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Due giornate di studio e approfondimento interagenziale sul particolato atmosferico















Arpa FVG e Arpa Lombardia organizzano a Milano le "Giornate di studio sulla caratterizzazione chimica del particolato atmosferico"

L’11 e il 12 ottobre 2021 si terranno a Milano due giornate di ...

Il particolato atmosferico non favorisce la diffusione del Covid-19, nuovo studio Cnr-Arpa

La ricerca ha analizzato le concentrazioni di SARS-CoV-2 all'aperto a Milano e Bergamo, studiando l’interazione con le altre particelle presenti in atmosfera. Smentita la tesi che il particolato possa favorire la trasmissione in aria del contagio










La prima ondata della pandemia da Covid-19, nell’inverno 2020, ha colpito in maniera più rilevante il Nord Italia rispetto al resto del Paese e la Lombardia, in particolare, è stata la regione con la maggiore diffusione. A maggio 2020 vi erano registrati 76.469 casi, pari al 36,9% del totale italiano di 207.428 casi. Perché la distribuzione geografica dell’epidemia sia stata così irregolare è ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.


Un recente studio, condotto dall’Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), sedi di Lecce e Bologna, e dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente-Arpa Lombardia, dimostra che particolato atmosferico e virus non interagiscono tra loro. Pertanto, escludendo le zone di assembramento, la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in outdoor in zone ad elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile.


La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Research, è stata condotta analizzando i dati, per l’inverno 2020, degli ambienti outdoor per le città di Milano e Bergamo, tra i focolai di COVID-19 più rilevanti nel Nord Italia.


“Tra le tesi avanzate, vi è quella che mette in relazione la diffusione virale con i parametri atmosferici, ipotizzando che scarsa ventilazione e stabilità atmosferica (tipiche del periodo invernale nella Pianura Padana) e il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di sorgenti naturali e antropiche, presenti in atmosfera in elevate concentrazioni nel periodo invernale in Lombardia, possano favorire la trasmissione in aria (airborne) del contagio”, spiega Daniele Contini, ricercatore di Cnr-Isac (Lecce). “È stato infatti supposto che tali elementi possano agire come veicolo per il SARS-CoV-2 formando degli agglomerati (clusters) con le emissioni respiratorie delle persone infette. In tal caso il conseguente trasporto a grande distanza e l’incremento del tempo di permanenza in atmosfera del particolato emesso avrebbero potuto favorire la diffusione airborne del contagio”.


Nella ricerca sono state stimate le concentrazioni di particelle virali in atmosfera a Milano e Bergamo in funzione del numero delle persone positive nel periodo di studio, sia in termini medi sia nello scenario peggiore per la dispersione degli inquinanti tipico delle aree in studio. “I risultati in aree pubbliche all’aperto mostrano concentrazioni molto basse, inferiori a una particella virale per metro cubo di aria”, prosegue Contini. “Anche ipotizzando una quota di infetti pari al 10% della popolazione (circa 140.000 persone per Milano e 12.000 per Bergamo), quindi decupla rispetto a quella attualmente rilevata (circa 1%), sarebbero necessarie, in media, 38 ore a Milano e 61 ore a Bergamo per inspirare una singola particella virale.

Si deve però tenere conto che una singola particella virale può non essere sufficiente a trasmettere il contagio e che il tempo medio necessario a inspirare il materiale virale è tipicamente tra 10 e 100 volte più lungo di quello relativo alla singola particella, quindi variabile tra decine di giorni e alcuni mesi di esposizione outdoor continuativa. La maggiore probabilità di trasmissione in aria del contagio, al di fuori di zone di assembramento, appare dunque essenzialmente trascurabile”.


“Per avere una probabilità media del 50% di individuare il SARS-CoV-2 nei campioni giornalieri di PM10 a Milano sarebbe necessario un numero di contagiati, anche asintomatici, pari a circa 45.000 nella città di Milano (3,2% della popolazione) e a circa 6.300 nella città di Bergamo (5,2% della popolazione)”, sottolinea Vorne Gianelle responsabile Centro Specialistico di Monitoraggio della qualità dell’aria di Arpa Lombardia. “Pertanto, allo stato attuale delle ricerche, l’identificazione del nuovo coronavirus in aria outdoor non appare un metodo efficace di allerta precoce per le ondate pandemiche”.


“La probabilità che le particelle virali in atmosfera formino agglomerati con il particolato atmosferico pre-esistente, di dimensioni comparabili o maggiori, è trascurabile anche nelle condizioni di alto inquinamento tipico dell’area di Milano in inverno”, conclude Franco Belosi, ricercatore Cnr-Isac di Bologna. “È possibile che le particelle virali possano formare un cluster con nanoparticelle molto più piccole del virus ma questo non cambia in maniera significativa la massa delle particelle virali o il loro tempo di permanenza in atmosfera. Pertanto, il particolato atmosferico, in outdoor, non sembra agire come veicolo del coronavirus”.

fonte: www.ecodallecitta.it


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La caratterizzazione chimica del particolato atmosferico

 

Sono disponibili i video e presentazioni della terza edizione nazionale delle Giornate di studio e approfondimento interagenziale tenutesi il 19 e 20 novembre su “La caratterizzazione chimica del particolato atmosferico”, organizzata da ARPA Friuli Venezia Giulia e ARPA Marche. Inizialmente previste nelle città di Pesaro e Fano che si erano rese disponibili ad ospitare l’evento, a causa dell’emergenza epidemiologia in corso sono state realizzate in modalità “on-line”.


