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Ricerca. Con la mobilità elettrica nel 2030 l’inquinamento delle città crollerà dell’89%

Uno studio considera la dispersione in atmosfera e al suolo degli inquinanti e l'impatto delle emissioni a Torino, Milano, Bologna, Roma e Palermo nel 2025 e nel 2030


 

Con un ricambio del parco circolante di veicoli privati e della logistica verso una mobilità fatta da mezzi elettrici per il 2030, si avrebbe una riduzione dell'inquinamento fino all'89% in meno e dei costi sociali che si pagano in termini di salute fino a 3 miliardi di euro. Lo afferma il rapporto “Più mobilità elettrica: scenari futuri e qualità dell'aria nelle città italiane”, realizzato dall'Istituto sull'inquinamento atmosferico del Cnr in collaborazione con Motus-E, l'associazione italiana per lo sviluppo della mobilità elettrica in Italia.

Cinque città a confronto

Lo studio prende in considerazione la dispersione in atmosfera e al suolo degli inquinanti e l'impatto delle emissioni in cinque città: Torino, Milano, Bologna, Roma e Palermo. L'analisi guarda a due scenari: uno al 2025 e uno al 2030, con riferimento all'attuale parco circolante di veicoli privati e della logistica.
Nello scenario di ricambio del parco mezzi, "la penetrazione di una percentuale di veicoli elettrici gioca un ruolo fondamentale nella riduzione delle concentrazioni degli inquinanti locali, in particolare di NO2 (biossido di azoto)": si passerebbe da un minimo del 47% a Bologna a un massimo del 62% a Roma nello scenario al 2025; e dal 74% a Palermo fino all'89% nella Capitale, nello scenario al 2030. Impatto ridotto, ma comunque importante per il PM10. Se si osservano i risultati dello scenario 2025 la percentuale di riduzione parte da un minimo del 28% (caso Bologna) fino ad un massimo del 38% (caso Palermo); per lo scenario 2030 l'abbattimento non è così determinante come per NO2, la riduzione varia tra 34% e 46%.

fonte: www.e-gazette.it

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#Io scelgo il vetro – Selezione naturale

E’ partita la campagna di sensibilizzazione sul packaging in vetro promossa da Feve e Assovetro, in tre supermercati di Bologna












Un carrello della spesa più sostenibile. Ha preso in via in alcuni supermarket la campagna di sensibilizzazione per spingere i consumatori a scegliere prodotti, – sughi pronti, succhi, oli, condimenti, salse – confezionati in vetro, un packaging sostenibile e amico della sicurezza alimentare. Anche al supermercato si fanno, infatti, le scelte a tutela dell’ambiente e della salute.

Il claim della campagna “#IO SCELGO Il VETRO – Selezione Naturale” vuole aumentare la consapevolezza verso un packaging naturale, salutare, a prova di contaminazioni, riciclabile al 100% ed è stato riprodotto su roll up, pendolini, segnaletiche, calpestabili, locandine, carrelli della spesa posizionati all’ interno dei punti vendita.

La campagna, promossa da Feve (la Federazione europea dei produttori di contenitori in vetro) e da Assovetro (l’Associazione italiana dell’industria del vetro), ha preso il via – in modo sperimentale – in tre supermercati di Bologna (Ipercoop, Despar, Sigma) e terminerà a metà maggio.

“Con questa campagna – ha detto Marco Ravasi, Presidente della sezione contenitori in vetro di Assovetro – vogliamo che il consumatore, nell’atto di acquisto di un prodotto, rifletta sulla sostenibilità del contenitore e assimili questa informazione nella sua quotidianità e nelle sue abitudini di spesa. In Italia, comunque, si parte già bene: il 96% dei consumatori, secondo una ricerca recente, raccomanda il packaging in vetro rispetto ad altri tipi di imballaggi”.

Il progetto vede anche la collaborazione con l’Università di Parma che analizzerà, a fine campagna, i dati sull’ andamento delle vendite nei tre store, dati che possano essere messi a disposizione della Grande Distribuzione e dei brand.

“Per questo progetto – continua Marco Ravasi – è fondamentale la collaborazione della Grande Distribuzione, che ringraziamo per l’adesione all’iniziativa, ma anche dei brand e delle marche private, affinché questa campagna non sia solo un progetto sperimentale, ma possa registrare un’ampia partecipazione per il futuro”.

I contenitori in vetro erano già stati protagonisti di un’altra recente campagna, “Close the Glass Loop“, la piattaforma industriale europea che mira ad aumentare la quantità e la qualità del vetro riciclato, stabilendo un programma di gestione dei materiali che porterà a una maggiore raccolta post-consumo e in un vero riciclo “da bottiglia a bottiglia” fino ad un tasso di raccolta del 90% entro il 2030, più alto rispetto al 75% stabilito dall’Ue.

fonte: www.rinnovabili.it


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Leila, la biblioteca degli oggetti apre alla condivisione dei saperi

Da diversi anni è già attiva a Bologna Leila, la biblioteca degli oggetti, parte di una rete europea che promuove la condivisione. Abbiamo intervistato Antonio Beraldi, coordinatore del progetto, per farci raccontare le ultime, grandi novità: uno spazio fisico permanente, un'officina per la condivisione dei saperi, un coworking e tanto altro.











