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I monopattini elettrici inquinano come auto e moto

 

Secondo uno studio realizzato dall'azienda Arcadis i mezzi della micromobilità, che oggi stanno invadendo sempre di più le nostre città, inquinerebbero come le auto e le moto termiche

Ci è sempre stato detto che l'urban mobility sarebbe stato il futuro della mobilità, che sarebbe stato il presente e il futuro degli spostamenti, che sarebbe stato il modo giusto per lasciare il mezzo inquinante, come il termico, a favore dei mezzi elettrici. Pare che non sia così. Secondo Arcadis un monopattino, in sharing, immette nell'aria 105,5 grammi di CO2 ogni chilometro percorso. E un'auto? Quanto emette? Un'auto, o una moto, emettono circa 5 grammi in più di un'automobile.

LA CLASSIFICA

In questa speciale classifica di quali sono i mezzi che inquinano di più, il monopattino è davanti a mezzi molto più pesanti come i treni, tram e metropolitane che consumano, sempre secondo questa analisi, 6 grammi di CO2 ogni chilometro, i pullman elettrici 21,7 gr/km e ibridi fino a 74,3 gr/km.

Secondo questo studio, i monopattini elettrici inquinano, e anche tanto. A superare il mezzo per eccellenza della urban mobility sono gli autobus Diesel (ben 154 gr/km), moto e scooter con cilindrata al di sotto dei 750cc (fino 204 gr/km), quelli con una cilindrata superiore (231 gr/km) e le automobili endotermiche con un solo passeggero che arrivano a consumare fino a 250 gr/km.

PERCHE'?

Ovviamente, a primo acchito, sembra una classifica realizzate a spanne e invece, giustamente, Arcadis spiega quali sono i motivi di questa situazione. In sostanza, i veri motivi sono due: le aziende produttrici asiatiche non rispettano la sostenibilità, soprattutto nei materiali. Anche dal punto di vista produttivo e distributivo, la urban mobility ha dei costi per prelvare i monopattini, per trovare parcheggio e soprattutto per ricaricarli.

La prima, in fondo, era anche abbastanza comprensibile. La seconda motivazione, invece, è più fattuale, se vogliamo. Il monopattino elettrico, dice Arcadis, non sostituisce quasi mai il tragitto che facciamo con l'auto o con la moto, ma sostituiscono i nostri tragitti a piedi o un bicicletta. E questo comporta un aumento dell'inquinamento da utilizzo dei monopattini elettrici oltre, e non in sostituzione, all'inquinamento già prodotto da auto e moto.

fonte: www.dueruote.it/


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La mobilità urbana in 10 lezioni apprese durante il lockdown

Predisposte per la Settimana Europea della Mobilità


















I promotori della Settimana Europea della Mobilità hanno realizzato una nuova scheda contenente le 10 lezioni apprese dal blocco COVID-19 su una migliore mobilità urbana.

Le lezioni variano dal ricordare che lo spazio pubblico è prezioso e quindi le città dovrebbero essere costruite per le persone, non per le automobili; all'impatto che lavorare da casa e acquistare beni online ha sul nostro ambiente e sui modelli di mobilità.

Il documento fornisce inoltre alle città suggerimenti creativi sulle attività che potrebbero organizzare durante la settimana europea della mobilità 2020. Ad esempio, conducendo sondaggi tra i residenti locali per identificare le sfide e i desideri per l'uso dello spazio pubblico e il modo in cui i residenti si muovono, e organizzare un concorso selfie sui social media per incoraggiare i locali a pubblicare foto di se stessi utilizzando opzioni di trasporto rispettose dell'ambiente.




fonte: http://www.arpat.toscana.it


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La trasformazione della mobilità urbana nell’emergenza. Pensando al dopo

Diverse città in tutto il mondo stanno elaborando piani per evitare che le emissioni climalteranti tornino a salire a causa dell’utilizzo delle auto. Il settore dei trasporti è infatti una fonte importante di inquinamento atmosferico. Dalle reti ciclabili alle combinazioni con treni e altri mezzi di trasporto a lunga percorrenza: è tempo di scelte coraggiose che durino nel tempo, non solo fino a dicembre 2020


















La graduale uscita dal lockdown sta stimolando diverse iniziative di riorganizzazione dello spazio urbano soprattutto per quel che riguarda la mobilità. Per contenere il contagio, nei prossimi mesi sarà necessario continuare ad adottare misure di distanziamento sociale ma, allo stesso tempo, garantire spostamenti in sicurezza a milioni di persone.

Diverse città in tutto il mondo stanno progettando piani di mobilità urbana che aspirano a limitare il traffico e l’inquinamento atmosferico. Il Comune di Milano ha annunciato la realizzazione di 35 chilometri di nuove piste ciclabili entro la fine dell’anno. Bologna -anche grazie all’uso di corsie temporanee- punta a realizzare il 60% del progetto della rete ciclabile metropolitana, la Bicipolitana, entro il 2020. Inoltre il governo sta pensando alla proposta di un buono mobilità alternativa di 200 euro per l’acquisto di biciclette, anche a pedalata assistita, e di veicoli elettrici come monopattini e simili.

Queste strategie sono pensate per evitare che le emissioni di gas inquinanti tornino a salire a causa dell’utilizzo delle auto, applicato come misura di distanziamento più sicura da parte dei cittadini. Molte persone potrebbero preferire l’uso del mezzo privato al trasporto pubblico, per timore che le misure di distanziamento non vengano rispettate o che l’accesso limitato ai mezzi possa allungare troppo i tempi di attesa. Da parte loro i gestori dei trasporti hanno espresso dubbi sulla capacità del sistema di rispettare tutte le misure previste. Per questo, hanno chiesto alla ministra dei Trasporti, Paola De Micheli di mantenere solo l’obbligo delle mascherine sui mezzi e di eliminare quello del distanziamento di un metro tra persone. Dai dati dell’Agenzia ambientale europea (Eea) le emissioni di gas serra dovute ai trasporti (compreso il trasporto aereo, ma escluso quello marittimo) rappresentano circa un quarto delle emissioni totali dell’Ue.

