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Il nuovo packaging in carta riciclabile al 100% di Pasta La Molisana

 #InnamoratiDellAmbiente

Quest’anno vi presentiamo un formato e soprattutto un pack nuovo, interamente riciclabile nella carta. Il nostro cambio epocale parte da qui! Non smetteremo mai di migliorarci, perché non ci sentiamo mai arrivati.



La sostenibilità parla al cuore e il desiderio di pensare al futuro delle prossime generazioni ci ha spinto ad un cambio radicale: un nuovo pack interamente riciclabile nella carta.



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Ricerca. Il 96% degli italiani chiede che il packaging da asporto sia sostenibile e facile da riciclare

A rivelarlo un nuovo studio di Pro Carton. Il take away è amato soprattutto nel Sud. Al primo posto: Reggio Calabria, poi Cagliari e Catania. Ad ordinare sono più uomini che donne


Il packaging da asporto deve essere non solo sostenibile, ma anche facile da riciclare. È quello che emerge con parere quasi unanime (96%) da nuova ricerca, commissionata da Pro Carton - associazione europea che riunisce i produttori di cartone e cartoncino - condotta su un campione di 1005 intervistati, che ha voluto approfondire cosa pensano gli italiani sull’imballaggio d’asporto.

Buona volontà
La buona volontà degli italiani è confermata dal fatto che il 56% degli intervistati pulisce e ricicla l’imballaggio d’asporto, se possibile. Per il 10%, invece, è un vero tormento, la cosa che più odiano fare, mentre il 34% non lo ricicla o la fa raramente. Tra le motivazioni che portano a buttare il packaging usato per l’asporto - riciclabile - nell’indifferenziata figurano: troppo complicato da ripulire (55%), ingombro elevato (18%), il non sapere cosa può essere riciclato e cosa invece no (17%), mentre il 12 % ammette che l’obiettivo dell’asporto è proprio quello di risparmiare tempo nel ripulire e l’11% che è troppo trambusto dover pulire i contenitori.

Reggio Calabria regina del take away
La ricerca ha inoltre sorprendentemente rivelato che la città in cui si ordina più cibo d’asporto è Reggio Calabria (con una media di circa 5,5 volte al mese), seguita da Cagliari (5,1 volte/mese) e Catania (4,8 volte/mese). Fanalini di coda nell’asporto risultano invece Livorno (1,3 volte/mese), Trieste (2,2 volte/mese), Torino (2,5 volte/mese) e Milano (2,7 volte/mese). La fascia d’età più interessata al takeaway è quella tra i 35 e i 44 anni (4.5 volte al mese), seguita da quella 22-28 e 29-34, con una media di 4,3 volte al mese. A consumarne meno sono invece gli over 65 con una media di 2,2 volte al mese. Nonostante non ci sia una grande differenza tra uomini e donne, i primi ordinano di più: 3,7 volte al mese contro 3,3 delle donne.

Tony Hitchin, Direttore Generale di Pro Carton, ha dichiarato: “La domanda di cibo d’asporto è aumentata nel 2020 a causa dei diversi lockdown nazionali. Questa ricerca fornisce uno spunto di riflessione per i brand che mirano a ridurre l’impatto ambientale, che dipende in parte dalla scelta del packaging per confezionare i loro cibi. Gli italiani si mostrano volenterosi, ma spesso confusi su cosa e come differenziare l’imballaggio d’asporto. Oggi sempre più contenitori per il takeaway sono in cartone, dai bicchieri, alle coppette del gelato, ai contenitori per insalate o panini, e dunque facilmente riciclabili se puliti dai residui di cibo”.

fonte: www.e-gazette.it


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Piattaforme del riciclo allo stremo. 5 proposte per evitare il blocco delle raccolte differenziate

L’allarme lanciato al termine dell’Assemblea Pubblica delle piattaforme di trattamento dei rifiuti riciclabili
