Troppo spesso facciamo fatica a staccarci dagli oggetti, dalla necessità quasi viscerale di possederli. Eppure è un’idea effimera, che quasi sempre non ha ricadute concrete. «In fondo, quello di cui ho bisogno è fare un buco nel muro, non possedere un trapano». È questo il concetto da cui parte Antonio per spiegare il principio alla base di Leila, la biblioteca degli oggetti.

Abbiamo già parlato di questo interessantissimo progetto di condivisione in passato, quando si fondava su corner temporanei, scansie o scaffalature allestite all’interno di spazi di altre attività presso cui, con il supporto dei volontari di Leila, gli utenti potevano prendere in prestito oggetti messi a disposizione da altre persone, usarli e poi restituirli, proprio come i libri di una biblioteca.

Abbiamo incontrato nuovamente Antonio perché – pilota fra tutte le esperienze europee analoghe – Leila Bologna ha alzato notevolmente l’asticella. «Sabato scorso ha inaugurato la nostra nuova sede permanente in via Serra 2 g/h, una zona abbastanza centrale della città. Ci è stata assegnata grazie alla vittoria di un bando comunale per la rigenerazione urbana lo scorso dicembre», racconta.

Ma la vera novità non è solo la disponibilità di uno spazio permanente: «Siamo il primo Leila ad abbandonare la logica assistenziale, in base alla quale l’utenza media era costituita da persone che avevano davvero bisogno del nostro servizio perché magari non potevano permettersi di acquistare un oggetto e dovevano prenderlo in prestito. Oggi, pur accogliendo sempre questo tipo di utenti, c’è un progetto con un’identità precisa, fondata sulla promozione di una cultura e di una pratica orientate alla condivisione non solo degli oggetti, ma anche dei saperi».

Nella sala attigua a quella in cui stiamo chiacchierando infatti si trova un’officina, che sarà uno dei fulcri della nuova Leila: «Qui vogliamo concretizzare la condivisione dei saperi», spiega Antonio. «Sarà il luogo del “saper fare insieme”, dove gli utenti potranno andare per auto-costruirsi ciò di cui hanno bisogno, assistiti anche dagli artigiani del territorio con cui vogliamo fare rete. Ma non solo: organizzeremo anche corsi, workshop e laboratori per imparare le arti manuali, come abbiamo già fatto in passato».

Già, perché lo scorso inverno Leila ha avuto a disposizione un container posizionato in piazza Verdi, in pieno centro storico, nell’ambito di un progetto di riqualificazione urbana. Qui era già stata sperimentata la condivisione dei saperi, con momenti di incontro fra artigiani e cittadini. Lo stesso esperimento è stato replicato con una formula itinerante: «Per mesi abbiamo girato per la città con due cargo-bike: in una c’erano attrezzi da lavoro per attività manuali, nell’altra c’erano giocattoli “vintage” – palle, corde, cerchi –, che portavamo per le strade per condividerli con i bambini, recuperando da un lato il valore del gioco libero e non mediato dagli adulti e dall’altro la capacità di divertirsi anche con oggetti semplici».

Il concetto fondamentale rimane quello di “fare rete”: «Attraverso l’officina vogliamo creare un’alternativa ai tutorial che la gente cerca sempre più spesso in rete per imparare a fare qualcosa guardando dei video. Il nostro invito è venire da noi per impararlo facendo e stando insieme, aggiungendo quindi la ricchezza della relazione e dell’esperienza diretta».

Fare rete è il principio che ispira anche un altro servizio che la nuova sede di Leila ospiterà: un coworking. «Alcune postazioni sono occupate dai ragazzi di Kiez, un’agenzia che si occupa di rigenerazione urbana promuovendo processi di trasformazione dello spazio ad alta sostenibilità sociale. Ne rimangono altre, che contiamo di assegnare ad altre persone o gruppi interessati a una contaminazione reciproca, oltre che a trovare uno spazio di lavoro comune».

Per saggiare la sostenibilità a medio e lungo termine del progetto, affrontiamo anche la questione economica: «Purtroppo la situazione legata al covid pone diverse incognite, anche perché essendo in fase di start-up dobbiamo sperimentare e costruire passo dopo passo. In ogni caso i punti cardine saranno il coworking e i corsi che organizzeremo in officina. Inoltre con una sede fisica e permanente contiamo non solo di diventare un servizio con una portata estesa a tutta l’area metropolitana, ma anche di rafforzare la presenza e l’identità sul territorio, cosa che ci consentirà di avviare ulteriori dialoghi e collaborazioni con realtà importanti, oltre a quelle che già portiamo avanti con successo Senza contare la base attuale forte di oltre 200 soci».

Un altro obiettivo è quello di creare una rete con gli altri punti Leila in Italia e in Europa: «A livello europeo sono circa venticinque i progetti targati Leila, di cui due in Italia, il nostro e quello di Formigine, in provincia di Modena. Ma esistono anche altre realtà che, pur non avendo questo nome, portano avanti progetti molto simili basati sulla condivisione degli oggetti, come Zero Palermo o altre realtà a Milano, a Firenze a ad Alba».

