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Fiori dalle cicche di sigaretta a Capannori: seminate le prime piante

Entra nel vivo il progetto ‘Focus’ che trasforma uno dei rifiuti più dannosi in substrato per piante ornamentali. Capofila l’Università di Pisa.










CAPANNORI (Lu) – Dopo un anno di prove e analisi di laboratorio finalmente sono state seminate le prime piante: lavanda, salvia, rosmarino, oleandro e pungitopo.
Entra nel vivo il progetto ‘Focus’ (Filter of Cigarettes reUse Safely) che dà nuova vita ai micidiali mozziconi di sigaretta trasformandoli in substrato inerte per la coltivazione di piante ornamentali e arbusti. Una sperimentazione del genere non poteva partire che da Capannori, la capitale italiana della Strategia Rifiuti Zero.

Il progetto è promosso dal Centro Interdipartimentale “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa (capofila) in collaborazione con il Comune di Capannori, il Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Pisa e Ascit servizi ambientali, con il cofinanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.


Da sinistra, Lorenzo Guglielminetti dell’Università di Pisa, l’assessore Giordano Del Chiaro e il sindaco Luca Menesini.

Un primo quantitativo di mozziconi di sigaretta raccolti a Capannori, grazie agli appositi contenitori trasparenti che il Comune ha collocato in alcuni punti strategici, è approdato in laboratorio ed è stato utilizzato per ricavare tre lotti di substrato inerte. Sono state seminate 5 specie di piante: lavanda, salvia, rosmarino, oleandro e pungitopo. Per il mese di novembre saranno pronte circa 4 piante per ciascuna specie, quindi in totale 20, che saranno messe a dimora in un’aiuola o in uno spazio pubblico del territorio comunale.

Il progetto Focus prevede infatti che grazie a un’innovativa procedura i mozziconi di sigaretta da rifiuto altamente inquinante vengano trasformati in substrato inerte, cioè una base biodegradabile per la coltivazione di piante ornamentali e arbusti. E poiché nell’economia circolare non si butta via niente, dai residui della lavorazione dei mozziconi, usando particolari alghe, si otterrà una biomassa per la produzione di biocarburanti.

Piccoli ma altamente inquinanti, in quanto non sono biodegradabili, i mozziconi di sigaretta rappresentano tra il 22% e il 36% di tutti i rifiuti visibili. Ogni anno circa un milione di tonnellate finiscono nell’ambiente.
“Finalmente sono state seminate le prime specie ornamentali – dichiara il professor Lorenzo Guglielminetti dell’Università di Pisa, coordinatore del progetto -. Nel giro di alcune settimane avremo le piantine che passeranno dai semenzai ai vasi biodegradabili che contengono il substrato sperimentale e che saranno poi utilizzati per la piantumazione finale. Questo rappresenta un momento importante, il passaggio da un’innovazione sperimentale a un’applicazione tangibile e presto fruibile dai cittadini”.

fonte: www.toscanachiantiambiente.it


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Vivogreen Terni: Ridurre i rifiuti a partire dalla spesa

 









Come possiamo ridurre i rifiuti, partendo dalla spesa? Incontro con il Professore Carlo Santulli, docente presso l'università di Camerino, si parla di riduzione degli imballi, di riuso e di trasformazione degli scarti per creare nuovi materiali, e di biomimetica.



vivogreen srl



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L’ambiente e il calzolaio Indaco

Ogni giorno nel mondo aumenta la trasformazione dell’ambiente (vivente o no) in oggetti creati dall’uomo. Questa trasformazione richiede energia. Ciò che viene trasformato a lungo termine diventa rifiuto. Tutto questo è possibile grazie a un continuo e strutturatissimo coordinamento tra imprenditori, finanza e poteri statali. Che si distrugga il Canada per estrarne petrolio con il fracking o si riempiano gli Appennini di pale eoliche, lo scopo è solo di accelerare quel processo. L’energia eolica serve alla distruzione esattamente come quella fossile. Che fare? Ripartire dalla ormai nota e non applicata lezione delle tre R: ridurre, riutilizzare e riciclare. Ridurre la produzione, i consumi, la cementificazione, i trasporti, l’impatto antropico, il numero di contenitori prodotti, l’uso dell’energia qualunque sia, la pesca, la temperatura in casa d’inverno, le distanze tra chi produce e chi consuma. Tutte cose a pensarci gratuite, non ci vogliono mica ministeri, super laureati e miliardi per fare una transizione ecologica seria. Del resto, ricordate i calzolai? Guadagnavano dignitosamente quando aggiustavano le scarpe: non avevano dunque interesse a trasformare tutto in rifiuto. Conosciamo un produttore capitalista di scarpe che abbia lo stesso atteggiamento?

Foto di Germans Aļeņins tratta da Pixabay

Qualche anno fa, mi misi a riflettere sull’orrore di consumare e buttare spazzolini da denti fatti di plastica non riciclabile. Ed è davvero un orrore, basta moltiplicare per quanti siamo e pensarci un attimo. Così, ordinai un ecospazzolino, legno e bambù. Costava giustamente il doppio degli spazzolini in plastica, ma costava sempre poco. Lo spazzolino mi arrivò il giorno dopo. Un po’ meno funzionale dello spazzolino di plastica, e anche questo va bene. Quasi per caso, guardai la busta. C’erano segnate tutte le tappe che aveva fatto: tipo (non ho conservato la busta) aeroporto di Shenzen ore 3:32, Berlino Tempelhof ore 14:17, aeroporto di Parigi ore 17:21, Milano ore 21:12, deposito Piacenza ore 0.24, Sesto San Giovanni ore 4:22… Da allora, la cosa che chiamano ecologia la vedo sotto tutta un’altra prospettiva.

