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Quante microplastiche si accumulano nell’organismo? Un nuovo modello per provare a scoprirlo




Ogni giorno gli esseri umani sono esposti alle microplastiche, che entrano nell’organismo attraverso il cibo, l’acqua, l’aria e gli innumerevoli materiali plastici con i quali entrano in contatto. Una porzione di queste particelle viene escreta attraverso le feci, ma in parte si accumulano. Le domande cui è urgente rispondere sono: fino a che punto? E con quali conseguenze sulla salute?

Se sugli effetti ci sono solo indizi piuttosto vaghi derivanti da ricerche frammentarie, sulle quantità accumulate iniziano a esserci dati leggermente più consistenti. Partendo da questi, e nello specifico da 134 studi effettuati negli ultimi anni, i ricercatori dell’Università di Wageningen, nei Paesi Bassi, hanno elaborato un modello e stimato valori di accumulo per due diverse fasce d’età: l’infanzia fino ai 18 anni e l’età adulta.


Ogni giorno con il cibo e le bevande una persona assume centinaia di microplastiche, ma non è chiaro quante se ne accumulino nell’organismo

Come riferito su Environmental Science & Technology, per arrivare a elaborare un modello universale gli autori hanno preso in considerazione la quantità di microplastiche (definite come particelle del diametro compreso tra 1 micrometro e 5 millimetri) rilevate in pesci, molluschi, crostacei, acqua corrente potabile oppure in bottiglia, birra, sale e aria, per valutare quanta plastica effettivamente si ingerisce ogni giorno e quindi qual è il contributo dei vari cibi e bevande. I ricercatori hanno quindi utilizzato i dati relativi ai consumi alimentari nei diversi Paesi e nelle differenti età, perché il quantitativo di microplastiche ingerite cambia se una dieta è basata principalmente su prodotti industriali confezionati, lavorati, o meno. Infine, questi dati sono stati combinati con quelli sulle dinamiche di digestione ed escrezione, per avere un riferimento sull’accumulo che resta dopo il passaggio nell’apparato gastrointestinale e la successiva eliminazione.

Dopo aver introdotto una serie di fattori correttivi, gli autori hanno concluso che, in media, ogni essere umano ingerisce 553 microplastiche al giorno attraverso il cibo e le bibite se ha meno di 18 anni, e 883 se ne ha di più. Questi quantitativi sono pari rispettivamente, a 184 e 583 nanogrammi. Ma l’accumulo è cosa molto diversa rispetto all’ingestione, ed è inferiore rispetto a quanto suggerito in altri studi: un ragazzo, quando compie 18 anni, ha infatti accumulato 8.300 microparticelle di plastica, pari a 6,4 nanogrammi, mentre una persona che ne compie 70 ne ha incamerate 50.100, pari a 40,7 nanogrammi. Le microplastiche che arrivano dal cibo, quindi, secondo questo modello sarebbero in grandissima parte escrete.

Ora gli studi del gruppo olandese proseguono per identificare gli alimenti che sono più a rischio, e per convalidare ulteriormente questo modello che, in attesa di studi diretti (complicatissimi da condurre), rappresenta un primo riferimento per valutazioni e stime di questo tipo.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Micro e nanoplastiche trovate nei tessuti umani

Una nuova tecnica presentata al meeting ACS rivela la presenza di plastica nel corpo umano




Il 18 agosto un team di ricercatori ha presentato all’ American Chemical Society (ACS) Fall 2020 Virtual Meeting & Expo I risultati di una ricerca che ha analizzato 47 campioni di tessuto umano con la spettrometria di massa e che ha scoperto che «contenevano monomeri, o componenti plastici».

L’inquinamento da plastica del suolo, dell’acqua e dell’aria è un problema globale e gli animali e gli esseri umani possono ingerire le particelle prodotte dalla degradazione della plstica, con conseguenze sulla salute ancora incerte. Ora, gli scienziati riferiscono di aver per la prima volta esaminato micro e nanoplastiche negli organi e nei tessuti umani.

Charles Rolsky, un ricercatore dell’Arizone State University che ha presentato lo studio al meeting ACS, spiega che «Troviamo le macro micro e nano plastiche praticamente in ogni luogo del mondo e in pochi decenni siamo passati dal vedere la plastica come un meraviglioso vantaggio a considerarla una minaccia. Ci sono prove che la plastica si sta facendo strada nei nostri corpi, ma pochissimi studi l’hanno cercata lì. E a questo punto, non sappiamo se questa plastica sia solo un fastidio o se rappresenti un pericolo per la salute umana».