Se volete sostenere questo splendido progetto potete farlo attraverso la campagna crowdfunding che è stata lanciata e che sarà attiva per il prossimo mese. Per chi volesse andare a visitare la nuova sede, l’orario di apertura è dalle 16 alle 19 il lunedì, mercoledì e venerdì, l’indirizzo è via Serra 2 g/h, Bologna.

fonte: www.italiachecambia.org


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A Bologna la biblioteca degli oggetti da prendere in prestito



L’idea è semplice quanto geniale. E pure sostenibile e green. Si chiama “Biblioteca degli oggetti” ed è nata quattro anni fa sotto le Torri dall’associazione Leila. Un posto dove si può prendere in prestito una vasta gamma di oggetti di uso comune e non. Come un’idropulitrice, un videoproiettore, la macchina per fare il pane - per citare quelli più gettonati - ma pure un bongo, una tenda da campeggio, una playstation, una tuta da sci.

Solo che questo posto finora è stato itinerante. Da oggi invece, col taglio del nastro alle 18 in via Serra 2/ g, alla Bolognina, avrà una casa che resterà aperta per tre giorni a settimana (lunedì, mercoledì e venerdì dalle 16 alle 18). Una vetrina per gli oggetti disponibili al prestito, dove condividere anche talenti ed esperienze.

«Siamo nati nel 2016 - spiega Antonio Beraldi, 40 anni da compiere, nella vita educatore in una comunità di accoglienza - ispirati da un’esperienza berlinese. Volevamo innescare una piccola rivoluzione culturale che investisse il modo di pensare delle persone: non c’è bisogno di possedere gli oggetti, solo di utilizzarli».

Ora si potrà prenderli e provarli, a patto di associarsi al costo di 20 euro l’anno e di contribuire portando un proprio oggetto che, allo scadere dei 12 mesi, torna nelle mani del proprietario. La durata del prestito, invece, è di un mese.

«Tanti nella vita - continua Berardi - comprano un trapano, che mediamente si usa per non più di 8 minuti l’anno. C’è chi vuole provare la centrifuga, prima di decidere se fa per lui. Mentre le tende da campeggio, che al massimo si usano un mese l’anno, sono perfette per Leila. Ma c’è anche una signora che viene da Roma in auto a trovare il nipote e da noi si appoggia per il seggiolino».

Un capitolo a parte sono gli oggetti per la prima infanzia che si possono tenere fino a sei mesi, dal marsupio al tiralatte. Ma la sede è pure l’occasione per concretizzare l’altra vocazione di Leila: la condivisione di saperi e strumenti. «Abbiamo creato anche un laboratorio, aperto ai soci e in tempi di Covid su prenotazione, in cui si possono costruire oggetti. Noi oltre al tavolo da lavoro mettiamo a disposizione la sega circolare, il trapano a colonna, il traforo elettrico, la levigatrice e saldatrice, tutto gratuitamente per i soci».

Inoltre ci sarà la possibilità di frequentare laboratori di falegnameria, vetreria e serigrafia, con artigiani esperti che hanno dato la propria disponibilità (partono già da oggi ma sono soldout). Di condivisione in condivisione, negli spazi di Leila nascerà pure un piccolo coworking, con sei posti fissi e, nello spirito del luogo, due temporanei, che potranno essere affittati a settimana.

«Lo spazio è del Comune, lo abbiamo ottenuto tramite bando. Dovevamo aprire a inizio 2020, ma poi c’è stato il Covid e diversi lavori non preventivati. Per questo lanciamo un crowdfunding sulla piattaforma Ginger, abbiamo bisogno di un nuovo computer per gestire i prestiti, due motori che ci consentano di alzare le serrande e perfino di un water».

fonte: www.repubblica.it

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Sprechi alimentari, ecco come ridurli con l’intelligenza artificiale

La Pmi bolognese sfrutta le capacità degli algoritmi predittivi per aiutare le aziende a ottimizzare la gestione delle risorse



Ridurre i prodotti freschi invenduti e limitare il pericolo di “out of stock”: quale operatore del food non vorrebbe perseguire un obiettivo simile? Il problema degli sprechi è un problema di fondo che accumuna tutti gli attori del grocery. Efficienza ed organizzazione dei processi spesso non bastano in fase di produzione e di gestione del magazzino, e allora possono entrare in gioco le ultime frontiere della tecnologia.

Gli algoritmi predittivi, in particolare, sono la specialità di Hopenly, Pmi innovativa bolognese (è stata fondata nel 2014) la cui peculiarità è per l'appunto quella di sfruttare le capacità dell'intelligenza artificiale per raccogliere ed elaborare numeri e di aiutare le aziende (di qualsiasi industria, dalle banche all'alimentare) a leggere i dati e a trasformarli in azioni.

Come? Incrociando le informazioni disponibili con una serie di altre variabili (gli acquisti online per esempio) e superando il limite della classica statistica basata solo su serie storiche. E se parlare di margini di errore azzerati nelle previsioni è eccessivo, la tecnologia aiuta sicuramente a riordinare e semplificare i dati per prendere decisioni più oculate, ad automatizzare le operazioni manuali e a liberare di conseguenza risorse (il personale interviene solo per gestire gli imprevisti, in positivo o in negativo) per attività a maggior valore aggiunto.