Nate nel 2016 in ARPA FVG come evento regionale, dal 2018 le Giornate sono state successivamente estese a livello nazionale (con due edizioni tenute in Toscana e Sicilia) allo scopo di allargare a livello interregionale il confronto su questo tema molto attuale.

Fulcro di questa edizione tenutasi nella regione Marche è stata la sinergia di competenze messe a disposizione dalle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente, dalle Università e da Istituti prestigiosi come l’Ispra e il CNR-IIA di Roma.

Nella prima giornata, dopo la lectio magistralis tenuta dal Prof. De Gennaro dell’Università di Bari, sono state fornite nozioni sulla tecniche chemiometriche di base per la caratterizzazione chimica del particolato (PCA e PMF), per proseguire in mattinata con l’esposizione dei casi studio che hanno riguardato le determinazioni analitiche e le elaborazioni dei dati su nuovi inquinanti ricercati nel particolato atmosferico.

La sessione pomeridiana è stata interamente dedicata alle “Evidenze dell’effetto del lockdown sulla qualità dell’aria”, durante la quale il CNR-IIA di Roma e le Agenzie Regionali di Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Valle D’Aosta e Umbria hanno fornito un quadro a livello nazionale della qualità dell’aria nei primi mesi del 2020 e durante il periodo del lockdown dovuto alla Pandemia da COVID-19. Sono state illustrate le variazioni nella composizione chimica (principalmente metalli e IPA) del PM 10 e 2.5, nonché di NO2, NO, benzene e dei loro rapporti diagnostici, descrivendo con una grande varietà di strumenti statistici una situazione in cui il peso delle sorgenti principali è stato ampiamento modificato rispetto all’abituale.

L’argomento COVID-19 è stato ripreso nella seconda giornata nella lectio magistralis del Prof. Pivato dell’Università di Padova, il quale ha offerto spunti di riflessione su argomenti molto attuali illustrando i commenti sugli studi effettuati in merito alla correlazione tra PM10 e diffusione del virus, descrivendo l’attività sperimentale in corso sulla presenza di RNA di COVID-19 nel particolato atmosferico per concludere poi con una panoramica sulle responsabilità amministrative dell’inquinamento atmosferico. Sul tema pandemia sono stati presentati anche degli studi epidemiologici a livello regionale e nazionale eseguiti ad ARPA Marche in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche.

Altra novità di questa edizione è rappresentata dal contributo fornito dal Dott. A. Di Menno Di Bucchianico dell’ISPRA, il quale ha completato il quadro della speciazione del particolato atmosferico introducendo la componente aerobiologica e illustrando, tra i vari argomenti, i meccanismi di trasporto, interazione e di monitoraggio di pollini e spore, con l’importante riferimento alla rete POLLnet che ogni settimana pubblica i bollettini dei pollini e delle spore fungine in Italia.

La seconda parte della giornata è stata interamente dedicata alla caratterizzazione del particolato atmosferico derivante dal biomass burning, argomento di grande attualità, con l’intervento di 5 Agenzie che hanno illustrato anche nuove e diverse metodologie di valutazione dell’impatto del fenomeno, specificando come questo non sia limitato alle aree rurali/montane o ai periodi invernali.

Con una media di quasi 200 partecipanti collegati online, l’evento è stato ampiamente apprezzato non solo da tutti gli operatori del settore, ma anche dalle Autorità Istituzionali, nelle persone del Presidente del SNPA Dott. Stefano Laporta, il Presidente ASSOARPA, Dott. Giuseppe Bortone, l’Assessore Regionale all’Ambiente della Regione Marche Dott. Stefano Aguzzi, i Sindaci delle città di Pesaro e Fano, Matteo Ricci e Massimo Seri, che hanno riconosciuto l’importanza della condivisione delle conoscenze sulla tematica della caratterizzazione del particolato all’interno del Sistema Nazionale della Protezione Ambientale.

LEGGI IL PROGRAMMA
SCARICA LE RELAZIONI E GUARDA I VIDEO:
Relatore: Presentazioni interventi Video
Giancarlo Marchetti
Direttore Generale ARPA Marche Introduzione all’evento https://youtu.be/u-LmQUnlWzg

Stellio Vatta
Direttore Generale ARPA Friuli Venezia Giulia Saluti istituzionali https://youtu.be/JtgZy-SSRSU
Matteo Ricci
Sindaco di Pesaro Saluti istituzionali https://youtu.be/1zHepySLZiE
Stefano Laporta
Presidente SNPA / ISPRA Saluti istituzionali https://youtu.be/cQsjCCsTHuk
Stefano Aguzzi
Assessore regionale all’ambiente Saluti istituzionali https://youtu.be/V6Errodcljs
Lectio Magistralis:
Gianluigi De Gennaro – Università di Bari La caratterizzazione chimica “on-line” https://youtu.be/gfF735vhcaI

