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Corepla sostiene ricerca su batteri mangia-plastica

Il consorzio cofinanzierà il progetto ideato da un team tutto al femminile dell’Università di Milano-Bicocca.











Corepla ha deciso di sostenere il progetto Micro-Val (MICROrganismi per la VALorizzazione di rifiuti della plastica) ideato da un team tutto al femminile dell’Università di Milano-Bicocca.

Si tratta del quarto progetto lanciato quest’anno da Biunicrowd, il programma di finanza alternativa dell’Ateneo, promosso per consentire a studenti, ex studenti, docenti, ricercatori e dipendenti di realizzare progetti innovativi e idee imprenditoriali attraverso campagne di raccolta fondi. Se la campagna raggiungerà almeno la metà dell’obiettivo fissato (9.500 euro), scatterà il cofinanziamento da parte del Consorzio. Obiettivo molto vicino, dato che ad oggi la raccolta supera già i 4.000 euro.

I fondi serviranno per la messa a punto del primo trattamento italiano di trasformazione e degradazione microbiologica della plastica a base di polietilene applicabile negli impianti di gestione dei rifiuti.

Micro-Val si articolerà in due fasi. Grazie al primo finanziamento, saranno condotte prove in laboratorio per a studiare le proprietà dei batteri mangia-plastica e a valutarne la loro efficacia per liberare la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) dalla componente di rifiuto indesiderato, costituita per lo più da polietilene (il 5% circa). Nella seconda fase, il team di ricerca verificherà la possibilità di applicare il trattamento biologico per uno scale-up in un impianto in collaborazione con un’azienda leader nel settore del recupero e il riciclo di rifiuti.
Il progetto prevede anche lo sviluppo di una APP per smartphone che fornirà consigli all’utente nello svolgimento della raccolta differenziata, permettendo a ogni cittadino di contribuire all’ambizioso obiettivo dei ricercatori.

Per sostenere il progetto: Micro-Val

VIDEO DI PRESENTAZIONE


fonte: www.polimerica.it


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Dagli scarti di campi e stalle nasce la nuova filiera del biometano agricolo

L’obiettivo del protocollo di intesa firmato da da Coldiretti, Bonifiche Ferraresi, A2A, Snam e Gse è immettere nella rete 8 miliardi di metri cubi di gas “verde” da qui al 2030



















Recuperare scarti organici derivati da coltivazioni e allevamenti per realizzare impianti per la distribuzione del biometano agricolo in Italia con lo scopo di alimentare il trasporto pubblico ma anche auto private o trattori usati per il lavoro nei campi. L’obiettivo, lanciato dal protocollo d’intesa da Coldiretti, Bonifiche Ferraresi, A2A, Snam e Gse – Gestore dei servizi energetici, è quello di immettere nella rete 8 miliardi di metri cubi di biometano da oggi al 2030. Un percorso virtuoso e un esempio concreto di economia circolare “dalla stalla alla strada”. Tra i vantaggi portati c’è sicuramente il taglio degli sprechi, la riduzione delle missioni inquinanti, lo sviluppo della ricerca in un campo come quello dei carburanti green e un passo in avanti verso una filiera che potrebbe portare nuovi posti di lavoro.

Il primo progetto verrà realizzato da Bonifiche Ferraresi, la più grande aziende agricola italiana associata a Coldiretti. Al progetto sostenibile ciascuna realtà porterà il suo contributo: la Snam promuove lo sviluppo di tecnologie per la produzione di biometano in Italia e mette a disposizione la propria rete di trasporto e di impianti di distribuzione di gas naturale compresso e liquefatto per la mobilità sostenibile. Ad oggi, ad essere interessati all’allacciamento di impianti di biometano alla propria rete di trasporto sono ben 600 realtà. IlGruppo A2A ha in progetto la realizzazione di 4 impianti di produzione di biometano da Forsu (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) e anche il Gse è pronto a condividere l’expertise sulle rinnovabili, svolgendo il ruolo di facilitatore ai fini dello sviluppo del biometano in un’ottica di promozione della sostenibilità.

