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Cambio climatico e pandemie

Nel pieno della crisi sanitaria è molto difficile sperare in misure governative che prevedano per l’ambiente almeno alcune delle misure ritenute indispensabili. Eppure le analisi delle origini e delle cause della pandemia dovrebbero far comprendere che sono proprio i danni gravissimi arrecati al pianeta, come ad esempio la distruzione di tante foreste, ad aver creato le condizioni per lo “spillover”, cioè il passaggio dei virus tra animali e l’uomo, al cui interno diventano patogeni. Inoltre, alcuni inquinamenti, specie quello dell’aria che respiriamo nei centri urbani, indeboliscono in particolare le persone anziane e le rendono particolarmente adatte ad essere colpite dai virus più aggressivi



Riscaldamento globale ed eventi estremi

La temperatura del primo mese dell’anno è impressionante: gennaio è stato il mese più caldo dall’inizio delle rilevazioni e ha battuto di o,o3 gradi il record precedente, quello del gennaio 2016. In Europa le temperature hanno superato di 3,1 gradi la media. Dobbiamo sempre più tener presente che il riscaldamento crescente del pianeta sta favorendo la diffusione delle malattie infettive attraverso dei meccanismi complessi ma sempre più evidenti.

Virus e batteri sfruttano le condizioni più favorevoli per insediarsi in nuovi ambienti e per colonizzare aree del pianeta dove la loro presenza era sconosciuta. Inoltre la crisi climatica, aggiungendosi ad altri fattori come le guerre e i conflitti interetnici e l’aggravamento della situazione alimentare, costringe milioni di persone a migrare da un area all’altra del pianeta e insieme ad essi si spostano anche uccelli e insetti che trasportano virus e batteri, e alcuni di essi sono o diventano patogeni per gli esseri umani.

Gli insetti più difficili da controllare sono le zanzare, che causano ogni anno nel mondo almeno 700mila vittime per malaria, dengue e febbre gialla; a queste si aggiungono pulci, pidocchi, pappataci e zecche, che diffondono la febbre del Nilo, la Zika, la Chikungunya e la malattia di Lyme in zone diverse del mondo, spesso a seguito di ondate di calore. Anche le piante sono vittime dello stesso meccanismo climatico.

Negli ultimi anni sono giunte in Europa la la Xilella che attacca gli ulivi, il punteruolo rosso che uccide le palme, la vespa cinese che attacca il castagno, la cimice asiatica che colpisce alberi da frutta e ortaggi.

Anche la presenza e la persistenza di smog , specie nei maggiori centri urbani, è in aumento, a livello mondiale causa 4,5 milioni di morti premature all’anno, con una danno stimato di circa 2900 miliardi di dollari, pari a circa il 3,3 % del Pil globale.

Per l’Italia il danno ammonta a 60 miliardi dollari ogni anno. Sembra invece che le emissioni di CO2 siano diminuite nel 2019, a causa del rallentamento di gran parte delle economie e lo stesso effetto dovrebbe prodursi nella prima parte del 2020 a seguito delle chiusure delle attività produttive imposte dalla crisi del coronavirus.

Non si deve tuttavia dimenticare che questo effetto “positivo” rispetto al clima, inciderà sull’effetto serra solo fra circa dieci anni, il tempo cioè che l’anidride carbonica impiega per raggiungere la parte alta dell’atmosfera e quindi non modifica in realtà gli attuali squilibri planetari contro i quali si sta facendo ben poco.




Gli eventi estremi più recenti comprendono le tempeste Ciara e Dennis in Europa: la prima ha causato otto morti e ha lasciato migliaia di persone senza elettricità, la seconda , che ha colpito in particolare l’Inghilterra centrale e sud-occidentale, ne ha causati tre, con venti fino a 150 chilometri orari; nel Galles ha causato una inondazione il 16 febbraio a Crickhowell, come non se ne verificavano da quaranta anni.

Uno studio, pubblicato su Science Advanced, ha analizzato le correnti marine a livello globale, evidenziando, almeno per i flussi fino a duemila metri di profondità , una accelerazione a partire dagli anni ’90 soprattutto nell’Oceano Pacifico e ai tropici mentre nell’Atlantico settentrionali mostrano un rallentamento.