Fabiana Scotto – ARPAE Emilia Romagna Identificazione delle sorgenti del particolato tramite modelli a recettore (PMF)
Mara Galletti – ARPA Umbria Monitoraggio in aria ambiente di PCDD, PCDF e PCB nella regione Umbria https://youtu.be/0Lm3Yq8d1J0
Annamaria Falgiani – ARPA Marche I nitro-IPA come marker di traffico navale https://youtu.be/Pq6Qbh6wMKQ
Arianna Tolloi – ARPA Friuli Venezia Giulia Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/F52XKr9-8I4
Cristina Colombi, Vorne Giannelle – ARPA Lombardia Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/XTADS5K-bUw
Irene Dorillo – ARPA Marche Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/iXRUvDJvQV0
Henry Diemoz – ARPA Valle d’Aosta Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/7vFnZp4ByRk
Lectio Magistralis:
Alberto Pivato – Università di Padova Lockdown e particolato: quali lezioni possiamo imparare?

Katiuscia di Biagio – ARPA Marche Studi epidemiologici, regionale e nazionale, sugli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla diffusione e prognosi del COVID-19
Ilaria Corbucci, Mara Galletti – ARPA Umbria Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/xOzStMaHfTQ
Ivan Tombolato – ARPA Valle d’Aosta L’impatto delle emissioni dovute alla combustione di biomassa sulla concentrazione di PM in Valle d’Aosta https://youtu.be/sQeXNLC2mx4
Arianna Trentini, Dimitri Bacco – ARPAE Emilia Romagna … non solo riscaldamento domestico: biomass burning e il contributo del cooking a Rimini https://youtu.be/NujW2sbc2zE


Le slide sono in corso di aggiornamento la lista completa sarà disponibile all’indirizzo: https://tinyurl.com/yyvny24q


I video sono in corso di aggiornamento la playlist completa è disponibile all’indirizzo: https://www.youtube.com/playlist?list=PLXGG_mlx9nSFVFt-wL0YN6e2UPtgKOuj_

fonte: www.snpambiente.it/


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Per la mobilità del futuro non basta cambiare i motori. Serve un nuovo modello urbano

Per far rivivere le nostre città e ridurre inquinamento ed emissioni è essenziale tagliare il numero di veicoli motorizzati privati. L'esperienza della rete ciclabile di Parigi, in poco tempo e bassi investimenti, ha già dato risultati importanti.