Le misure per fronteggiare l’emergenza Covid-19 -già a partire dalla fine di febbraio- hanno prodotto la riduzione delle concentrazioni degli inquinanti legati direttamente al traffico, soprattutto del biossido di azoto (NO₂). Il servizio europeo di monitoraggio dell’atmosfera Copernicus (Cams) ha osservato che per il NO₂, tra febbraio e marzo, le concentrazioni sono calate di circa il 10% a settimana nel Nord Italia (vedi sotto).



Il biossido di azoto è un inquinante di “breve durata”. Rimane nell’atmosfera generalmente meno di un giorno prima di depositarsi o di reagire con altri gas; rimane quindi vicino a dove è stato emesso. Le sue maggiori fonti di emissione sono attività umane come il traffico, la produzione di energia, il riscaldamento domestico e le industrie.

Il settore dei trasporti è una fonte importante di inquinamento atmosferico perché ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili. Anche in Italia, dove secondo gli ultimi dati Ispra sono cresciute del 2% (rispetto al 1990) le emissioni nazionali di gas climalteranti derivanti dai trasporti e dalla produzione di energia, i due settori che insieme producono circa la metà delle emissioni totali nazionali. In particolare sono aumentate le emissioni da trasporto su strada (più 3%), a causa del crescente spostamento di merci e passeggeri. Questo tipo di trasporto è responsabile del 43% di emissioni di ossidi di azoto (NOₓ) nel Paese. Per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, in Europa le emissioni prodotte dai trasporti dovranno diminuire del 90% entro il 2050. Migliorare la mobilità urbana rappresenta un’importante strategia climatica e sanitaria.

All’interno del settore dei trasporti, quello su strada è responsabile del 71,7% delle emissioni. Di queste, il 60,6% viene dalle automobili, l’11,9% dai furgoni e il 26,3% dai camion e dagli autobus. Il report di quest’anno dell’Eea su trasporti e ambiente, “Il primo e l’ultimo miglio”, conferma che in combinazione con il trasporto pubblico, gli spostamenti a piedi e in bicicletta sono le migliori soluzioni per la salute e per l’ambiente. “Per fare in modo che queste diventino le prime scelte dei cittadini bisogna rendere le auto sempre meno attraenti -spiega ad Altreconomia Valerio Gatta, direttore del Transport Research Lab dell’Università Roma Tre di Roma-. Bisogna fare scelte coraggiose, restringere le corsie per le auto a vantaggio di quelle pedonali e ciclabili, che significa anche ridurre il posto per i parcheggi”.

Non tutte le alternative per sostituire le auto hanno lo stesso livello di sostenibilità ambientale. I primi risultati di studi sui monopattini elettrici (e su altri veicoli elettrici) a noleggio raccolti dall’Eea hanno dimostrato che i benefici ambientali legati al loro uso sono relativamente piccoli. Questa soluzione di trasporto attrae utenti che avrebbero in alternativa camminato o utilizzato i trasporti pubblici. Inoltre gli impatti negativi legati ai materiali con cui sono realizzati e alla loro produzione sono rilevanti, soprattutto se la durata di vita del monopattino è inferiore ai due anni. A questo si aggiungono le emissioni prodotte dalla raccolta dei veicoli per portarli alle stazioni di ricarica, effettuata durante la notte tipicamente da furgoni diesel. Pochi benefici arrivano anche dai servizi di prenotazione con autista professionista come Uber, non riducono le emissioni né il traffico e allontanano le persone dal trasporto pubblico. I sistemi di noleggio auto (car-sharing) con postazioni di parcheggio dedicate dimostrano impatti ambientali maggiori rispetto ai sistemi che prevedono il parcheggio libero. Uno scatto in avanti dal punto di vista ambientale si avrebbe inoltre se le opzioni più sostenibili non fossero adottate solo nei brevi tragitti, ma anche in quelli più lunghi in combinazione per esempio con treni e altri mezzi di trasporto a lunga percorrenza.


Per Edoardo Marcucci, co-direttore del Transport Research Lab, un altro aspetto su cui intervenire che incide altrettanto sull’inquinamento dell’aria è il trasporto delle merci. “Ci sono molte soluzioni possibili, che vanno messe in atto a seconda del tipo di merci e delle caratteristiche delle città -riflette-. Si possono organizzare le consegne in orari di minor traffico. Creare centri di distribuzione merci e aree di deposito periferici, magari recuperando aree dismesse. Così come prevedere punti di consegna di prossimità in città dove l’operatore logistico lascia la merce e il destinatario la ritira; oppure da dove altri operatori in bici la distribuiscono in città. Per stimolare l’uso di mezzi di mobilità sostenibile per le consegne in città si possono prevedere incentivi per l’uso di biciclette o veicoli elettrici”, conclude Marcucci. Per Valerio Gatta l’emergenza Covid-19 può dare un impulso decisivo alla trasformare della mobilità urbana: “Ma la sfida richiede una programmazione che duri nel tempo, capace di riorganizzare i trasporti da oggi ai prossimi anni, non solo fino a dicembre 2020”.

fonte: https://altreconomia.it/


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Se il post-Covid si intreccia con la lotta al cambiamento climatico

Come la tragedia del Covid-19 potrebbe e dovrebbe modificare le strategie di segmenti importanti dell’economia come i trasporti e il petrolio, e renderci più pronti ad affrontare un’altra emergenza, quella climatica.



