Le microplastiche sono frammenti di plastica di diametro inferiore a 5 mm, le nanoplastiche sono ancora più piccole, con diametri inferiori a 0,050 mm. La ricerca sugli animali selvatici e modelli animali di laboratorio ha collegato l’esposizione alla micro e nanoplastica a infertilità, infiammazione e cancro, ma i risultati sulla salute nelle persone sono attualmente sconosciuti. Precedenti studi hanno dimostrato che la plastica può passare attraverso il tratto gastrointestinale umano, ma Rolsky e Varun Kelkar, un altro autore della nuova ricerca e anche lui dell’Arizona State University, stanno studiando se queste minuscole particelle si accumulano negli organi umani e come rilevarle. Per scoprirlo, i ricercatori hanno collaborato con Diego Mastroeni dell’ ASU-Banner Neurodegenerative Disease Research Center, per ottenere campioni da un ampio archivio di tessuti cerebrali e corporei che serve a studiare le malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer. Sono stati prelevati campioni da polmoni, fegato, tessuto adiposo, milza e reni – organi suscettibili di essere esposti a monomeri plastici e microplastiche e di filtrarli o raccoglierli. Per sviluppare un metodo e testarlo, il team ha aggiunto perline di nano/microplastiche a questo set di campioni. Quindi, ha analizzato il campione con la citometria a flusso e i ricercatori hanno così dimostrato di poter rilevare le perle che avevano introdotto nei campioni. Poi hanno anche creato un programma per computer che converte le informazioni sul conteggio delle particelle di plastica in unità di massa e area superficiale e hanno in programma di condividere questo strumento online in modo che altri ricercatori possano riportare i loro risultati in modo standardizzato. Halden è convinto che «Questa risorsa condivisa aiuterà a costruire un database sull’esposizione alla plastica in modo da poter confrontare le esposizioni in organi e gruppi di persone nel tempo e nello spazio geografico».

All’ACS sottolineano che «Il metodo della citometria a flusso ha consentito ai ricercatori di dimostrare di poter rilevare nano/microplastiche dai tessuti a cui erano state aggiunte. I ricercatori hanno anche dimostrato l’efficacia dell’uso della spettrometria μ-Raman per studiare la contaminazione ambientale con microplastiche, tra cui policarbonato (PC), polietilene tereftalato (PET) e polietilene (PE). Il metodo della citometria a flusso ha consentito ai ricercatori di dimostrare di poter rilevare nano/microplastiche dai tessuti a cui erano state aggiunte. I ricercatori hanno anche dimostrato l’uso della spettrometria μ-Raman per studiare la contaminazione ambientale con microplastiche, tra cui policarbonato (PC), polietilene tereftalato (PET) e polietilene (PE)».

Successivamente, i ricercatori hanno utilizzato la spettrometria di massa per analizzare 47 campioni di fegato e tessuto adiposo umani. A questi campioni non è stato aggiunto nessun materiale ma il team ha trovato comunque una contaminazione da plastica sotto forma di monomeri, o frammenti di plastica, in ogni campione. Il bisfenolo A (BPA), ancora utilizzato in molti contenitori per alimenti nonostante possa provocare problemi di salute, è stato trovato in tutti i 47 campioni umani.

Per quanto ne sanno i ricercatori, il loro studio è il primo ad esaminare la presenza di monomeri, nano e microplastiche negli organi umani di individui con una storia di esposizione ambientale nota. Halden evidenzia che «I donatori di tessuti hanno fornito informazioni dettagliate sul loro stile di vita, dieta ed esposizioni professionali. Poiché questi donatori hanno storie così ben definite, il nostro studio fornisce i primi indizi sulle potenziali fonti e vie di esposizione di micro e nanoplastiche».