«Crediamo che l'intelligenza artificiale – spiega Barbara Vecchi, founder e ceo di Hopenly – possa aiutare manager e imprenditori ad eliminare gli sprechi e ad alleggerire il magazzino, limitando i costi di produzione inutili. I modelli basati su algoritmi permettono infatti di anticipare i trend di domanda futuri e consentono un deciso vantaggio competitivo, tanto più in un contesto dove la concorrenza sarà sempre più agguerrita. Per i prodotti freschi, in particolare, il ridotto tempo a disposizione per la vendita limita anche la pianificazione di promozioni e sconti».


Il ceo di Hopenly Barbara Vecchi con il Cto della società

La tecnologia digitale, insomma, può fare davvero la differenza e quando si tratta di grandi numeri il rischio del tutto esaurito a scaffale (o di un eccesso di produzione e quindi di un possibile spreco) può essere molto impattante.

Un esempio? Una storica azienda italiana del settore alimentare, affidandosi ad Hopenly, ha ridotto in un anno l'invenduto di prodotti freschi per 170mila euro (il 2,6% del fatturato) e ha mantenuto il magazzino di merce non fresca sotto i 100mila euro, per un risparmio totale di circa 300mila euro. L'investimento per realizzare un modello automatizzato di previsione della produzione, come conferma Vecchi al Sole24ore.com – «è stato di 40mila euro e il fulcro del progetto, realizzato a inizio 2019 e ancora in fase di sviluppo, è quello di testare una nuova tecnologia a supporto della pianificazione. Per farlo abbiamo dotato l'azienda di un algoritmo in grado di offrire su base settimanale una stima delle vendite delle future 4-5 settimane comparando parametri quali lo storico degli ultimi tre anni, le festività, le promozioni e la stagionalità».

La ricetta per offrire al mondo alimentare soluzioni di questo tipo è tutto sommato semplice. «Lavoriamo sempre su algoritmi e librerie open source – assicura in proposito la founder di Hopenly – perché nella data science il software libero offre tutta la trasparenza di ciò che facciamo. Studiamo quindi costantemente i lavori di sviluppatori e ricercatori di tutto il mondo e assembliamo gli algoritmi per creare un modello ad hoc per le necessità del cliente e del suo dato. Più si scende in profondità e più si viene in possesso di informazioni su cui allenare gli algoritmi, e per evitare il rischio di avere dati viziati dai mutamenti del mercato, effettuiamo un'analisi di contesto dettata dall'esperienza».

La replicabilità di questo modello, al netto di piccoli adattamenti o di un nuovo algoritmo più performante, è uno dei suoi punti forza, per quanto le aziende possiedano spesso molteplici fonti dati (e quindi differenti software e database) o necessitino di variabili che arrivano da altre sorgenti (dati meteo di altre regioni, festività come i patroni o i flussi turistici). E senza dimenticare che fra prodotti freschi e beni durevoli c'è molta differenza: «Sono due mondi apparentemente simili ma che richiedono modelli diversi perché diverso è il contesto e le sue dinamiche di acquisto».
Il messaggio di fondo, però, non cambia: l'intelligenza artificiale può dare un contributo enorme alla gestione della supply chain alimentare. E i numeri (anzi i dati) lo dimostrano.

fonte: https://www.ilsole24ore.com



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Brevettata a Bologna la macchina che fa la differenziata “al posto nostro”, separando i rifiuti organici dalla plastica



















Separa da solo i rifiuti plastici e ferrosi da quelli organici e produce biogas: è stato brevettato nel bolognese un macchinario per pre-trattare e trasformare fino a 15 tonnellate all’ora di rifiuti e produrre fonti alternative utile poi per la produzione di energia rinnovabile. Il primo macchinario è stato già messo in funzione in provincia di Pavia, mentre prossimamente un secondo partirà per la Croazia.

Ci troviamo a Gaggio Montano e l’innovativa attrezzatura, ribattezzata Pass, promette davvero miracoli, anche perché da cinque macchinari per il trattamento dei rifiuti si arriva così ad uno solo compatto.

E non solo: la resa sarà di circa 15 tonnellate l’ora, fino ad arrivare a spremere la parte “molle” restante in una purea che, immessa in bio-digestori, è pronta ad essere utilizzata per produrre proprio il biogas.

Il macchinario è completamente automatizzato ed è composto da più moduli: un modulo di pretriturazione, posto nella parte superiore della macchina e un gruppo di spremitura.

Tra i due moduli si può poi aggiungere un modulo “deferrizzatore”. La macchina viene alimentata dall’alto, tramite appositi sistemi di carico. Il rifiuto entra in una zona di pretriturazione, regolabile secondo il tipo di rifiuto, e a caduta passa successivamente in una vasca che alimenta a sua volta il gruppo di spremitura.

Pass è stato progettato e realizzato dalla Palmieri Group, azienda italiana tra i leader mondiali nei settori di utensili, tunnel, miniere e macchine riciclaggio.

fonte: www.greenme.it



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La dottoressa Fiorella Belpoggi interviene su #Covid-19 e #Inquinamento




#Covid-19 e #Inquinamento: la dottoressa Fiorella Belpoggi è stata invitata a intervenire nella Commissione Ambiente e Territorio del Consiglio comunale di #Bologna.
qui sotto trovate il suo intervento.