Uno studio uscito da poco ci informa che “l’insieme della massa creata dall’uomo eccede tutta la biomassa vivente”, Global human-made mass exceeds all living biomass.

Gli autori hanno fatto un confronto storico tra la “massa antropogenica” e la biomassa del pianeta. La massa antropogenica consiste nella “massa incorporata in oggetti solidi inanimati fatti dall’uomo (che non sono ancora stati demoliti o messi fuori servizio)”, quindi non comprende ciò che chiamiamo rifiuti. Nel 1900, la massa antropogenica era pari a circa il 3% della biomassa a secco. A partire dalla Seconda guerra mondiale, la massa antropogenica cresce di circa il 5% l’anno. Poi ha cominciato a raddoppiare ogni vent’anni. Il sorpasso avviene nell’anno 2020 (± 6), cioè più o meno adesso. Se però includiamo i rifiuti, il sorpasso è già avvenuto nel 2013 ± 5.

Attualmente, ogni settimana, ogni essere umano produce una massa antropogenica pari al proprio peso; ma, come potete vedere, sta aumentando… Abbiamo detto, biomassa a secco, comunque anche a umido, ai tassi attuali, il sorpasso arriverà nel 2037 ± 10.

Alcune riflessioni al volo. Stiamo parlando soprattutto di cemento, inerti, mattoni, cose in genere trascurate quando si parla di ambiente. Non stiamo parlando di CO2, né di particelle sottili nell’aria, né di pesci che scompaiono dai mari, né di scioglimento dei ghiacciai, né di deforestazione dell’Amazzonia. Eppure, sono tutte cose che vanno insieme. Insieme, costituiscono la tecnosfera. Dove, un amico mi ricorda, per ogni singolo essere umano, esiste una massa di circa 4.000 tonnellate tra vacche, mais, grattacieli, chiavette Usb e sacchetti di popcorn abbandonati.

La cosa fondamentale è la velocità dell’aumento: a guardare lo schema, vediamo che l’ultimo raddoppio risale a meno di vent’anni fa. Diciamo diciassette anni fa. Eravamo abituati ai vecchi che avevano visto il mondo cambiare. Ma immaginatevi per un momento di avere una figlia diciassettenne. Bene, è nata in un mondo antropizzato la metà di quello attuale.

Ora, cos’è che aumenta? Aumenta la trasformazione dell’ambiente (vivente o no) in oggetti creati dall’uomo: sabbia che diventa cemento, pesce vivente che diventa bastoncino Findus, suolo vivente che diventa parcheggio. Probabilmente, qualunque trasformazioni volessimo seguire, vedremmo un andamento simile a quello che si vede nel diagramma.

Questa trasformazione richiede energia. Tutte queste trasformazioni a lungo termine diventano rifiuti. Questo processo segue un ritmo in accelerazione che rispecchia il diagramma che vi abbiamo presentato sopra. E tutto questo è possibile solo grazie a un continuo e strutturatissimo coordinamento tra imprenditori, finanza e poteri statali.

A questo punto spero che riusciamo a guardare la questione ambientale con occhio diverso. Esiste un processo: la trasformazione dell’ambiente tramite l’energia, a velocità sempre crescente, prima in prodotto morto e poi in rifiuto.

Poi possiamo analizzare i singoli “rifiuti”, in senso lato: le api morte, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione dei mari, l’estinzione dei pesci, la siccità non solo nel Sahel, ma anche in Toscana…

Prendiamo la questione dei combustibili fossili cui oggi va di moda contrapporre le cosiddette “energie alternative” – eolico, solare, idroelettrico. Ci dicono che le energie “alternative” sarebbero meno dannose del carbone o del petrolio, anche se meno efficienti, e immagino che entrambe le affermazioni siano vere. Ma questo sarebbe vero solo a parità di consumo. Però il consumo dipende dalla velocità a cui si usa l’energia per trasformare le risorse in prodotti e poi in rifiuti. Guardate di nuovo la curva dell’accelerazione che si vede nel diagramma sopra. Che si distrugga il Canada per estrarne petrolio con il fracking o si riempiano gli Appennini di pale eoliche, lo scopo è solo di accelerare quel processo.

L’energia eolica serve alla distruzione esattamente come quella fossile.

Se i sauditi continueranno a venderci petrolio, l’eolico sarà un’utile aggiunta per accelerare ancora il processo; e se invece siamo davvero al picco del petrolio, aiuterà a non rallentare nemmeno per un attimo. A questo punto, credo che capirete perché è una menzogna associare le rispettabili forme di energia non fossili al “verde”, all’”ambiente” o cose simili.

Secondo. Se il vero problema è l’accelerazione del processo che trasforma l’ambiente, con l’uso dell’energia, in rifiuti, l’unica cosa sensata sarebbe la decelerazione, o meglio ancora, l’inversione di tendenza: la de-crescita. E su questo possiamo essere molto pratici e contenti di piccolissime cose, tipo quando si chiude per qualche giorno il Canale di Suez per merito di una nave di proprietà giapponese, ma che batte bandiera panamense, o il Comune concede una piazza per fare il mercato ai contadini del circondario anziché ai bancarellisti che si riforniscono ai mercati generali, o un magistrato nega il permesso a un nuovo complesso sciistico, o una persona anonima butta giù un’antenna 5G, o un proprietario non ha i soldi per tappare i buchi in cui i rondoni fanno i nidi. Ecco, queste sono reali vittorie ambientaliste. Sembrano molto piccole, ma è nella piccolezza tutta la loro forza.

Prendiamo invece la questione della popolazione. Nel 1900, c’erano circa 1,5 miliardi di esseri umani, oggi ce ne sono quasi 8 miliardi. È un aumento di oltre cinque volte. Ma se l’impatto antropico è cresciuto dal 3% al 100% (in confronto alle biomasse), abbiamo un aumento di trentatré volte. Da cui si capisce che la crescita economica è circa sette volte più un problema della crescita della popolazione. Insomma, ha ragione chi dice che l’aumento della popolazione è parte del problema. Ha torto chi dice che è il problema. 

Oppure prendiamo i rifiuti. Tutto ciò che è stato prodotto, prima o poi diventa rifiuto. Settant’anni fa, mi raccontano, c’era il calzolaio di nome Indaco (siamo in Toscana!), che arrivava nel paesino degli Appennini, e veniva ospitato nelle case per diversi giorni, per fare le scarpe per alcuni, e per aggiustare quelle degli altri. Indaco poteva guadagnare anche quando aggiustava, e quindi non aveva interesse a trasformare tutto in rifiuto. Conoscete un produttore capitalista di scarpe che abbia lo stesso atteggiamento? Tutti siamo impazziti sui rifiuti, perché i produttori fanno ciò che vogliono, poi ci vuole una laurea triennale in scienze ambientali per capire dove buttare la roba. E ci vuole un dottorato di ricerca, per capire cosa succede effettivamente dopo. Ad esempio, io ho capito che le fatture vanno nella “carta”, mentre gli scontrini (che lo stato italiano obbliga ogni commerciante a emettere) che invece sono stampati su carta chimica, vanno nel “misto”. Io ci sto attentissimo, e questo mi permette qualche effimero senso di superiorità verso chi non lo sa, ma risolve il problema dei rifiuti? No. Il problema dei rifiuti si affronta con le tre RI… RIdurre, RIutilizzare, RIciclare.

Ridurre va al primo posto. Ridurre la produzione, ridurre i consumi, ridurre la cementificazione, ridurre i trasporti, ridurre l’impatto antropico, ridurre il numero di contenitori prodotti, ridurre l’asfalto, ridurre l’uso dell’energia qualunque sia, ridurre la pesca, ridurre la temperatura in casa d’inverno, ridurre le distanze tra chi produce e chi consuma. Tutte cose a pensarci gratuite, non ci vogliono mica i miliardi per fare una transizione ecologica seria. Scoraggiare la gente dall’utilizzare l’auto è ecologico, ed è anche gratis. Sovvenzionare la produzione di nuove auto che emettono il 5% di inquinanti in meno, è antiecologico perché la produzione inquina più dell’utilizzo. E costa pure. Ma proprio perché non ci vogliono i miliardi, lo sappiamo tutti che non si farà.

fonte: comune-info.net


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Trasformatori europei a corto di plastica

EuPC denuncia il rischio di possibili interruzioni della fornitura di prodotti in plastica a causa dello shortage di materie prime e prezzi in costante ascesa.









Per lanciare un allarme sulla carenza di materie prime, sulle ripetute chiamate di Forza maggiore da parte dei produttori e sull'aumento dei prezzi scende in campo EuPC, la federazione europea delle aziende che trasformano materie plastiche, sottolineando l'impatto sulle filiere a valle che utilizzano manufatti e componenti in plastica.

Le scorte sono ormai al livello minimo e potrebbero verificarsi interruzioni della catena di approvvigionamento a livello continentale. L'associazione invita quindi i fornitori di polimeri a collaborare per risolvere questa difficile situazione prima possibile, al fine di non mettere in pericolo le forniture di beni essenziali.

I primi segnali di shortage - rileva EuPC - sono emersi nella seconda parte del 2020, in concomitanza con la ripresa dell'attività industriale dopo la sospensione imposta dall'emergenza pandemica e relativi lockdown. I trasformatori hanno aumentato la produzione, ma l'offerta di materie prime non è riuscita a tenere il passo.

“Da dicembre 2020 la situazione si è deteriorata rapidamente - spiega Alexandre Dangis, direttore di EuPC -. Le condizioni meteorologiche estreme negli Stati Uniti hanno comportato ulteriori cadute di produzione che hanno interessato anche il mercato europeo. Inoltre, i produttori europei hanno aumentato negli ultimi mesi il numero delle chiamate di Forza maggiore, come già riportato da Polymers for Europe Alliance a gennaio (leggi articolo)".


Secondo l'associazione dei trasformatori, la situazione è ulteriormente aggravata dalla carenza di container e dal repentino e rilevante aumento dei prezzi dei polimeri, fino a raggiungere livelli record nelle ultime settimane, rosicando i margini e la solidità finanziaria delle aziende trasformatrici.

"Ci sono circa 50.000 piccole e medie aziende di trasformazione della plastica in Europa che devono far fronte alla carenza di materie prime e a significativi aumenti di prezzo, senza avere potere negoziale nei confronti dei produttori multinazionali di polimeri - afferma il presidente di EuPC, Renato Zelcher (nella foto) -. Se questa situazione dovesse perdurare, sempre più aziende saranno costrette a ridurre la loro produzione, provocando uno shortage di prodotti in plastica come imballaggi alimentari, componenti per l'edilizia e l'industria automobilistica".

fonte: www.polimerica.it

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A Camigliano si inaugura il laboratorio 'conserve': recupera eccedenze della produzione agricola locale trasformandole in prodotti di alta qualità



Produrre passate di pomodoro, marmellate, succhi di frutta, composte, zuppe, trasformando prodotti ortofrutticoli provenienti da raccolti in eccedenza, riducendo lo spreco alimentare e valorizzando il cibo di filiera corta come elemento di economia circolare e civile, capace di mettere al centro la sostenibilità ambientale e la promozione umana.

Questa l'importante mission del progetto 'Conserve' che sabato 6 e domenica 7 febbraio inaugura il proprio laboratorio di trasformazione di prodotti ortofrutticoli situato a Camigliano, in una parte ristrutturata dei locali della Cooperativa 'Rinascita'. Nell'occasione è in programma un 'Open day' dalle ore 11 alle ore 17 di entrambi i giorni per far conoscere ai cittadini questa attività e far loro assaggiare i prodotti, nel pieno rispetto della normativa anticovid.
'Conserve' ha preso il via beneficiando del sostegno del Comune di Capannori accedendo a finanziamenti attraverso il crowdfunding nell'ambito di 'Circularicity'. Si è sviluppato grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, dell’8*1000 nell’ambito di un progetto quadro di Caritas italiana e del supporto della Caritas di Lucca e a un finanziamento della Regione Toscana che ha sancito il passaggio di Calafata a cooperativa di comunità.


Il progetto, infatti, può contare su un’ampia rete di soggetti del territorio che ne hanno curato l’ideazione e la messa in opera: Arcidiocesi di Lucca- Caritas, Cooperativa Agricola Calafata, Cooperativa l’Unitaria, Cooperativa 'Rinascita', Cooperativa sociale Odissea, Slow Food Lucca Compitese e Orti Lucchesi, Cooperativa Solidando Equinozio, Ass. Scuola ti voglio bene comune, Laboratorio Sismondi, Ristopain. Il progetto si colloca inoltre nel percorso delineato con la 'Piana del Cibo'. L’iniziativa è stata presentata questa mattina (giovedì) con una conferenza stampa svoltasi nella sede del laboratorio. Vi hanno partecipato il vice sindaco del Comune di Capannori, Matteo Francesconi, Donatella Turri direttrice di Caritas Lucca, Luca Angeli, della Cooperativa Agricola Calafata, responsabile commerciale e coordinatore del progetto Conserve, Enrico Cecchetti presidente della Cooperativa 'Rinascita', Marco Del Pistoia della Cooperativa l'Unitaria, Massimo Rovai, della Cooperativa Solidando – Equinozio, Giorgio Dal Sasso presidente della Piana del Cibo.

'Conserve' ha come obiettivo principale quello di recuperare le eccedenze della produzione agricola della Piana di Lucca o prodotti che per difetti estetici non possono essere commercializzati come freschi trasformandoli in prodotti di alta qualità, alimentando una filiera solidale, coinvolgendo persone fragili, investendo sui loro talenti, su tradizioni e saperi che rischiano di essere dimenticati. Laddove altri vedrebbero uno scarto, 'Conserve' riconosce una risorsa e intuisce un’opportunità per la comunità.
All’alta sostenibilità ambientale, il progetto affianca un investimento sui temi dell'inclusione lavorativa, immaginando percorsi di inserimento e formazione per soggetti portatori di fragilità. Attualmente nel laboratorio lavorano 4 persone, di cui 2 vulnerabili.
Il progetto assume anche una forte valenza nello sviluppo della filiera agricola locale, dotando i produttori della possibilità di usufruire come contoterzisti di un servizio di trasformazione finora assente sul territorio. La destinazione dei prodotti non si esaurisce solo nel canale della loro commercializzazione, ma prevede anche di rifornire mense sociali o sostenere famiglie in difficoltà.

“Siamo davvero molto soddisfatti che il progetto 'Conserve' diventi operativo con l'apertura di un laboratorio di trasformazione di prodotti ortofrutticoli locali provenienti da eccedenze - afferma il vicesindaco, Matteo Francesconi-. Un progetto innovativo sostenuto fin dall'inizio dalla nostra amministrazione che poi si è sviluppato grazie anche al sostegno della Regione Toscana che lo ha inserito tra le Cooperative di Comunità e la collaborazione di molti soggetti. I suoi obiettivi sono importanti e pienamente condivisibili: dalla lotta allo spreco alimentare, alla valorizzazione della filiera corta e del cibo locale, fino allo sviluppo di nuova occupazione con un occhio di riguardo alle persone vulnerabili. Significativa anche la sua valenza sociale, poiché alcuni prodotti saranno destinati a coloro che sono in difficoltà”.

“Conserve è un’esperienza di economia civile che guarda lontano e indica una strada di sviluppo locale basata sul protagonismo delle persone, anche le più fragili, e sul pieno rispetto dell’ambiente e dei prodotti locali”- sottolinea Donatella Turri, alla direzione di Caritas Lucca.


I prodotti di 'Conserve' possono essere acquistati direttamente presso il laboratorio di trasformazione a Camigliano, al negozio della Cooperativa L'Unitaria di Porcari, nel negozio 'Equinozio' sul baluardo San Colombano a Lucca, nei mercati dove è presente la cooperativa Calafata (Foro Boario, Piazza San Francesco, Piazzale Verdi a Lucca) e presso i ristoranti 'Mecenate' (via del Fosso Lucca), Osteria dello Stellario (Piazza San Francesco, Lucca) e Osteria da mi pa' (Gragnano).

Per informazioni www.conservelucca.it: pagina Facebook:@ConserveLucca.

Gallery




















fonte: www.comune.capannori.lu.it

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Giuseppe, responsabile laboratorio Astelav Ri-generation - Torino - Venerdi 25 settembre 2020

 










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Ezio, dipendente del negozio Ri-generation di Porta Palazzo - Torino - Venerdi 25 settembre 2020

 












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A due anni dalla tempesta Vaia, Ikea riqualifica un’area boschiva in Alto Adige

Grazie al progetto “Effetto VAIA” di Ikea Italia, oltre 4000 nuovi alberi saranno restituiti al territorio di Corvara (BZ), una delle aree più colpite dalla tempesta.









16 milioni di alberi e 41mila ettari di bosco che non esistono più: la tempesta VAIA che si è abbattuta sul territorio al confine fra Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 2018 ha messo in grave pericolo il patrimonio boschivo e la biodiversità del nostro Paese, modificando il paesaggio e l’immagine stessa del territorio.
A due anni da quell’evento drammatico che ha causato l’abbattimento di 1 milione e 500 mila metri cubi di legname solo in Alto Adige, IKEA dà vita ad “Effetto Vaia”, un circolo virtuoso che restituisce una nuova speranza al territorio colpito dalla tempesta. Il legno delle foreste di Corvara (BZ) è infatti stato utilizzato per realizzare 20.000 librerie BILLY e 5.000 ante TRÄARBETARE, in edizione limitata, il cui acquisto contribuisce a sostenere il progetto per la riqualificazione e il rimboschimento delle aree coinvolte.
Grazie al progetto “Effetto VAIA” IKEA Italia ha quindi avviato un progetto di riqualificazione e rimboschimento nel comune altoatesino: 3.000 nuovi alberi e 1.000 da rinnovazione naturale, una tecnica che mira a salvaguardare l’ecosistema del bosco, andranno a ricucire la ferita inferta ai boschi da Vaia. L’attività rientra nell'ambito della campagna “Mosaico Verde”, un grande progetto nazionale di forestazione ideato e promosso da AzzeroCO2 e Legambiente.
La piantumazione e la gestione dei nuovi alberi avverranno in aree boschive già certificate secondo i principi del Forest Stewardship Council (FSC), con cui IKEA Italia collabora da sempre per garantire i massimi standard in merito alla gestione responsabile delle foreste e della trasformazione del legno.

fonte: www.greencity.it


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Dalle “macerie” della tempesta Vaia nasce l’edificio in legno più alto d’Italia

Parte degli alberi abbattuti dalla violenta tempesta del 2018 hanno iniziato un processo di rinascita e trasformazione. Una seconda vita che oggi assume anche le forme di un nuovo progetto edilizio verde dedicato al social housing
















A volte la sostenibilità riesce ad mettere radici anche nella distruzione. Ne è un esempio l’edificio in legno più alto d’Italia, progetto di greenbuilding nato dalle “macerie” della tempesta Vaia. Quando nel 2018, il maltempo ha investito il Triveneto con venti di scirocco che soffiavano a 200 km/h, l’impatto sull’ambiente è stato devastante. L’evento meteorologico ha provocato la distruzione di 42.500 ettari di foreste e lo schianto al suolo di milioni di alberi. In un panorama naturale completamente stravolto, uno dei problemi emersi nel post disastro è stato riuscire a gestire gli oltre 9 milioni di metri cubici di legname abbattuto.

Secondo gli esperti ci vorranno anni per rimuovere dai boschi tutto il legno caduto, ma è importante operare al massimo della velocità perché il materiale tende a deteriorarsi e a non essere più utilizzabile. Ma soprattutto rischia di divenire coltura per nuove infezioni parassitarie. Come quella del bostrico (Ips typographus L), minuscolo insetto che si sviluppa sulle piante deperienti ma è in grado di attaccare anche quelle sane, aumentando ulteriormente il danno forestale.

In realtà, molto si è già fatto. Attualmente spiega PEFC Italia, organismo garante della certificazione di gestione sostenibile del patrimonio forestale, quasi la metà di questo legname è stato esboscato. Nel dettaglio, circa il 60% del legno è stata recuperato e venduto e i lavori procedono a pieno ritmo. Ritmo tenuto alto grazie anche ad una serie di progetti virtuosi che puntano a sostenere le zone colpite

Un cuore sociale per l’edificio in legno più alto d’Italia

Tra questi rientra a pieno titolo anche l’edificio in legno più alto d’Italia, realizzato al 100% proprio con gli alberi abbattuti dalla tempesta Vaia. La costruzione sorgerà a Rovereto nell’area ex Marangoni Meccanica e sarà destinata all’edilizia sociale. Con i suoi 9 piani per 29 metri d’altezza, una volta completato l’immobile si guadagnerà di diritto il record nazionale. Il progetto comprende anche un altro edificio di 5 piani, realizzato allo steso modo con legname recuperato, previa ingegnerizzazione ad opera di X-Lam Dolomiti.

Entrambe le costruzioni portano la firma di Ri-Legno a cui è stata commissionata l’opera da Rovim Srl e Finint nell’ambito di un progetto di social housing. La scelta del materiale ha permesso di ridurre drasticamente l’impronta climatica dei due edifici, sia perché il legno ha un costo energetico di produzione e smaltimento molto più basso rispetto il calcestruzzo, sia perché costituisce un pozzo naturale di carbonio.

“Il risparmio di emissioni rispetto all’edilizia tradizionale è dell’ordine del 50-70%”, spiega Francesco Dellagiacoma, neo eletto presidente del PEFC Italia. “Quella che abbiamo di fronte è il futuro dell’edilizia; un elemento centrale del green deal cui l’Italia è chiamata a partecipare per contribuire all’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% e contenere gli effetti della crisi climatica, come indicato dall’UE”. L’effetto climatico complessivo (stoccaggio + riduzione delle emissioni) è di 3.700 tonnellate di CO2 in meno; pari alle emissioni di 3 anni di tutte le persone che abiteranno nel complesso. Oltre al buon record verde, l’edificio in legno più alto d’Italia sarà caratterizzato anche da un importante valore aggiunto dal punto di vista sociale. Insieme al secondo palazzo ospiterà 68 famiglie, offrendo alloggi e servizi abitativi a prezzi contenuti.

fonte: www.rinnovabili.it


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Quando il riciclo della plastica diventa arte

Sarà capitato a molti di ritrovare pezzi di plastica appartenenti ad un oggetto che, se non attaccati a quello, perdono la loro utilità. Non è così per Lady Be, un’artista italiana che trasforma la plastica a fine vita in opere d’arte.














Letizia Lanzarotti, in arte Lady Be, ha trovato un modo per esprimere la sua arte e al tempo stesso sensibilizzare il pubblico sul tema del riciclo degli oggetti a lei molto a cuore.

Questa giovane artista di Pavia, il cui nome d’arte esprime il suo amore per i Beatles, è celebre in Italia e all'estero per i suoi mosaici fatti interamente da materiali di scarto di plastica come tappi, bottiglie, vecchi giocattoli e oggetti di bigiotteria; i risultati sono davvero sorprendenti, con colori vivaci e che attirano l’attenzione. I soggetti rappresentati sono principalmente ritratti di celebri artisti e personaggi storici.





I materiali utilizzati per comporre i mosaici sono oggetti che tutti abbiamo avuto almeno una volta nella vita, Lady Be li cerca nei mercatini o durante delle passeggiate, li taglia e modella e li archivia poi per colore utilizzandoli nella fase creativa. Gli oggetti più strani con cui le è capitato di lavorare sono stati bigodini, cavi elettrici, bambole e giocattoli rotti levigati dall'acqua di mare. La filosofia dell’artista dietro ogni suo quadro è quello di utilizzare solo materiali che hanno avuto una vita precedente e dargli un nuovo scopo e tutelare al tempo stesso la natura lanciando un messaggio alle persone per riflettere sull'importanza del corretto utilizzo e smaltimento dei rifiuti contro la tendenza del consumismo e della politica dell’usa e getta.




Dopo la scuola d’Arte e l’Accademia di Belle Arti è nato il suo primo mosaico di 150x150cm raffigurante il ritratto di Marylin Monroe, realizzato con i giochi di plastica accumulati da bambina e nel tempo dall'artista stessa. Nonostante gli studi per disegno classico però, l’interesse dell’artista per il riutilizzo di materiali riciclati era già radicato in lei, facendole sostituire pennellate e pittura con oggetti di plastica riciclati, lucidati con la resina e proponendo una tecnica simile al mosaico.

L’aspetto peculiare delle opere di Lady Be è quello di risvegliare ricordi collegati a ciascun oggetto utilizzato, se l’opera viene vista da vicino, mentre se vista da lontano si riconosce il soggetto da lei rappresentato.





Come già detto l’artista si concentra soprattutto sui ritratti in quanto suscita un impatto e interesse maggiore sulle persone e può essere utilizzato come veicolo per far passare messaggi importanti quali il riciclo della plastica o la protesta contro la violenza sulle donne come nel caso dell’opera d’arte raffigurante una Barbie col volto tumefatto composta da tanti piccoli pezzi della famosa bambola. Altre opere riconducibili all'artista sono i ritratti di David Bowie, Salvador Dalì, Papa Francesco e i Beatles di cui è stata proposta anche un’opera d’arte da cui era possibile staccare un pezzetto e portarselo a casa come ricordo.

fonte: https://www.soluzioniplastiche.com


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New York ha trasformato la discarica di rifiuti più grande del mondo in un’oasi verde di piante native

Dopo la chiusura della discarica più grande del mondo, la Fresh Kills landfill, i funzionari e le organizzazioni no profit dello Stato di New York hanno facilitato una transizione che ha trasformato quello che era un enorme deposito di spazzatura in un’oasi verde per piante native.



Parliamo dell’ex discarica di Fresh Kills che una volta convogliava tutta la spazzatura di New York City, un luogo dagli odori pestilenziali e la cui vista, fatta di cumuli di rifiuti, si dice abbia raggiunto i 20 piani di altezza.

Ora quella discarica, ormai chiusa (dal 2001), è stata trasformata in un’immensa area verde, tre volte più grande di Central Park. Il desiderio di convertirla in un parco ha portato il Department of City Planning a ospitare un concorso internazionale di progettazione: il progetto per la creazione del più grande parco di New York City che è stato vinto dalla società Field Operations.

La conversione, come possiamo immaginare, non è stata facile e ha coinvolto oltre che tanta mano d’opera anche alcuni branchi di capre, introdotte nel 2012 per la loro capacità di ripristino ecologico.

Camion con milioni di tonnellate di terra ricca di ferro sono stati portati dal New Jersey per coprire i teli di plastica impermeabile che, a loro volta, isolavano e “coprivano” i cumuli di rifiuti, mentre i tubi di estrazione del metano convogliavano i fumi dei detriti sotterranei nelle case di Staten Island per alimentare il riscaldamento e le stufe.

Successivamente, sono stati piantati alberi e costruiti abbeveratoi di cemento per convogliare rapidamente l’acqua piovana lontano dalle colline dei rifiuti.

Il verde, che ora ricopre circa 150 milioni di tonnellate di spazzatura, è stato assicurato in tutta l’area grazie alla riscoperta di specie erbacee autoctone che forniscono anche l’habitat perfetto agli uccelli della zona.

Sono state proprio le erbe autoctone piantate a Freshkills ad attirare una popolazione sempre più numerosa di uccelli, inclusa la più grande colonia di passeri locustella nello Stato di New York.

Mancano ancora alcuni mesi alla riapertura ufficiale dell’area, il piano prevede tra l’altro un’apertura in più fasi: a partire dalla Fase 1 di North Park, in cui 21 acri saranno aperti al pubblico la prossima primavera, a quella finale in cui si potrà accedere a tutti i 2.200 acri del parco (entro il 2036).

Il sito web di Freshkills Park presenta alcune immagini che consentono di comprendere meglio la portata della trasformazione, lasciando la possibilità di immaginare cosa c’era prima. Potete farvi un’idea anche dal seguente video.




Una trasformazione lenta, difficile ma estremamente importante di un’area che viene in questo modo rivalutata e restituita ai cittadini.

Fonte: The New York Times


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Dal Texas, il procedimento per trasformare la CO2 in combustibile liquido

Un gruppo di ricercatori della Rice University, di Houston, ha messo a punto un reattore che trasforma il diossido di carbonio in acido formico puro.



















Un team di ricercatori della Rice University è riuscito a sviluppare un processo che utilizza l’anidride carbonica come materia prima per produrre combustibile liquido: lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature Energy e promette di rivoluzionare settori come quello delle celle a combustibile per i mezzi a idrogeno.

Il reattore catalitico sviluppato dal laboratorio della Rice University dell’ingegnere chimico e biomolecolare Haotian Wang utilizza la CO2 come materia prima e, nel suo ultimo prototipo, produce concentrazioni altamente purificate di acido formico. 

“L’acido formico è un vettore energetico. È un combustibile che può generare elettricità ed emettere anidride carbonica, che puoi raccogliere e riciclare di nuovo – ha spiegato Wang –È anche fondamentale nel settore dell’ingegneria chimica come materia prima per altri prodotti e un materiale di stoccaggio per l’idrogeno che può contenere quasi 1.000 volte l’energia dello stesso volume di idrogeno, che è difficile da comprimere”.
I tradizionali dispositivi che producono acido formico necessitano di complicati e costosi processi di purificazione. Il team del professor Wang è riuscito invece a elaborare un procedimento che produce direttamente acido formico, senza necessità di ulteriori passaggi.

Due i progressi hanno reso possibile il nuovo dispositivo: da una parte lo sviluppo di un robusto catalizzatore di bismuto bidimensionale (un atomo particolarmente pesante e stabile) dall’altra quello di un elettrolita a stato solido che elimina la necessità di sale come parte della reazione per produrre acido formico.

Nei test condotti presso la Rice University, il nuovo elettrocatalizzatore ha raggiunto un’efficienza di conversione energetica di circa il 42%, generando acido formico ininterrottamente per 100 ore con una degradazione trascurabile dei componenti del reattore, compresi i catalizzatori su scala nanometrica. Secondo il professor Wang, inoltre, il reattore potrebbe essere facilmente riorganizzato per produrre prodotti di maggior valore come acido acetico, etanolo o propanolo.

fonte: www.rinnovabili.it

Essity trasforma gli scarti delle arance in tovaglioli e fazzoletti

Consumare sempre meno cellulosa proveniente dagli alberi e ricavarla dagli scarti agroalimentari e dalla paglia: è l'impegno di Essity, leader nel settore dei prodotti per l'igiene.





Gli scarti della lavorazione di arance, mais e caffè diventano fazzolettini, tovaglioli, carta da cucina e carta igienica: è il nuovo progetto di Essity, una delle più importanti aziende globali nel campo dell’igiene e della salute. Crush – questo il nome della carta, biodegradabile e biocompostabile – è un’idea tutta made in Italy, già introdotta nei processi produttivi degli stabilimenti toscani.

Ma come funziona, nello specifico? L’intuizione risale a circa quattro anni fa, quando Essity ha incontrato Favini, storica cartiera del vicentino che ha già sperimentato con successo la carta a base di fagioli e lenticchie. Poi, dietro le quinte, tanto lavoro di ricerca scientifica, test, selezione dei fornitori. L’obiettivo è quello di ridurre il fabbisogno di alberi e utilizzare invece la fibra contenuta negli scarti di produzione di mais e caffè oppure nel pastazzo di arance, cioè quell’insieme di residui di bucce, polpa e semi che rimane al termine della produzione industriale di succhi di frutta.



Essity trasforma gli scarti delle arance in tovaglioli e fazzoletti © Essity

Il 28 maggio a Milano è arrivato il momento di svelare il risultato: una carta dermatologicamente testata, ipoallergenica, morbida e raffinata, certificata con il marchio Ecolabel. Una carta in cui, soprattutto, il 15 per cento della cellulosa è ricavato dai sottoprodotti alimentari e il processo di lavorazione richiede meno sostanze chimiche rispetto a quello della fibra interamente riciclata, in un’ottica di economia circolare.



Il pastazzo di agrumi è il residuo umido che rimane dopo la produzione di succo. Rappresenta circa il 50 per cento del peso della frutta processata © Graphic Node / Unsplash
La carta si fa anche con la paglia

Consumare il meno possibile le risorse della natura, alberi in primis, è una delle sfide per cui Essity si sta spendendo. Se in Italia la soluzione arriva dagli scarti alimentari, a livello globale si scommette sulla paglia. Merito di Phoenix Process, una tecnologia sviluppata e brevettata in esclusiva dalla società statunitense Sft, inedita per l’industria del tissue (cioè la carta igienica sanitaria).

Quest’innovazione è ancora un work in progress: per ora l’azienda ha investito circa 37 milioni di euro nello stabilimento di Mannheim, in Germania, per implementare i macchinari capaci di convertire la paglia da grano in carta bianca, morbida e resistente, paragonabile a quella prodotta con la cellulosa degli alberi. L’avvio della produzione è in programma per il 2020. “Sceglieremo materie prime locali, vicine agli stabilimenti produttivi, e riutilizzeremo i residui del processo produttivo come fertilizzante naturale”, spiega l’amministratore delegato di Essity Italia Massimo Minaudo.

Essity, i traguardi raggiunti in Italia

Essity, che fino al 2017 si chiamava Sca Hygiene Products, è un nome che deriva dalla fusione di due parole inglesi: essentials e necessity. Nonostante l’apparenza anglofona, l’azienda ha le sue radici in Svezia e nel 2017 si è quotata alla Borsa di Stoccolma. “Abbiamo una strategia di sostenibilità globale che prevede due grandi obiettivi da raggiungere entro il 2030: ridurre del 33 per cento il nostro impatto ambientale e contribuire al benessere di 2 miliardi di persone”, ha spiegato Massimo Minaudo il 28 maggio a Milano, nel corso di una mattinata dedicata proprio al tema della sostenibilità. “A ogni singolo paese spetta il compito di declinare queste linee guida”.

Ha risposto all’appello anche l’Italia, dove l’azienda è nota soprattutto per i marchi Tena, Libero, Demak’up, Nuvenia, Tempo, Tork, Leukoplast, Jobs e Actimove. Nel nostro paese Essity è presente con tre stabilimenti produttivi, tutti in Toscana e dedicati al comparto tissue, oltre a una sede commerciale in provincia di Milano e una sede BSN Medical in Brianza. I risultati raggiunti negli ultimi anni sono tangibili: meno 4 per cento nei consumi di energia tra il 2015 e il 2018 e meno 11 per cento delle emissioni di CO2 tra il 2010 e il 2018.

Nel 2015 lo stabilimento di Altopascio ha introdotto un impianto di filtrazione dell’acqua piovana, un prototipo per il settore tissue, che ha permesso di sforbiciare del 20 per cento l’approvvigionamento di acqua dalla falda sotterranea, risparmiando l’equivalente di dieci piscine olimpioniche. Più di recente è stato il turno dello stabilimento di Lucca, che ha investito in un nuovo impianto di trattamento delle acque reflue a elevata automazione.

fonte: www.lifegate.it

Da rifiuti a nuovi oggetti: il riciclo aumenta quando si spiega ai consumatori come si trasformano i materiali


















La quota di raccolta differenziata raggiunta dipende anche dal tipo di messaggio veicolato ai consumatori, che può fare una grande differenza. In generale, infatti, è molto più efficace un invito a trasformare ciò che si butta via in qualcosa di nuovo e utile, piuttosto che raccomandare di separare i rifiuti per fare bene all’ambiente. Lo hanno dimostrato i ricercatori dello Smeal College of Business dell’Università della Pennsylvania, che hanno compiuto sei diversi esperimenti, riportati sul Journal of Marketing e giunti tutti a conclusioni dello stesso segno.
Nel primo, infatti, i ricercatori hanno invitato i partecipanti a riciclare un incarto, sottoponendo loro diverse immagini. Gli autori hanno visto che il maggiore successo si ha quando la carta torna a essere carta, con l’80,5% di raccolta differenziata, seguito dal messaggio secondo cui la carta diventerà un oggetto di natura diversa, per esempio una chitarra (79,1%) e da quello che non esprime nulla in merito al destino dell’incarto (50,9%).
riciclo materiali nuovi oggetti
I consumatori riciclano di più quando si spiega loro in cosa si trasformeranno i rifiuti
Nel secondo hanno dimostrato come i consumatori che vedono i prodotti ottenuti con il riciclo (per esempio, quante cover per cellulari si possono ottenere da una bottiglia di acqua) differenziano nell’87,7% dei casi, mentre quelli che leggono una generica affermazione sull’impegno dell’azienda al riciclo lo fanno di meno (71,1%).
Nel terzo hanno sottoposto ai partecipanti tre messaggi: uno relativo a una generica nuova vita del prodotto (controllo), uno incentrato su quanto petrolio si risparmierebbe riciclando (generico) e uno specifico, che traduceva in nuove bottiglie di plastica il rifiuto, e dimostrato che quest’ultimo è il più incisivo, seguito dal secondo e dal primo.
Gli altri tre studi sono stati condotti in ambiti reali. Nel primo i ricercatori hanno studiato la campagna di Google Ads per il riciclo dei jeans e scoperto che le risposte (cioè i click) raddoppiano (0,26%) quando si mostra l’intero ciclo vitale del tessuto, rispetto a quando non lo si fa (0,18% dei click).
riciclo plastica cover cellulari
Spiegare in che modo e in cosa si possono trasformare i rifiuti riciclati spinge i consumatori a separare i materiali
Nel secondo, un gruppo di tifosi universitari di football hanno riciclato il 58,1% di quello che avevano portato allo stadio quando è stato spiegato loro che fine avrebbero fatto i rifiuti, mentre quelli cui non era stato detto nulla di specifico hanno differenziato solo il 19% dei rifiuti.
Infine, nell’ultimo esperimento gli autori hanno verificato che cosa succedeva in due punti per la raccolta differenziata di due campus universitari. Quando la segnaletica stampata indicava, anche in questo caso, i possibili prodotti finali del riciclo, la quantità di ciò che era avviato alla discarica era pari al 51,5%, mentre quando non era così specifica finiva in discarica il 62,9%.
Il risultato sembra dunque inequivocabile: quando il consumatore sa che fine fanno i suoi rifiuti in un’ottica circolare ricicla più volentieri. Di questo – concludono i ricercatori – si dovrebbe tenere conto quando si programmano raccolte differenziate e campagne di sensibilizzazione.
fonte: www.ilfattoalimentare.it