ha appena confermato la fiducia al governo sulla legge di Bilancio 2018, passaggio propedeutico all’ultimo esame dell’Aula e dunque alle votazioni in Senato. Con un’importante novità: è stato approvato in commissione Bilancio un emendamento che introduce per la prima volta un incentivo a livello nazionale – antesignana su questo terreno è stata la Regione Toscana, ormai nel 2011 – per l’acquisto di beni prodotti con materiali da riciclo.
Si tratta di un passaggio culturalmente significativo, dato che – come documenta il ministero dell’Ambiente – finora all’interno dei 15,7 miliardi di euro in sussidi ambientalmente favorevoli erogati dallo Stato in un anno, neanche un euro è stato mai destinato al riciclo, nonostante gli applausi che si sollevano ogni volta che viene nominata la necessità di un’economia più circolare. L’emendamento appena approvato (e firmato dai parlamentari Vignaroli, Zolezzi, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Terzoni, Brugnerotto, Cariello, Castelli, D’Incà, Sorial, come si vede nel documento integrale disponibile in allegato) pone fine a questo paradosso, anche se le risorse in campo sono ancora molto ridotte: 3 milioni di euro in tre anni, dal 2018 al 2020 dedicati a «un credito d’imposta – commenta Vignaroli, che nei mesi scorsi aveva avanzato in Parlamento una proposta di legge sul tema – per l’acquisto di prodotti e arredi derivanti dal plasmix».
«Con i miei colleghi – prosegue Vignaroli – abbiamo lottato in commissione per far passare questo mio emendamento di buon senso. Dopo mesi di lavoro sono due giorni e due notti che corro tra commissione bilancio, ministero e maggioranza per portare a casa questo successo che darà impulso al recupero degli scarti. Ci credevo, anche se sembrava impossibile, mancavano i soldi dicevano… invece in tarda nottata è arrivato l’ok seppur con importo ridotto. Tre milioni di euro, volevamo di più ma si è aperta una nuova strada».
Tre milioni di euro, si badi, sono lo stesso importo che la sola Regione Toscana – in anni di piena crisi economica – aveva individuato all’interno dei suoi bandi per l’incentivazione del riciclo. Traslate a livello nazionale, le medesime risorse assumono proporzioni diverse, ma offrono comunque un input che era tutt’altro che scontato riuscire a concretizzare.
«Alla Camera sicuramente ci proveremo, ma non è facile garantire un risultato», aveva commentato ai nostri microfonianche il presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci, circa la possibilità di inserire in legge di Bilancio degli incentivi al riciclo del plasmix. Ma alla fine un concreto regalo all’economia circolare italiana, pur se piccolo, alla fine è arrivato.

fonte: www.greenreport.it