📌 a questo link il documento che è stato messo agli atti della commissione —> https://bit.ly/3fcd8hx


Istituto Ramazzini


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“A tutto legno”: la sostenibilità entra nelle scuole primarie grazie a Rilegno















Al via in questi giorni in 58 classi di 15 scuole primarie di Bologna il progetto di educazione ambientale "A TUTTO LEGNO" promosso da Rilegno, il Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi in legno. Si tratta di un'iniziativa, che parte da Bologna per toccare poi altre città italiane, che vuole avvicinare i ragazzi fin dalle elementari (classi 3^,4^,5^) a temi importanti come quelli della sostenibilità e dell'economia circolarepassando attraverso la scoperta del legno, materiale naturale e sostenibile per eccellenza, che accompagna da sempre la vita dell'uomo.Sono previsti due incontri per ogni classe della durata di 2 ore ciascuno condotti da formatori esperti.
Con metodologie attive e partecipate, sarà introdotto il concetto di economia circolare, come base di un nuovo approccio innovativo verso la sostenibilità.
Per fare toccare con mano ai bambini le infinite possibilità del legno, sarà dato ampio spazio alla creatività grazie ad attività laboratoriali, che porteranno alla realizzazione di elaborati personali o di classe partendo proprio dalla manipolazione di prodotti derivanti dalla lavorazione e trasformazione degli imballaggi in legno.
"Con questa iniziativa che parte oggi da Bologna", ha dichiarato Nicola Semeraro, Presidente di Rilegno, "vogliamo promuovere tra i ragazzi la conoscenza del legno e del suo ciclo vitale, dal bosco alla filiera del recupero e riciclo, per coinvolgerli sui temi ambientali. Le giovani generazioni rappresentano, infatti, una risorsa fondamentale per vincere le sfide cruciali dello sviluppo sostenibile e della lotta al cambiamento climatico diventate sempre più urgenti. E per lasciare un segno tangibile", ha aggiunto Semeraro, "vogliamo donare ad ogni bambino una piccola quercia da piantare. Più alberi, e più legno, contribuiranno a salvare il pianeta e a rendere le città più vivibili per le future generazioni".Il riciclo del legno in Italia è un esempio concreto e virtuoso di economia circolare gestito dal Consorzio Rilegno su tutto il territorio nazionale. Grazie a un sistema che coinvolge aziende, Comuni e cittadini, gli imballaggi in legno rientrano nel ciclo produttivo un numero infinito di volte con indubbi vantaggi ambientali, economici e occupazionali. Un sistema articolato che ogni anno consente di raccogliere e avviare a riciclo quasi 2 milioni di tonnellate di legno che diventano al 95% pannello truciolare, vera linfa vitale per l'industria del legno, e per il restante altri prodotti come pallet block, blocchi di legno cemento per l'edilizia, pasta di legno destinata alle cartiere e compost. In poco più di 20 anni il riciclo del legno ha creato una "nuova" economia che ha prodotto risultati importanti sia in termini ambientali, sia per la capacità di creare sviluppo e occupazione, e che si pone all'avanguardia in Europa con una percentuale del 63% nel riciclo degli imballaggi, ben oltre il target fissato dall'Unione Europea al 30% per il 2030.
Una recente ricerca del Politecnico di Milano ha stimato che questo sistema  genera un impatto economico di circa 1,4 miliardi di euro, 6mila posti di lavoro e soprattutto un "risparmio" nel consumo di CO2 pari a quasi un milione di tonnellate.


fonte: www.greencity.it

Stati generali della carta da macero: 'In crisi uno dei principali cardini dell’economia circolare italiana'

Si sono svolti il 22 gennaio a Bologna gli Stati generali della carta da macero organizzati da Unirima, Unione Nazionale Imprese Recupero e Riciclo Maceri. On line la nota stampa
















