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La nuova batteria senza metalli che si degrada on demand

Un team multidisciplinare di ricercatori della Texas A&M University ha creato una batteria ricaricabile organica che, a fine vita, può semplicemente essere “sciolta” nelle sue componenti originali



Cambiare la chimica delle batterie per renderle più sostenibili e facilmente riciclabili. Questo l’obiettivo della ricerca condotta da un team della Texas A&M University e pubblicata nel numero di maggio di Nature (testo in inglese). Il gruppo ha messo a punto una piattaforma tecnologica per dispositivi d’accumulo privi di cobalto e litio. E il segreto è nuovamente nella chimica organica.

La nuova batteria senza metalli utilizza, infatti, una struttura a radicali polipeptidici. Nel dettaglio, il gruppo ha impiegato catene di amminoacidi elettrochimicamente attive, chiamate polipeptidi attivi redox, per costruire i due elettrodi. “Allontanandoci dal litio e lavorando con questi polipeptidi, che non sono altro che i componenti delle proteine, evitiamo di dover estrarre metalli preziosi. Offrendo anche nuove opportunità per alimentare dispositivi elettronici indossabili o impiantabili”, ha affermato la dott.ssa Karen Wooley, professoressa presso il dipartimento di chimica.

Durante i test, la batteria senza metalli ha soddisfatto un paio di requisiti importanti. Innanzitutto, gli elettrodi hanno svolto il loro lavoro di materiali attivi, rimanendo stabili per tutto il tempo. Inoltre, i componenti della batteria possono essere facilmente degradati, al momento del bisogno, in condizioni acide. Il processo permette di rilasciare gli amminoacidi e re-impiegarli. E in maniera completamente innocua per l’ambiente.

Il risultato sono dunque unità degradabili, riciclabili, non tossiche e più sicure “su tutta la linea”. “Il grosso problema con le batterie agli ioni di litio in questo momento è che non vengono riciclate nella misura di cui avremo bisogno per la futura economia dell’e-mobility“, ha aggiunto dott.ssa Jodie Lutkenhaus. La ricerca è solo allo stadio iniziale, ma il team è convinto di aver compiuto un primo passo promettente nello sviluppo di innovative batterie sostenibili. Il futuro obiettivo? Migliorare ulteriormente il design con l’aiuto dell’apprendimento automatico.

fonte: www.rinnovabili.it


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Batterie di accumulo, è possibile “resuscitare” il litio

Un gruppo di scienziati ha messo a punto una strategia per ripristinare il cosiddetto “litio morto”, responsabile della instabilità termica e del decadimento di capacità nella batterie ricaricabili










Il litio è il materiale numero uno per le batterie di accumulo, sia quelle che alimentano l’elettronica portatile, sia per quelle a bordo dei veicoli elettrici. Nonostante i continui progressi nel campo, questi dispositivi offrono ancora oggi dei punti deboli. Uno di questi è l’incapacità, in alcuni casi specifici, di mantenere alte prestazioni nel tempo.

Uno dei motivi di tale decadimento è l’inattivazione del litio stesso. In alcune batterie di accumulo si innescano meccanismi di degradazione a livello dell’anodo che portano alla formazione del cosiddetto “litio morto”, materiale isolato e inattivo. La diretta conseguenza è una riduzione dell’efficienza coulombica, influendo su prestazioni e durata della batteria.

I ricercatori della Zhejiang University of Technology in Cina e dell’Argonne National Laboratory negli Stati Uniti hanno trovato una strategia per “resuscitarlo”. Il processo, delineato in un articolo pubblicato su Nature Energy (testo in inglese), si basa su una reazione chimica nota come ossidoriduzione (redox) dello iodio. Lo studio si è focalizzato sull’interfase solido-elettrolita (SEI), strato passivante e isolante che viene prodotto sull’anodo delle batterie di accumulo agli ioni di litio durante i primi cicli di carica. Il SEI svolge un ruolo cruciale nel garantire l’efficienza, la stabilità e la sicurezza delle batterie.