Ma la gente dovrebbe preoccuparsi per l’elevata frequenza con la quale è stata rilevata plastica nei tessuti umani? Kelkar conclude: «Non vogliamo mai essere allarmisti, ma è preoccupante che questi materiali non biodegradabili che sono presenti ovunque possano penetrare e accumularsi nei tessuti umani, e non conosciamo i loro possibili effetti sulla salute. Una volta che avremo un’idea migliore di cosa c’è nei tessuti, potremo condurre studi epidemiologici per valutare i risultati sulla salute umana. In questo modo, possiamo iniziare a comprendere i potenziali rischi per la salute, se ce ne sono».

fonte: www.greenreport.it
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Microplastiche: cosa sono, dove si trovano e che effetti hanno sulla salute. Tutto quello che si sa (e non si sa) spiegato dal BfR

















Nello scorso mese di febbraio i tedeschi preoccupati per le microplastiche nel cibo erano il 56% della popolazione. Il dato è segnalato dalla rilevazione Consumer Monitor che il BfR, l’istituto federale per la valutazione del rischio, realizza due volte all’anno. Nel mese di agosto 2019, la percentuale era salita di 7 punti, attestandosi al 63%. L’incremento aiuta a capire perché l’ istituto abbia deciso di dedicare il primo articolo della pubblicazione semestrale, BfR2GO, a questo tema. Ecco, in sintesi, i diversi aspetti affrontati.
Definizione: per quanto possa sembrare strano, neppure la definizione di microplastiche è chiara. Ne esistono di moltissimi tipi, a seconda del materiale di origine e dei processi di lavorazione. Anche sul diametro ci sono opinioni diverse: a seconda dei casi, va da 0,0001 a 5 millimetri. La divisione merceologica comprende due grandi famiglie: microplastiche primarie, realizzate intenzionalmente dall’uomo e rappresentate da granuli e pellet di polietilene (PE), polipropilene (PP), polistirene (PS), polietilene tereftalato (PET), polivinil cloruro (PVC), poliammide (nylon) e etilene vinil acetato (EVA)…, oppure secondarie, nate da reazioni chimiche innescate dalla degradazione per invecchiamento ed esposizione del materiale ad agenti atmosferici, chimici e fisici di sacchetti, pneumatici, bottiglie, materiali tessili e altro.
microplastiche plastica inquinamento contaminazione nanoplastiche
Le microplastiche sono stata trovate ovunque: dalle acque marine all’intestino umano
Ubiquitarietà: come Il Fatto Alimentare ha documentato in numerosi articoli, il mondo è ormai intriso di microplastiche, che si trovano puntualmente ogni qualvolta le si vada a cercare. Le acque, il suolo, gli animali e l’uomo: nulla si salva, e poiché la produzione mondiale di plastiche è in aumento, non c’è aspettarsi un miglioramento a breve termine. Nel 2018 uno studio svolto dai ricercatori dell’Università di Vienna e coordinato dall’istituto per la sicurezza alimentare austriaco ha documentato la presenza di microplastiche nelle feci di persone residenti in Giappone e in Europa. Erano presenti in tutti i partecipanti, che tenevano un diario alimentare. Lo stesso vale, per alimenti come il miele, per le nevi di  diverse montagne. Restano però moltissimi aspetti da definire. Per esempio nei pesci: si sa che le microplastiche si accumulano nell’ intestino, che però quasi nessuno mangia. La domanda – per ora senza risposta – è: le microplastiche passano in altri tessuti del pesce e da lì all’uomo? Analogamente, per quanto riguarda le acque minerali, si sa che tutte contengono microplastiche, anche quelle in bottiglie di vetro. In questo caso la domanda è: da dove arrivano le microparticelle? Dai processi di lavorazione? Dai pigmenti delle etichette? Dai tappi? E che ruolo ha l’inalazione (per esempio di particelle derivanti dagli pneumatici, importante fonte di microplastiche secondarie, o dagli abiti, o dai cosmetici) nel quantitativo totale di microplastiche assorbite?
Metodi di analisi: disporre di sistemi di analisi uniformi e condivisi anche a livello internazionale è fondamentale per giungere a conclusioni comprensibili e traducibili in gesti concreti quali, per esempio, normative e leggi, ma per ora l’obiettivo è lontano. Ciò dipende dall’estrema eterogeneità delle microparticelle che, oltretutto, a parte casi specifici come le acque, si trovano disperse in materiali come gli alimenti che, a loro volta, sono complicate miscele. Per cercare di compiere passi in avanti nella definizione di metodi analitici unici, il BfR sta cooperando con diversi istituti di ricerca tedeschi e con le agenzie per la sicurezza alimentare danese (DTU) e francese (ANSES), cercando di capire quale sia il metodo migliore, più affidabile e applicabile ovunque.
laboratorio
Non esistono metodiche analitiche uniformi e condivise per individuare e quantificare le microplastiche
Effetti sulla salute: finora ci sono stati pochissimi studi, uno dei quali è stato condotto dallo stesso BfR nel 2018, su cellule intestinali di uomo e di topo. La conclusione è stata che il polistirene non sembra causare danni. Nulla si può dire sulle altre plastiche, né su sistemi complessi come un organismo, ben diverso da una coltura cellulare. Per iniziare a compiere indagini che si prolungheranno probabilmente per molti anni, l’Istituto ha dato vita a un gruppo di ricerca, che studierà anche i plastificanti (tra i quali rientrano molti interferenti endocrini come i bisfenoli), e gli additivi che  proteggono le plastiche dai raggi UV. Nella lista delle cose a fare c’è anche il  controllo degli effetti di agenti esterni presenti nell’ambiente come alcuni idrocarburi aromatici e fluorurati, delle nanoplastiche, dei batteri che possono restare attaccati alle microplastiche e formare biofilm la cui azione è del tutto ignota.
In generale, il BfR ritiene che non ci siano rischi elevati per la salute umana derivanti dalle microplastiche negli alimenti, così come l’OMS ritiene che non ve ne siano per quelle presenti nelle acque. Tuttavia è evidente che per il momento non sappiamo quasi nulla, e che si tratta quindi di opinioni giustificate dalla scarsità dei dati, che potrebbero essere modificate o ribaltate via via che gli studi consentiranno di esprimersi sulla base di evidenze ben più solide e complete di quelle disponibili oggi.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Non Sono Mai Buone Notizie. Avere Particolato Nel Tuo Cervello