Le cause potrebbero essere ricercate nel riscaldamento globale e nei venti, ma i dati sono insufficienti per giungere a delle spiegazioni conclusive; inoltre sarà necessario spingere le rilevazioni a profondità maggiori. Una indagine relativa alla presenza di metano nell’atmosfera ha permesso di accertare che ormai il gas causato da fonti naturali, in larga misura dalla biomassa è poca cosa rispetto alle fonti di derivazione antropogenica, soprattutto dalla estrazione e dal consumo di petrolio e gas naturale: per queste ultime secondo gli scienziati le dichiarazioni relative alle emissioni fornite dalle imprese, sono del 35-40 % inferiori a quelle rilevate in atmosfera. Secondo un altro studio le zone umide costiere della Cina, periodicamente inondate dalle maree, si sono ridotte del 40% , passando da 7848 chilometri quadrati di superficie a 4845 tra il 1070 e il 2015.

Vi è poi un altro fenomeno oggetto di ricerche, connesso con i processi di riscaldamento globale: il possibile aumento, per gli aumenti delle temperature e della piovosità in certi territori, delle superfici coltivabili (che finora erano inutilizzabili). Tuttavia questo aspetto della crisi climatica apparentemente positivo, si rivela essere una ulteriore causa di inquinamento, dalle emissione derivanti dall’uso di mezzi meccanici in agricoltura all’uso di pesticidi, oltre ai rischi di sparizione per animali e piante.

Pertanto gli effetti dello spostamento della “linea del clima” dal sud al nord nel nostro emisfero dovranno essere attentamente monitorati. 



Infine, l’invasione delle locuste, particolarmente massiccia in questi mesi, che sta distruggendo piantagioni e manto verde in Etiopia, Somalia, Kenya, e si sta spostando verso Uganda e Tanzania e forse fino al Sud Sudan. Tutte le fonti sottolineano che ogni giorno gli sciami possono distruggere quantità incredibili di piante e possono ridurre alla fame interi territori. Calore e umidità hanno favorito la riproduzione delle locuste e quindi uno sciame grande come il territorio di Roma in un solo giorno può mangiare la quantità di cibo consumata dall’intera popolazione del Kenya. Infine, si stima che gli incendi che per oltre quattro mesi hanno distrutto la vegetazione nel sud e nell’est dell’Australia, hanno causato la sparizione del 20% delle foreste del paese.

Alcuni effetti dei meccanismi di inquinamento

Diventa sempre più necessario nelle analisi economiche tenere conto degli effetti del riscaldamento e dell’inquinamento a scala globale, dati che spesso vengono trascurati o sottovalutati. Ad esempio, il consumo di carni bovine salirà del 69 percento entro il 2050, e gli animali producono circa il 15% dei gas serra; l’80% dei terreni agricoli a coltivazioni intensive produce mangimi per animali; un chilo di carne bovina assorbe 15.999 litri di acqua tra irrigazione dei terreni, alimentazione degli animali e lavorazioni per la trasformazioni delle carni.

La sola soia per consumi animali è passata dai 175 milioni di tonnellate del 2000 ai 350 milioni di oggi. Inoltre tutte le perdite e i residui, cioè gli “sprechi” relativi alla filiera potrebbero alimentare 1,5 miliardi esseri umani. Non si può inoltre dimenticare che le carni trasformate, (affumicate, salate e stagionate) sono sospettate di essere cancerogene, come lo sono potenzialmente quelle rosse.

E oggi stanno emergendo anche i rischi di passaggio dei virus tra animali ed esseri umani causati dal commercio più o meno legale di animali vivi. Per approfondire una parte importante dei problemi legati al consumo della carne, si può leggere di J.Safran Foer, “Possiamo salvare il mondo prima di cena”, Guanda editore. Animali da carne o da allevamenti sono poi oggetto di una attività poco nota , il trasporto da un paese ad un altro con navi aerei o camion. Sono quasi 2 miliardi all’anno gli animali oggetto di questo traffico, nelle condizioni e con i rischi che si possono immaginare. La fonte qui utilizzata (Extraterrestre del 27 febbraio 2020) riporta alcuni esempi di questo traffico, pubblicati dal Guardian: quattro milioni di polli vivi dall’Olanda alla Thailandia; 640mila pecore dall’Australia al Qatar; 560mila bovini dal brasile e dall’Uruguay alla Turchia; oltre sei milioni di maiali dalla Danimarca alla Polonia.