Un grande contributo del biometano agricolo alla decarbonizzazione. “Il suo processo produttivo rende infatti disponibili una serie di altri prodotti, sottoprodotti come il digestato che utilizzato come materia organica ammendante, migliora la produttività del terreno agricolo e la sua capacità di trattenere gas climalteranti – scrive in una nota Coldiretti – Un volano importante di sviluppo per un paese come l’Italia che è già al terzo posto in Europa per consumi alimentati da fonti rinnovabili con una quota complessiva pari al 17,41% del totale dell’energia utilizzata a livello nazionale e ha raddoppiato in undici anni i propri consumi “green” da 10,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) nel 2005 a 21,1 milioni nel 2016.

fonte: www.rinnovabili.it

Biometano da forsu, via libera al primo impianto milanese

Sarà collaudato per la fine del 2018 e, a regime, trasformerà fino a 35mila ton di rifiuti organici in biometano
















Milano si conferma laboratorio d’avanguardia per la produzione e distribuzione del metano ottenuto dai rifiuti.  Nel 2016 il capoluogo meneghino è stato il primo comune d’Italia a istallare un distributore di biocarburante per autotrazione ottenuto direttamente dalle sue acque reflue (leggi Biometano dalle acque reflue: a Milano il primo distributore per auto).
Un’esperienza che la città Metropolitana è disposta in un certo senso a replicare con un secondo progetto per la produzione di combustibile verde a partire da rifiuti. Tuttavia, stavolta il focus non sarà sui reflui urbani, bensì sulla raccolta differenziata dell’umido cittadino. È di questi giorni infatti la notizia del via libera concesso ad Agatos per la costruzione e messa in esercizio in provincia di Milano del primo impianto di produzione di biometano da FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano).

La centrale, che ha ottenuto già l’autorizzazione unica – impiegherà la tecnologia Biosip, processo per la valorizzazione integrale dei rifiuti  sviluppato, brevettato e ingegnerizzato da Agatos. L’impianto si estenderà su una superficie di circa 12.000 metri quadrati e a partire dalla fine del 2018 trasformerà fino a 35mila ton di rifiuti organici in biometano, acqua distillata e combustibile solido secondario, in  assenza di emissioni e odori. Ad Agatos Energia sarà affidato l’incarico esclusivo di implementazione del progetto: sarà cioè l’EPC responsabile della realizzazione chiavi – in – mano dell’impianto e della gestione e manutenzione (O&M) una volta collaudato.

Spiega la società in una nota stampa:
“Delle 14 milioni di tonnellate di FORSU prodotte annualmente in tutto il territorio nazionale, il 25% viene smaltito in discarica e il 20% tramite incenerimento, soluzioni di smaltimento attualmente obsolete e dannose per il territorio; solo il 18% dei rifiuti organici viene oggi destinato ai vari trattamenti “biologici”. Il processo BIOSIP, trattamento biologico a “impatto zero”, potrebbe rappresentare pertanto un’alternativa efficace per le oltre 6 milioni di tonnellate attualmente destinate alla discarica e all’incenerimento. La sola Provincia di Milano produce annualmente 1.5 milioni di tonnellate di rifiuti, di questi 225.150 tonnellate sono rifiuti organici. Attualmente, le strutture esistenti riescono a gestirne solo meno della metà (43%)”.

fonte: www.rinnovabili.it

Biometano dagli scarti di cucina: un’alternativa pulita per i trasporti

In Italia le emissioni di gas serra stanno diminuendo, tranne che nel settore trasporti su gomma. Ma le soluzioni ci sono: una è l’utilizzo dei rifiuti organici per produrre biometano
















Per vincere la più importante sfida del nostro secolo, cioè limitare l’incremento della temperatura globale per prevenire gli effetti catastrofici del cambiamento climatico in atto, occorre assolutamente ridurre le emissioni di gas serra. Come fare?
I dati sulle emissioni in Italia non sono recentissimi. Dall’ultimo rapporto dell’ISPRA pubblicato nel 2014 si evince che dal 1990 al 2012 le emissioni CO2 eq sono diminuite dell’11% passando da 435 a 387 milioni di tonnellate per la riduzione delle emissioni prodotte dal settore industriale.
La CO2 proveniente dal settore trasporti – che rappresenta circa il 27,4 % del totale delle emissioni – è invece aumentata passando da 103 milioni di tonnellate del 1990 a 106 milioni di tonnellate nel 2012, di cui ben 98 provenienti dal trasporto su strada.

