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Spreco alimentare, Coldiretti: avanzi a tavola per 1 italiano su 2 (55%)

Coldiretti: "La pandemia ha portato gli italiani ad avere comportamenti più green, infatti c'è stata una riduzione degli sprechi alimentari".










"L’emergenza pandemia ha portato più di un italiano su due (55%) a ridurre gli sprechi alimentari portando in tavola gli avanzi, con un trend favorito dalla maggiore permanenza in casa e ai fornelli per i lockdown e le misure anti-contagio". E’ quanto emerge dai risultati di un sondaggio condotto da Coldiretti e diffusi in occasione della Giornata nazionale contro lo spreco alimentare celebrata il 5 febbraio.
La pandemia ha impresso una vera e propria svolta green nei comportamenti degli italiani proprio a partire dalla tavola, spinta dal fatto che le misure anti contagio – sostiene la Coldiretti – portano la gente a stare di più a casa con il recupero di riti domestici come il cucinare che diventa oltre che necessità quotidiana anche un momento di aggregazione familiare più sicura di un pasto o di un aperitivo in mezzo a estranei o a persone che vivono fuori dal proprio nucleo domestico.Il risultato è anche un più efficiente utilizzo del cibo che si traduce in una maggiore attenzione agli sprechi.
Sulle tavole degli italiani – continua la Coldiretti – sono così tornati i piatti del giorno dopo come polpette, frittate, pizze farcite, ratatouille e macedonia. Ricette che non sono solo una ottima soluzione per non gettare nella spazzatura gli avanzi, ma aiutano anche a non far sparire tradizioni culinarie del passato secondo una usanza molto diffusa che ha dato origine a piatti diventati simbolo della cultura enogastronomica del territorio come – rileva la Coldiretti – la ribollita toscana, i canederli trentini, la pinza veneta o al sud la frittata di pasta.
Nonostante ciò il problema resta però rilevante con gli sprechi domestici che – denuncia Coldiretti – ammonta ancora a circa 27 kg all’anno procapite secondo Waste Watcher. Tra gli alimenti più colpiti svettano verdura e frutta fresca, seguite da pane fresco, cipolle e aglio, latte e yogurt, formaggi, salse e sughi.
Non si tratta quindi solo di un problema etico ma che determina anche – precisa la Coldiretti – effetti sul piano economico ed anche ambientale per l’impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti.

fonte: www.greencity.it


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Dagli scarti di campi e stalle nasce la nuova filiera del biometano agricolo

L’obiettivo del protocollo di intesa firmato da da Coldiretti, Bonifiche Ferraresi, A2A, Snam e Gse è immettere nella rete 8 miliardi di metri cubi di gas “verde” da qui al 2030



















Recuperare scarti organici derivati da coltivazioni e allevamenti per realizzare impianti per la distribuzione del biometano agricolo in Italia con lo scopo di alimentare il trasporto pubblico ma anche auto private o trattori usati per il lavoro nei campi. L’obiettivo, lanciato dal protocollo d’intesa da Coldiretti, Bonifiche Ferraresi, A2A, Snam e Gse – Gestore dei servizi energetici, è quello di immettere nella rete 8 miliardi di metri cubi di biometano da oggi al 2030. Un percorso virtuoso e un esempio concreto di economia circolare “dalla stalla alla strada”. Tra i vantaggi portati c’è sicuramente il taglio degli sprechi, la riduzione delle missioni inquinanti, lo sviluppo della ricerca in un campo come quello dei carburanti green e un passo in avanti verso una filiera che potrebbe portare nuovi posti di lavoro.

Il primo progetto verrà realizzato da Bonifiche Ferraresi, la più grande aziende agricola italiana associata a Coldiretti. Al progetto sostenibile ciascuna realtà porterà il suo contributo: la Snam promuove lo sviluppo di tecnologie per la produzione di biometano in Italia e mette a disposizione la propria rete di trasporto e di impianti di distribuzione di gas naturale compresso e liquefatto per la mobilità sostenibile. Ad oggi, ad essere interessati all’allacciamento di impianti di biometano alla propria rete di trasporto sono ben 600 realtà. IlGruppo A2A ha in progetto la realizzazione di 4 impianti di produzione di biometano da Forsu (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) e anche il Gse è pronto a condividere l’expertise sulle rinnovabili, svolgendo il ruolo di facilitatore ai fini dello sviluppo del biometano in un’ottica di promozione della sostenibilità.