Mentre l’inverno appena passato ha fatto registrare in Europa 3,4 °C in più rispetto alla media, secondo un rapporto del National Centers for Environmental Information della NOAA ci sono buone probabilità (75%) che la temperatura del pianeta nel 2020 sarà la più elevata mai rilevata.
Questi dati ricordano a tutti che di fronte all’emergenza climatica dobbiamo attrezzarci anche ora che il virus è ancora in circolazione.
Ma come affrontarla in questa fase delicata? Da una molteplicità di segnali si capisce che si stanno confrontando le posizioni di coloro che tendono a rallentare le trasformazioni con quelle che spingono per un’accelerazione del contrasto.
Molte prese di posizione istituzionali chiariscono l’importanza della conversione ecologica dell’economia nella fase che si apre.
Così, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres raccomanda di utilizzare i soldi dei contribuenti per creare posti di lavoro “verdi” e non per salvare industrie obsolete e inquinanti.
Anche i ministri dell’ambiente di 17 paesi europei, che prendono posizione per sollecitare una connotazione “green” dei piani di ripresa economica, sono sulle stesse posizioni di Kristalina Georgieva, direttore del Fondo Monetario Internazionale.
E la IEA, che in passato non è stata tenera con le rinnovabili, afferma senza mezzi termini che l’energia pulita dovrebbe far parte integrante dei piani dei governi, potendo offrire posti di lavoro e garantire sistemi energetici moderni e meno inquinanti.
Ma ci sono anche forti resistenze rispetto a questi scenari.
L’uscita dalla fase più acuta dell’emergenza vedrà dunque tensioni e accelerazioni in quasi tutti i settori. Analizziamo quindi i possibili impatti in alcuni comparti.
L’ambito dove sarà più evidente lo strappo con il passato è quello dei trasporti, visto che la domanda di mobilità è destinata a mutare in quantità e qualità. Questa emergenza ci costringe infatti ad accelerare alcune soluzioni e rallenta decisamente le dinamiche di molti altri comparti.
Rilancio della bici e dello smart working
“Ovunque sia possibile, considerate l’uso della bicicletta”, raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ed è una soluzione che molte città stanno considerando seriamente, viste le limitazioni dei posti nei trasporti pubblici per ridurre i rischi di contagio. Per evitare che le strade vengano congestionate dalle auto si pensa, dunque, di differenziare gli orari, di mantenere ove possibile lo smart working e di incrementare l’uso delle due ruote.
Uno studio appena pubblicato dall’Enea ha analizzato l’impatto del telelavoro in 29 amministrazioni pubbliche, evidenziando come la mobilità quotidiana del campione esaminato si sia ridotta di un’ora e mezza in media a persona. Durante l’emergenza Covid, il numero dei lavoratori agili in Italia è raddoppiato superando il milione, ed è probabile che lo smart working darà il suo contributo anche in futuro.
Passando alle biciclette, molte città si stanno inoltre attrezzando con piste provvisorie, sottraendo lo spazio alle corsie delle auto e ai parcheggi ai bordi delle strade.
L’alfiere del rilancio della bici è senz’altro Anna Hidalgo, sindaca di Parigi, che negli ultimi anni aveva puntato con forza sulle due ruote. Per l’11 maggio, data in cui si ridurrà il lockdown in Francia, saranno complessivamente a disposizione dei parigini ben 650 chilometri di piste, inclusi alcuni “percorsi coronavirus” e sono previsti 300 milioni € di investimenti.
Londra vuole decuplicare gli spostamenti in bici, visto che le metropolitane trasporteranno l’80% dei passeggeri in meno rispetto al passato. E New York vuole arrivare a 160 km di nuove piste ciclabili…
In Italia, la città più impegnata sembra Milano che punta a realizzare rapidamente 23 km di nuove piste ciclabili “leggere” per arrivare a 35 km entro la fine dell’anno.
Insomma, è la necessità di trovare rapidamente soluzioni alternative all’auto a spingere i Comuni, ma l’aria pulita delle città e il piacere di muoversi dopo la clausura contribuiranno a dare un forte impulso all’uso delle due ruote. Affinché si inneschino cambiamenti di lunga durata occorreranno però decisi investimenti, possibili solo con un cambio di mentalità a tutti i livelli.
Si tratta di risorse coerenti con le indicazioni del Green Deal, ma il loro impiego necessita di una cultura della mobilità sostenibile che in Italia dobbiamo ancora conquistare.
D’altra parte, è vero che interventi “temporanei” apprezzati dalla gente rappresentano una sperimentazione del futuro che potrebbe lasciare traccia. Dobbiamo ricordarci che “c’è del possibile ancora invisibile”, come ci ricorda il vecchio saggio Edgar Morin.
Mondo auto: spingere o frenare sull’elettrico?
Le case automobilistiche si trovano in difficoltà per la grande quantità di invenduto, mentre ci sono forti incognite sull’evoluzione della domanda, che potrebbe ridursi per le modifiche in atto della mobilità, tra soluzioni in sharing, smart working, micromobilità.
Per sostenere il settore sono state proposte varie forme di rottamazione, ma l’aiuto dei governi dovrebbe andare solo alla diffusione di veicoli green. Questo per aiutare a rispettare gli obbiettivi stabiliti dalla UE sulle emissioni di CO2, ma soprattutto per evitare di essere surclassati dalla concorrenza estera.
Ci sono però coloro che cercano di frenare la transizione verso l’elettrico. L’Anfia in Italia e l’Acea in Europa vorrebbero un allentamento degli obbiettivi sulle emissioni. Ma si moltiplicano gli appelli per indirizzare le risorse sulla produzione e la diffusione di veicoli elettrici. Questa impostazione, del resto, è già stata adottata dalla Cina che ha prolungato per due anni gli incentivi e anche dal governo tedesco che intende accelerare sulla mobilità elettrica.
In questo scenario in movimento, è interessante capire l’impatto della crisi Covid sulle aspettative dei cittadini. Un sondaggio effettuato nel Regno Unito ha evidenziato come il 45% dei cittadini, colpiti dalla qualità dell’aria durante il blocco, si sia dichiarato interessato a comprare un’auto elettrica, una percentuale aggiuntiva al 17% di coloro che avevano già deciso di acquistarne una.
Parlando di incentivazioni, va segnalata una soluzione interessante, che andrebbe decisamente potenziata nel nuovo contesto post Covid. Si tratta del Decreto Clima del Ministero dell’Ambiente, che prevede di destinare 70 milioni l’anno ad abbonamenti per il trasporto pubblico, sharing mobility e biciclette elettriche, in cambio della rottamazione di auto inquinanti.
E nel “decreto maggio” (ex decreto aprile) ci sarà una card da 200 euro per acquistare bici, monopattini, o da spendere per i servizi di car sharing.
Flotte aeree in crisi strutturale
Passiamo infine al trasporto aereo, un settore potentemente colpito dalla crisi mondiale, con più di 8.000 aerei a terra. Il suo futuro è molto incerto. È prevedibile, infatti, un calo strutturale della domanda turistica, ma anche dei viaggi di lavoro, visto il successo delle teleconferenze e dello smart working.
Molte tratte interne spariranno, sostituite dagli spostamenti in ferrovia, seguendo un trend già visibile in alcuni paesi, grazie alla maggiore competitività e alla presa di coscienza degli impatti ambientali (flight shame). È prevedibile inoltre che venga ridiscussa l’esenzione fiscale per i carburanti degli aerei, e c’è chi propone delle “frequent flyers penalties” per scoraggiare l’eccessivo uso degli aerei.
Ci vorranno dunque diversi anni perché il settore aereo si riprenda, e comunque con scenari molto diversi rispetto a quelli delineati in passato. La ripartenza sarà lenta e con un minor numero di passeggeri anche a causa del costo dei biglietti che potrebbe aumentare fino al 50%.
Molte linee aeree rischiano di fallire o di venire inglobate, altre si salveranno grazie agli aiuti degli Stati, come i 58 miliardi destinati da Trump al salvataggio delle compagnie Usa.
La crisi spinge i produttori di petrolio verso la decarbonizzazione
“Il comparto petrolifero non sarai mai più lo stesso. Penso che questa crisi cambierà le strategie della società, come è successo dopo l’Accordo di Parigi”, ha dichiarato Ben van Beurden, amministratore delegato della Shell. E con ogni probabilità l’impatto sarà decisamente più incisivo rispetto a quello determinato dall’Accordo sul Clima.
Il consumo mondiale di petrolio è calato del 30%, cioè 70 milioni di barili al giorno invece che 100 e il suo prezzo è crollato.
Si rafforza la consapevolezza che il picco della domanda di petrolio sia prossimo – secondo alcuni è già stato raggiunto nel 2019 – e che si vada verso una strutturale riduzione dei consumi.
Gli avvertimenti degli scienziati del clima e di parte del mondo della finanza sul rischio che la continua ricerca di nuovi giacimenti avrebbe potuto portare ad una “carbon bubble” con investimenti persi, stranded, rischia di trasformarsi in una drammatica realtà in tempi molto più rapidi del previsto.
Questo scossone potrà avere anche un effetto positivo sulle multinazionali petrolifere, obbligandole ad accelerare i timidi tentativi in corso di diversificazione verso le rinnovabili.
In sostanza, potrebbe ripetersi la dinamica innescata dagli shock petroliferi degli anni ‘70 del secolo scorso, che ha portato al decollo delle politiche di efficienza energetica.
Allora, a causa dei prezzi petroliferi schizzati alle stelle. Questa volta, al contrario, lo shock viene dal crollo delle quotazioni accompagnato da forti modifiche della domanda.
La combinazione della caduta dei consumi petroliferi, per la crisi Covid, e dell’intempestiva corsa al rialzo della produzione saudita, ha portato ad un’inondazione dei mercati, degli stoccaggi, delle petroliere, portando i valori del Brent a 25 $ al barile e quelli del WTI statunitense a 20 $.
Una situazione che lascerà morti e feriti sul campo con parecchie società in difficoltà e alcune in bancarotta. La Shell, la più grande multinazionale fossile europea, per la prima volta dal 1945, ha dovuto tagliare i dividendi del primo trimestre 2020, mentre alcune compagnie dello shale Usa potrebbero fallire.
Ma l’aspetto più rilevante di questa crisi verrà dalla riduzione dei consumi petroliferi, per gli impatti sul trasporto legati ad un mutamento degli stili di vita e di lavoro.
“Ci rendiamo conto di come il mondo sia fragile e la consapevolezza di questa fragilità modifica i comportamenti. I cittadini che per mesi hanno temuto per i propri polmoni, vogliono più che mai aria pulita”, afferma Lord Browne, già Amministratore della BP.
All’impatto sui consumi di queste modifiche comportamentali si deve aggiungere l’effetto della progressiva diffusione dei veicoli elettrici.
Così, dopo le società del carbone, in crisi profonda nel mondo occidentale, anche quelle petrolifere iniziano a soffrire e devono rapidamente operare un cambio di strategia.
Il decennio scorso ha visto le utility elettriche, prima spiazzate dalle rinnovabili e poi in alcuni casi in grado di cavalcarle abilmente. Questo decennio vedrà un’analoga trasformazione nel mondo dell’auto con l’irruzione dell’elettrico.
La trasformazione profonda delle compagnie petrolifere era prevista a partire dal prossimo decennio, e la IEA immaginava il picco della produzione nel 2030. Ma il picco potrebbe arrivare anche prima: il taglio degli investimenti in nuovi giacimenti (-23% nelle cinque più grandi multinazionali) comporterà una riduzione della produzione. Inoltre, secondo alcuni analisti come Rystad, nel 2030 la domanda di greggio potrebbe risultare dell’8% inferiore rispetto alle previsioni che si facevano lo scorso anno.

Insomma, la tragedia del Covid non ha inciso solo sulla vita e le sensibilità dei cittadini, ma modificherà le strategie di segmenti importanti dell’economia, rendendoci più pronti ad affrontare un’altra emergenza, quella climatica.
fonte: www.qualenergia.it


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Per la mobilità del futuro non basta cambiare i motori. Serve un nuovo modello urbano

Per far rivivere le nostre città e ridurre inquinamento ed emissioni è essenziale tagliare il numero di veicoli motorizzati privati. L'esperienza della rete ciclabile di Parigi, in poco tempo e bassi investimenti, ha già dato risultati importanti.















Nel parlare di un tema, la mobilità attiva che in Italia è trattata nei fatti – e generalmente anche nell’elaborazione culturale e nella comunicazione – come “minore”, di “nicchia” o appannaggio di pochi “ambientalisti visionari”, è utile inquadrarlo nel contesto:
  • l’unico scenario che consente di mantenere il deregolamento climatico entro 1,5 °C, senza l’azzardo e l’ingiustizia di assegnare alle generazioni future l’onere (fin ben oltre il 2100) di rimuovere CO2 dall’atmosfera con tecnologie di cui non è provata la fattibilità tecnico-economica – lo European Academies Science Advisory Council ammonisce la Ue che fare affidamento sulle “tecnologie ad emissioni negative” invece di ridurre le emissioni stesse alla fonte potrebbe risultare in un fallimento e avere come conseguenza un severo riscaldamento globale e serie implicazioni per le generazioni future – è uno scenario di riduzione della domanda di energia finale mondiale del 40% al 2050 rispetto all’uso attuale, in modo da permettere una rapida de-carbonizzazione della domanda restante.
Poiché l’Europa e l’Italia utilizzano pro capite tre volte più energia della media mondiale, questo significa per queste due entità ridurre l’uso finale di energia da qualunque fonte, fossile o rinnovabile, rispetto a oggi e non a ipotetici trend futuri, di una quantità ben maggiore del 40%;
  • il rapporto Iea (Agenzia Internazionale dell’Energia) Energy Outlook 2019 nel capitolo sulla mobilità, mostra come la crescita delle dimensioni e peso delle auto (in particolare col raddoppio in 10 anni del numero di Suv) abbia azzerato tutti gli altri progressi in termini di efficienza energetica dei motori. La crescita del numero di Suv è il secondo fattore di crescita delle emissioni di CO2 negli anni 2010-2018 dopo gli impianti di generazione elettrica.
“Il tasso d’incremento delle emissioni da Suv li pone davanti all’industria pesante (incluso ferro, acciaio, cemento e alluminio) l’aviazione e il trasporto merci marino, con nostra stessa sorpresa”;
  • una larga parte (fino al 90%) delle particelle sottili (PM10 e PM2,5) dovuta al traffico non è causata dalle emissioni allo scappamento del motore, ma dalla abrasione di freni, pneumatici, asfalto e alla ri-sospensione delle polveri depositate al suolo (vedi tabella).
E le emissioni da abrasione risultano tutte proporzionali al peso del veicolo. Risulta quindi chiaro che l’unico modo di ridurre le concentrazioni di PM sono politiche che riescano a ridurre numero e peso dei veicoli, ottenendo al tempo stesso una miriade di co-benefici (spazi liberi per attività sociali, verde, riconquista di autonomia di spostamento per bambini e anziani, ecc.).
Meno auto in città
Assunta, dunque, come razionale e necessaria la riduzione del numero di veicoli motorizzati privati, sorgono le domande: è possibile per i cittadini modificare le loro abitudini, utilizzando la bicicletta, o andando a piedi, i percorsi brevi e medi che oggi svolgono in auto? È possibile per le amministrazioni favorire questa trasformazione? È possibile completare una fitta rete ciclabile in tre anni e con fondi limitati, attenendosi a princìpi chiari che diano massima efficacia ai nuovi tratti e a quelli esistenti?
Parigi l’ha fatto (2016-2019), e abbiamo invitato la responsabile dell’applicazione del Plan Velo di Parigi Charlotte Guth a raccontarlo in una delle conferenze organizzate dal Master Ridef.
princìpi che hanno guidato le scelte dell’amministrazione sono semplici e chiaramente esplicitati:
  • la rete ciclabile deve rivolgersi alla stragrande maggioranza dei cittadini che sarebbero interessati a utilizzare la bicicletta ma temono per la propria incolumità e deve permettergli di essere e sentirsi in sicurezza;
  • lo spazio per le nuove infrastrutture ciclabili non deve essere tolto a aree verdi e pedoni; corollario è che le piste ciclabili sono parte di un processo di riequilibrio che riduce lo spazio dedicato al mezzo meno efficiente, il veicolo motorizzato individuale;
  • la rete deve essere realizzata in modo da consentire alla bicicletta di esplicitare la sua efficacia, creando percorsi diretti/rettilinei da punto A al punto B; corollario: le vie a senso unico devono essere percorribili in ambo i sensi dalle biciclette, con apposita segnaletica e con riduzione della velocità delle auto a 20 o 30 km/h nella maggior parte della rete viaria; solo gli assi di grande scorrimento rimangono a 50 km/h;
  • la rete è pensata per ospitare agevolmente il flusso di ciclisti previsto nei prossimi decenni (il piano ha appunto l’obiettivo di renderli molto più numerosi degli attuali); corollario: le piste devono essere ampie, per permettere a due biciclette di viaggiare affiancate per ogni senso di marcia, permettendo così agevolmente i sorpassi tra gli utenti che viaggiano a diverse velocità, anche quando uno dei veicoli è una cargo-bike;
  • la rete deve essere realizzata rapidamente, in modo che, dopo qualche disagio di circolazione durante la realizzazione, i cittadini possano rapidamente prenderne possesso e apprezzarne i vantaggi.
Piazze e bici
Investimenti: circa 70 milioni per le piste ciclabili vere e proprie e 40 milioni per il rifacimento di 7 tra le maggiori piazze dalla città, nelle quali trasferire a pedoni, ciclisti e verde oltre il 50% della superficie prima occupata dalle auto.
Un investimento significativo, anche se di piccola entità, rispetto al budget complessivo per la manutenzione delle strade e dell’intera amministrazione.
E una serie di altre misure meno appariscenti ma importanti: co-finanziamento di una delle migliori applicazioni di navigazione gps assistita in bici (www.geovelo.fr) che è in fruizione libera e gratuita e le cui mappe coprono tutto il pianeta, obbligo di destinare un locale al parcheggio bici in tutti gli edifici nuovi, 50% di cofinanziamento per la sua realizzazione in edifici esistenti, parcheggi sicuri (box chiusi) per bici sono in via di installazione nelle strade e sono disponibili in affitto a prezzi modici, chiusura di molte strade in vicinanza delle scuole durante gli orari di ingresso e uscita, posizione privilegiata delle bici – davanti a tutti gli altri mezzi – ai semafori.
Risultati? In un solo anno, da settembre 2018 a settembre 2019, il numero di ciclisti, misurato da 56 sensori digitali distribuiti nella capitale, è cresciuto del 54%. Con punte altissime su alcuni dei tratti: +200% in quai d’Orsay, quai de Grenelle, voie G. Pompidou.
Ma anche la pista ciclabile di rue Lafayette ha visto un incremento del 200%, ed esiste da oltre dieci anni: il traffico ciclistico è triplicato quando da troncone isolato è diventata parte di una rete completa, quella creata dal Plan Velo.
Gradimento dei cittadini? L’incremento del numero dei ciclisti, varie analisi giornalistiche, il fatto che tutti i candidati alle amministrazioni amministrative di marzo 2020 stiano facendo a gara sul tema della promozione della bicicletta e che la Regione Ile de France competa con il Comune di Parigi negli incentivi all’acquisto di bici elettriche, testimoniano di un cambio di paradigma.
E i vantaggi della rete saranno ancora più evidenti quando tratti ancora in preparazione, come la corsia veloce dalla Senna alla periferia Sud, saranno completati quest’anno. I vantaggi sono diventati estremamente tangibili anche grazie allo sciopero dei mezzi pubblici durato oltre un mese a dicembre-gennaio: i cittadini si sono ritrovati a disposizione una efficacissima nuova infrastruttura di trasporto.
La trasformazione urbanistica potrebbe procedere ben oltre.
La Sindaca Hidalgo si ricandida con un progetto di “Città 15 minuti”, che intende promuovere una situazione di “iper-prossimità” dove tutti i servizi essenziali siano disponibili a distanze percorribili a piedi o in bicicletta, secondo un concetto promosso da vari urbanisti, tra cui Carlos Moreno, docente all’università Paris-1 Pantheon-Sorbonne.
E propone “Parigi 100% ciclabile”, che intende infittire la rete fino ad avere una corsia ciclabile in ogni strada e ponte, e rimuovere 60.000 degli 83.500 parcheggi in strada per trasformarli in piste ciclabili, aree verdi, spazi gioco, rendendo la città amica dei bambini, dunque di tutti i cittadini.
Nei piani futuri c’è anche un grandissimo nuovo spazio verde tra Tour Eiffel e Trocadero, trasformando in un giardino anche il ponte che li collega. Le associazioni di ciclisti hanno predisposto un piano di rete ciclabile veloce che si estende a collegare tutti i comuni circostanti.
La previsione del Financial Times, “Parigi sarà la prima città post-automobile”, è probabilmente in corso di realizzazione. Ma anche solo quanto fatto finora – in soli tre anni e con soli 110 milioni di spesa – potrebbe aprire la strada a trasformazioni analoghe in molte altre città.
È probabilmente una delle misure più efficaci, veloci da realizzare, economiche, per rispondere alla necessità di agire con drastici tagli all’uso di energia sin dai primi dei dieci anni in cui il mondo deve invertire rotta. Se non bastasse, Parigi è oggi ancora più bella di prima.
fonte: www.qualenergia.it