Le problematicità del settore trasporti sono anche evidenziate dal mancato raggiungimento degli obiettivi fissati nel Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili redatto nel 2010 per attuare la della Direttiva 2009/98/CE. Infatti mentre il nostro Paese già nel 2014 ha superato l’obiettivo, fissato per il 2020, di ricavare da fonti di energia rinnovabili il 17% del fabbisogno nazionale nel settore trasporti non è stato raggiunto il target minimo fissato nel 2014 al 5,98%, ci si è infatti attestati al 4,5%. Il ritardo è ancora maggiore rispetto al 2020 con circa 5,6 punti in meno.
In sintesi – pur avendo ridotto le emissioni complessive – il settore trasporti continua ad essere quello che impatta maggiormente anche per il minor apporto di energia da fonti rinnovabili.
Una delle soluzioni possibili è intervenire sull’alimentazione degli automezzi, incentivando l’uso di biocarburanti con ridotte emissioni di gas serra al posto dei carburanti di origine fossile.
Non tutti i biocarburanti hanno però lo stesso impatto: il biometano riduce dell’80% le emissioni di gas a effetto serra, non genera emissioni di composti tossici e cancerogeni di polveri fini ed è il più economico. L’Italia ha un’ottima rete di distribuzione del metano per auto, è infatti il primo paese europeo in Europa con 1.164 impianti attivi, e  circolano già circa 800.000 auto a metano quindi il suo utilizzo è facilitato e contribuirebbe alla riduzione dell’approvvigionamento di metano da altri Paesi.














Un ulteriore vantaggio rispetto a biocarburanti come il biodiesel o il bioetanolo è che il biometano può essere usato liquido al 100% quindi non dev’essere miscelato con i carburanti classici. Ovviamente è possibile anche il “dual fuel”, cioè il sistema di alimentazione combinato biometano-gasolio.

Il biometano può derivare sia dalla Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani (FORSU) che da altri scarti di origine organica come fanghi provenienti dalla depurazione delle acque reflue urbane,  residui agricoli ed effluenti zootecnici, attraverso la digestione anaerobica un processo biologico per mezzo del quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica viene trasformata in biogas costituito principalmente da biometano.

Biometano dagli scarti di cucina: un’alternativa pulita per i trasporti 

Nella composizione merceologica dei rifiuti urbani la frazione organica (umido + verde) rappresenta il 35%, nel 2015 ne sono state prodotte circa 170 kg/abitante e di questi circa 100 kg/abitante – pari a 6.071.510 tonnellate – sono stati raccolti in maniera differenziata (dati fonte Ispra). Ad oggi la maggior parte della FORSU proveniente dalla raccolta differenziata è conferita in 201 impianti di compostaggio aerobico per la produzione di solo compost mentre ci sono solo 20 impianti dedicati alla sola digestione anaerobica che però producono quasi esclusivamente biogas usato per la produzione di energia elettrica.  Da 1 tonnellata di FORSU si possono ricavare circa 70 kg di biometano (95 mc) che permetterebbero a un’utilitaria a metano di percorrere circa 1.000 km.
Abbiamo quindi a disposizione una fonte di materia rinnovabile che potrebbe produrreconsiderando la sola quantità di organico proveniente dalla raccolta differenziata – circa 576.792.500 milioni di mc di biometano e chiuderebbe in maniera efficiente il ciclo rifiuti in linea con i  principi dell’Economia Circolare.
Si aggiunge poi il biogas da effluenti zootecnici, residui agricoli e agroindustriali, colture energetiche e dai fanghi di depurazione proveniente da 1.924 piccoli impianti e attualmente destinato alla produzione di  energia elettrica, ca. 1.400 MWe (fonte GSE).

Certo il biometano non può ancora soddisfare totalmente il fabbisogno dei circa 50 milioni di veicoli circolanti in Italia poichè occorre agire su diversi piani come la riduzione del trasporto su gomma e l’incentivo all’uso del trasporto pubblico, ma il suo sfruttamento può sicuramente contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2

L’Accordo sul clima di Parigi (COP 21) è stato un passo in avanti, ma occorre passare dalle strette di mano e dalle firme dei trattati alle azioni concrete, intervenendo su più fronti per andare verso una sostanziale riduzione della dipendenza da fonti fossili, puntando a massimizzare l’uso di fonti energetiche rinnovabili. Purtroppo, quando si passa ai fatti spuntano i soliti problemi di carattere normativo. In Italia il Decreto Ministeriale 5 dicembre 2013, detto “Decreto Biometano”, che norma operativamente le modalità di incentivazione alla produzione del biometano, non ha funzionato per diversi motivi. Ora, dopo la fase di consultazione, durata dal 13 dicembre 2016 al 13 gennaio 2017, si attende la pubblicazione del nuovo “Decreto Biometano bis”, che dovrebbe contenere semplificazioni e interessanti novità volte ad agevolarne e incentivarne l’uso. Speriamo sia la volta buona.