Un grande contributo del biometano agricolo alla decarbonizzazione. “Il suo processo produttivo rende infatti disponibili una serie di altri prodotti, sottoprodotti come il digestato che utilizzato come materia organica ammendante, migliora la produttività del terreno agricolo e la sua capacità di trattenere gas climalteranti – scrive in una nota Coldiretti – Un volano importante di sviluppo per un paese come l’Italia che è già al terzo posto in Europa per consumi alimentati da fonti rinnovabili con una quota complessiva pari al 17,41% del totale dell’energia utilizzata a livello nazionale e ha raddoppiato in undici anni i propri consumi “green” da 10,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) nel 2005 a 21,1 milioni nel 2016.

fonte: www.rinnovabili.it

Glifosato, Fao e Oms: “Improbabile che causi il cancro, conferma da unico studio”

Glifosato, Fao e Oms: “Improbabile che causi il cancro, conferma da unico studio”
Secondo Fao e Oms è “improbabile” che il glifosato causi il cancro. L’Organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’Organizzazione mondiale della sanità lo hanno sostenuto al termine di un meeting di un gruppo di esperti sui residui di pesticidi su cibo e ambiente. “La grande maggioranza delle prove scientifiche – scrivono Fao e Oms – indica che la somministrazione di glifosato e di prodotti derivati a dosi fino a 2000 milligrammi per chilo di peso per via orale, la più rilevante per l’esposizione con la dieta, non è associata ad effetti genotossici nella stragrande maggioranza degli studi condotti su mammiferi”.
Il parere contraddice quello degli esperti della International Agency for Research on Cancer con base a Lione e parte dell’Oms, che lo avevano classificato cancerogeno per gli esseri umani. Proprio questa settimana la Commissione europea deve decidere sul rinnovo della licenza per l’uso del glifosato per altri sette anni invece di quindici e di limitarne l’impiego solo ad attività professionali.
“Qualche studio – prosegue il documento delle due organizzazioni internazionali – ha evidenziato un’associazione positiva tra l’esposizione al glifosato e il rischio di linfoma non Hodgkin. Tuttavia l’unico studio, condotto con una grande coorte e di grande qualità, non ha trovato evidenza di una associazione per nessun livello di esposizione”. Anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (la Efsa) aveva sostenuto che è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo e propone nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui negli alimenti”.
Durante il meeting è stata revisionata anche la pericolosità del diazinone, un insetticida usato anche contro le zanzare Aedes aegipty, le cosiddette zanzare tigre portatrici tra gli altri del virus Zika, e di un altro insetticida, il malatione. In entrambi i casi la conclusione è stata che è “improbabile” che queste sostanze siano cancerogene.
Chiede chiarezza “al più presto” la Coldiretti, per far sì che siano tutelati cittadini e agricoltori “disorientati dal rincorrersi di annunci discordanti”. Nel rispetto del principio di precauzione – dice il presidente Roberto Moncalvo – servono valutazioni condivise a livello internazionale con comportamenti univoci in un mercato globale.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Il contadino batte la globalizzazione: un italiano su quattro fa la spesa da lui

Secondo Coldiretti negli ultimi cinque anni infatti i consumatori che fanno la spesa nelle fattorie o nei mercati degli agricoltori dove è stato raggiunto il record di 15 milioni di presenze nel 2015

Il contadino batte la globalizzazione: un italiano su quattro fa la spesa da lui
MILANO - Nel mercato globalizzato dell'Unione europea, del Ttip  e dove anche Amazon si è messo a fare concorrenza agli alimentari tradiziona vince - a sopresa - il vecchio contadino tornanto prepotentemente di moda. Negli ultimi cinque anni, infatti, triplicati gli italiani che fanno la spesa nelle fattorie o nei mercati degli agricoltori dove è stato raggiunto il record di 15 milioni di presenze nel 2015 (un italiano su quattro).

E' quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè, a 15 anni dall'approvazione della legge di orientamento che ha allargato i confini dell'imprenditorialità agricola, aprendo a nuove opportunità occupazionali nell'agri-benessere, nella tutela ambientale, nel risparmio energetico, nelle attività sociali, nella trasformazione aziendale e nella vendita diretta. "Un exploit da ricondurre - sottolinea la Coldiretti - all'attenzione per il benessere, la forma fisica e la salute, oltre che alla crescente attenzione alla sostenibilità ambientale e alla valorizzazione del proprio territorio, come dimostra il fatto che il 70% degli italiani è addirittura disposto a pagare di più un alimento del tutto naturale, il 65% per uno che garantisce l'assenza di Ogm, il 62% per un prodotto bio e il 60% per uno senza coloranti".