Nel parlare di un tema, la mobilità attiva che in Italia è trattata nei fatti – e generalmente anche nell’elaborazione culturale e nella comunicazione – come “minore”, di “nicchia” o appannaggio di pochi “ambientalisti visionari”, è utile inquadrarlo nel contesto:
  • l’unico scenario che consente di mantenere il deregolamento climatico entro 1,5 °C, senza l’azzardo e l’ingiustizia di assegnare alle generazioni future l’onere (fin ben oltre il 2100) di rimuovere CO2 dall’atmosfera con tecnologie di cui non è provata la fattibilità tecnico-economica – lo European Academies Science Advisory Council ammonisce la Ue che fare affidamento sulle “tecnologie ad emissioni negative” invece di ridurre le emissioni stesse alla fonte potrebbe risultare in un fallimento e avere come conseguenza un severo riscaldamento globale e serie implicazioni per le generazioni future – è uno scenario di riduzione della domanda di energia finale mondiale del 40% al 2050 rispetto all’uso attuale, in modo da permettere una rapida de-carbonizzazione della domanda restante.
Poiché l’Europa e l’Italia utilizzano pro capite tre volte più energia della media mondiale, questo significa per queste due entità ridurre l’uso finale di energia da qualunque fonte, fossile o rinnovabile, rispetto a oggi e non a ipotetici trend futuri, di una quantità ben maggiore del 40%;
  • il rapporto Iea (Agenzia Internazionale dell’Energia) Energy Outlook 2019 nel capitolo sulla mobilità, mostra come la crescita delle dimensioni e peso delle auto (in particolare col raddoppio in 10 anni del numero di Suv) abbia azzerato tutti gli altri progressi in termini di efficienza energetica dei motori. La crescita del numero di Suv è il secondo fattore di crescita delle emissioni di CO2 negli anni 2010-2018 dopo gli impianti di generazione elettrica.
“Il tasso d’incremento delle emissioni da Suv li pone davanti all’industria pesante (incluso ferro, acciaio, cemento e alluminio) l’aviazione e il trasporto merci marino, con nostra stessa sorpresa”;
  • una larga parte (fino al 90%) delle particelle sottili (PM10 e PM2,5) dovuta al traffico non è causata dalle emissioni allo scappamento del motore, ma dalla abrasione di freni, pneumatici, asfalto e alla ri-sospensione delle polveri depositate al suolo (vedi tabella).
E le emissioni da abrasione risultano tutte proporzionali al peso del veicolo. Risulta quindi chiaro che l’unico modo di ridurre le concentrazioni di PM sono politiche che riescano a ridurre numero e peso dei veicoli, ottenendo al tempo stesso una miriade di co-benefici (spazi liberi per attività sociali, verde, riconquista di autonomia di spostamento per bambini e anziani, ecc.).
Meno auto in città
Assunta, dunque, come razionale e necessaria la riduzione del numero di veicoli motorizzati privati, sorgono le domande: è possibile per i cittadini modificare le loro abitudini, utilizzando la bicicletta, o andando a piedi, i percorsi brevi e medi che oggi svolgono in auto? È possibile per le amministrazioni favorire questa trasformazione? È possibile completare una fitta rete ciclabile in tre anni e con fondi limitati, attenendosi a princìpi chiari che diano massima efficacia ai nuovi tratti e a quelli esistenti?
Parigi l’ha fatto (2016-2019), e abbiamo invitato la responsabile dell’applicazione del Plan Velo di Parigi Charlotte Guth a raccontarlo in una delle conferenze organizzate dal Master Ridef.
princìpi che hanno guidato le scelte dell’amministrazione sono semplici e chiaramente esplicitati:
  • la rete ciclabile deve rivolgersi alla stragrande maggioranza dei cittadini che sarebbero interessati a utilizzare la bicicletta ma temono per la propria incolumità e deve permettergli di essere e sentirsi in sicurezza;
  • lo spazio per le nuove infrastrutture ciclabili non deve essere tolto a aree verdi e pedoni; corollario è che le piste ciclabili sono parte di un processo di riequilibrio che riduce lo spazio dedicato al mezzo meno efficiente, il veicolo motorizzato individuale;
  • la rete deve essere realizzata in modo da consentire alla bicicletta di esplicitare la sua efficacia, creando percorsi diretti/rettilinei da punto A al punto B; corollario: le vie a senso unico devono essere percorribili in ambo i sensi dalle biciclette, con apposita segnaletica e con riduzione della velocità delle auto a 20 o 30 km/h nella maggior parte della rete viaria; solo gli assi di grande scorrimento rimangono a 50 km/h;
  • la rete è pensata per ospitare agevolmente il flusso di ciclisti previsto nei prossimi decenni (il piano ha appunto l’obiettivo di renderli molto più numerosi degli attuali); corollario: le piste devono essere ampie, per permettere a due biciclette di viaggiare affiancate per ogni senso di marcia, permettendo così agevolmente i sorpassi tra gli utenti che viaggiano a diverse velocità, anche quando uno dei veicoli è una cargo-bike;
  • la rete deve essere realizzata rapidamente, in modo che, dopo qualche disagio di circolazione durante la realizzazione, i cittadini possano rapidamente prenderne possesso e apprezzarne i vantaggi.
Piazze e bici
Investimenti: circa 70 milioni per le piste ciclabili vere e proprie e 40 milioni per il rifacimento di 7 tra le maggiori piazze dalla città, nelle quali trasferire a pedoni, ciclisti e verde oltre il 50% della superficie prima occupata dalle auto.
Un investimento significativo, anche se di piccola entità, rispetto al budget complessivo per la manutenzione delle strade e dell’intera amministrazione.
E una serie di altre misure meno appariscenti ma importanti: co-finanziamento di una delle migliori applicazioni di navigazione gps assistita in bici (www.geovelo.fr) che è in fruizione libera e gratuita e le cui mappe coprono tutto il pianeta, obbligo di destinare un locale al parcheggio bici in tutti gli edifici nuovi, 50% di cofinanziamento per la sua realizzazione in edifici esistenti, parcheggi sicuri (box chiusi) per bici sono in via di installazione nelle strade e sono disponibili in affitto a prezzi modici, chiusura di molte strade in vicinanza delle scuole durante gli orari di ingresso e uscita, posizione privilegiata delle bici – davanti a tutti gli altri mezzi – ai semafori.
Risultati? In un solo anno, da settembre 2018 a settembre 2019, il numero di ciclisti, misurato da 56 sensori digitali distribuiti nella capitale, è cresciuto del 54%. Con punte altissime su alcuni dei tratti: +200% in quai d’Orsay, quai de Grenelle, voie G. Pompidou.
Ma anche la pista ciclabile di rue Lafayette ha visto un incremento del 200%, ed esiste da oltre dieci anni: il traffico ciclistico è triplicato quando da troncone isolato è diventata parte di una rete completa, quella creata dal Plan Velo.
Gradimento dei cittadini? L’incremento del numero dei ciclisti, varie analisi giornalistiche, il fatto che tutti i candidati alle amministrazioni amministrative di marzo 2020 stiano facendo a gara sul tema della promozione della bicicletta e che la Regione Ile de France competa con il Comune di Parigi negli incentivi all’acquisto di bici elettriche, testimoniano di un cambio di paradigma.
E i vantaggi della rete saranno ancora più evidenti quando tratti ancora in preparazione, come la corsia veloce dalla Senna alla periferia Sud, saranno completati quest’anno. I vantaggi sono diventati estremamente tangibili anche grazie allo sciopero dei mezzi pubblici durato oltre un mese a dicembre-gennaio: i cittadini si sono ritrovati a disposizione una efficacissima nuova infrastruttura di trasporto.
La trasformazione urbanistica potrebbe procedere ben oltre.
La Sindaca Hidalgo si ricandida con un progetto di “Città 15 minuti”, che intende promuovere una situazione di “iper-prossimità” dove tutti i servizi essenziali siano disponibili a distanze percorribili a piedi o in bicicletta, secondo un concetto promosso da vari urbanisti, tra cui Carlos Moreno, docente all’università Paris-1 Pantheon-Sorbonne.
E propone “Parigi 100% ciclabile”, che intende infittire la rete fino ad avere una corsia ciclabile in ogni strada e ponte, e rimuovere 60.000 degli 83.500 parcheggi in strada per trasformarli in piste ciclabili, aree verdi, spazi gioco, rendendo la città amica dei bambini, dunque di tutti i cittadini.
Nei piani futuri c’è anche un grandissimo nuovo spazio verde tra Tour Eiffel e Trocadero, trasformando in un giardino anche il ponte che li collega. Le associazioni di ciclisti hanno predisposto un piano di rete ciclabile veloce che si estende a collegare tutti i comuni circostanti.
La previsione del Financial Times, “Parigi sarà la prima città post-automobile”, è probabilmente in corso di realizzazione. Ma anche solo quanto fatto finora – in soli tre anni e con soli 110 milioni di spesa – potrebbe aprire la strada a trasformazioni analoghe in molte altre città.
È probabilmente una delle misure più efficaci, veloci da realizzare, economiche, per rispondere alla necessità di agire con drastici tagli all’uso di energia sin dai primi dei dieci anni in cui il mondo deve invertire rotta. Se non bastasse, Parigi è oggi ancora più bella di prima.
fonte: www.qualenergia.it