di Ing. Francesco Siciliawww.francescosicilia.it

fonte: http://www.rinnovabili.it/

Scapigliato, da discarica a «fabbrica del futuro». Il progetto spiegato da Alessandro Giari

Insieme agli investimenti attesa anche nuova occupazione: fino a 40-50 posti di lavoro in più a Rosignano Marittimo

















Scapigliato rappresenta già oggi la discarica più grande della Toscana, un tassello strategico dunque per la gestione dei rifiuti sul territorio. Come migliorarlo?
«Oggi abbiamo una discarica dove ogni anno vengono smaltite 460mila tonnellate di rifiuti, per circa il 20% di derivazione urbana e per il rimanente speciali non pericolosi; una ripartizione che rispecchia in gran parte la produzione toscana, fatta per 2,25 milioni di tonnellate/anno di rifiuti urbani e per quasi 10 milioni di tonnellate/anno di rifiuti speciali. Di fronte a questi numeri si capisce che la buona gestione dei rifiuti speciali riveste un ruolo determinante, non solo sotto il profilo ambientale ma anche per favorire o meno la competitività delle aziende sul territorio: quando non vi sono impianti di prossimità, i rifiuti speciali prodotti dalle attività economiche locali devono essere spediti altrove, con costi – di trasporto e ambientali – crescenti.
Detto ciò, partiamo dalla necessità di guardare alle discariche con una logica di tendenziale superamento. Da ormai più di un anno abbiamo imboccato la progettualità per trasformare – progressivamente ma con una certa celerità – Scapigliato in un impianto di selezione, trasformazione, recupero e potenziale re-immissione sul mercato del rifiuto come nuovo prodotto. La base per lo sviluppo di una nuova economia, circolare».
A che punto è questa trasformazione?
«Quest’anno avremo un’accelerazione, entro la fine del mese presenteremo formalmente l’intero progetto alla Regione facendo partire l’iter autorizzativo, sia per quanto riguarda la Valutazione d’impatto ambientale (Via) sia per l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia)».
Con quali obiettivi?
«In primo luogo vogliamo realizzare un biodigestore anaerobico per ricavare biometano dalla Forsu (Frazione organica dei rifiuti solidi urbani); in una prima fase realizzeremo un impianto da 45mila tonnellate/anno che arriveranno poi in un secondo step a 90mila, ottimizzando la struttura. Confidiamo che in un anno possa chiudersi il processo autorizzativo, in modo da far partire i lavori per il biodigestore da 45mila tonnellate all’inizio del 2018. Lavori che in 18 mesi – arrivando dunque a metà 2019 – dovrebbero poter chiudere questo primo step. Ad oggi il fabbisogno di trattamento di Forsu pianificato nell’ambito dei 100 comuni che costituiscono l’Ato Toscana Costa supera le 200mila tonnellate, ma – impianti di compostaggio tradizionali a parte – non vi sono sul territorio impianti moderni, in grado di trasformare i rifiuti organici in energia e biometano come sarà in grado di fare Scapigliato; non a caso parallelamente sta sorgendo un altro impianto, con tempistiche e capacità di conferimento simili al nostro, progettato da Geofor a Pontedera».
Con il biodigestore come cambierà il profilo di Scapigliato?
«Con il biodigestore da Scapigliato arriva e arriverà sempre più energia, calore, compost, CO2. Già oggi produciamo compost ed energia elettrica: attraverso 250 pozzi utili alla captazione del biogas da discarica abbiamo prodotto l’anno scorso energia per circa 25 milioni di KWh, equivalente al fabbisogno residenziale di un Comune come Rosignano Marittimo. Per il biometano che sarà prodotto dal biodigestore di Scapigliato realizzeremo un impianto di distribuzione a valle – nelle immediate vicinanze, a 150 metri di distanza dall’impianto –, in modo da poter fornire direttamente biometano di qualità ai veicoli che vorranno approvvigionar visi a condizioni vantaggiose: energia a chilometro zero per il territorio. La parte eccedente del biometano la immetteremo nella rete Snam, che passa a pochi centinaia di metri dall’impianto in adiacenza all’autostrada».
Ci saranno anche delle ricadute occupazionali per Rosignano?
«Guardando complessivamente a tutto l’investimento industriale previsto, stimiamo un aumento dell’occupazione (tra diretta e indiretta) pari a 40-50 addetti in fase di realizzazione, che per un 50% rimarranno anche a regime».
E l’attività della discarica come cambierà?
«Vogliamo che i conferimenti diminuiscano anno per anno. Al 2021 arriveremo a una diminuzione di oltre il 20% rispetto al 2015, quando i conferimenti di rifiuti ammontavano a 480mila tonnellate. Già nel 2016 siamo scesi a 430mila, quest’anno saranno 410mila; nel 2021 ci attesteremo attorno alle 360-370mila tonnellate. Ovvero, un calo complessivo di circa 100mila tonnellate. Nel contempo, lo sviluppo degli investimenti previsti ci renderà in grado di diversificare l’attività di Scapigliato: non vogliamo diminuire il quantitativo di rifiuti in ingresso, a calare saranno quelli destinati alla discarica. Lo scopo è quello di aumentare il recupero e la trasformazione del rifiuto in nuovo prodotto: questo è l’obiettivo strategico».