Siamo in piena emergenza e a breve saremo costretti a rifiutare nuovi conferimenti di rifiuti da avviare a riciclo. Chiediamo a Governo e Parlamento di attivare quanto prima un tavolo tecnico di confronto tra istituzioni e piattaforme del riciclo per superare l’attuale fase di empasse e scongiurare il concreto e diffuso rischio di blocco delle raccolte differenziate”.
E’ questa la richiesta emersa al termine dell’Assemblea Pubblica delle piattaforme di trattamento dei rifiuti riciclabili, tenutasi presso la sede di FISE Unicircular (l’Associazione delle imprese dell’economia circolare) e che ha visto la partecipazione delle Associazioni APEC (Associazione piattaforme economia circolare) e ASSOPIREC (Associazione delle piattaforme di recupero) e di numerose altre imprese di selezione e recupero, alla presenza delle aziende AMA SpA ed Hera Ambiente SpA.
La situazione di emergenza per questo settore è diventata oggi esplosiva a causa di diversi fattori: la mancanza di sbocchi per il “blocco” dell’export in Cina, Indonesia e altri paesi del Far East, e la riduzione della capacità di assorbimento delle industrie utilizzatrici dei materiali di recupero (cartiere, vetrerie, produttori di pannelli in legno, industrie di trasformazione della plastica, ecc.) hanno causato difficoltà nel collocamento dei materiali recuperati e il crollo generalizzato dei prezzi di questi ultimi sul mercato; l’auspicato aumento quantitativo delle raccolte differenziate non è sempre accompagnato da un aumento qualitativo, proprio mentre oggi la domanda di materie prime secondarie si sta concentrando in maniera crescente su materiali più "puri" e con elevati standard qualitativi.
E’ diventato pertanto sempre più strategico nel ciclo di gestione dei rifiuti il ruolo delle piattaforme di selezione, trattamento e recupero, ad oggi non sufficientemente rappresentate nei e dai consorzi per il recupero, anche nell'ambito degli accordi nazionali con l’ANCI.
Le Associazioni e le imprese riunite in un’Assemblea aperta hanno deciso così di inviare a Ministero dell’Ambiente, Parlamento e Regioni la richiesta formale di attivazione di un tavolo di lavoro per superare questa emergenza, che metta a confronto le istituzioni con gli operatori su misure concrete da avviare urgentemente. Cinque le proposte operative avanzate per uscire dall’emergenza:
  1. promuovere l'adeguamento e il miglioramento tecnico degli impianti con incentivi agli investimenti per aumentare la qualità dei processi e dei materiali/prodotti ottenuti dal riciclo;
  2. avviare a soluzione il problema della carenza degli sbocchi di mercato attraverso: l’agevolazione e lo snellimento delle procedure per l’esportazione dei materiali selezionati; il coinvolgimento, in base al principio della responsabilità del produttore, del CONAI e dei relativi consorzi per individuare e promuovere sbocchi aggiuntivi; la promozione dell’applicazione dei CAM e nuove misure di sostegno all'acquisto o all’utilizzo delle materie/prodotti provenienti dal riciclo (es. IVA ridotta) in modo da evitare o colmare il divario concorrenziale tra questi ultimi e le materie naturali/vergini;
  3. facilitare lo smaltimento degli scarti di lavorazione delle aziende del riciclo privilegiandoli, nell’applicazione delle relative tariffe, rispetto al conferimento delle frazioni indifferenziate; al contempo, rispondere al crescente fabbisogno impiantistico di smaltimento attraverso la creazione di nuovi impianti o l’ampliamento di quelli esistenti con procedure più snelle e tempi certi;
  4. in via straordinaria ed urgente per questo periodo di transizione, fare fronte alle limitazioni autorizzative degli stoccaggi presso gli impianti per evitare il blocco dei conferimenti e, di conseguenza, delle raccolte differenziate;
  5. prevedere una congrua rappresentanza degli operatori del settore negli organi di governo del sistema nel suo complesso e delle singole filiere (come peraltro previsto dalle norme di settore).
fonte: www.ecodallecitta.it

Stoviglie in plastica monouso, Federdistribuzione pronta all’addio entro il 30 giugno 2020

Negli oltre 15mila punti vendita e supermercati associati acquistano 60 milioni di persone ogni settimana. Ma con quali prodotti verranno sostituite?



