Concentrazioni di inquinanti atmosferici in tempo di Coronavirus in Veneto
















Il comunicato di Arpa Veneto riprende ed analizza aspetti legati all’inquinamento atmosferico che, anche in questo periodo di limitazioni alla circolazione, continua ad avere una grande evidenza nei media, sottolineando l’importanza di trattare l’argomento con grande rigore scientifico. Discutere di inquinamento atmosferico tout court, senza entrare nel merito del comportamento dei singoli inquinanti può portare a trarre conclusioni errate o vere solo in parte, come apparso più volte in questi giorni su stampa e media.
Tra gli inquinanti analizzati particolato atmosferico e ossidi di azoto. Per questi ultimi il documento riprende uno studio sull’andamento di biossido e monossido di azoto, inquinante, quest’ultimo, che nei pressi delle arterie viarie è un tipico tracciante delle emissioni dei veicoli e non risente molto a scala locale della variabilità meteorologica.


fonte: https://www.snpambiente.it

Non Sono Mai Buone Notizie. Avere Particolato Nel Tuo Cervello

Le microplastiche sono dappertutto, ma nessuno sa veramente quali pericoli possono portare una volta entrati nel corpo umano. La tossicologa britannica Rosemary Waring avverte che i nostri oceani saranno inondati con quella roba.

















Traduco la seguente intervista alla tossicologa Rosemary Waring sul
pericolo delle microplastiche, in fondo troverete il link per il testo
originale; l'intervista sulle microplastiche è stata condotta da Philip
Bethge per Der Spiegel.


Der Spiegel: La contaminazione dell'ambiente da parte della plastica sembra aver raggiunto livelli epidemici. In particolare preoccupano le minuscole particelle di microplastiche. Possono essere una minaccia per la salute umana?


Waring: Penso che rimaniamo con un chiaro forse. Un problema importante delle plastiche è che in sostanza sono indistruttibili. Anziché venir biodegradate si frammentano in pezzettini sempre più piccoli, alla fine diventano frammenti microscopici. Questi frammenti possono entrare nel corpo umano o per inalazione o per ingestione. Non sappiamo veramente dove vanno, ma in alcuni animali marini è stato dimostrato che queste particelle si accumulano nel cervello, nel fegato ed in altri tessuti. Questo potrebbe essere un problema.


Der Spiegel: Da dove vengono queste particelle?


Waring: Le microplastiche vengono da molte fonti, per esempio dalla frammentazione di oggetti più grandi, da abrasione di gomme, da micro perline nei cosmetici o da fibre di tessuti sintetici. Si stima che da un lavaggio standard da 5 kg (11 libbre) di tessuti di poliestere vengono rilasciate fino a 6.000.000 di microfibre. Attraverso il deflusso superficiale, i processi manifatturieri, l'agricoltura e gli impianti di trattamento di acque reflue, la maggior parte di questo finisce nell'ambiente ad esempio nei fiumi e alla fine va nei mari. Le estrapolazioni suggeriscono che ci saranno fino a 250 milioni di tonnellate di plastica negli oceani nel 2025.


Der Spiegel: Come avviene l'esposizione dell'uomo alle microplastiche?