Il settore del riciclo della carta è in crisi. Tra mercati saturi, esportazioni bloccate e carenza impiantistica (cartiere), il comparto rischia la paralisi completa. In Italia ogni anno si producono circa 6,6 milioni di tonnellate di carta da macero, oltre la metà di tale materia prima secondaria proviene dalle raccolte differenziate di carta e cartone delle attività commerciali, artigianali ed industriali, sono quindi rifiuti speciali, mentre il resto, pari a circa 3,5 milioni di tonnellate, proviene dai rifiuti urbani. Una parte della carta da macero prodotta è destinata alle cartiere italiane (circa 4,8 milioni di tonnellate) mentre il resto viene esportato. Da circa 15 anni, dunque, il nostro Paese è un esportatore netto di quei quantitativi di carta da macero che nel sistema economico nazionale rappresentano un “surplus” rispetto al fabbisogno interno delle cartiere.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un notevole incremento delle quantità di carta proveniente dalle raccolte differenziate (sia “speciali” che “urbani”), in linea con i target delle direttive europee, a cui non ha fatto seguito un pari incremento della capacità delle cartiere nazionali. Questo surplus, arrivato a circa 1,9 milioni di tonnellate nel 2018, è stato finora assorbito principalmente dalla Cina e da altri paesi asiatici. Ma il blocco delle importazioni da parte del governo cinese, connesso anche la guerra con gli Stati Uniti nonché all’incremento del loro sistema interno di raccolta, hanno di fatto portato al calo drastico delle nostre esportazioni di carta da macero. Basti pensare che, se negli anni 2015 e 2016 venivano esportate in Cina oltre un milione di tonnellate di carta da macero, nel 2019 le esportazioni sono scese sotto le 250.000 tonnellate. Inoltre, gran parte del materiale americano che veniva utilizzato nel mercato cinese, è stato dirottato su altri mercati causandone la completa saturazione.
La crisi del settore, però, interessa non solo l’Italia ma tutta l’Europa che ha un surplus di produzione di carta da macero rispetto alla capacità delle cartiere europee pari a circa 8 milioni di tonnellate. «Tutte le criticità segnalate – dichiara Fabio Montinaro, componente Consiglio Direttivo di Unirima - sono ancor più gravi se contestualizzate nei territori del mezzogiorno e delle isole, dove, a fronte di incrementi sempre più importanti nelle percentuali di raccolta differenziata, non sempre corrispondono livelli di qualità accettabili. A ciò si aggiunga la cronica penuria infrastrutturale e la maggiore distanza dai mercati di riferimento del settore rispetto al centro-nord».
L’assenza di uno sbocco sul mercato per la carta da macero ha causato un crollo netto dei prezzi, nel 2019 molte tipologie di carta da macero non trovano più una negoziazione o la trovano a valori residuali. Nel caso del cartone, ad esempio, il prezzo da gennaio a dicembre 2019 è sceso dell’88%, toccando il minimo da sempre.
Inoltre il Contributo Ambientale Conai (CAC), che nel 2014 era sceso a 4,00 € a tonnellata ed è rimasto tale fino al 2017, a causa di tale situazione dal 1 gennaio 2020 è passato a 35,00 € a tonnellata con un incremento del 40% rispetto al 2019 e del 250% rispetto al 2018.
«La filiera della carta – commenta il Vicepresidente di Unirima Pio Savoriti – e nello specifico la nostra attività di raccolta e recupero, sono sempre state una eccellenza. Siamo ormai da anni degli ottimi raccoglitori e recuperatori, in termini di quantità e soprattutto di qualità: la produzione di materia prima seconda "nostrana" ammonta a circa 13 ton/min. L’Italia ne ricicla circa 10 ton/min e attualmente c'è un surplus di 3 ton/min che in 1 anno fa oltre 1,5 milioni di tonnellate: abbiamo quindi bisogno di nuove cartiere e di export, in poche parole di sbocchi. Ne va delle tasche degli Italiani e delle imprese ma soprattutto dell'ambiente».
Unirima sta da mesi ponendo all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica tale grave situazione del nostro comparto industriale, in ultimo il comunicato stampa del 25 novembre scorso. Cosa c’è da fare a medio lungo-termine lo abbiamo già scritto nel nostro Rapporto 2019 pubblicato a luglio con le nostre proposte di policy per una reale circular economy. Ma intanto il nostro comparto rischia adesso di essere schiacciato sia per la perdita di importanti quote di mercato, a causa dei sempre più frequenti casi di assimilazione di rifiuti speciali ai rifiuti urbani (spostamento della gestione dei flussi di rifiuti speciali con costi a carico del produttore verso gli urbani che ricevono i corrispettivi dei consorzi di filiera del Conai), sia per il rischio, sempre più concreto, di blocco totale degli impianti per mancanza di sbocco al materiale in uscita, a cui si aggiungono bilanci pesantemente intaccati con imprese che hanno già chiuso o sono sul punto di farlo con la conseguente perdita di migliaia posti di lavoro. Nel frattempo, la politica tace, malgrado tre audizioni parlamentari durante le quali abbiamo ampiamente esposto la problematica che sta impattando pesantemente sul nostro settore.
Se la politica industriale vuole veramente puntare sull’economia circolare e sulla sostenibilità dovrebbe supportare con più decisione il settore industriale del recupero di materia dai rifiuti. Spiega Giuliano Tarallo, Presidente di UnirimaL'industria italiana ed europea del recupero/riciclo non può più sopportare tali condizioni di mercato per un terzo anno consecutivo a cui si aggiungono barriere normative ed aumento dei costi di gestione connessi all’ eccesso di burocrazia. Nel breve termine, in attesa dell’incremento delle capacità annunciate dal settore cartiere, visto lo sviluppo notevole delle raccolte differenziate finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riciclo fissati dalle nuove direttive europee, urgono interventi urgenti e rapidi volti a favorire l’export e fermare l'applicazione di restrizioni commerciali per ripristinare un accesso libero ed equo ai mercati internazionali necessario per bilanciare domanda e offerta. Chiediamo inoltre un controllo ed una maggiore attenzione verso fenomeni di assimilazione di dubbia legittimità.

Contrastare il consumo di suolo, seminario a Bologna il 22 novembre

Il seminario "Contrastare il consumo di suolo, esperienze, norme e linee guida" è organizzato nell'ambito delle attività del progetto europeo Sos4Life. Interviene il Sistema nazionale di protezione dell'ambiente con Ispra e Arpae.





Il progetto europeo SOS4LIFE (www.sos4life.it), il cui principale obiettivo è verificare la possibilità di applicare a scala locale (comunale, in questo caso) l’indirizzo europeo del consumo netto di suolo zero, è coordinato dal Comune di Forlì e vede fra i partner la Regione Emilia-Romagna, i Comuni di Carpi (MO) e San Lazzaro di Savena (BO) oltre a Cnr Ibimet, Legambiente Emilia-Romagna, Ance Emilia-Romagna e Forlì mobilità integrata.

