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Rientro a scuola eco-friendly con le matite che si piantano

Per un anno scolastico all’insegna dell’ambiente, Sprout propone nuove matite eco-friendly e plastic-free che alla fine del loro uso si piantano e si trasformano in erbe aromatiche, verdure e fiori




Coltivare erbe aromatiche, verdure e fiori da una matita usata? Con Sprout è possibile, imparando a riciclare e a dare nuova vita a un oggetto altrimenti destinato a diventare un rifiuto. Le nuove matite Sprout pencil sono composte, infatti, solo da legno certificato sostenibile, argilla e grafite. All’estremità della matita c’è una capsula di semi di alta qualità senza OGM. Quando la capsula, biodegradabile anch’essa, viene a contatto con terra e acqua si dissolve e i semi iniziano a germinare. Da una matita possono così germogliare basilico, timo, pomodori o margherite.

Con questa iniziativa Sprout ha assunto come missione quella di combattere la plastica e ispirare le persone a compiere azioni sostenibili nella vita di ogni giorno. Un’iniziativa apprezzata se si pensa che fino ad oggi Sprout ha distribuito oltre 14 milioni di matite in oltre 80 Paesi.

Oltre alle matite in normale grafite, ci sono anche quelle colorate, da abbinare a simpatici libretti per disegnare e sbizzarrirsi con la propria fantasia.

Le matite sono disponibili su amazon sproutworld.com/buy-sprout-pencil-on-amazon/ mentre per avere tutte le istruzioni su come piantarle è disponibile il video 



fonte: www.greencity.it

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La fusione Bayer-Monsanto è contro la legge sulla concorrenza

Aumento dei prezzi e della dipendenza, blocco dell’innovazione, concentrazione del potere. Ecco perché la fusione Bayer-Monsanto non s’ha da fare















La mega fusione Bayer-Monsanto dovrebbe essere impedita ai sensi del diritto comunitario in materia di concorrenza. Lo afferma un importante studio dell’University College di Londra, pubblicato ieri per la Giornata mondiale dell’alimentazione.
Gli autori della relazione affermano che la Commissione Europea sia obbligata a bloccare il tentativo di fusione, stando ad una lettura coerente della legge in vigore. Secondo Friends of the Earth, organizzazione che ha sostenuto la ricerca, sarebbe illegittimo avallare ulteriori concentrazioni di potere economico in un settore agricolo che rischia di concentrarsi nelle mani di appena tre mega-società (ChemChina-Syngenta, DuPont-Dow e Bayer-Monsanto), in grado di possedere e vendere circa il 64% dei pesticidi e il 60% dei semi brevettati.
All’inizio di quest’anno più di 200 organizzazioni della società civile hanno invitato il commissario europeo della concorrenza, Margrethe Vestager, a fermare l’ondata di fusioni nel settore agroalimentare. Quasi 900 mila cittadini hanno firmato petizioni che chiedono alla Commissione di agire. Il pericolo, infatti, è che gli agricoltori vedano aumentare i prezzi e la dipendenza dalle multinazionali, che vendono loro pacchetti con tutti i servizi necessari: sementi, pesticidi e anche prodotti per l’agricoltura digitale. Una ulteriore fusione andrebbe a rafforzare un sistema in cui chi coltiva la terra è tecnologicamente dipendente da soggetti terzi e non ha potere negoziale sui prezzi di sementi e prodotti fitosanitari.


La relazione sottolinea che l’emergere dei giganti agroindustriali avrebbe anche l’effetto di soffocare le aziende che praticano una agricoltura alternativa: le tre mega-corporazioni che controllano la catena mondiale del cibo assumerebbero un tale potere che le pratiche sostenibili non sarebbero incentivate allo sviluppo.
Gli accademici, inoltre, invitano la Commissione Europea ad ampliare le indagini sulla fusione per tener conto dei costi sociali e ambientali nel complesso, poiché è probabile che queste grandi manovre causeranno «importanti rischi per la sicurezza e la sovranità alimentare, la biodiversità, l’accessibilità dei prezzi, la qualità degli alimenti, la varietà e l’innovazione».
Non è ancora chiaro quali concessioni le multinazionali potrebbero fare per vincere la ritrosia di un Commissario particolarmente severo con i grandi monopoli, ma è molto probabile che nessuna strada resterà intentata.

fonte: http://www.rinnovabili.it

Il buon seme si salva insieme


















Nei giorni 14 e 15 ottobre 2017, si terrà a Bergamo il G7 dell’agricoltura. Il G sette, è l’incontro dei sette paesi più sviluppati, più importanti tra le economie mondiali. Più conosciuto era il G8, comprendente anche la Russia. I paesi rappresentati nel G7 sono gli Usa, il Canada, il Giappone, la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e l’Italia, paese ospitante.
Cercando in rete non abbiamo trovato documenti da parte di questi ministri che possono illuminarci sul tipo di intese che troveranno, se ne troveranno, sul modo di affrontare le sfide che i tempi attuali ed i rischi che incombono sul mondo dell’agricoltura o , più in generale, sul mondo intero.
Certamente, dato che l’agricoltura si pratica nell’ambiente naturale, non è l’economia che può essere sinteticamente simboleggiata dai caveau delle banche. Il cambiamento climatico si attua con forza e muta, altera, il modo stesso di fare “agricoltura” sul pianeta.
Dobbiamo prendere per buono quanto viene pubblicato dai giornali, le dichiarazioni de  Maurizio Martina, nostro ministro per l’Agricoltura e Foreste. Dobbiamo, per forza, analizzare e cercare di capire tra le righe delle interviste, tante, dichiarazioni di intenti, ancor di più, quello che, almeno, il rappresentante italiano andrà a dire, se lo dirà. Una cosa è certa. Volendo porsi nell’ambito di una contestazione a questo vertice “agricolo”, sarebbe importante mettersi d’accordo su un concetto dirimente. Cos’è l’agricoltura? Adesso, nei nostri anni, che cosa significa? Nell’epoca degli Ogm, della totale intercambiabilità e interdipendenza tra la chimica e la farmacia, tra la biotecnologia e l’agronomia, nell’epoca dei futures e derivati sui raccolti, ha ancora senso parlare di agricoltura, quando ne ragionano i vertici di questo sistema?
È agricoltura, per dirne una, chiara, accessibile e facile per tutti, per chiunque voglia anche solo prestare un orecchio a quanto diciamo, imporre, per esempio, nel Burkina Faso, solo un esempio, il cotone BT della Monsanto, per poi accorgersi, se ne sono accorti i contadini, che quel cotone fa morire le bestie, ha rese basse, costa molto di più del cotone convenzionale e la sua monocultura, coltivazione su larga scala, sterilizza il suolo, lo impoverisce ed il contadino resta più povero, affamato e ingannato di prima? Il governo del Burkina Faso, e l’esempio non lo abbiamo scelto a caso e vedremo perché, ha deciso di vietare del tutto quella semente Ogm, imposta ai contadini dall’organismo statale Sofitex. È agricoltura, questa? Si può definire “cultura del campo” qualcosa che il campo non lo coltiva, non ne preserva la fertilità, non ne arricchisce il suolo ma lo sterilizza e impoverisce, impoverendo e costringendo alla fuga (i più fortunati, quelli che hanno qualche risorsa, via, sui barconi verso l’Europa). Si può chiamare “agricoltura” questa? O, piuttosto, non è, la definizione, calzante, è di Massimo Angelini, “attività estrattiva” ovvero trattare la terra ed i suoi abitanti come delle variabili dipendenti del sistema che, innanzitutto, drena risorse dai poveri verso i ricchi, sottomette, impone, con la copertura della scienza asservita al dominio, lo “scientismo” puntando ad arricchire i centri di potere delle sementi, i giganti dell’agro-industria, dell’agri-bio-tech nel mondo occidentale?

No, che non è agricoltura. Se comporta desolazione, villaggi abbandonati, disperazione, i suicidi dei contadini indiani per colpa dello stesso cotone BT della Monsanto, la riduzione di vaste terre, un tempo fertili, in miniere a cielo aperto di varietà Ogm destinate alla sola esportazione, a basso costo, verso le manifatture o verso il bestiame, nel caso della soia, occidentali, non è cura del campo.
Il Burkina Faso ha conosciuto Thomas Sankara che diceva “un orto, una scuola, un pozzo in ogni villaggio”. Ovvero, l’indipendenza vera di un paese sta nella sua terra, nella sua cultura, nell’agevolare donne ed uomini e bambini nella vita reale e concreta di ogni giorno. Thomas Sankara è stato ammazzato. Il Burkina Faso conosce un contadino, Jakouba Sawaogo, che, dapprima osteggiato, piano piano, con la forza del patriarca, figura di evocazione biblica ma reale e viva come non mai, ha riproposto e ripristinato la pratica dello “zai”, ovvero una pratica burkinabè di coltivazione che prevede la coltivazione in fosse, in ampie buche sul fondo del quale porre letame bovino e poi terriccio e poi seminare. E poi praticare la policultura, ovvero mettere a dimora alberi resistenti ed alberi da frutta. Quello che ha fatto, ovvero rinverdire un’area talmente vasta da essere visibile dai satelliti, tra il Burkina e il Mali, lo racconta nel film-documentario che gli è stato dedicato The man who stopped the desert. L’uomo che fermò il deserto.



Jakouba è vivo e vegeto, contadino non diplomato, né agronomo e nemmeno ministro, ha saputo compiere il miracolo che le università asservite non sanno (?) non vogliono compiere perché un popolo che giace sotto il dominio della pretesa “scienza” non è un popolo libero e soprattutto, non apporta profitti alle quattro o cinque grandi corporation che nel mondo si spartiscono la torta grossa delle sementi, ovvero Monsanto-Bayer, Syngenta, Dupont, Dow, da sole, detengono il monopolio di oltre il sessanta per cento del mercato.
Un’altra pratica, la “milpa” ovvero la policultura di mais, fagioli, zucche, girasoli, amaranto e quinoa nel continente americano, praticata da millenni dalle popolazioni amerindie, è “agricoltura”, ovvero attività di rispetto del suolo, conoscenza dei popoli nativi che preserva e nutre la terra e gli uomini.
In questa nostra nuova epoca che studiosi hanno voluto chiamare “antropocene” , epoca di cambiamenti climatici imponenti, di rialzo delle temperature in ogni parte del mondo, riconosciuta da tutti, persino dai capi di stato, con l’eccezione di Trump, è possibile, diciamo noi, continuare a praticare un rapporto con la terra che non ne tiene conto? È possibile continuare a disboscare le foreste pluviali per piantagioni di olio di palma o di soia destinati, oltretutto, al consumo animale dei paesi ricchi? È possibile continuare ad alimentare il deserto non riconoscendo ai popoli la loro capacità di stare in contatto intimo, umano con la Madre Terra, la Pacha Mama o come in infiniti, poetici, cari alle culture vere originarie, vogliamo chiamarla?
È possibile non accorgersi che quello che un contadino del Burkina Faso è saggio e giusto?
Che non si tiene conto né dei cambiamenti climatici né del fatto, indubitabile che la terra è un composto di milioni di esseri viventi? Cosa ci verranno a raccontare, i ministri dell’agricoltura dei governi degli stati più ricchi del mondo? Trump verrà a negare, ancora, le bare dei morti di Livorno, sono ancora calde, che il cambiamento climatico è una bufala cinese? Cosa si diranno tra loro, cosa dirà il nostro ministro, Martina, a Trump? Ovvero al ministro che il presidente Usa ha nominato?
Cosa diranno loro è quello che, aldilà ed oltre le belle parole, sempre belle le parole, sta dicendo Martina, sta riempiendo la stampa di Slow Food e tipicità italiane, di specificità dell’agricoltura italiana. Che la soia che mangiano i nostri animali nelle stalle degli allevamenti industriali sia soia Ogm, non lo dice? Che bisogna intervenire sulle politiche comunitarie e smetterla di foraggiare, mai termine fu più adatto, i soliti noti, con la loro “agricoltura intensiva” e idrovora, l’80 per cento dell’acqua in pianura padana viene bevuta da questa agricoltura e le falde in molte aree non sono più disponibili, prosciugate del tutto e le pompe ormai, aspirano acque salmastre, inutilizzabili.




Orto sinergico, teoria e pratica, a Mondeggi Bene Comune
Quello che diranno loro. Quello che diremo noi.
Vorremmo ricordare i nostri fratelli Mapuche, la rete di salvatori di semi cileni, Wallmapu, vorremmo ricordare le loro terre espropriate da Benetton, vorremmo ricordare un loro grande manifesto “Mi seppellirono, ma essi non sapevano che io ero un seme”. Vorremmo ricordare con evidenza di parole d’ordine, di striscioni, di murales, vorremmo che la musica e l’arte approfondissero ed appoggiassero la lotta per la terra.
È su questo che vorrei concentrare l’attenzione. L’attenzione della Rete bergamasca contro il G7 sull’agricoltura e di chiunque, anche fuori da essa, voglia tentare di capire, e non è facile, cosa succede nel delicato e complesso mondo della produzione del cibo.
“Il cibo non è una merce. La Terra non è un supermercato”, questo è un concetto elaborato da Genuino Clandestino, “Tierra y libertad” e questo lo dobbiamo ad Emiliano Zapata, rivoluzionario e contadino. In questi decenni di attività come seedsaver, salvatori di semi, abbiamo avuto modo di incontrare una pluralità incredibile di soggetti. Abbiamo conosciuto dirigenti del Movimento Sem Terra, una infinità tra contadini, orticoltori, allevatori o anche un mondo giovanile che in maniera irruenta ed entusiasta si è avvicinato alla terra. A tutti abbiamo detto “Bisogna partire dal seme, dal buon seme.” Facciamo la nostra parte, la parte originante ed originaria, siamo la pars costruens, quella parte che mette a disposizione le conoscenze incredibili insite nel seme antico, originario, rurale, “heirlooms seeds” eredità di famiglia, come li chiamano gli Inglesi. Abbiamo provato ad elaborare, scrivere, con la penna e con la vanga, una cultura-coltura diversa. Siamo stati nel movimento, vasto, contro Expo “Affamare il pianeta. Arricchire la finanza” siamo parte di una moltitudine che nel mondo scambia semi, ricerca e custodisce. Non alle isole Svalbard, non in luoghi lontani ed inaccessibili ma nei nostri orti e qui, in Lombardia, i nostri primi gruppi locali, tra Como e Bergamo, ci siamo chiesti come, dove, ricercare sementi diverse.
Sementi che si adattano e reagiscono nella loro vitalità intrinseca, ai cambiamenti climatici.
Se una pianta di mais ibrido la scrolli e viene via, prova a spiantare una nata dalle nostre sementi. Radici forti, vigorose, piante che conoscono la terra e la luna, che ci vengono da tradizioni dove il contadino non era ancora stato spossessato del suo sapere. Era una persona, un uomo a tutto tondo che nel suo dialetto sapeva pensare, decidere, indirizzare la sua fattoria.
“Dopo un raccolto, ne viene un altro” e ci si dimentica che la più grande medaglia d’oro della Resistenza italiana, la cui figura giganteggia sullo stendardo dell’Anpi era un contadino, papà Cervi, siamo stati anche a conoscere i suoi eredi ed il suo spirito libero, la sua mente aperta di uomo della campagna curioso ed innovatore, ci ha conquistato. Dopo un raccolto, ne viene un altro, è una grande e nobile verità. Purché le sementi non siano sterili e non debbano essere sempre ricomprate dai soliti padroni della vita e della morte, Monsanto e company.



Torino, ReSetG7 in marcia verso la reggia di Venaria (ph Luca Perino, che ringraziamo)
Neil Young ha dedicato un grande album “Monsanto years” a queste nostre tematiche. Noi vorremmo esso risuonasse nelle nostre piazze alternative alle cene di quei ministri.
Noi vorremmo organizzare un grande scambio di sementi e il loro dono a quanti verranno.
Ci siamo e ci saremo, anche dopo, a tenere laboratori, incontri, informare, un mondo il più vasto possibile. Oggi più che mai dobbiamo, è un nostro preciso dovere mescolarci, tra campagna e città, contadini e cittadini, laddove sia “contadino” che “cittadino” significano persona libera ed autodeterminata, la rete dei salvatori di semi italiana connessa a livello europeo e mondiale, ha altro da dire rispetto alle petizioni di principio del ministro Martina e se è pur vero che alla Casa Bianca Michelle Obama allestì un orto edinvece Melania Trump ha sfasciato tutto e in quel posto c’è un parcheggio per Suv, non era cambiata la politica di compiacenza con le corporation come Monsanto. Individuare le loro contraddizioni e costruire la nostra alternativa, dal basso, appunto, dalle radici, è il nostro compito. E dobbiamo agire adesso.
All’interno di questa rete, il posto di Civiltà Contadina è nella diffusione delle buone pratiche agricole, nell’acquisizione di conoscenze, nella diffusione delle sementi recuperate, nella condivisione di un sapere che ci viene da lontano e intendiamo vada lontano. Le sementi non appartengono alle multinazionali, le sementi non appartengono nemmeno ai contadini. Le sementi, le buone sementi, appartengono ai bambini.
Vorremmo vedere una realtà di contadini per passione mobilitarsi, di contadini, allevatori, e sappiamo che sono tanti, e loro alleati dei Gas, e tutte le persone che concordano con noi che bisogna praticare e da subito, una agricoltura altra che liberi la terra e gli uomini.
Il buon seme si salva stando insieme.

fonte: https://comune-info.net/

'Indistruttibile' deposito mondiale dei semi si allaga per scioglimento permafrost















La Svalbard Global Seed Vault, la banca mondiale dei semi, a cui abbiamo affidato parte della sicurezza alimentare del mondo si è allagata a causa del riscaldamento globale. L'enorme “magazzino”, pensato per mettere al riparo da eventuali catastrofi i semi da cui dipende la nostra alimentazione nei giorni scorsi si è allagato. Uno scherzo del destino: neanche la fortezza che promette di salvare la biodiversità alimentare è al riparo dai cambiamenti climatici.
La Global Seed Vault è situata nelle isole Svalbard, nel mare Glaciale Artico. Queste ultime sono la parte più settentrionale della Norvegia e le terre abitate più a nord della Terra. Sepolto in una collina, il deposito sorge vicino alla cittadina di Longyearbyen, nell'isola di Spitsbergen.
Una vera e propria fortezza, con spesse porte in acciaio e una struttura costruita per resistere ad un'eventuale guerra nucleare o a un incidente aereo.
Eppure, anche se considerato inviolabile, il bunker non è stato in grado di tutelarsi dagli effetti dei cambiamenti climatici e dall'aumento globale delle temperature. È stato infatti un caldo anomalo ad aver provocato un'infiltrazione all'interno del deposito, per via della fusione del permafrost.
La Svalbard Global Seed Vault contiene più di 930.000 diverse varietà di semi destinate a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare dell'umanità in caso di disastro globale.
Per fortuna nessun seme è stato danneggiato dall'acqua, come spiega una nota ufficiale:
“Il Ministero reale dell'Agricoltura e dell'alimentazione della Norvegia, la Crop Trust e il NordGen assicurano che i semi sono completamente al sicuro e che non c'è stato fatto alcun danno all'impianto”.
Dal canto suo, il Ministero ha annunciato che entro il 2018 adotterà misure adeguate a garantire la protezione della Seed Vault e a migliorare la costruzione per prevenire incidenti futuri.















In primo luogo, si procederà alla rimozione delle fonti di calore nel tunnel di accesso, proteggendolo dalle infiltrazioni d'acqua dovute ai cambiamenti climatici. Poi verranno creati dei bacini di drenaggio sulla collina per impedire l'accumulo di acqua intorno al tunnel di accesso. Infine, verranno costruite altre pareti impermeabili all'interno del tunnel, per fornire una protezione supplementare oltre a quella attuale.
“Globalmente, la Seed Vault è, e continuerà ad essere, il backup più sicuro della diversità delle colture” dice.
 

fonte: www.greenme.it

Il sonno della ragione e la tecnologia

La tecnologia che si propone di creare profitti a qualsiasi costo, non considerando i fattori di dubbio e complessità tipici della scienza, è fondata su una ragione lineare e univoca. I suoi sogni producono mostri, come le colture Ogm, molto redditizie per chi ne detiene i brevetti ma costose e nefaste per la salute e l’ambiente. I transgenici sono però già una tecnologia obsoleta. Negli ultimi anni, per eludere i regolamenti e la resistenza delle persone, l’industria è andata molto oltre nel campo della biologia sintetica, che consiste nella costruzione in laboratorio di sequenze genetiche sintetiche per ridisegnare sistemi biologici o sintetizzare genomi completi, vale a dire costruire organismi viventi, però di sintesi. Finanziano i colossi petroliferi, chimici, farmaceutici e dell’agrobusiness, insensibili agli impatti sugli ecosistemi, la salute e il lavoro di milioni contadini ma pronti, come sempre, a investire miliardi in propaganda, lobbying e corruzione. Come per gli Ogm, però, si potrebbe riuscire a invadere i mercati ma non a colonizzare la nostra mente. L’ostacolo è una critica collettiva verso la tecnoscienza dominante nel suo complesso
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Immagine tratta da Escaner Cultural

Si possono dare molte interpretazioni su quanto trasmette l’incisione di Goya “Il sonno della ragione genera mostri”, comprese alcune opposte tra di loro. Senza escludere altri significati, per me la frase è una buona allegoria della tecno-scienza dominante: i suoi sogni producono mostri e, fondata com’è sulla ragione lineare e univoca che la caratterizza, cerca di costruirli, molte volte riuscendoci, a dispetto dei loro impatti. Per quanto, in questo caso,  l’uso del termine “scienza” è troppo generoso.  Si tratta in realtà di tecnologie che possono essere molto sofisticate, ma che vengono sviluppate con un obiettivo prestabilito: la produzione di profitti per le grandi imprese che ne dispongono e che per tale scopo non considerano i fattori di dubbio e di complessità, vale a dire, negano i principi fondamentali di ogni scienza.
Un chiaro esempio di questa logica riduttiva sono le colture transgeniche. Con venti anni di presenza sul mercato, le statistiche ufficiali degli Stati Uniti, primo e principale produttore di transgenici nel mondo, dimostrano che queste sementi sono più care, che la produttività è minore rispetto agli ibridi che già esistevano, che c’è stato un brutale aumento nell’uso di pesticidi nella semina e dei loro residui negli alimenti, nelle acque e nella terra, con gravi ripercussioni sulla salute e sull’ambiente. Tutte le sementi transgeniche sono brevettate, per cui la contaminazione con questi geni è un delitto nei confronti delle vittime – e un affare per le imprese. La ricerca e lo sviluppo dell’inserimento di un gene transgenico (attraverso l’ingegneria genetica) costa in media 136 milioni di dollari statunitensi, mentre la produzione di una semente ibrida costa in media 1 milione di dollari.
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Immagine da Greenreport
Anche se ogni semente prodotta in laboratorio, si basa sulle varietà sviluppate dai contadini e dalle popolazioni indigene da migliaia di anni, questi processi industriali rimpiazzano, intaccano e contaminano le migliaia di varietà che contadine e contadini producono ogni anno, che sono  adatte  alle  migliaia di microclimi, situazioni geografiche, variazioni dovute al cambiamento climatico, esigenze e gusti locali e che continuano a circolare liberamente tra coloro che le hanno create e molti altri ancora e che costituiscono la base dell’alimentazione della maggioranza della popolazione mondiale.
Nel mondo, le imprese che controllano tutte le colture transgeniche coltivate commercialmente sono pochissime (Monsanto, Syngenta, DuPont-Pioneer, Dow, Bayer, Basf) e poiché sono in fase di fusione, saranno ancora meno. Sono le stesse che controllano più dei due terzi del mercato globale delle sementi ibride e degli agrotossici. Pertanto, sebbene i transgenici siano peggiori degli ibridi già esistenti, le multinazionali insistono nell’imporli poiché sono più costosi e generano maggiore dipendenza e più vendite di agrotossici.
Affinché  una tecnologia giunga sul mercato, non è necessario che sia buona e nemmeno che sia utile, basta semplicemente che quelli che la controllano detengano potere economico, politico e al bisogno, di corruzione. Tuttavia, malgrado le enormi quantità di denaro che l’industria biotecnologica ha speso in propaganda, marketing, lobbying o corruzione per fare leggi a suo favore, non ha ottenuto che la maggioranza delle persone la supporti e neppure che sia indifferente. In tutto il mondo, la maggioranza delle persone replicano che preferiscono non mangiare cibi transgenici. È un fatto molto importante: hanno invaso i mercati ma non sono riusciti a colonizzare la nostra mente.
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Immagine da ETC Group
I transgenici sono una tecnologia imprecisa e già obsoleta, anche se le imprese insistono nel coltivarli nei nostri paesi, con il fine di continuare a trarre profitto dai prodotti che già possiedono. Tuttavia, negli ultimi anni, l’industria biotecnologica e i laboratori da essa finanziati, hanno sviluppato altre tecnologie, che cercano di staccarsi pubblicamente dai transgenici, con il fine di eludere sia i regolamenti che la resistenza delle persone.
La maggioranza di queste nuove biotecnologie sono inglobate nel campo della biologia sintetica, che consiste nella costruzione in laboratorio di sequenze genetiche sintetiche per ridisegnare, “editare”,  sistemi biologici oppure sintetizzare genomi completi, vale a dire costruire organismi viventi, però di sintesi. Quest’ultima parte non è andata oltre a piccoli microorganismi, come i virus. Tuttavia, industriali pionieri come Craig Venter, hanno già costruito artificialmente tutto il genoma di un batterio ed esistono diversi progetti per assemblare sinteticamente organismi molto più complessi.
A differenza dei transgenici, dove all’inizio gli investimenti provenivano da piccole imprese, nell’industria della biologia sintetica sono entrati fin da subito i pezzi grossi: le più grandi imprese a livello mondiale del settore petrolifero, chimico, farmaceutico e dell’agrobusiness.  All’inizio la maggior parte dell’industria si è dedicata a cercare di modificare il metabolismo di microorganismi affinché, a partire dalla biomassa, producessero combustibili: sono riusciti a farlo in laboratorio,  ma è risultato difficile svilupparlo. Perciò, usando le stesse tecniche, si dedicano attualmente alla manipolazione del metabolismo di batteri e lieviti per sintetizzare composti  ad alto valore aggiunto, come principi farmaceutici, aromi, fragranze.
Tra gli altri, sono già stati prodotti o sono in fase di produzione, versioni di biologia sintetica di artemisia, vaniglia, zafferano, patchouli, vetiver, olio di cocco e di rosa, stevia, ginseng. L’industria li presenta come “naturali” perché sono prodotti in vasche per mezzo di microbi vivi modificati. Non si è indagato sugli impatti ambientali di  questi microbi transgenici 2.0, né su cosa succederebbe se, fuoriuscendo dai serbatoi, si riversassero negli ecosistemi e ancora molto meno si è indagato su quali impatti i prodotti derivati avranno sulla salute. Quello che si sa è che quasi tutte le sostanze botaniche che l’industria della biologia sintetica sostituisce o progetta di sostituire, sono attualmente il risultato del lavoro di milioni di contadine e contadini in diverse parti del mondo, per i quali questo attento lavoro di raccolta e coltivazione significa la loro unica fonte di reddito.
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Thailandia, opera naturale in campo di riso bio. Da Terranauta
Le imprese dell’agrobusiness e dei transgenici stanno avanzando  anche nell’utilizzo della biologia sintetica per manipolare altre piante e coltivazioni.  Ad esempio, esiste la tecnologia per creare erbe infestanti che siano più sensibili ai pesticidi, poiché uno dei limiti delle colture transgeniche è la comparsa, già molto diffusa,  delle “erbe super infestanti”, che sono resistenti ai loro agrotossici. In questo modo, potranno usarne ancora di più.
Allo stesso modo che con i transgenici, le imprese assicurano che la biologia sintetica è una panacea per risolvere i problemi di fame, salute e ambiente. Al contrario, è evidente che quello che vogliono con queste nuove tecnologie è  rinnovare i loro profitti, riciclando i loro transgenici obsoleti e cacciando le produzioni contadine.
La biologia sintetica procede molto rapidamente e praticamente senza alcun controllo, in agricoltura e anche in altri settori, con impatti economici, ambientali, di salute, potenzialmente molto gravi. La posizione del Gruppo ETC è lottare per una moratoria immediata sulla biologia sintetica, almeno per conoscere e discutere i suoi possibili  impatti. La questione è già in discussione  alla Convenzione della Diversità Biologica delle Nazioni Unite (che si riunirà in Messico a dicembre 2016), ma è solamente in seguito alle proteste delle persone, dei movimenti, delle comunità e delle organizzazioni, che prenderanno in considerazione questa richiesta.
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In sostanza,  oltre alla messa in discussione di questa nuova tecnologia, abbiamo bisogno di costruire una critica collettiva che non sia solo verso ciascuna tecnologia presa separatamente, ma che sia nei confronti della matrice tecno-scientifica dominante.

Silvia Ribeiro
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Pubblicato su Desinformemonos  con il titolo El sueño de la razón, los transgénicos y la biología sintética
Traduzione per Comune: Daniela Cavallo
fonte: http://comune-info.net

Patto con la terra. Pianteremo speranza

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Un appello per fermare la distruzione ecologica in corso, tra i promotori Vandana Shiva.

Un Patto tra cittadini per proteggersi e proteggere il Pianeta
L’umanità si trova sull’orlo di un abisso.
Abbiamo distrutto il pianeta, la sua biodiversità, il suolo e l’acqua. In appena duecento anni di era dei combustibili fossili, il cambiamento climatico minaccia il nostro presente e il nostro futuro. La distruzione ecologica e il saccheggio delle risorse stanno generando conflitti e violenze che si sono velocemente evolute in guerre in piena regola.
Un contesto di paura e di odio sta prendendo il sopravvento sull’immaginazione umana, lacerando il tessuto sociale costruito attraverso la diversità e la democrazia.
Abbiamo bisogno di coltivare i semi della pace con la Terra e tra di noi per una Democrazia della Terra fondata sulla comunità di una umanità e una Terra.
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1. Ci impegniamo a proteggere i nostri suoli e della biodiversità, perché è nel terreno vivente che si trova la prosperità e la sicurezza della civiltà.
2. I nostri semi e la biodiversità, i nostri suoli e la nostra acqua, la nostra aria, atmosfera e clima sono un bene comune. Non accettiamo l’appropriazione e la privatizzazione dei nostri beni comuni. Li reclameremo e recupereremo attraverso la cura, la cooperazione e la solidarietà.
3. I liberi semi e la biodiversità sono alla base della libertà alimentare e della resilienza climatica. Ci impegniamo a difendere la libertà dei semi come la libertà delle diverse specie di evolvere, nell’integrità, nell’auto-organizzazione e nella diversità.
4. Non accettiamo l’agricoltura industriale come una soluzione alla crisi climatica e alla fame. Noi rifiutiamo false soluzioni al mutamento climatico, come la geoingegneria, l’agricoltura “climate smart”, i semi “migliorati” con interventi di ingegneria genetica, o “intensificazione sostenibile”.

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5. Ci impegniamo a praticare e proteggere l’agricoltura ecologica su piccola scala, e sosterremo e creeremo sistemi alimentari locali in quanto questi possono nutrire il mondo e al contempo raffredare il pianeta.
6. Non accettiamo nuovi accordi commerciali di “libero” scambio basati sui diritti patrimoniali e sul principio della personalità delle corporations. Le corporations sono persone giuridiche a cui la società dà il permesso di esistere all’interno di limiti di responsabilità sociale, ambientale ed etica. Le corporations che hanno responsabilità per il cambiamento climatico sono soggette al Polluter Pays Principle (chi inquina, paga).
7. Le economie locali viventi proteggono la Terra, creano un lavoro significativo e pieno di senso e provvedono ai nostri bisogni e al nostro benessere. Noi non parteciperemo a sistemi di produzione e di consumo – compresa l’agricoltura industriale e il sistema alimenatre industriale – che distruggono i processi ecologici della Terra, il suo suolo e la biodiversità, e dislocano e sradicano milioni di persone dalla loro terra.
8. Ci impegniamo a creare vive democrazie partecipative e a resistere a tutti i tentativi di dirottare le nostre democrazie tramite potenti interessi. Ci organizzeremo sulla base di principi di condivisione, di inclusione, sulla diversità e sul dovere di prendersi cura l’un l’altro e del nostro pianeta.
9. Facciamo un patto per vivere consapevolmente come cittadini della Terra riconoscendo che la Comunità Terra comprende tutte le specie e di tutti i popoli nella loro diversità ricca e vibrante.
10. Pianteremo ovunque giardini di speranza, e coltiveremo i semi del cambiamento verso una nuova Cittadinanza Planetaria e per una nuova Democrazia della Terra basata sulla giustizia, la dignità, la sostenibilità e la pace.



fonte: http://comune-info.net