Si tratta di uno scopo che una realtà aziendale come la vostra può perseguire in autonomia?
«La nostra è solo una parte di un percorso più ampio. Possiamo essere tutti molto bravi nella trasformazione del rifiuto – e del resto in Italia, come testimoniano i dati, siamo degli ottimi recuperatori –, ma se poi non siamo in grado di generare percorsi per la valorizzazione economica di questi materiali, inserendoli in nuovi processi produttivi, il problema rimane: limitarci a riempire piazzali di materie riciclate non basta, andare oltre è un passaggio fondamentale su cui tutti dobbiamo concentrarci.
Perché questo obiettivo strategico sia realizzabile dobbiamo lavorare su due fronti. Uno è quello della modalità di conferimento: più un rifiuto è integro più è recuperabile. Il secondo aspetto è quello di far sì che tali percorsi di conferimento siano finalizzati a veri e propri progetti di economia circolare; se infatti i prodotti riciclati non sono realizzati con un design e una qualità del prodotto attraenti per il mercato non può competere con i prodotti realizzati con materiale vergine. E l’anello dell’economia circolare non si chiude».
Come pensate di contribuire per progredire su questi fronti?
«Per quanto riguarda le modalità di conferimento, già oggi Rea Impianti possiede a Cecina un impianto di selezione e recupero materiale (dalle plastiche al legno, dai Raee agli ingombranti, etc) con un potenziale di 24mila tonnellate, ad oggi impiegato solo per 13mila. Nei prossimi 2-3 anni vogliamo utilizzarlo al pieno delle possibilità, anche come meccanismo propedeutico alla realizzazione di un nuovo grande impianto di selezione da circa 200mila tonnellate qui a Scapigliato – presente nel progetto complessivo per il Polo, anche se non è inserito nel pacchetto che formalmente presenteremo a fine mese alla Regione – la cui configurazione dal punto di vista tecnologico è interamente subordinata a ciò che riusciremo a definire in termini di valutazione di mercato e strategica nel prossimo anno e mezzo»».
Perché un nuovo impianto di selezione?
«Procediamo nell’ottica di continuare la diminuzione progressiva dei rifiuti da conferire in discarica anche oltre il 2021, sia per quanto riguarda la frazione residua di Rsu che già oggi è in ingresso a Scapigliato, sia soprattutto per quanto riguarda i rifiuti speciali non pericolosi. Oggi arriva a Scapigliato materiale che è quasi impossibile poter recuperare: le trasformazioni che vengono effettuate dai soggetti intermedi – presenti con abbondanza – tra chi produce e chi smaltisce fanno sì che questo materiale non abbia più le caratteristiche per divenire poi nuovo prodotto, in quanto contaminato o triturato in modo poco efficiente».
E per quanto riguarda i progressi sull’altro fronte, quello che contempla la necessità di migliorare qualità e design dei prodotti riciclati?
«Stiamo investendo risorse importanti per rendere possibile la realizzazione – a Scapigliato – di un Centro di cooperazione regionale per lo sviluppo di un’economia circolare. A questo proposito insieme al Comune di Rosignano Marittimo abbiamo fatto un accordo con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il Cnr, l’Anci Toscana, la Cispel Toscana e la Camera di Commercio della Maremma e del Tirreno. Il Centro partirà nei prossimi mesi, presumibilmente con un primo laboratorio proposto e progettato dal professor Paolo Dario per il disassemblaggio di rifiuti “complessi”: in concreto, robot che coadiuvati dall’operatore umano siano in grado di realizzare un’operazione opposta a quella che già avviene per l’assemblaggio dei prodotti, nelle grandi case automobilistiche come in molte altre industrie. Lì abbiamo robot che montano, che costruiscono; qui ne avremo in grado di scomporre le diverse tipologie di materiali che compongono un sistema complesso, che sia una un’automobile o una moto o un frigorifero. Un’operazione cioè meno grossolana del disassemblaggio così come viene fatto oggi, magari tramite una pressa o sistemi di fusione.
Noi con quest’operazione ci preoccupiamo di mettere a punto una filiera che a Scapigliato diminuisca i conferimenti di rifiuti in discarica, aumenti il livello di selezione e recupero del materiale, e infine favorisca la sua reimmissione sul mercato. Quest’ultimo punto non lo facciamo solo per Rea Impianti e Rit, naturalmente; sosteniamo dei costi non banali per favorire la nascita e la crescita di una piattaforma che sia in grado di dare una mano a tutto il sistema, sperimentando soluzioni valide per l’economia di tutta la Regione».
fonte: www.greenreport.it