Sono anche citati alcuni naufragi di navi specializzate in questo tipo di trasporti, ma non è difficile immaginare quali sofferenze vengono inflitte a questi animali durante i viaggi. Non sorprende quindi che in sede unione Europe si cominci a pensare ad una tassa sulla carne, per ridurne i consumi e contrastare i danni all’ambiente. E’ stato anche commissionato uno studio ad un centro di ricerche, Ce Delft, con sede in Olanda, che ha calcolato anche il valore dell’imposta da applicare, in modo da ottenere anche i fondi necessari a introdurre profonde modifiche nl sistema degli allevamenti



Una seconda forma di inquinamento che non accenna a diminuire è costituita dalla plastica, che oltre ad essere dispersa nell’ambiente che ci circonda viene anche spedita in paesi lontani. I flussi di esportazione dei residui di plastica verso la Cina, che ne riciclava grandi quantità ma che da due anni si rifiuta di accoglierli, hanno dovuto trovare nuove destinazioni. Tra questi paesi esportatori spicca l’Italia, che spedisce illegalmente i suoi residui fino alla Malesia. In realtà i paesi europei possono spedire all’esterno dell’UE i rifiuti di plastica ma solo se sono riciclabili e solo se le imprese di riciclaggio straniere rispettano gli stessi standard ambientali e tecnici degli impianti di smaltimento dell’Unione.

Ma ovviamente la mancanza di controlli favorisce l’utilizzazione di aziende che non rispettano tali vincoli e la trasformazione diventa sostanzialmente illegale. La recente ricerca di Greenpeace ha evidenziato che i cumuli di residui vicino agli impianti erano fortemente contaminati, mentre gli abitanti dei villaggi vicini denunciavano malattie respiratorie.

Inoltre ha evidenziato i primi 15 paesi dove l’Italia spedisce i residui di plastica : nel periodo gennaio e dicembre 2019 sono stati, in ordine di importanza delle esportazioni, Turchia, Malesia, Cina, Yemen, Svizzera, Arabia Saudita, India, Pakistan, USA, Messico, Singapore, Oman, Hong Kong, Sri Lanka, Vietnam.

Alcune prospettive

Nel pieno della crisi sanitaria, è molto difficile sperare in misure governative che prevedano per l’ambiente almeno alcune di quelle misure che da tempo sono richieste a livello internazionale.

Tuttavia una analisi più approfondita delle origini e delle cause della pandemia –che tante vittime e danni economici sta producendo – dovrebbe far comprendere che sono proprio dei danni gravissimi arrecati al pianeta , come ad esempio la distruzione di tante foreste, ad aver creato le condizioni per lo “spillover”, cioè il passaggio dei virus tra animali e l’uomo, al cui interno diventano patogeni.

Inoltre, mentre alcuni inquinamenti, specie quello dell’aria che respiriamo nei centri urbani, indeboliscono in particolare le persone anziane e le rendono particolarmente adatte ad essere colpite dai virus più aggressivi.

Quindi sarebbe grandemente auspicabile che le misure di riapertura e rilancio delle attività economiche dedicassero una forte attenzione a tutte le componenti che possono essere rispettose dell’ambiente e che comincino ad attuare le misure più urgenti dirette a ridurre il riscaldamento globale , approvate nelle sedi internazionali.

Proprio in questa prospettiva, è interessante notare che il parlamento europeo, malgrado le forti resistenze, ha approvato 131 infrastrutture e 32 nuovi progetti, diretti a promuovere un settore energetico europeo basato su fonti rinnovabili e corredato da una rapida eliminazione del carbone e del gas di natura fossile, per fare dell’Unione Europea la prima area mondiale a emissioni zero di anidride carbonica entro il 2050.

Le opere hanno un valore complessivo di 29 miliardi, mentre anche la Banca Europea degli Investimenti si è impegnata a non concedere più prestiti per le energie fossili.

Nell’insieme, non siamo ancora davanti ad una svolta radicale nella politica europea, ma anche queste misure, sostanzialmente di “adeguamento” progressivo al cambiamento climatico in corso, possono essere considerate delle aperture positive alle critiche e alle proposte degli ambientalisti.

Nella stessa direzione ma con obiettivi più seri si muove la campagna per la riduzione al 55% entro il 2030 di tutte le emissioni di gas serra, lanciata in Italia tra i movimenti di base, che quindi prevede la chiusura quasi immediata degli impianti più pericolosi.

Un’altra misura che era in discussione nel mese di febbraio riguarda un Piano per il Mezzogiorno, che nella parte analitica sottolinea che negli ultimi dieci anni “la spesa per investimenti della pubblica amministrazione si è più che dimezzata, passando dai 21 miliardi del 2008 agli attuali 19,3” . Inoltre gli investimenti pubblici sono crollati ovunque, ma nelle otto regioni del Sud in misura ancora maggiore, mentre il movimento migratorio tra il 2002 e il 2017 è stato di 640 mila giovani, dei quali 240 mila laureati. 