Waring: Sembra che gli organismi che si nutrono mediante filtrazione come le cozze siano in grado di incorporare con facilità le microplastiche perché esse sono delle stesse dimensioni della loro dieta preferita. Si stima che i consumatori di crostacei e molluschi in Europa potenzialmente potrebbero ingerire 11.000 particelle di microplastiche l'anno. Molte di queste particelle di plastica nell'ambiente sono presenti in atmosfera e trasportate dal vento. Quando inali aria vengono anche inalate particelle microscopiche di plastica. Sono stati riportati (dati su) contaminazioni con plastica ad esempio di sale e zucchero e anche di miele e di birra tedesca. Con l'analisi di acqua d rubinetto e acqua in bottiglie hanno trovato che una parte importante dell'acqua da bere contiene frammenti di plastica.


Der Spiegel: Cosa succede quando la plastica è entrata nel corpo umano?


Waring: quello che succede dipende molto dalla dimensione del materiale plastico degradato. Le particelle più grosse non vengono prontamente assorbite. La maggior parte di queste (particelle più grosse) sembrano attraversare il corpo senza fare molto danno. Attualmente si ritiene che queste particelle più grosse non penetrano in profondità negli organi e semmai possono soltanto causare dell'infiammazione locale limitata o abrasione di tessuti. Le particelle più piccole però, che vengono chiamate nanoplastiche, sono una cosa completamente diversa.


Der Spiegel: (Il termine) nanoplastiche si riferisce a pezzettini che sono più piccoli di 0,001 millimetri.


Waring: Più è piccola la dimensione delle particelle di plastica, più è probabile che avvenga il passaggio attraverso le barriere biologiche quali le membrane cellulari. Ciò che sappiamo è che in generale le nanoparticelle sono in grado di interagire con proteine, lipidi e carboidrati nel corpo. Le nanoparticelle possono persino attraversare la barriera emato-encefalica e sembra probabile che possano avere effetti sul sistema nervoso centrale. Rapporti relativi a cambiamenti nei comportamenti di gamberetti e pesci esposti a nanoplastiche danno sostegno a questa ipotesi. I pesci esposti a nanoparticelle di plastica mangiano più lentamente ed esplorano meno l'ambiente circostante.


Der Spiegel: Potrebbero essere colpite anche le cellule del cervello umano?


Waring: Non ci sono attualmente evidenze concrete che nel tessuto del cervello umano penetrino le nanoplastiche, tanto meno che le nanoplastiche siano in grado di alterare il comportamento. È però stato riportato che le particelle di plastica causano stress ossidativo in linee di cellule umane. Questo potrebbe potenzialmente causare alcuni problemi incluso la degradazione di tessuti o l'infiammazione e segnala la possibilità che un individuo con una alta concentrazione di contaminazione da plastica nel suo sistema nevoso centrale potrebbe avere una reazione avversa. La depressione ad esempio è stata messa in relazione a tossicità da nanoparticelle nel sistema nervoso centrale. I frammenti di plastica potrebbero persino iniziare la formazione di placche e rendere più probabile l'Alzheimer. Non sono mai buone notizie avere particelle nel tuo cervello..


Der Spiegel: Ci sono ricerche che evidenziano la capacità (che hanno) le particelle di plastica di assorbire, concentrare e rilasciare inquinanti ambientali. È pericoloso questo?


Waring: I piccoli particolati di plastica hanno un alto rapporto superficie - 
volume e prontamente assorbono altri contaminanti presenti in mare quali gli inquinanti organici persistenti (i POP), potenzialmente li concentrano su tappeti di microplastiche. Trovi questi tappeti, non lontani al largo pieni di tante cose che davvero non vuoi, che potenzialmente vengono mangiati da organismi marini. Questa potenziale combinazione di agenti sia microbici che chimici sulle plastiche deve aumentare il rischio dei consumatori se i pesci, i crostacei o i molluschi sono contaminati poi vengono mangiati.


Der Spiegel: Lei è preoccupata per il fatto che il pericolo per la salute umana viene ignorato, sottostimato o frainteso?


Waring: Se io fossi estremamente preoccupata non mangerei ostriche o cozze, ogni tanto le mangio ancora. Tuttavia è necessario fare di più ricerche. Non sappiamo abbastanza relativamente ai potenziali rischi per la salute dovuti alle microplastiche. Come precauzione dovrà essere drasticamente ridotta la quantità di plastica rilasciata nell'ambiente. Abbiamo bisogno di impianti di trattamento delle acque di fognature che rimuovano le microplastiche per evitare che esse finiscano nei fiumi e nel mare. E dobbiamo togliere la plastica dall'oceano. Ma anche con un impegno globale coordinato la quantità di microplastiche nell'ambiente continuerà a crescere: Che impatto avrà questo sulla salute umana? La risposta preoccupante è che nessuno lo sa veramente.