In una tipica cella a unioni di litio con un convenzionale anodo in grafite, questa interfase è composta da fluoruro di litio (LiF), combinato con carbonato di litio (Li2CO3), alchil carbonato e altre sostanze. Studi recenti hanno dimostrato che nelle batterie con anodo al litio metallico, il SEI è costituito principalmente da ossido di litio (Li2O), piuttosto che da LiF. In questa tipologia di batterie la formazione di litio inattivo è un problema più frequente. Tuttavia, i potenziali vantaggi che offre come ricaricabile (es. elevata densità di carica) ne fanno il più papabile erede della tradizionale tecnologia agli ioni.

Nel loro articolo, Chengbin Jin e colleghi hanno cercato di quantificare la quantità di Li2O nello strato SEI formato sugli anodi metallici. Inoltre, hanno studiato il ruolo delle interfase nella produzione di litio morto. I risultati raccolti dal gruppo suggeriscono che una perdita di litio nel SEI e la presenza di dendriti aghiformi rotti sono le cause principali del decadimento delle prestazioni. Per ripristinare il tutto hanno utilizzato una reazione di ossidoriduzione.

“Presentiamo un metodo di ripristino del litio basato su una serie di reazioni redox dello iodio che coinvolgono principalmente I3−/I−“, hanno spiegato i ricercatori nel loro articolo. “Utilizzando una capsula ospite in biochar per lo iodio, dimostriamo che l’ossidoriduzione […] avviene spontaneamente, ringiovanendo efficacemente il litio compensado la perdita”.

Utilizzando questa strategia di progettazione il gruppo ha creato una cella con pochissimo litio nell’anodo, una durata di vita di 1.000 cicli ed un’efficienza coloumbica del 99,9%. In futuro, la strategia potrebbe portare a nuove batterie al litio metallico con prestazioni migliori o essere impiegata per estendere la vita di quelle a ioni di litio.

fonte: www.rinnovabili.it


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Corepla sostiene ricerca su batteri mangia-plastica

Il consorzio cofinanzierà il progetto ideato da un team tutto al femminile dell’Università di Milano-Bicocca.











Corepla ha deciso di sostenere il progetto Micro-Val (MICROrganismi per la VALorizzazione di rifiuti della plastica) ideato da un team tutto al femminile dell’Università di Milano-Bicocca.

Si tratta del quarto progetto lanciato quest’anno da Biunicrowd, il programma di finanza alternativa dell’Ateneo, promosso per consentire a studenti, ex studenti, docenti, ricercatori e dipendenti di realizzare progetti innovativi e idee imprenditoriali attraverso campagne di raccolta fondi. Se la campagna raggiungerà almeno la metà dell’obiettivo fissato (9.500 euro), scatterà il cofinanziamento da parte del Consorzio. Obiettivo molto vicino, dato che ad oggi la raccolta supera già i 4.000 euro.

I fondi serviranno per la messa a punto del primo trattamento italiano di trasformazione e degradazione microbiologica della plastica a base di polietilene applicabile negli impianti di gestione dei rifiuti.

Micro-Val si articolerà in due fasi. Grazie al primo finanziamento, saranno condotte prove in laboratorio per a studiare le proprietà dei batteri mangia-plastica e a valutarne la loro efficacia per liberare la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) dalla componente di rifiuto indesiderato, costituita per lo più da polietilene (il 5% circa). Nella seconda fase, il team di ricerca verificherà la possibilità di applicare il trattamento biologico per uno scale-up in un impianto in collaborazione con un’azienda leader nel settore del recupero e il riciclo di rifiuti.
Il progetto prevede anche lo sviluppo di una APP per smartphone che fornirà consigli all’utente nello svolgimento della raccolta differenziata, permettendo a ogni cittadino di contribuire all’ambizioso obiettivo dei ricercatori.

Per sostenere il progetto: Micro-Val

VIDEO DI PRESENTAZIONE


fonte: www.polimerica.it


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