Fronte di tale situazione vengono enunciati una serie di buoni propositi, che però dovranno essere attuati “senza gravare di maggiori oneri la finanza pubblica e agendo sul riequilibrio della spesa ordinaria”, mentre nel primo triennio quasi tutto è demandato al “recupero della capacità di spesa “sui fondi esistenti e al salvataggio di risorse comunitarie, e quindi sembra quasi che poche o nulle saranno le risorse addizionali in favore del Mezzogiorno. Il Piano dovrà ancora essere molto discusso e rivisto, ma i tempi si sono ancora una volta allungati, a meno che almeno nel settore della spesa sanitaria non si decida finalmente di tenere conto delle reali esigenze della popolazione meridionale.

Molto ci sarebbe da discutere sulla scelta dei parametri e sulla definizione dei contenuti e delle percezioni, ma evidentemente uno stato sociale molto inclusivo, una profonda uguaglianza e un intenso rapporto con la natura sarebbero per tutti i paesi degli obiettivi da perseguire con costanza.

Alberto Castagnola

fonte: https://comune-info.net/


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Consumati 100 miliardi di tonnellate. Così il Pianeta non può farcela

Nel 2017 per la prima volta l’economia globale ha superato la soglia delle 100 miliardi di tonnellate di materiali consumati

















Era il 1972 quando il Rapporto del Club di Roma chiarì che le risorse disponibili sul pianeta erano limitate e che la crescita infinita era impossibile. Ebbene, come avverte il rapporto del think tank Circle Economy diffuso a Davos, nel 2017 per la prima volta l’economia globale ha superato la soglia delle 100 miliardi di tonnellate di materiali consumati, con un aumento dell’8,4% rispetto al 2015.
In cinquant’anni l’utilizzo globale di materiali è praticamente quadruplicato (erano «solo» 26,7 miliardi di tonnellate nel 1970), e il rapporto prevede che i consumi cresceranno ancora, attestandosi nel 2050 tra i 170 e i 184 miliardi di tonnellate. Di questa incredibile quantità di minerali, carburanti, metalli, biomassa che «lavoriamo» per far marciare l’economia, nutrire l’umanità, inquinare e accelerare il surriscaldamento globale, soltanto l’8,6% sono risorse recuperate o riciclate.
Dunque, l’economia circolare non tiene il passo di quella tradizionale, che cresce (e distrugge risorse) troppo in fretta. Sembra la ricetta per il disastro. 
fonte: https://www.lastampa.it

Deforestazione e fonti fossili. Gli investimenti insostenibili del colosso BlackRock

“Mentre l’Amazzonia brucia, BlackRock sta facendo profitti sulla distruzione ambientale e il caos climatico”. La denuncia di Friends of the Earth USA, Amazon Watch e Profundo, le tre realtà che nell’agosto 2019 hanno pubblicato il report che rivela come il più grande investitore istituzionale del mondo (6.500 miliardi di dollari gestiti) sia profondamente “coinvolto” in settori problematici



“Mentre l’Amazzonia brucia, BlackRock sta facendo profitti sulla distruzione ambientale e il caos climatico”. Non lascia scampo il giudizio di Friends of the Earth USA, Amazon Watch e Profundo, le tre realtà che nell’agosto 2019 hanno pubblicato il report che rivela come BlackRock, il più grande investitore istituzionale del mondo con 6.500 miliardi di dollari gestiti, sia profondamente “impegnato” in settori responsabili della distruzione delle foreste tropicali dell’Amazzonia e del resto del Pianeta.
Il rapporto “BlackRock’s Big Deforestation Problem” analizza le sue partecipazioni tra il 2014 e il 2018 in 167 società responsabili della deforestazione -attive nella produzione e nel commercio di soia, manzo, olio di palma, cellulosa e carta, gomma e legno-, quotate in Borsa. Il colosso statunitense è tra i primi tre azionisti in 25 di queste e tra i primi dieci azionisti in altre 50. Non solo: dal 2014 le partecipazioni di BlackRock in questi settori di investimento sono aumentate di oltre mezzo miliardo di dollari.
Tra il 2014 e il 2018, infatti, il fondo ha detenuto azioni in 82 delle società quotate selezionate, che sono scese a 61 nel 2018, ma con un aumento del valore complessivo degli investimenti. Da 1 miliardo di dollari in investimenti in società “a rischio di deforestazione” nel 2014, a 1,6 miliardi di dollari quattro anni dopo.