Dopo l’iniziativa di Unicoop Firenze sui prodotti in plastica monouso è l’intero comparto di Federdistribuzione – con oltre 15mila punti vendita sparsi lungo lo Stivale e un parco clienti da 60 milioni di persone alla settimana –  a prendere posizione in merito: «Elimineremo le stoviglie in plastica monouso dai nostri punti vendita ben prima che entri in vigore la legge», dichiara il presidente Claudio Gradara facendo riferimento alla direttiva Ue approvata a marzo, che pone restrizioni sul mercato delle plastiche monouso entro il 2021 ma che è ancora in attesa di essere adottata all’interno dell’ordinamento normativo italiano.
«Con le imprese associate abbiamo preso un impegno preciso – dettaglia Gradara – Dal 1° luglio di quest’anno affiancheremo ai prodotti in plastica monouso altri prodotti in materiale riciclabile (ma anche gli attuali imballaggi in plastica monouso sono avviabili a riciclo, ndr) e compostabile, offrendo una concreta alternativa ai clienti, ed entro il termine massimo del 30 giugno 2020 tutte le stoviglie in plastica monouso usciranno definitivamente dai nostri scaffali. Non escludo che alcune aziende possano anticipare questi tempi».
Si tratta di un impegno importante e di ampio impatto sulla filiera della distribuzione organizzata italiana, ma non è ancora chiaro se e come le plastiche tradizionali monouso verranno sostituite con altri prodotti monouso in altri materiali. Come noto infatti la direttiva introduce nuovi e più sfidanti obblighi per l’avvio a riciclo di alcuni prodotti in plastica, per il maggior impiego di plastica riciclata, e proibisce l’immissione al consumo di alcune categorie di beni monouso come posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande e bastoncini per palloncini.
L’obiettivo dichiarato è quello di  porre un freno all’inquinamento provocato dai rifiuti marini – in larga parte composti da materiali plastici – che ormai affollano i nostri mari, ma per raggiungere il target non è sufficiente sostituire i prodotti in plastica tradizionale monouso con, ad esempio, gli stessi prodotti in bioplastica compostabile; un punto sul quale si è espressa chiaramente anche l’industria di settore. «Le bioplastiche – ha sottolineato nei giorni scorsi Marco Versari, presidente di Assobioplastiche – sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale. Non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali».

Ciò non toglie che, quando possibile, sostituire la plastica tradizionale con quella biodegradabile permette di fare a meno di una risorsa non rinnovabile come il petrolio, oltre a ridurre gli impatti ambientali in caso di dispersione dei rifiuti nell’ambiente, ma per affrontare il problema alla radice occorre ridurre i beni monouso – di qualsiasi tipo – immessi sul mercato a favore di quelli durevoli, e soprattutto evitare che i rifiuti vengano dispersi nell’ambiente. Al contrario occorre conferirli negli appositi contenitori, in modo che una volta differenziati possano essere avviati a riciclo attraverso impianti industriali dedicati (la cui presenza sul territorio è dunque imprescindibile) e diventare infine nuovi prodotti da re-immettere sul mercato, anziché spazzatura galleggiante nei nostri mari.

fonte: www.greenreport.it

Le cassette del pesce in polistirolo messe al bando per salvare i mari dalla plastica















I mari sono inquinati dalla plastica, ma anche il pesce pescato può inquinare. In un anno sono 14mila le tonnellate di polistirolo utilizzato per il trasporto e la vendita della merce ittica, su un totale di 20mila tonnellate di polistirolo destinate al settore alimentare italiano. Numeri da capogiro, considerando che il polistirolo è un prodotto monouso e con uno scarso valore di mercato come rifiuto riciclabile.

Eataly, con le sue sette pescherie lungo il Paese, vuole favorire la salvaguardia dell’ambiente.

A Slow Fish, iniziativa di Slow Food a Genova dal 9 al 12 maggio con a tema Il mare: bene comune, Eataly ha presentato il suo primo tassello per un mosaico del cambiamento: sostituire le casse in polistirolo con casse in polietilene riciclabili.