Le microplastiche sono dappertutto, ma nessuno sa veramente quali pericoli possono portare una volta entrati nel corpo umano. La tossicologa britannica Rosemary Waring avverte che i nostri oceani saranno inondati con quella roba.

















Traduco la seguente intervista alla tossicologa Rosemary Waring sul
pericolo delle microplastiche, in fondo troverete il link per il testo
originale; l'intervista sulle microplastiche è stata condotta da Philip
Bethge per Der Spiegel.


Der Spiegel: La contaminazione dell'ambiente da parte della plastica sembra aver raggiunto livelli epidemici. In particolare preoccupano le minuscole particelle di microplastiche. Possono essere una minaccia per la salute umana?


Waring: Penso che rimaniamo con un chiaro forse. Un problema importante delle plastiche è che in sostanza sono indistruttibili. Anziché venir biodegradate si frammentano in pezzettini sempre più piccoli, alla fine diventano frammenti microscopici. Questi frammenti possono entrare nel corpo umano o per inalazione o per ingestione. Non sappiamo veramente dove vanno, ma in alcuni animali marini è stato dimostrato che queste particelle si accumulano nel cervello, nel fegato ed in altri tessuti. Questo potrebbe essere un problema.


Der Spiegel: Da dove vengono queste particelle?


Waring: Le microplastiche vengono da molte fonti, per esempio dalla frammentazione di oggetti più grandi, da abrasione di gomme, da micro perline nei cosmetici o da fibre di tessuti sintetici. Si stima che da un lavaggio standard da 5 kg (11 libbre) di tessuti di poliestere vengono rilasciate fino a 6.000.000 di microfibre. Attraverso il deflusso superficiale, i processi manifatturieri, l'agricoltura e gli impianti di trattamento di acque reflue, la maggior parte di questo finisce nell'ambiente ad esempio nei fiumi e alla fine va nei mari. Le estrapolazioni suggeriscono che ci saranno fino a 250 milioni di tonnellate di plastica negli oceani nel 2025.


Der Spiegel: Come avviene l'esposizione dell'uomo alle microplastiche?


Waring: Sembra che gli organismi che si nutrono mediante filtrazione come le cozze siano in grado di incorporare con facilità le microplastiche perché esse sono delle stesse dimensioni della loro dieta preferita. Si stima che i consumatori di crostacei e molluschi in Europa potenzialmente potrebbero ingerire 11.000 particelle di microplastiche l'anno. Molte di queste particelle di plastica nell'ambiente sono presenti in atmosfera e trasportate dal vento. Quando inali aria vengono anche inalate particelle microscopiche di plastica. Sono stati riportati (dati su) contaminazioni con plastica ad esempio di sale e zucchero e anche di miele e di birra tedesca. Con l'analisi di acqua d rubinetto e acqua in bottiglie hanno trovato che una parte importante dell'acqua da bere contiene frammenti di plastica.