Il seminario “Contrastare il consumo di suolo, esperienze, norme e linee guida” del 22 novembre a Bologna – organizzato nell’ambito delle attività del progetto SOS4LIFE – costituirà anche un momento di confronto con alcuni stakeholders (Ispra, le Regioni Piemonte, Lombardia e Toscana, Arpae e Anci) sulle rispettive e più recenti esperienze in materia di contrasto al consumo di suolo e di rigenerazione urbana. Previsti alcuni interventi del Sistema di protezione dell’ambiente con Ispra e Arpae. Continua

fonte: http://www.snpambiente.it

“Squiseat”, la piattaforma bolognese contro lo spreco alimentare ideata dagli studenti Unibo














Ridurre lo spreco alimentare, come afferma l’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile, è uno degli obiettivi di governi e imprese. Nasce da questa sensibilità “Squiseat”, la piattaforma ideata da quattro studenti di informatica dell’Università di Bologna che vuole mettere in contatto i ristoratori e i gestori di eventi catering con i consumatori. I ragazzi hanno ricevuto questa mattina il premio studenti di mille e cinquecento euro da Think4food e, durante l’incontro, hanno affermato di voler garantire «cibo di qualità a un prezzo basso prendendo come riferimento le famiglie numerose, gli studenti e i lavoratori che non hanno tempo o voglia di cucinare ma che vogliono consumare un prodotto di qualità». A Bologna “Squiseat” consegna a domicilio tra le 19 e le 21 e, per il momento, si pone come intermediario grazie a un canale Telegram dove vengono comunicate le rimanenze e gli invenduti di giornata.

fonte: https://www.gazzettadibologna.it/

Comunità energetiche, a Bologna il primo progetto

Cittadini e 900 aziende del quartiere Pilastro-Roveri potranno usufruire di tariffe ridotte, grazie a una combinazione di fonti rinnovabili, generazione distribuita, stoccaggio di energia e ottimizzazione dei consumi.











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Nascerà a Bologna la prima comunità energetica che permette ai cittadini e alle circa 900 aziende del quartiere Pilastro-Roveri di usufruire di tariffe ridotte, grazie a una combinazione di fonti rinnovabiligenerazione distribuita, stoccaggio di energia e ottimizzazione dei consumi.
Ispirata ai concetti di smart city e sostenibilità ambientale per contrastare la povertà energetica, l’iniziativa rientra nel progetto GECO (Green Energy Community) promosso da AESS (Agenzia per l’Energia e lo Sviluppo Sostenibile), in qualità di coordinatore, ENEA e Università di Bologna, con la partecipazione di CAAB/FICO e Agenzia locale di sviluppo Pilastro-Distretto Nord Est.
Il progetto, spiega una nota Enea, è finanziato con 2,5 milioni di euro del fondo europeo EIT Climate-KIC, ed è collegato a Roveri Smart Village, un’iniziativa promossa da ENEA dal 2017 presso il distretto industriale bolognese delle Roveri e a cui l’Agenzia collabora come soggetto promotore della cabina di regia costituita dal Comune di Bologna.
ENEA contribuisce al progetto attraverso lo sviluppo di un modello di business sostenibile basato su blockchain, finalizzato a rendere flessibile la domanda di energia dei partner della comunità energetica. Inoltre i ricercatori ENEA impegnati nel progetto si occuperanno della definizione di una piattaforma ICT per la raccolta dei dati, al fine di migliorare la consapevolezza dei consumatori.
Sul piano tecnico, il progetto si avvale della collaborazione dell’Università di Bologna che, come sottolineato dal prof. Carlo Alberto Nucci, si occuperà di sviluppare modelli per la gestione ottimale dei flussi energetici e delle risorse distribuite, ovvero la gestione di generazione, consumo, stoccaggio elettrico e mobilità elettrica.
fonte: www.qualenergia.it

“Anthropocene”, in mostra a Bologna l’impronta umana sulla Terra

Al Mast di Bologna, dal 16 maggio al 22 settembre, tre artisti raccontano l'impronta umana sulla Terra combinando fotografia, cinema, realtà aumentata e ricerca scientifica.

















A partire dalla metà del XX secolo la specie umana è la causa primaria di un cambiamento rapido e permanente del pianeta, un periodo definito antropocene.
Dal 16 maggio al 22 settembre tre artisti raccontano questo periodo combinando fotografia, cinema, realtà aumentata e ricerca scientifica. Sede della mostra Fondazione MAST, via Speranza 42 a Bologna. Altre info


fonte: https://www.snpambiente.it

SAVE THE DATE – 32° Congresso della Società lichenologica italiana

Dal 18 al 20 settembre 2019 a Bologna si svolgerà il congresso annuale della Società lichenologica italiana. Scadenza invio riassunti: 1 giugno 2019.
















Dal 18 al 20 settembre 2019 si terrà a Bologna, presso l´Orto Botanico, il congresso annuale della Società lichenologica italiana. Aprirà l´evento la Lectio Magistralis del professor Martin Grube di Graz, uno dei massimi esperti  internazionali sulla simbiosi lichenica. 