Il contenitore, sviluppato con il consorzio nazionale Polieco, può essere riutilizzato per cinque anni con la possibilità di essere riciclato a fine vita. Al punto vendita di Roma sarà avviata la sperimentazione in collaborazione con la cooperativa di pescatori di Civitavecchia. Solo loro producono ogni mese uno scarto di 25mila cassette di polistirolo al mese


Marcello Favagrossa, responsabile marketing e comunicazione Eataly

“Da parte di Eataly questo intervento non è un episodio singolo, ma è un’attenzione che fa parte del nostro dna”, afferma Marcello Favagrossa, responsabile marketing e comunicazione Eataly. “Da un paio di anni come operatori nell’ambito del commercio del pesce avevamo avuto la segnalazione dell’emergenza della plastica nei mari. Le nostre pescherie hanno un prodotto di altissima qualità, ma con il paradosso di produrre migliaia di tonnellate al mese di polistirolo monouso, che diventa subitorifiuto”, aggiunge. Polistirolo che, quando si riduce a dimensioni inferiori ai 5 millimetri, se gettato in mare, rientra nella catena alimentare. 

Pesce al mercato(foto di Chuttersnap su Unsplash)

Da qui l’idea di stravolgere il lavoro e la logistica delle pescherie dei punti vendita a Torino, Pinerolo, Milano, Roma e nei negozi a vocazione marinara come Genova, Bari e Venezia. Sarà proprio Genova la prima a seguire l’esempio di Roma. Le cassette, una volta che Eataly le avrà svuotate, verranno riconsegnate lavate ai fornitori che, a loro volta, provvederanno a una seconda fase di lavaggio. Si tratta di un vuoto a rendere a uso prolungato.

«Oggi continuiamo un percorso teso a ridurre al massimo il nostro impatto complessivo: abbiamo dei fornitori storici con cui c’è un’intesa forte sul tema e che sono molto ricettivi. La sensibilità è andata crescendo nel tempo. Tra settembre e ottobre Eataly dichiarerà il manifesto del packaging pulito e giusto per tutti i prodotti e i processi», chiude Favagrossa.

fonte: www.wired.it

Ecco che fine fanno gli imballaggi

Rifiuti, ecco che fine fanno gli imballaggi in plastica immessi al consumo in Italia Nonostante le iniziative “plastic free” nel 2018 ne abbiamo consumate 2.292.000 tonnellate, più dell’anno precedente: il 44,5% a stato avviato a riciclo, il 43% a recupero energetico e il 12,5% in discarica



