Bio2energy trasforma i rifiuti in ricchezza energetica

Presentato a Viareggio il progetto “Bio2Energy”, finanziato dalla Regione Toscana. A partire da fanghi e FORSU produrrà biocarburanti, elettricità e fertilizzanti













Bioidrogeno, biometano, energia elettrica e fertilizzanti: tutti prodotti da un unico impianto usando come materia prima fanghi e rifiuti organici provenienti della raccolta domestica. In una sola parola Bio2energy. E’ questo infatti il nome del nuovo progetto finanziato dalla Regione Toscana e dedicato a Viareggio. Ideato da Sea Risorse S.p.A. e DIEF-UNIFI (Dipartimento di Ingegneria Industriale Università degli Studi di Firenze) e portato avanti con Publiambiente, Cavalzani Inox, ICCOM-CNR e PIN, Bio2Energy realizzerà un codigestore anaerobico nell’area dell’impianto di depurazione idrica del comune toscano.

Primo impianto del suo genere per la Regione, a regime il codigestore permetterà di migliorare la gestione dei rifiuti, tagliando i consumi stessi del depuratore e producendo energia pulita e fertilizzanti “rinnovabili”. Il progetto richiederà due anni di lavori e un investimento di circa 3 milioni di euro, di cui oltre 1,5 milioni finanziato attraverso il bando FAR FAS, che incentiva la collaborazione tra imprese (grandi e Pmi) e sistema della ricerca su progetti di innovazione e competitività.

L’obiettivo è creare un sistema efficiente e controllato, che garantisca molteplici benefici. Il macchinario produrrà, a partire a partire da fanghi e frazione organica dei rifiuti (FORSU), biogas e digestato. Dal primo si otterrà bioidrogeno, biometano ed elettricità da immettere in rete, mentre dal secondo – ricco carbonio, azoto e altri nutrienti – un sostituto naturale fertilizzanti chimici convenzionali. “Bio2Energy è il primo progetto a livello internazionale che esporta a scala preindustriale il trattamento di rifiuti organici e la conseguente produzione di biocombustibili utilizzando gli impianti già esistenti dell’area del depuratore di Viareggio (Lucca)”, spiega la Regione Toscana in una nota stampa.  “Il progetto prevede una time line di 2 anni all’interno della quale si collocano diverse fasi: dopo l’avvio dell’iter di gestione del progetto sperimentale con l’implementazione delle attrezzature e l’allestimento del pilota presso l’Università di Firenze (UNIFI/PIN), prende il via la prima fase dei lavori che è in scala pilota, e che precede la scala pre-industriale collocata nel sito del codigestore di Viareggio”. La produzione di bioidrogeno e biometano sarà monitorata in entrambe le fasi, per ottimizzarla. È prevista una disseminazione dei risultati al fine di definire le condizioni ottimali di produzione anche sotto forma di linee guida, per rendere replicabile il progetto in altri siti.

fonte: www.rinnovabili.it