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Cosa fare per proteggere le api e gli impollinatori dagli insetticidi
















Se davvero si vogliono proteggere le api e gli altri impollinatori dalla catastrofica situazione in cui si trovano, è necessario rifondare la legislazione in materia di insetticidi e pesticidi, cambiandone radicalmente l’impostazione. A sostenerlo, dalle pagine di Nature, è Adrian Fisher, esperto in materia dell’Università dell’Arizona, che esprime un’opinione assai netta, e condivisa con 14 colleghi. Il primo dato di fatto è il fallimento delle normative attuali, con il clamoroso esempio dei neonicotinoidi, che Fisher definisce sistemico, in quanto del tutto incapace di proteggere gli impollinatori. Se si vuole cambiare, bisogna partire da un concetto fondamentale: che questi ultimi siano protagonisti ineludibili della sicurezza alimentare.

Chiare le linee guida suggerite da Fisher. Innanzitutto, prima di ottenere un via libera, un produttore deve dimostrare che il suo fitofarmaco non è tossico per gli impollinatori, e mettere a punto un protocollo per la verifica della tossicità a dosi subletali che includa lo studio del comportamento in situazioni ecologicamente realistiche. Bisogna poi rendere obbligatoria un’attività di analisi regolare sulle colonie di impollinatori, e prevedere test di tossicità da accumulo e da combinazione tra i diversi pesticidi e residui presenti nell’ambiente. Infine, è indispensabile affidare a enti pubblici terzi il controllo dei possibili effetti sul lungo termine, affinché emergano prima possibile eventuali tossicità impreviste.


Su Nature è stato pubblicato un appello per chiedere un cambiamento radicale delle norme per la protezione degli insetti impollinatori

Intanto, in attesa che i regolamenti e le norme seguano la direzione indicata da Fisher, uno studio dei ricercatori della Cornell University di Ithaca, New York, pubblicato su Nature Food, autorizza a sperare che almeno gli apicoltori possano disporre presto di un vero e proprio antidoto contro gli insetticidi. Secondo studi recenti, il 98% della cera e del polline degli Stati Uniti contiene sei tra i principali insetticidi usati nel mondo, alcuni dei quali noti per indebolire notevolmente il sistema immunitario delle api, rendendole così molto più suscettibili a infestazioni quali quella da Varroa.

Per questo i ricercatori newyorkesi, che hanno creato anche una start up (Beeimmunity) per commercializzare le soluzioni messe a punto, hanno cercato il modo di neutralizzare le sostanze tossiche che le api inevitabilmente assorbono con una sorta di finto polline ripieno di un enzima che, una volta entrato in circolo, le degrada. La sostanza, una fosfodiesterasi studiata contro i pesticidi organofosfati, viene somministrata in liquido zuccherino o insieme al polline (dal quale è indistinguibile). Così arriva all’apparato digerente, e il “guscio” protettivo delle particelle permette di oltrepassare intatta gli acidi dello stomaco delle api. Nell’intestino poi vengono scisse, liberando l’enzima che può agire, depurare l’organismo dell’insetto e neutralizzare il pesticida.

Un gruppo di ricercatori ha sviluppato un sistema per contrastare gli effetti dei pesticidi sulle api

Dopo i primi test in vitro molto positivi, gli autori sono passati a quelli sulle api in laboratorio, confrontando la sopravvivenza di api esposte all’organofosfato malathion nutrite o meno con l’antidoto. Mentre il 100% delle prime ha resistito anche alle dosi più alte, le seconde sono morte tutte entro pochi giorni.

In seguito è stata ideata anche un’altra versione dell’antidoto, questa volta sfruttando l’azione stessa dei pesticidi e in particolare dei neonicotinoidi, diretti specificamente contro alcune proteine degli insetti. Le palline di finto polline, in quel caso, sono stare realizzate proprio con quelle proteine, in modo da avere una sorta di spugna sferica che attiri tutto l’insetticida al suo interno, e che sia poi espulsa con le feci. I primi risultati, anche in questo caso, sono più che incoraggianti.

Ora tutti i test si sono spostati in 240 alveari del New Jersey, per sperimentare le diverse soluzioni non solo in un ambiente naturale, ma nella complessa realtà delle colonie. Se tutto andrà per il meglio, entro pochi mesi potrebbe essere messo in vendita uno di questi antidoti che, secondo le previsioni, dovrebbero essere anche molto economici (l’enzima è già prodotto industrialmente e ha numerosi altri impieghi) e facilissimi da gestire.

fonte: www.ilfattoalimentare.it



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Non solo api: i neonicotinoidi danneggiano anche crostacei e molluschi. I risultati di due studi australiani


Non solo le api e gli insetti impollinatori. I neonicotinoidi, insetticidi ancora molto usati, sebbene sotto accusa e già sospesi o vietati in diversi paesi, fanno danni anche in un ambito insospettabile: quello degli allevamenti di crostacei e di molluschi, nello specifico di gamberoni e ostriche. Il motivo, per i crostacei, va ricercato nell’appartenenza allo stesso phylum evoluzionistico degli insetti. La conseguenza è che la struttura del sistema nervoso è simile nei due gruppi, e ciò che danneggia quello degli insetti è molto pericoloso anche per i crostacei. Per quanto riguarda i molluschi, invece, il danno deriva dall’attività di filtraggio dell’acqua, che causa accumuli, intossicando l’animale, con alterazioni molto evidenti.

La dimostrazione del fatto che la presenza dei neonicotinoidi comporta effetti ad ampio raggio arriva da due studi condotti dallo stesso gruppo di ricerca, quello del National Marine Science Center della Southern Cross University di Coffs Harbour, in Australia, pubblicati insieme a un articolo riassuntivo sulle conoscenze attuali su tre riviste diverse.


Gli insettici neonicotinoidi sarebbero in grado danneggiare i crostacei, attaccando il loro sistema nervoso, come quello degli insetti

Il primo, uscito su Ecotoxicology and Environmental Safety, analizza l’effetto dell’imidacloprid, neonicotinoide ancora molto usato ma vietato all’aperto in Italia e in Europa, sui gamberi giganti indopacifici (Penaeus monodon) in specifici test condotti in laboratorio. I gamberoni sono stati esposti a due concentrazioni non letali di imidaclorprid sciolto nell’acqua (5 e 30 microgrammi per litro) o nel mangime (12,5 o 75 microgrammi per grammo), e poi analizzati dal punto di vista dell’accumulo nei tessuti e delle conseguenze sul loro benessere e sviluppo. Dopo soli quattro giorni i crostacei avevano accumulato fino a 0,350 microgrammi per grammo di peso da entrambe le fonti e, in seguito all’esposizione cronica, è stato registrato un calo ponderale e una riduzione dei grassi corporei, cambiati anche nelle proporzioni tra i diversi tipi, rispetto ai gamberoni di controllo.

Tutto ciò conferma che l’esposizione ai neonicotinoidi potrebbe avere effetti sull’alimentazione degli animali e, di conseguenza, sulle rese degli allevamenti, come spiegano gli stessi autori nell’articolo pubblicato su Chemosphere. Come sottolineano gli scienziati, inoltre, i neonicotinoidi, che arrivano ai crostacei da più fonti (mangimi, acque e sedimenti), possono essere assunti anche dagli esseri umani, e su questo non ci sono dati. Sarebbe invece quantomai opportuno effettuare studi specifici, vista la diffusione in tutto il mondo dei gamberoni di allevamento.


Secondo un altro studio sulle ostriche, i neoniconinoidi sono dannosi anche per i molluschi

Nello studio sulle ostriche, uscito su Science of the Total Environment, l’imidacloprid è stato somministrato alle ostriche (Saccostrea glomerata) coltivate in acque con due diverse concentrazioni di sale. Il risultato è stato che l’esposizione al neonicotinoide causa la modifica di molti parametri vitali, indipendentemente dal grado di salinità: sono ben 28 le proteine alterate, anche in questo caso con possibili effetti sul rendimento dell’allevamento, oltre che sulla salute umana.

L’ambito delle acquacolture si aggiunge insomma a quelli, già numerosi, minacciati o comunque danneggiati da queste sostanze, mentre mancano dati sul possibile accumulo negli esseri umani che tengano in considerazione anche questa possibile fonte.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Neonicotinoidi: tossici per le api e dannosi anche per le larve. Uno studio sulla pericolosità di questi pesticidi




I neonicotinoidi, gli insetticidi molto utilizzati ma anche in parte vietati o sospesi per la loro tossicità in particolare sul comportamento delle api, sono molto dannosi anche per le larve, e questo potrebbe contribuire a spiegare perché, laddove vengono impiegati, le popolazioni diminuiscono (spesso drasticamente). Per la prima volta infatti un team di ricercatori tedeschi, del Bee Research Institute of the Polytechnical Society dell’Università di Francoforte, è riuscito a documentare in diretta che cosa succede quando queste sostanze entrano in contatto diretto con i piccoli.
Per filmare ogni passaggio, i ricercatori hanno messo a punto quattro alveari con una parete trasparente su cui hanno appoggiato una telecamera specifica, che lavora con la luce infrarossa e quindi non disturba, e hanno studiato il comportamento delle nutrici alimentate con acqua zuccherata con o senza due tra i neonicotinoidi più usati, il Thiacloprid e il Clothianidin.
Di solito le uova vengono deposte dalla regina in spazi creati apposta e accuratamente puliti prima della deposizione. Una volta rilasciate, le uova sono nutrite da api nutrici per sei giorni. Alla fine di questa fase, le nutrici creano un tappo di cera che chiude il nido. Le larve, nutrite e al sicuro, possono così iniziare la metamorfosi, alla fine della quale avranno una testa, un corpo, delle zampe e delle ali: a tre settimane dalla deposizione sono pronte per uscire dal bozzolo e poi dai nidi, e sono diventate a tutti gli effetti api adulte.


neonicotinoidi api
In presenza di neonicotinoidi la metamorfosi rallenta

Come hanno raccontato e anche mostrato in un video (vedi sotto) gli autori su Scientific Reports, però, se nell’acqua zuccherata (che può essere paragonata al polline e al nettare di cui si nutrono normalmente le api) somministrata alla nutrice ci sono i neonicotinoidi, il comportamento di quest’ultima cambia: nell’arco della giornata nutre meno le larve e alla fine queste impiegano dieci ore di più, in media, per completare la metamorfosi. E questo intervallo potrebbe essere responsabile del mancato sviluppo di molte larve, perché permette al più temibile dei parassiti, la Varroa mite (e probabilmente non solo a questo) di svilupparsi molto più del solito, e di compromettere tutta la nuova generazione. La Varroa i fatti, come altri, se presente si trova nel nido prima della chiusura col il tappo; se tutto procede come previsto, e le uova impiegano i sei giorni standard, non riesce a fare danni troppo estesi. Se però il tempo a disposizione si allunga la situazione cambia e il parassita prolifera.
Oltre a ciò, poiché i neonicotinoidi agiscono direttamente su uno dei principali neurotrasmettitori del sistema nervoso, l’acetilcolina, interferiscono con il comportamento delle nutrici, e anche questo ha certamente un ruolo. In particolare, le nutrici fanno arrivare il nutrimento alle larve attraverso una gelatina che contiene anche acetilcolina: se ci sono i neonicotinoidi la concentrazione di acetilcolina cala molto, anche per piccole dosi di insetticidi, e ciò ha ripercussioni sullo sviluppo.
Gli autori non sanno dire quali di questi effetti sia predominate o se siano tutti quanti, insieme, a dare come esito finale un minor numero di api, ma di sicuro queste sostanze agiscono direttamente sulle 
nuove generazioni, decimandole.
 
fonte: www.ilfattoquotidiano.it 

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Pesticidi, stop al clorpirifos in Europa? Secondo l’Efsa l’insetticida non dovrebbe essere riautorizzato

















Il pesticida clorpirifos non deve essere riautorizzato. È questa, in poche parole, la raccomandazione dell’Efsa, che ha dato il suo parere preliminare sull’opportunità di concedere una nuova autorizzazione al controverso insetticida. Il periodo di approvazione del clorpirifos scadrà infatti nel gennaio e la domanda di rinnovo depositata dai produttori è tuttora sotto esame da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare.
Il parere dell’Efsa è stato pubblicato su richiesta della Commissione europea, a lavori per la revisione della sicurezza del clorpirifos non ancora terminati. Ma già con i dati a disposizione gli esperti hanno espresso preoccupazioni per i possibili effetti genotossici e neurologici che si possono verificare durante lo sviluppo. Timori sostenuti dai dati epidemiologici, secondo i quali i bambini sono la categoria più a rischio. Per questo motivo, spiega l’Efsa, non è possibile stabilire un livello di esposizione sicuro.
Il clorpirifos è un pesticida che appartiene alla categoria degli organofosforati ed è stato approvato per la prima volta nel 1965 negli Stati Uniti, con l’obiettivo di sostituire il famigerato DDT. Negli anni, tuttavia, molti studi hanno associato la sua presenza nell’acqua di falda e nei terreni a disturbi neurologici, soprattutto nei bambini.
Proprio a causa di questi studi, anche l’Environmental Protection Agency (Epa) americana era del parere che il clorpirifos dovesse essere bandito perché pericoloso per la salute. Questo almeno finché, con l’insediamento del presidente Trump alla Casa Bianca, a capo dell’agenzia non è arrivato Scott Pruitt, che ha subito deciso di non vietare l’insetticida, impedendo anche nuove rivalutazioni fino al 2022.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Moria di api in Friuli, 22 indagati per inquinamento ambientale





L'utilizzo di prodotti come insetticidi e antiparassitari nei campi di mais avrebbe causato uno spopolamento degli alveari. Lo rileva una indagine della Procura di Udine che ha portato al sequestro di 17 fondi agricoli
Diciasette fondi agricoli sequestrati e 22 indagati per inquinamento ambientale in Friuli Venezia Giulia. Nei campi di mais oggetto del provvedimento sarebbero infatti stati utilizzati prodotti vietati che avrebbero causato la moria di api e l'anomalo spopolamento degli alveari sul territorio.  

Le conseguenze dei prodotti fitosanitari vietati

L'indagine della Procura di Udine rivela che, alla base della moria di api e degli anomali spopolamenti degli alveari, a cui si assiste ormai da anni nelle campagne, italiane e internazionali, ci sarebbe l'utilizzo dei "neonicotinoidi", prodotti fitosanitari utilizzati in agricoltura come insetticidi e antiparassitari, vietati per concia delle sementi, cereali e colture che attraggono le api. I neonicotinoidi, infatti, farebbero perdere l'orientamento a questi insetti che, come conseguenza, non riuscirebbero più a trovare gli alveari. Nei giorni scorsi, anche l'Unione Europea ha messo al bando questi prodotti. Il divieto di utilizzo all'aperto sarà applicabile dalla fine del 2018.


L'indagine della Procura di Udine

Da marzo a giugno del 2016, la Procura di Udine ha monitorato un totale di 400 arnie vicine a campi di mais nella campagna friulana rilevando che la popolazione delle api da miele era calata da circa 60mila a 10-20mila unità. Secondo quanto accertato dagli inquirenti, le api riuscivano a stento a produrre il miele per il proprio sostentamento, causando un azzeramento della commercializzazione del prodotto. Per questa ragione, sarebbe stato necessario somministrare agli insetti apporti nutrizionali artificiali per evitarne la morte per denutrizione. L'attività d'indagine, coordinata dal pm Viviana Del Tedesco e delegata al Corpo forestale regionale Noava, avrebbe consentito di accertare l'impiego nelle colture di mais dei prodotti fitosanitari contenenti le sostanze vietate.

Le ipotesi di reato

Al termine delle indagini, il gip del tribunale di Udine, Daniele Faleschini Barnaba, ha disposto il sequestro dei terreni con l'inibizione a qualsiasi coltivazione che comportasse l'uso di neonicotinoidi vietati e la distruzione delle colture che le abbiano impiegate. In occasione delle notifiche dei provvedimenti, la Procura di Udine ha avviato anche ulteriori accertamenti per verificare l'impiego di un altro pesticida che provocherebbe la morte delle api. Anche in questo caso gli inquirenti ipotizzano l'inquinamento ambientale, ma al momento il fascicolo è a carico di ignoti.

fonte: tg24.sky.it