La domanda di naturalità, spiega la Coldiretti, ha fatto nascere anche nuovi prodotti come gli 'agri-gelati' che utilizzano il latte dalla stalla al cono, le 'agri-birre' con l'impiego dell'orzo aziendale in un contesto produttivo a ciclo chiuso garantito dallo stesso agricoltore o gli 'agri-cosmetici' che sono ottenuti da proprie coltivazioni o allevamenti, da quelli a base di bava di lumaca al latte d'asina, al miele, all'olio o al vino. Si assiste inoltre anche ad inaspettati ritorni come il pane del contadino che utilizza grano recuperato dal rischio di estinzione.

Un vero boom, sottolinea l'organizzazione agricola, che ha portato alla nascita di oltre diecimila punti vendita gestiti direttamente dagli agricoltori tra fattorie e mercati lungo tutta Italia dove trovano sbocco, tra l'altro, almeno 100 varietà vegetali definite minori e prodotti ottenuti da 30 diverse razze di bovini, maiali, pecore e capre allevati su scala ridotta.


fonte: http://www.repubblica.it 

Coldiretti pubblica la blacklist dei cibi più contaminati da residui chimici


Sulla base delle analisi dell’Efsa, Coldiretti ha presentato la blacklist dei cibi più contaminati da residui chimici, micotossine, additivi e coloranti. Si va dai broccoli cinesi al basilico indiano fino alle fragole e alle arance dell’Egitto.
Sul gradino più alto del podio svettano i broccoli della Cina, considerati il prodotto meno sicuro tra quelli esaminati, con il 92 per cento dei campioni risultati irregolari. Al secondo e terzo posto, il prezzemolo del Vietnam e il basilico dell’India, rispettivamente con il 70 e il 68 per cento delle analisi risultate positive alla presenza di residui chimici in quantità sopra i limiti di legge. A ruota, le melagrane dell’Egitto, il peperoncino della Thailandia, la menta del Marocco, i meloni della Repubblica Domenicana, le fragole dell’Egitto, i piselli del Kenya e, al decimo posto, le arance egiziane.

blacklist cibi più contaminati
Coldiretti ha elaborato la lista dei cibi stranieri più contaminati sulla base delle analisi dell’Efsa, 
Autorità europea per la sicurezza alimentare © Getty Images

Nella maggioranza dei broccoli cinesi è stata trovata una concentrazione superiore alla norma di Acetamiprid (insetticida neonicotinoide che può avere effetti sul sistema nervoso umano nella fase di sviluppo), Chlorfenapyr (pesticida), Carbendazim (fungicida sistemico vietato in Italia perché considerato cancerogeno) Flusilazole (pesticida) e Pyridaben (acaricida).

Nel prezzemolo vietnamita i residui segnalati appartengono a Chlorpyrifos (pesticida accusato di interferire con lo sviluppo cognitivo dei bambini, soprattutto maschi), Profenofos (insetticida), Hexaconazole (fungicida), Phentoate e Flubendiamide (insetticidi), mentre il basilico indiano contiene Carbendazim, sostanza vietata in Italia perché considerata cancerogena.

Non stupisce, secondo Coldiretti, che sia stata proprio la Cina a piazzarsi in vetta alla classifica, poiché il gigante asiatico anche nel 2015 ha conquistato il primato nel numero di notifiche per prodotti alimentari irregolari proprio per la contaminazione da sostanze chimiche di sintesi. Su 2.967 allarmi totali per irregolarità segnalati in Europa, 386 hanno riguardato prodotti cinesi. Nello stesso anno, Pechino ha quintuplicato (+379 per cento) le esportazioni verso l’Italia di concentrato di pomodoro, arrivando a coprire il 10 per cento della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente.

pomodori cinesi
Nel 2015 la Cina ha quintuplicato (+379 per cento) le esportazioni di concentrato di pomodoro verso l’Italia © Getty Images

Spiega Coldiretti che nella blacklist dei cibi più contaminati “è risultato irregolare il 15 per cento della menta del Marocco, un altro Paese a cui sono state concesse agevolazioni dall’Unione europea per l’esportazione di arance, clementine, fragole, cetrioli, zucchine, aglio, olio di oliva e pomodori da mensa che hanno messo in ginocchio le produzioni nazionali. L’accordo con il Marocco è fortemente contestato dai produttori agricoli proprio perché nel Paese africano è permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa”.

“Non c’è più tempo da perdere e occorre rendere finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall’estero per far conoscere anche ai consumatori i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri”, ha sottolineato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo precisando che “bisogna liberare le imprese italiane dalla concorrenza sleale delle produzioni straniere realizzate in condizioni di dumping sociale, ambientale con rischi concreti per la sicurezza alimentare dei cittadini”.

fonte: www.lifegate.it