Der Spiegel: Cosa succede quando la plastica è entrata nel corpo umano?


Waring: quello che succede dipende molto dalla dimensione del materiale plastico degradato. Le particelle più grosse non vengono prontamente assorbite. La maggior parte di queste (particelle più grosse) sembrano attraversare il corpo senza fare molto danno. Attualmente si ritiene che queste particelle più grosse non penetrano in profondità negli organi e semmai possono soltanto causare dell'infiammazione locale limitata o abrasione di tessuti. Le particelle più piccole però, che vengono chiamate nanoplastiche, sono una cosa completamente diversa.


Der Spiegel: (Il termine) nanoplastiche si riferisce a pezzettini che sono più piccoli di 0,001 millimetri.


Waring: Più è piccola la dimensione delle particelle di plastica, più è probabile che avvenga il passaggio attraverso le barriere biologiche quali le membrane cellulari. Ciò che sappiamo è che in generale le nanoparticelle sono in grado di interagire con proteine, lipidi e carboidrati nel corpo. Le nanoparticelle possono persino attraversare la barriera emato-encefalica e sembra probabile che possano avere effetti sul sistema nervoso centrale. Rapporti relativi a cambiamenti nei comportamenti di gamberetti e pesci esposti a nanoplastiche danno sostegno a questa ipotesi. I pesci esposti a nanoparticelle di plastica mangiano più lentamente ed esplorano meno l'ambiente circostante.


Der Spiegel: Potrebbero essere colpite anche le cellule del cervello umano?


Waring: Non ci sono attualmente evidenze concrete che nel tessuto del cervello umano penetrino le nanoplastiche, tanto meno che le nanoplastiche siano in grado di alterare il comportamento. È però stato riportato che le particelle di plastica causano stress ossidativo in linee di cellule umane. Questo potrebbe potenzialmente causare alcuni problemi incluso la degradazione di tessuti o l'infiammazione e segnala la possibilità che un individuo con una alta concentrazione di contaminazione da plastica nel suo sistema nevoso centrale potrebbe avere una reazione avversa. La depressione ad esempio è stata messa in relazione a tossicità da nanoparticelle nel sistema nervoso centrale. I frammenti di plastica potrebbero persino iniziare la formazione di placche e rendere più probabile l'Alzheimer. Non sono mai buone notizie avere particelle nel tuo cervello..


Der Spiegel: Ci sono ricerche che evidenziano la capacità (che hanno) le particelle di plastica di assorbire, concentrare e rilasciare inquinanti ambientali. È pericoloso questo?


Waring: I piccoli particolati di plastica hanno un alto rapporto superficie - 
volume e prontamente assorbono altri contaminanti presenti in mare quali gli inquinanti organici persistenti (i POP), potenzialmente li concentrano su tappeti di microplastiche. Trovi questi tappeti, non lontani al largo pieni di tante cose che davvero non vuoi, che potenzialmente vengono mangiati da organismi marini. Questa potenziale combinazione di agenti sia microbici che chimici sulle plastiche deve aumentare il rischio dei consumatori se i pesci, i crostacei o i molluschi sono contaminati poi vengono mangiati.


Der Spiegel: Lei è preoccupata per il fatto che il pericolo per la salute umana viene ignorato, sottostimato o frainteso?


Waring: Se io fossi estremamente preoccupata non mangerei ostriche o cozze, ogni tanto le mangio ancora. Tuttavia è necessario fare di più ricerche. Non sappiamo abbastanza relativamente ai potenziali rischi per la salute dovuti alle microplastiche. Come precauzione dovrà essere drasticamente ridotta la quantità di plastica rilasciata nell'ambiente. Abbiamo bisogno di impianti di trattamento delle acque di fognature che rimuovano le microplastiche per evitare che esse finiscano nei fiumi e nel mare. E dobbiamo togliere la plastica dall'oceano. Ma anche con un impegno globale coordinato la quantità di microplastiche nell'ambiente continuerà a crescere: Che impatto avrà questo sulla salute umana? La risposta preoccupante è che nessuno lo sa veramente.

Nadia Simonini

Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero