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Le tue foto per salvare il mare dalla plastica

Campagna social lanciata dal progetto Indicit II per raccogliere informazioni sull'impatto della plastica nell'ambiente marino

























Non è bello vedere le immagini di tartarughe marine impigliate nelle reti o i delfini soffocati dalle buste di plastica. E’ utile e importante, invece, per i ricercatori, perchè aiuta a capire quale impatto hanno sugli animali le tonnellate di rifiuti presenti nei nostri mari. Fondamentale anche osservare quali sono gli oggetti di plastica che provocano più danni alle specie.
Visto che il lockdown ha portato le persone a passare molto tempo sul web, il progetto Indicit II lancia una “challenge”. Chiede a tutte le persone che hanno visto nei sociali o nei siti web immagini di animali impigliati nella plastica, di inviarle ai ricercatori attraverso una piattaforma. Il progetto invita anche a divulgare le immagini sui social con l’hastag #dangerlitter.
Per la loro caratteristica di ingerire i rifiuti marini, le tartarughe Caretta Caretta sono considerate dai ricercatori degli indicatori ambientali importanti. Il progetto INDICIT II ha dimostrato che oltre il 60% delle tartarughe marine ingeriscono frammenti di buste di plastica, imballaggi, oggetti duri, tessuti o articoli da pesca. 



fonte: https://www.snpambiente.it/


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Perché le tartarughe mangiano la plastica?


















Nei mari del Pianeta sono circa settecento le specie che soffrono l’inquinamento da plastica direttamente, sia perché la ingeriscono sia perché restano intrappolate in cumuli di rifiuti. Tra queste ci sono alcune specie di invertebrati e uccelli marini, ma anche gli animali più iconici che popolano i nostri mari come i delfini, le balene, i capodogli e le tartarughe.

Sempre più spesso ci imbattiamo nelle immagini di quest’ultime intrappolate in reti da pesca o negli anelli di plastica delle lattine di birra. Oppure con lo stomaco pieno di sacchetti e teli di plastica. Proprio questo è successo alla tartaruga Hermaea della specie Caretta caretta, la più comune nel Mediterraneo, che abbiamo liberato lo scorso giugno in Sardegna insieme al personale dell’Area Marina Protetta di Tavolara e del Centro di Recupero del Sinis (CReS)


A baby green sea turtle in a plastic cup on the beach on Bangkaru Island, Sumatra.

Fino ad oggi si pensava che l’attrazione delle tartarughe per la plastica, in particolare per i sacchetti, fosse dovuta alla loro somiglianza al cibo e in particolare alle meduse, preda preferita di molte specie. Infatti, un sacchetto di plastica capovolto può ricordare nella forma una medusa con i manici a formare i tentacoli. Tuttavia, sono state trovate tartarughe intrappolate in cavi di plastica e altri oggetti che non assomigliano affatto a meduse, e ciò sembrava più difficilmente spiegabile. Evidentemente, ci dovevano essere altre ragioni.

Una ricerca recente condotta da un team di scienziati statunitensi sembrerebbe averne capito i motivi. Sarebbe infatti l’odore emanato dalla plastica a trarre in inganno le tartarughe e spingerle a mangiarla. Questo perché la plastica che rimane a lungo nei mari può essere ricoperta di alghe e microorganismi incrostanti che le conferiscono un odore simile a quello del cibo.

Per dimostrare ciò, gli scienziati hanno analizzato le risposte comportamentali di 15 tartarughe marine della specie Caretta caretta, immergendole in piccole vasche e sottoponendole, separatamente, a quattro diversi stimoli olfattivi: acqua distillata, cibo, plastica pulita e plastica lasciata per cinque settimane in mare. I risultati dei test hanno dimostrato che le risposte comportamentali delle tartarughe erano le stesse in presenza del cibo e della plastica lasciata in mare, evidenziando peraltro che bastano solo cinque settimane per trasformare la plastica in un inganno, a volte mortale, per le tartarughe.

Considerando che ogni minuto l’equivalente di un camion pieno di rifiuti in plastica finisce nei mari del Pianeta, possiamo dire con certezza che i nostri oceani sono pieni di trappole mortali per le tartarughe. Purtroppo, ad oggi, non esiste un sistema che ci consenta di pulire i mari dalla plastica: l’unico modo efficace per intervenire sul problema prima che sia troppo tardi è ridurre la produzione di plastica a partire da quella frazione, spesso inutile e superflua, rappresentata dall’usa e getta. Per questo abbiamo lanciato una petizione (no-plastica.greenpeace.it) per chiedere alle grandi aziende di smetterla con la plastica monouso. Solo così riusciremo ad impedire che sempre più tartarughe saranno vittime dell’inquinamento da plastica.

fonte: www.greenpeace.org

Tartarughe in viaggio: ecco perché dobbiamo proteggere gli oceani!

Un corto di animazione realizzato per noi con le voci di Giorgia e Adriano Giannini dai creatori di Wallace e Gromit



Il viaggio di una famiglia di tartarughe verso casa è oggi un itinerario insidioso e pieno di pericoli, in un oceano sempre più minacciato da cambiamenti climatici, inquinamento da plastica, trivellazioni petrolifere e pesca eccessiva.

Questa è la denuncia al centro di “Tartarughe in viaggio” il nuovo corto di animazione realizzato per noi dal pluripremiato studio Aardman, creatore tra gli altri di “Galline in fuga” e “Wallace e Gromit” e che vede, nella versione italiana, la partecipazione straordinaria della cantante Giorgia e dell’attore Adriano Giannini, doppiatori rispettivamente di mamma e papà tartaruga.






Raccontando il viaggio di una famiglia di tartarughe verso casa, il corto mostra come i nostri oceani siano in pericolo e quanto sia importante agire subito per proteggerli.

Le tartarughe marine sono solite migrare per migliaia di chilometri attraverso i mari per spostarsi tra le spiagge dove nidificano, le aree dove si accoppiano e quelle più ricche di cibo per alimentarsi.

Lo studio “Turtles Under Threat” mostra come a causa dei cambiamenti climatici le tartarughe debbano viaggiare quasi il doppio per raggiungere le aree dove si alimentano consumando una gran quantità di energia. Questo potrebbe avere impatti gravissimi sulla loro già ridotta capacità di deporre uova. Il numero di uova deposte dalle tartarughe marine sulle spiagge della Guyana francese rispetto agli anni Novanta è diminuito di circa 100 volte, con meno di 200 nidi per stagione, rispetto ai 50 mila di allora.
Un mare di pericoli per le tartarughe marine

Non solo caccia. Negli ultimi 500 anni le popolazioni di tartarughe marine si sono fortemente ridotte in un mondo sempre più minacciato dalle attività umane, in primis:
cambiamenti climatici
la pesca industriale
l’urbanizzazione costiera
l’inquinamento da plastica
Serve un Accordo Globale per proteggere gli oceani

La comunità scientifica è concorde che solo tutelando almeno il 30% della superficie marina con una rete di Santuari marini entro il 2030, possiamo permettere alla vita marina di recuperarsi e sopravvivere. Sei delle sette specie di tartarughe marine sono minacciate di estinzione e senza un’azione urgente la situazione è destinata a peggiorare.

Non possiamo più perdere tempo.

Quest’anno si concluderanno le negoziazioni alle Nazioni Unite per un Accordo Globale per gli oceani. Noi chiediamo che l’Italia, ad oggi assente dalle negoziazioni internazionali, assuma invece una posizione forte a tutela degli oceani.

I nostri oceani hanno bisogno di un Accordo Globale, firmato da tutti i governi del mondo, che metta le basi di una reale protezione degli oceani.

“Sono felice di dar voce a una tartaruga grazie a Greenpeace – ha dichiarato Giorgia, doppiatrice di mamma tartaruga- La casa è quanto di più prezioso abbiamo, uno spazio sicuro per noi e la nostra famiglia. Eppure la stiamo togliendo a tartarughe, balene, pinguini e tanti altri animali. Se non agiamo ora, rischiamo di causare danni irreversibili ai nostri oceani e di perdere alcune specie per sempre. Spero che questo corto faccia prendere coscienza a sempre più persone dei danni che stiamo causando al mare“.


fonte: whttps://www.greenpeace.org

Scoperta una seconda isola di plastica: questa volta è nell’Atlantico

Una tartaruga marina (Eretmochelys imbricata) mentre cerca di mordere un bicchiere di plastica Molti animali marini ingeriscono rifiuti di plastica scambiandoli per cibo. Agf

















Una nuova “isola di plastica” – cioè un agglomerato di plastiche di ogni tipo concentrate in una precisa area dell’oceano (il Mar dei Sargassi) e lì tenute insieme dalle correnti – è stata appena scoperta dai ricercatori. 
CNN si è unita a una spedizione di Greenpeace per esplorare l’area dell’Atlantico in cui si concentrano le plastiche e le microplastiche. Nel reportage si dice: “Nella maggior parte del Mar dei Sargassi sono incorporati pezzi di spazzatura facilmente visibili: flaconi per shampoo, attrezzi da pesca, contenitori rigidi spessi o borse e molti altri tipi di plastica. Uno degli scienziati sottolinea i segni del morso di un pesce a un piccolo foglio di plastica che estraiamo. Ma ciò che è davvero inquietante è quando ti immergi e guardi nel blu e realizzi che sei circondato da piccoli pezzi scintillanti di plastica rotta”. 
Si stima che la concentrazione di microplastiche nella “nuova” isola sia persino più alta (anche se meno estesa) di quella della gigantesca Pollution Island del Pacifico. 

fonte: https://it.businessinsider.com

TartaLife, il progetto a tutela di Caretta caretta chiuderà a settembre














La plastica presente nel mar Mediterraneo, ma anche le normali attività di pesca, rappresentano da sempre un grave rischio per le tartarughe marine, in particolare per lo stato di conservazione della specie Caretta caretta.Partito sei anni fa, si chiuderà a fine settembre Il Progetto TartaLife (LIFE12 NAT/IT/000937), coordinato dal CNR-IRBIM di Ancona in collaborazione con altri 7 partner. Un programma che ha coinvolto 15 regioni italiane che si affacciano sul mare, dando importanti risultati nella riduzione della mortalità della specie.Obiettivo principe di TartaLife, arrivare a una diminuzione della mortalità di Caretta caretta causata dalle attività di pesca professionale, sia attraverso la riduzione del bycatch effettuato con alcuni attrezzi della pesca professionale (palangari, reti a strascico e reti da posta), che tramite la diffusione di soluzioni tecniche innovative in grado di limitare le catture accidentali e le interazioni delle tartarughe con gli attrezzi.Ma il progetto è riuscito anche a ridurre la mortalità post-cattura attraverso la formazione dei pescatori sulle buone prassi da seguire a bordo dei pescherecci in caso di cattura accidentale, e il rafforzamento dei centri per il recupero e il primo soccorso delle tartarughe marine.Numerosi, in questi anni, i seminari rivolti ai pescatori, le attività informative per turisti e studenti, gli eventi dedicati al mondo delle tartarughe marine (come l’annuale “Tartaday”), tutti sopportati anche da una comunicazione online e sui social network. 

fonte: https://www.greencity.it

Plastica nelle tartarughe marine, i risultati finali in uno studio


















L’ampia distribuzione geografica della Caretta Caretta , la presenza in differenti habitat e la caratteristica di ingerire i rifiuti marini fanno della specie un buon indicatore per valutare l’impatto della plastica sulla fauna marina.
Per questo il progetto biennale INDICIT (INDICator Impact Turtle), finanziato dalla Commissione Europea, è partito dalle tartarughe per analizzare quale sia il reale impatto della plastica sulla fauna marina. I risultati finali del progetto saranno pubblicati a breve, ma intanto sono stati resi noti i primi dati. Innanzitutto che il 58,2 % dei 1316 esemplari di Caretta Caretta analizzati aveva ingerito oggetti di plastica, principalmente usa e gettaDelle oltre 1300 tartarughe, ben 804 presentavano residui di plastica nell’apparato digerente, mentre altri resti sono stati trovati nei residui fecali di 407 esemplari.
I risultati del progetto mostrano, inoltre, quanto gli oggetti di plastica si spostino da un mare all’altro per mezzo delle correnti marine, anche su grandi distanze. Ad esempio, nello stomaco di tartarughe spiaggiate in Italia è stato rinvenuto l’involucro di uno snack francese, insieme a cannucce, tappi, lenze e ami.
Un documentario realizzato da Ispra, partner del progetto, mostra
le attività svolte sul campo dai ricercatori dei setti paesi che hanno lavorato a INDICIT (Francia, Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Turchia e Tunisia). Le immagini mostrano in che modo sono stati raccolti i dati sulle tartarughe marine, il lavoro svolto nei centri di soccorso e nei laboratori per la costruzione di un metodo comune.




fonte: http://www.snpambiente.it

Workshop conclusivo del progetto INDICIT. Presentazione del documentario ISPRA





















Il 17 e 18 gennaio si è svolto a Bruxelles il workshop conclusivo del progetto INDICIT, durante il quale sono stati presentati i risultati finali di ricerca e i requisiti per l'implementazione degli indicatori sull’impatto del marine litter a supporto della Marine Strategy Framework Directive. Con l'occasione è stato presentato il documentario INDICIT- Marine litter impact on sea turtles, realizzato da ISPRA.




fonte: http://www.isprambiente.gov.it

Uno studio australiano collega la mortalità delle tartarughe marine e l'ingestione di detriti di plastica

Rilevata una probabilità del 50% di mortalità dopo che nell'intestino di un animale sono stati trovati 14 pezzi di plastica






















La plastica nell'ambiente marino è un problema sempre più significativo.
Le tartarughe marine sono ad alto rischio di ingerire detriti di plastica in tutte le fasi del loro ciclo di vita, con conseguenze potenzialmente letali.
Uno studio svolto in Australia, e pubblicato sulla rivista Nature, ha verificato la relazione tra la quantità di plastica che una tartaruga ha ingerito e la probabilità di morte, trattando animali morti per cause note non correlate all'ingestione di plastica come gruppo di controllo statistico.
I ricercatori hanno utilizzato due set di dati: uno basato su necropsie di 246 tartarughe marine e un secondo con 706 record estratti da un database di dati nazionali.
Conceptual framework for estimating the probability of death due to plastic debris ingestion.
Animali che muoiono per cause note non correlate all'ingestione di plastica avevano meno plastica nel loro intestino di quelli che sono morti per cause indeterminate o per ingestione di plastica direttamente (ad esempio attraverso l'intestino e la perforazione).
È stata rilevata una probabilità del 50% di mortalità dopo che un animale aveva 14 pezzi di plastica nel suo intestino.
fonte: http://www.arpat.toscana.it/