Mobilità sostenibile: il progetto ORA - Open Road Alliance

Con ORA i giovani del terzo anno di tutte le scuole superiori delle 14 Città Metropolitane italiane, tra cui Firenze, immaginano e progettano città e strade migliori e un nuovo modello di mobilità urbana più sicuro, rispettoso dell'ambiente e adeguato alle esigenze di tutti




















Il progetto sulla mobilità sostenibile O.R.A. - Open Road Alliance, dedicato alle scuole superiori italiane, intende promuovere una diversa cultura della mobilità attraverso nuovi modelli di sostenibilità ed incrementare il coinvolgimento e la partecipazione attiva dei cittadini, in particolare dei giovani.
Secondo infatti i risultati della ricerca “Lo stato dell’educazione alla mobilità e alla sicurezza stradale in Europa. Modelli, obiettivi, casi di studio e dati”, condotta dall’ETSC (European Transport Safety Council), in Italia i ragazzi tra i 14 e i 17 rappresentano il 62,4% delle morti su strada tra gli under 18 (la media europea è del 51%). L’Italia, inoltre, registra 11,4 decessi in strada per milione di abitanti nella fascia di età 0-17, cifra inferiore alla media europea di 16, ma comunque sempre alta.
Questi dati sono sicuramente in linea con quanto registrato da ACI – ISTAT e Isfort secondo cui, nel 2018, sono aumentati i tassi di mortalità stradale per i più giovani (addirittura per la fascia 15 – 19 anni si registra un aumento del 25,4%), a fronte di una diminuzione generale dell’1,6%. Nonostante che in Italia il tasso di mobilità sostenibile sia cresciuto del 10% tra il 2015 e il 2017, più del 70% di incidenti si verifica sulle strade urbane, il luogo maggiormente critico.
Queste cifre suggeriscono l’opportunità di intervenire nell’educazione dei giovani ai temi della sicurezza stradale, ma più in generale della mobilità sostenibile.
ORA intende dunque sensibilizzare i giovani sui temi ambientali, sulla sicurezza, la condivisione dei mezzi, la multimodalità e l’interoperabilità e un approccio più sostenibile al mondo dei servizi pubblici locali.
Il progetto consiste in un percorso formativo ed in un contest di idee finalizzati all’elaborazione del nuovo “Manifesto della Mobilità Sostenibile” ed è riservato ai giovani del terzo anno di tutte le Scuole Secondarie di 2° grado delle 14 Città Metropolitane italiane: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia.
Le classi possono candidarsi a partecipare fino al 20 dicembre 2019, compilando il form sul sito Web del progetto.
ORA è promosso da Fondazione Unipolis e Cittadinanzattiva, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e di ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani, con il coinvolgimento anche del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca.
fonte: http://www.arpat.toscana.it

La micromobilità condivisa potrebbe sostituire il 50% degli spostamenti in auto

Una ricerca ha valutato il potenziale di bici (elettriche e tradizionali) e monopattini condivisi su percorsi brevi in alcune delle maggiori città degli Stati Uniti, della Germania e del Regno Unito.




















I principali servizi di micromobilità condivisa, come biciclette tradizionali, e-bike e monopattini elettrici in sharing, hanno il potenziale di sostituire una percentuale tra il 48% e il 67% dei viaggi in auto in alcune delle più grandi città degli Stati Uniti, della Germania a del Regno Unito: sono i risultati di una ricerca condotta da INRIX, agenzia statunitense specializzata nell’analisi dei flussi di dati nel settore dei trasporti.

Il settore della mobilità condivisa è in fermento un po’ ovunque: secondo il Mckinsey Institute, entro il 2030, il valore di mercato globale della sharing mobility dovrebbe aggirarsi tra i 200 e i 300 miliardi di dollari. Un’espansione che, se ben regolamentata, potrebbe tradursi in enormi benefici per le comunità sia in termini di gestione degli spazi (bici e monopattini richiedono superfici molto più ridotte rispetto ai tradizionali parcheggi per auto), che in termini energetici: basti pensare che un monopattino elettrico può percorrere fino a 83 miglia con l’energia equivalente a far viaggiare un auto per solo 1 miglio.

In quest’ottica, INRIX ha analizzato miliardi di dati collezionati tramite servizi di mobilità condivisa e automobili circolanti in alcune delle più trafficate città degli Stati Uniti, della Germania e del Regno Unito per valutare quale impatto potrebbe avere la sharing mobility nel ridurre i viaggi in auto sulle brevi distanze (tra 1 e 3 miglia).

Nei soli USA, il 48% di tutti gli spostamenti in auto nelle più congestionate aree sono lunghi meno di tre miglia (il 20% meno di 1 miglio, il 16% tra 1 e 2 miglia,  il 12% tra 2 e 3 miglia): nel complesso, quindi, le tratte al di sotto delle 3 miglia in megalopoli come New York o Chicago potrebbero ridursi del 51% semplicemente ricorrendo a monopattini e biciclette condivise, con picchi del 55% nella capitale delle Hawaii, Honolulu, o del 52% a New Orleans.

micromobilità condivisa


Discorso ancora più valido nel Regno Unito, dove la maggiore densità dei centri urbani rende la micromobilità condivisa ancora più utile: secondo lo studio INRIX, il 69% degli spostamenti in auto entro 3 miglia a Manchester potrebbe essere rimpiazzato dai servizi in sharing, il 68& a Birmingham, il 66% a Londra e Glasgow e il 64% a Sheffield, per una media del 67% su 5 dei principali centri urbani britannici.

micromobilità condivisa

Anche in Germania, il potenziale delle micromobilità nel ridurre le auto circolanti sulle brevi distanze resta alto: a Monaco di Baviera il 60% degli spostamenti entro le 3 miglia si potrebbero sostituire con piccoli viaggi in monopattino o bici (elettrica o tradizionale), ad Amburgo la percentuale scende al 59%, mentre a Berlino, Francoforte e Colonia si attesta rispettivamente al 56%, 55% e 51%.

micromobilità condivisa

fonte: www.rinnovabili.it

Emissioni, ecco perché l’auto elettrica non sarà la panacea di tutti i mali

Ridurre le emissioni del trasporto deve essere una priorità del sistema di pianificazione locale. Per questo le politiche di decarbonizzazione dei trasporti non possono essere delegate solo alla mobilità elettrica privata.
