Nadia Simonini

Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero       


Studio sulle particelle raccolte dalle api vicino ad un forno da cemento

Un’info-grafica in italiano e un’intervista comparsa sulla stampa locale 
proposito dello studio che ha utilizzato le api come “campionatori
naturali” delle particelle sospese in aria… 




Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero       

Asma: smog incrementa attacchi in città


I livelli elevati di polveri sottili sono associati a una maggiore incidenza dell’asma nella popolazione urbana. La relazione, già identificata in passato da diversi studi, è stata evidenziata da una recente analisi condotta dall’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.
Lo studio, pubblicato sulla versione digitale della rivista Environmental Research, è frutto di una collaborazione tra le équipe di tre dipartimenti dell’istituto di ricerca milanese. I ricercatori hanno messo a confronto i livelli di inquinamento atmosferico con le tracce di farmaci antiasma rinvenute nelle acque reflue di Nosedo, a Milano. Le acque di scarico del capoluogo lombardo sono state analizzate prima che venissero depurate nell’impianto di Nosedo.
L’analisi ha registrato una correlazione tra l’aumento dei livelli di particolato e l’incremento dei valori di salbutamolo nelle acque di scarico. Questo principio attivo è contenuto nei farmaci che si usano per sedare gli attacchi d’asma. Il farmaco ha un effetto vasodilatatore, che aiuta ad attenuare il broncospasmo durante le crisi.
L’analisi delle acque reflue, nota come “waste-water based epidemiology”, è una delle ultime frontiere nel monitoraggio delle malattie ambientali. I ricercatori hanno prelevato campioni giornalieri, documentando un aumento significativo dell’utilizzo di farmaci contro l’asma in corrispondenza dei picchi di PM2.5 e PM10.
I ricercatori dell’istituto Mario Negri invitano le autorità sanitarie a tenere conto di questi risultati per programmare strategie più efficaci contro l’asma, una patologia che mina la qualità della vita dei pazienti e comporta una spesa pubblica elevata. Elena Fattore, prima firma dello studio, ha spiegato che la riduzione dei livelli di polveri sottili avrebbe benefici immediati sui pazienti asmatici:
È stato stimato che se a Milano i livelli di PM10 diminuissero da 50 ug/m3 (concentrazione media misurata a Milano nel periodo di studio) a 30 ug/m3, almeno 850 dosi al giorno di salbutamolo (corrispondenti approssimativamente allo stesso numero di persone che registrano un acutizzarsi dei sintomi) non verrebbero utilizzate.
fonte: http://www.greenstyle.it

Bruciare legna, riscaldamento “green” o bomba ecologica?

Cosa inquina di più? Secondo ENEA e ministero della Salute non ci sono dubbi: la combustione di biomasse legnose è responsabile di oltre il 99% delle emissioni di particolato del settore civile

L’inverno non è ancora finito, ma già si iniziano a tirare le somme sull’inquinamento atmosferico provocato da siccità, produzione di energia, trasporti e ovviamente riscaldamento domestico. Ma cosa inquina di più? Secondo ENEA e Ministero della Salute non ci sono dubbi: la combustione di biomasse legnose, responsabili di oltre il 99% delle emissioni di particolato del settore civile. Ma c’è chi assicura: se la combustione di legna per energia termica è un problema, quella di pellet è più rispettosa dell’ambiente di qualunque combustibile fossile.

Complice la crisi economica, le bollette del gas sempre più care o il semplice amore ritrovato per il caminetto, il riscaldamento a legna è tornato ad essere molto diffuso, sia in Italia che nel resto d’Europa. Ma questo boom è sostenibile per ambiente e salute? Dipende. Se ci si trova in una grande città, ad esempio, l’eccessiva combustione di legna può portare a impatti di non poco conto. Resta emblematico il caso di Atene, dove nel 2013 la concentrazione di sostanze inquinanti nell’aria superò di 15 volte i livelli raccomandati dall’Unione europea, proprio a fronte dell’impennata del riscaldamento a legna.

In Italia, le zone più a rischio in questo senso sono quelle a maggiore densità di popolazione: Pianura Padana, Roma e Napoli, dove le concentrazioni di particolato sono costantemente al di sopra dei limiti europei consentiti. Margini di miglioramento continuando a bruciare legna? Pochi. “In tutti gli scenari al 2030 considerati da ENEA, le riduzioni di emissioni sono inferiori laddove aumenta l’uso della biomassa nel settore residenziale”, spiega il Centro di ricerca nello studio Gli impatti energetici e ambientali dei combustibili nel settore residenziale, promosso da Assogasliquidi e Anigas, le associazioni rappresentative dei settori gas naturale e liquefatto.

L’analisi sanitaria del Ministero della Salute individua nelle biomasse per riscaldamento uno dei principali combustibili verso cui indirizzare misure preventive. Secondo i dati raccolti, infatti, la quasi totalità delle emissioni di particolato del settore civile è dovuta alla combustione di biomasse legnose. Non solo, secondo i ricercatori in alcune parti d’Italia la presenza di inquinanti atmosferici e composti tossici è molto elevata nonostante l’adozione di norme europee sulle emissioni di impianti industriali e autoveicoli.

Il principale problema è che il maggior ricorso alle biomasse nel settore civile non riduce le emissioni di particolato rapidamente come succede in altri settori, ad esempio il trasporto stradale. Un dettaglio questo che porta ad annullare i risultati positivi connessi al miglioramento della qualità dell’aria, ottenuti attraverso le politiche di contenimento delle emissioni nei trasporti, negli impianti di generazione elettrica e negli usi energetici dell’industria.