Le attività saranno articolate in tre sessioni
- Ecologia e biodiversità
- Biomonitoraggio
- Eco-fisiologia

Sarà dato ampio risalto a presentazioni in forma di poster. É previsto inoltre lo svolgimento di un ciclo di miniseminari introduttivi alla lichenologia.
Scadenza invio riassunti: 1 giugno 2019 
Per inviare un abstract occorre seguire le indicazioni riportate nel format  
Comunicazione accettazione contributi: 7 giugno 2019

fonte: https://www.arpae.it/

A Bologna una mostra di National Geographic per un uso responsabile della plastica















Dal 13 aprile National GeographicGenus Bononiae. Musei nella Città e la Fondazione Carisbo hanno inaugurato a Bologna, presso il complesso museale di Santa Maria della Vita, la mostra Planet or Plastic?, nell'ambito dell'omonima campagna internazionale lanciata da National Geographic, che vede anche Marco Mengoni impegnato come ambasciatore per l'Italia. 
Leggera, resistente, economica: la plastica ci ha cambiato la vita. Dall'elettronica alla sanità fino ai trasporti e al più semplice oggetto di consumo oggi non possiamo più farne a meno, ma quella prodotta dalla sua invenzione a oggi, riciclata solo in minima parte, si sta accumulando nell'ambiente. Da quel giorno ne sono stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate, di cui 6,3 sono diventati rifiuti che possono rimanere nell'ambiente anche per 400 anni o più. Perché le materie plastiche non sono biodegradabili. La plastica che finisce in mare mette in pericolo la vita degli animali marini, si accumula in grandi isole galleggianti, e con il tempo si rompe in pezzi sempre più piccoli che vengono ingeriti da pesci, cetacei, uccelli.
Il percorso della mostra – curata da Marco CattaneoDirettore di National Geographic Italia, e dalla redazione, con la collaborazione della scrittrice e documentarista Alessandra Viola – alternerà le fotografie dei grandi reporter di National Geographic all'originale lavoro artistico di Mandy Barker, che ha scelto di raccogliere rifiuti di plastica da tutto il mondo per un progetto fotografico di eccezionale valore estetico e al tempo stesso di grande impatto emotivo. All'interno della mostra l'installazione Iceberg, di Francesca Pasquali, artista nota per rivalutare oggetti d'uso comune, come delle semplici cannucce di plastica per farne delle vere e proprie opere d'arte. "Le cannucce si trasformano in presenze plastiche vibranti affondate in un mare riflettente che cattura la nostra stessa immagine e ci rende compartecipanti dell'opera stessa" (Ilaria Bignotti).
Completa il percorso la proiezione del documentario di National Geographic Punto di non ritorno del regista premio Oscar Fisher Stevens e dell'attore premio Oscar e Messaggero della Pace per conto dell'ONU Leonardo Di Caprio: un affascinante resoconto sui drammatici mutamenti che si verificano oggi in tutto il mondo a causa dei cambiamenti climatici,
L'esposizione accompagna lo spettatore in un coinvolgente percorso articolato in una quarantina di foto e due video-installazioni volte a provocare una riflessione sul materiale che è diventato ormai sinonimo di degrado e distruzione del pianeta. Otto i grandi temi in mostra, dalla quantità di plastica prodotta nel mondo all'impatto sull'ambiente e sulla catena alimentare, dal riuso all'educazione individuale e collettiva.
La mostra sarà anche l'occasione per partecipare a un grande progetto collettivo. Ai visitatori è richiesto di portare in mostra e lasciare in un grande contenitore le loro bottiglie di plastica, una per ciascuno di loro. Quelle bottiglie troveranno nuova vita in una installazione architettonica itinerante che sarà l'oggetto del concorso internazionale di idee Plastic Monument – Architectural Design Competition. Parallelo a Planet or Plastic?, il concorso vedrà giovani architetti sfidarsi per realizzare un'installazione destinata a farsi ambasciatrice internazionale dei valori di tutela e sensibilità ambientale propri della mostra. Bandito da YAC - Young Architects Competitions, società leader nella promozione di concorsi internazionali di idee, e sostenuto da Bio-On, gigante made in Italy nel settore delle bioplastiche il concorso – che si aprirà in concomitanza della mostra e si chiuderà nel luglio 2019 – vedrà la partecipazione in veste di giurati anche di architetti del calibro di Kengo Kuma, Carlo Ratti e Italo Rota.
L'esposizione – interamente prodotta con materiali sostenibili e riciclabili, come cartone alveolare e carta da parati – ha il Patrocinio del Comune di Bologna ed il sostegno di Basf, Coop Alleanza 3.0, Rossetto e Sharp, con la collaborazione di Bio-On e YAC - Young Architects Competitions e la partnership tecnica di Riciclia.

Planet or Plastic?
a cura di Marco Cattaneo
dal 13 aprile al 22 settembre 2019
Chiesa S. Maria della Vita
Via Clavature, 8-10, 40124 Bologna BO
orari: martedì/domenica, ore 10.00 – 19.00
ingresso: Intero 10 euro, ridotto 5 euro
informazioni mostra: tel. +39 051 19936343 - Mail: esposizioni@genusbononiae.it
Sito web: www.genusbononiae.it


fonte: https://www.greencity.it/