Partecipazioni di BlackRock in aziende a “rischio deforestazione”. Analisi dell’andamento (2014-2018, dati in milioni di dollari USA) – Fonte: Thomson EIKON (2019, February), Shareholdings; Profundo’s calculations

I principali motori di questa tendenza sono gli aumenti degli investimenti nelle aziende produttrici di cellulosa e carta -passati da 103 milioni di dollari nel 2014 a 565 milioni nel 2018, con una crescita del 548%- e olio di palma, nonché in carne bovina, gomma e legno.
Tra i casi delle aziende approfondite nel report, nell’ambito della produzione di carta c’è Suzano, di cui BlackRock è il terzo maggiore azionista (27.256.786 di azioni nel 2018), per un valore di 267,5 milioni di dollari. “Dalla sua fusione con Fibria nel gennaio 2019, la brasiliana Suzano è la più grande azienda di carta e cellulosa del mondo, con mercati in 80 Paesi. Possiede anche la società biotecnologica Future Gene, che opera in Brasile, Israele, Stati Uniti e Cina”, si legge nel report. Suzano controlla 2,3 milioni di ettari, di cui 1,3 milioni di piantagioni, ed è stata accusata di “accaparramento delle terre, distruzione su larga scala delle foreste indigene e violenza psicologica e fisica” sui suoi abitanti.
A proposito dell’olio di palma, invece, sono citate le partecipazioni di BlackRock in Golden Agri-Resources (GAR), la seconda compagnia palma da olio del mondo: 162.580.102 azioni del valore di 33 milioni di dollari. La società controlla più di mille chilometri quadrati di terra in Indonesia. Sarebbero gravi “le continue accuse di deforestazione illegale, distruzione dell’habitat degli scimpanzé in pericolo e l’uso della violenza e della coercizione per appropriarsi con la forza delle terre della comunità”, si legge nel rapporto.

“Gli investimenti di BlackRock stanno causando direttamente gli incendi boschivi in Amazzonia e la deforestazione in tutto il mondo”, denuncia Jeff Conant di Friends of the Earth USA, tra i curatori del rapporto. “Investendo denaro in questo tipo di aziende, BlackRock sta distruggendo l’ambiente e calpestando i diritti delle popolazioni che abitano le foreste”.
A quella di Conant si aggiunge la voce di Moira Birss di Amazon Watch: “Gli incendi attualmente in corso in Amazzonia dimostrano chiaramente il rischio che l’espansione dell’agroalimentare rappresenta per la foresta pluviale amazzonica, le popolazioni indigene e il clima. Con l’incremento degli investimenti nelle stesse industrie complici di questa distruzione, BlackRock sta incoraggiando il presidente Jair Bolsonaro a radere al suolo l’Amazzonia a scopo di lucro”.



Partecipazioni di BlackRock in aziende a “rischio deforestazione” per commodity. Analisi dell’andamento (2014-2018, dati in milioni di dollari USA)

C’è poi l’aspetto della partecipazione di BlackRock in carbone, petrolio e gas. A inizio agosto, l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis ha dimostrato che BlackRock ha perso 90 miliardi di dollari a causa dei suoi investimenti in combustibili fossili fatti nell’ultimo decennio.

“Nel contesto della crisi ecologica globale, BlackRock, la più grande società d’investimento al mondo, con patrimoni in gestione superiori alla terza economia mondiale, ha di fatto rinnegato il suo dovere fiduciario di affrontare questi rischi -sottolineano le realtà curatrici del report-. BlackRock ha riconosciuto pubblicamente per la prima volta la deforestazione come un rischio climatico nel 2016, ma non ha ancora articolato una politica specifica e legata a politiche per raggiungere la deforestazione zero nei suoi portafogli”.
Per invertire la rotta, il report suggerisce di “adottare politiche e pratiche per gestire i rischi di deforestazione e i diritti fondiari”; “avanzare richieste alle aziende in cui si investe” e garantire che tali richieste “siano soddisfatte per prevenire danni ambientali e sociali irreversibili”. Quindi, “rendere i fondi privi di deforestazione automatici sia per i prodotti attivi che per quelli gestiti passivamente e rimuovere le società ad alto rischio”; e “impegnarsi in modo proattivo e sostanziale con le parti interessate della società civile” per costruire nuove politiche. L’aumento degli investimenti nei settori responsabili della distruzione ambientale diffusa e delle violazioni dei diritti umani non hanno alcuna giustificazione. La risposta, ora, sta nei fatti a BlackRock.

fonte: https://altreconomia.it