Secondo il Ministero della Salute, in Italia i decessi dovuti al solo particolato fine sono circa 30.000, vale a dire il 7% di tutte le morti premature, esclusi gli incidenti. E oltre al particolato, c’è da considerare il rilascio nell’aria di ossidi di azoto e composti organici volatili sempre legati alla combustione della biomassa. Che, almeno, come ammettono anche Ministero della Salute, ENEA e Associazioni di categoria è neutra dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica.

“L’utilizzo delle biomasse per il riscaldamento residenziale non porta i benefici sperati e anzi, a causa delle emissioni di particolato (PM 2.5), incrementa l’inquinamento atmosferico e provoca danni alla salute”, scrivono le Associazioni in un comunicato. Ecco perché “gli standard emissivi degli impianti alimentati a biomassa incentivabili devono diventare più rigorosi e conseguentemente le politiche di incentivi vanno rimodulate”.

Mentre la legna da ardere può provocare i danni di cui sopra, il riscaldamento a biomasse punta sempre più sul pellet, con stufe molto più efficienti e molto meno inquinanti di quelle a legna tradizionali. Secondo i supporter di questo biocombustibile, del gas naturale non ci sono da considerare solo le emissioni in fase d’uso, ma tutte quelle legate al suo intero ciclo produttivo. Incluse quelle di metano, idrocarburo dall’effetto climalterante 50 volte superiore alla CO2.

Se si parla di gas naturale, ci sono poi le criticità legate all’indipendenza energetica e al contesto geopolitico. “L’Italia spende ogni anno oltre 60 miliardi di euro per l’approvvigionamento energetico delle fonti fossili che provengono da Paesi esteri”, spiega il portale Qualenergia.it: “Il 60% dell’energia termica in Italia (80 Mtep) è prodotta con il gas naturale, il 70% di questo è acquistato da tre Paesi con situazioni geopolitiche tutt’altro che stabili: Russia, Algeria e Libia”.

Pellet, legna, gas? Nella partita entrano in gioco anche fattori di carattere fiscale. “A differenza degli altri prodotti petroliferi, del gas naturale e dell’energia elettrica - soggetti ad accise o imposte di fabbricazione e all’aliquota Iva al 22% - le biomasse godono di una fiscalità agevolata”, scrive Assogasliquidi in un comunicato: “Tale trattamento preferenziale accordato alle biomasse dovrebbe quindi essere riequilibrato, per tener conto degli impatti negativi sulla salute umana e sull’ambiente.”

Secondo l’Associazione di Federchimica servono insomma standard emissivi più rigorosi per i piccoli impianti a biomasse domestici, che agevolino ad esempio la sostituzione di camini aperti/chiusi con tecnologie a gas o con produzione di calore tramite altre fonti rinnovabili, elettriche o termiche.

I dati dello studio ENEA sugli effetti ambientali e sanitari nocivi della combustione di legna sono confermati da quelli raccolti da diverse ARPA regionali. Ciononostante, lo scorso dicembre in Commissione Bilancio alla Camera è stato approvato un emendamento che ha esteso di cinque anni il periodo di incentivazione per gli impianti a biomasse. Che, invece, sarebbe dovuto scadere proprio quest’anno. La partita, insomma, sembra tutt’altro che chiusa.

Twitter: @AndreaBertaglio

fonte: www.lastampa.it

«Nanoparticelle, nemico mortale»


VOGHERA. «Per le elevate temperature applicate alla materia, la pirolisi produce nanoparticelle, un particolato talmente fine, inferiore ai 2,5 micron che non esiste al mondo filtro in grado di impedire che raggiunga l’ambiente». A lanciare l’allarme è Fabio Chiesa, medico di base vogherese, autore di una ricerca sui rischi per la salute dell’impianto di Retorbid che sarà parte integrante delle osservazioni del comitato del no alla Regione.
«Le nanoparticelle – spiega Chiesa – sono di fatto indistruttibili. Non potranno essere lavate dalla frutta, nè si potrà evitare che finiscano nel vino e in tutta la catena alimentare. Una volta penetrate nel nostro organismo, si propagheranno ovunque, nel cuore, nel fegato, persino nel cervello, arrivando a modificare il nostro dna e non essendo biodegradabili non c’è speranza di eliminarle. Le nanoparticelle provocano ictus, infarto, cancro. Vengono inoltre associate a malattie neurologiche e a patologie rare, a reazioni allergiche e alle patologie dell’apparato respiratorio». Non solo. «Questi inquinanti – continua il medico – passano con grande facilità dalla madre al feto del nascituro causando aborti, malformazioni e la nascita di bimbi di basso peso».
Chiesa sottolinea poi che «l’industria non è tenuta a rendere conto delle emissioni di nanoparticelle, che sfuggono a ogni controllo e a ogni limite, per cui può tranquillamente affermare che, a norma di legge, l’aria emessa è pulita». Insomma, la bocciatura della pirolisi non potrebbe essere più netta e decisa: «Le nazioni più evolute, Stati Uniti, Germania, Inghilterra e Francia, la conoscono bene – conclude Chiesa – e quindi si guardano bene dall’autorizzarla»

fonte: http://m.laprovinciapavese.gelocal.it