In diversi paesi europei il sistema dei trasporti è responsabile di un’ampia percentuale delle emissioni climalteranti. Se in Gran Bretagna siamo al 27%, in Italia nel 2015 questo settore ha rappresentato quasi il 25% di tutte le emissioni, in aumento rispetto al 1990 quando non raggiungeva ancora il 20%.
Nello stesso periodo, con eccezione del settore Commercio/Servizi e Pubblico, in Italia sono diminuite le emissioni di gas serra di tutti gli altri settori e quelle complessive (13% circa).
Sebbene il pacchetto “Unione dell’Energia” preveda una riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030, sarà necessario selezionare, implementare e monitorare le politiche di decarbonizzazione con un occhio di riguardo al settore dei trasporti (sul tema vedi anche Scenari per un sistema dei trasporti 100% a fonti rinnovabili: per le città e le brevi distanze).
Nella tabella le emissioni dal report Ispra (vedi sotto link).
Conversione del trasporto privato in EV: effetti collaterali inattesi e indesiderati
Diversi studi hanno richiamato l’attenzione sulla opportunità di guardare al problema del trasporto con una visione sistemica, che vada oltre la semplice, se pur opportuna, trasformazione dei motori termici in elettrici.
More than electric cars” (pdf) e Planning for less car use (pdf) sono i primi di una serie di studi in fase di pubblicazione a cura dell’associazione ambientalista Friends of the Earth con i consulenti di Transport for Quality of Life.
A sostegno della inadeguatezza delle politiche governative britanniche (e non solo), focalizzate solo sull’elettrificazione dei veicoli, lo studio cita l’esperienza norvegese.
Nel 2018 in Norvegia i veicoli elettrici hanno rappresentato oltre il 45% dei nuovi veicoli venduti. È emerso tuttavia che questi incentivi hanno incoraggiato il maggior uso dell’automobile a svantaggio del servizio pubblico: tra gli acquirenti di auto elettriche, la quota di utilizzo del trasporto pubblico per il pendolarismo è diminuita da circa il 23% a meno del 6%, mentre l’uso dell’auto è aumentato dal 65 all’83%.
L’esperienza norvegese ci dice che gli incentivi possono essere armi a doppio taglio, meglio quindi se sono ben disegnati: erogati a fronte della rottamazione di un veicolo esistente e mantenuti solo fino al raggiungimento della parità di costo rispetto ai veicoli tradizionali.
In parallelo bisognerebbe destinare analoghi incentivi a sostegno degli abbonamenti al trasporto pubblico e all’uso di e-car e e-bike sharing, vincolandoli alla rottamazione di un mezzo obsoleto. È stato calcolato che in Gran Bretagna, anche se tutte le nuove automobili vendute entro il 2030 saranno elettriche, sopravvivrà circa il 40% dell’intera flotta alimentato con combustibili fossili.
Contenere le emissioni del settore dei trasporti richiede di:
  1. intervenire per ridurre il numero complessivo di chilometri percorsi dagli autoveicoli;
  2. adottare tecniche di guida finalizzate a ridurre il fabbisogno di energia, sia fossile che rinnovabile;
  3. ridurre il consumo energetico dei veicoli durante l’intero ciclo di vita attraverso l’innovazione tecnologica.
Ma non basta.
Pianificare l’utilizzo del suolo per concentrare gli insediamenti nelle aree urbane
Traguardare l’obiettivo di 1.5 °C attraverso politiche che vadano oltre lo switch elettrico delle auto significa anche ottenere una migliore qualità dell’aria, strade più sicure, maggiore sicurezza per la popolazione, quartieri più silenziosi, più spazio di convivialità, un sistema di trasporto pubblico più accessibile.
Affinché tutto questo possa realizzarsi occorre rendere superfluo l’utilizzo delle auto e toglierle letteralmente dalle strade. Come? Attraverso una pianificazione dell’uso del suolo che riduca le distanze e la necessità di spostarsi con l’auto (nella foto in alto il progetto “Boschetti” per una visione futura del tratto corso Buonos Aires-P.le Loreto).
Numerosi studi dimostrano che concentrare gli sviluppi nelle aree urbane e pianificare insediamenti compatti, densi e diversificati, con un buon accesso a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici sono fattori chiave, tra loro correlati, per ridurre la distanza percorsa in auto.
Il più importante di questi è l’ubicazione degli insediamenti, da realizzare in posizioni centrali per generare meno viaggi in auto rispetto a insediamenti progettati in posizione remota. Si stima che le emissioni di CO2 dalle periferie, nel percorso casa-lavoro, siano 2-3 volte superiori a quelle delle famiglie che risiedono nei quartieri centrali.
Le emissioni di CO2 dei trasporti tendono a diminuire anche con l’aumento della densità residenziale, il che consente un migliore trasporto pubblico e rende più accessibili le destinazioni a piedi o in bicicletta.
Si è riscontrato che aumentare la densità abitativa da meno di 10 abitazioni per ettaro (aph) a più di 40 aph riduce la probabilità di guidare di un fattore tre.
Per supportare un servizio di trasporto di massa di alta qualità come un tram le densità abitative minime dovrebbero essere intorno a 100 aph. Tali densità non richiedono grattacieli ma possono essere raggiunti con edifici di bassa o media altezza (3-6 piani), in sviluppi dal design accattivante, con un mix di case e grandi quantità di spazio verde.
Soluzioni che prevedono un mix di usi in una stessa area (residenza, opportunità di lavoro, scuole, negozi, servizi, ecc.) e la progettazione della rete stradale con blocchi brevi e molte interconnessioni stradali riducono le distanze che le persone hanno bisogno di percorrere e incoraggiano di più a camminare. Vivere a breve distanza dal trasporto pubblico aumenta anche la probabilità di usarlo.
Per integrare questi approcci occorre introdurre misure di gestione della domanda riducendo il numero dei posti auto nelle nuove costruzioni e eliminando i parcheggi dai centri urbani. Queste e altre restrizioni del traffico nelle aree urbane possono aiutare a scoraggiare i viaggi in auto e prevenire la congestione associata alla densificazione del costruito.
La continua espansione della viabilità extraurbana e interurbana determina un circolo vizioso che porta più abitazioni nelle periferie, più strade e ulteriore diffusione a macchia di leopardo del costruito.
Piuttosto che espanderci nelle periferie e nelle aree rurali dovremmo costruire di più nelle aree già urbanizzate. Riducendo lo spazio per le auto possono essere costruite più case e realizzati più spazi aperti in una determinata area rispetto a uno sviluppo a bassa densità. Migliorare il trasporto pubblico e facilitare gli spostamenti a piedi e in bicicletta, contribuirà ulteriormente a ridurre i viaggi in auto dei residenti.
ISPRA e il caso di Friburgo
“Immaginiamoci che tutto il parco auto circolante sia sostituito da auto elettriche. Non avremmo risolto i molti mali procurati dalle auto in circolazione attualmente. Innanzitutto lo spazio rubato alle città, non sarà liberato. Le congestioni e il traffico rimarrebbero gli stessi.”
Lo scrive Ispra nella pubblicazione “Ridurre le emissioni climalteranti – Indicazioni operative e buone pratiche per gli Enti Locali” (pdf), in cui dedica una sezione specifica alla mobilità sostenibile dove scrive, “l’auto elettrica non sarà la panacea di tutti i mali”.
Il progetto “Learning while planning” della città di Friburgo, una delle best practices citate nella pubblicazione, ha come obiettivo quello di imparare a pianificare quartieri che non necessitano dell’auto. È un progetto pilota di quartiere in cui sono stati adottati molti dei criteri della sostenibilità anche per la mobilità e i trasporti.
Si tratta del quartiere ecologico di Friburgo Vauban che, iniziato nel 1993, ha recuperato un’area preesistente, ha attivato la partecipazione dei cittadini al processo di pianificazione, ha scelto di utilizzate risorse rinnovabili, disincentivando l’uso dell’auto (meno del 50% dei cittadini possiede un’auto), sostenendo il trasporto pubblico e disponendo asili, scuole, centri commerciali, supermercati a uffici, entro una distanza percorribile a piedi o in bicicletta.
fonte: www.qualenergia.it