Lo sdegno verso la plastica si presenta oggi come uno dei principali trending topic nella coscienza ambientalista nazional-popolare, ma i numeri ci informano che in realtà ne consumiamo più di prima (almeno sotto forma di imballaggi). L’assemblea ordinaria di Corepla – il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli Imballaggi in plastica – ha approvato http://www.corepla.it/bilancio-e-programmazione il bilancio dell’esercizio 2018 e la nuova edizione del Rapporto di sostenibilità http://www.corepla.it/documenti/00372fcb-1b53-4d3b-a08e-26c1c38692f1/Rapporto+di+Sostenibilita%CC%80+2018.pdf, che fotografa i principali trend del settore: il primo, che condiziona tutti gli altri, è che nell’ultimo anno in Italia sono state immesse al consumo 2.292.000 tonnellate di imballaggi in plastica, in crescita rispetto alle 2.271.000 del 2017 http://www.corepla.it/documenti/c5fcc5ca-cff0-44d4-9482-781b64d8f30c/Rapporto+di+sostenibilita%CC%80+2017.pdf e di quelle di almeno sei anni a questa parte.
Naturalmente questo non significa che una volta cestinate siano tutte andate ad inquinare i nostri mari; questo accade appunto quando i rifiuti vengono gettati all’aria aperta anziché conferiti attraverso la raccolta differenziata alla filiera industriale che è chiamata a gestirli con responsabilità. Tutto questo ha un costo, abbisogna di impianti industriali dedicati sul territorio e di un mercato in grado di assorbire i prodotti riciclati.
L’attività di Corepla ad esempio è stata finanziata nel 2018 attraverso ricavi pari a 639,241 milioni di euro, di cui solo il 22% derivanti da vendite per riciclo (un dato comunque in crescita del 35,5%) e per circa il 72% dal Cac (Contributo ambientale Conai); a sua volta Corepla ha girato ai Comuni oltre 351 milioni di euro «per sostenere i maggiori costi della raccolta differenziata», che appunto è tutt’altro che gratis (e più il servizio si fa complesso, come nel caso del porta a porta, più costa).
È bene ricordare al proposito che la raccolta differenziata non è un fine in sé, ma «rappresenta lo strumento indispensabile per giungere al fine del riciclo». Nel 2018 la differenziata ha superato le 1,2 milioni di tonnellate (+13,6% sul 2017), e in parallelo è cresciuto anche il suo avvio a riciclo, pari a a 643.544 tonnellate (+9,7%), mentre 383.057 ton sono andate a recupero energetico – per il 71% nei cementifici e per il 29% nei termovalorizzatori dove sono presenti, dunque soprattutto al nord –, e altre 89.421 in discarica (tutti tonnellaggi in crescita, dato l’incremento dell’immesso al consumo). Aggiungendo poi alle 643.544 tonnellate i quantitativi di imballaggi in plastica riciclati da operatori industriali indipendenti, provenienti dalle attività commerciali e industriali (376.000 t), si ottiene il quantitativo complessivamente riciclato di imballaggi in plastica a livello nazionale: 1.019.544 tonnellate.
È importante sottolineare che non è possibile riciclare al 100% tutto il contenuto che vediamo nel cassonetto o nel mastello in cui buttiamo i nostri rifiuti: insieme agli imballaggi in plastica c’è un’ampia fetta di frazione estranea (oltre 110mila tonnellate), poi altri scarti di processo, e anche il riciclo – come ogni processo industriale – crea nuovi rifiuti; per questo la gerarchia europea dei rifiuti prevede passaggi successivi, e dopo il riciclo ricomprende anche recupero energetico e discarica. Aumentare la raccolta differenziata da sola non basta, anzi: «Il ricorso allo smaltimento in discarica – precisa Corepla – è risultato necessario sia per l’aumento della frazione estranea non riciclabile e non recuperabile energeticamente presente nella raccolta differenziata, sia per i residui prodotti in aree in cui gli impianti di termovalorizzazione e/o i cementifici mancano, oppure non sono in condizione di ricevere tali frazioni».
Il metodo più efficace per ridurre i rifiuti in plastica è semplicemente quello di consumare meno plastica, e la direttiva europea http://www.greenreport.it/news/rifiuti-e-bonifiche/divieto-della-plastica-monouso-entro-il-2021-ok-dal-parlamento-europeo/ che mette al bando alcuni prodotti monouso entro il 2021 guarda proprio in questa direzione (con alcune importanti aziende, come Unicoop Firenze http://www.greenreport.it/news/consumi/unicoop-firenze-rinuncia-a-vendere-piatti-bicchieri-e-posate-in-plastica-monouso/, che stanno già anticipando i tempi); perché la mossa sia davvero ecologica è necessario però incoraggiare l’impiego di imballaggi riutilizzabili, non semplicemente spostare il consumo dai prodotti monouso in plastica tradizionale a quelli monouso in plastica biodegradabile http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/la-lezione-delluniversita-di-plymouth-buste-biodegradabili-non-esistono-pasti-gratis/, o verso altri prodotti monouso in cartone, alluminio, etc. Questo però non sempre è possibile, e in ogni caso rappresenta una sfida importante per le aziende di settore – in Italia occupano 110mila persone http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/la-filiera-della-plastica-italiana-chiede-un-credito-dimposta-per-favorire-i-materiali-riciclati/ – che necessitano di essere accompagnate nella transizione verso modelli di consumo più sostenibili. Ecco dunque tornare l’importanza del riciclo (sottolineata anche dalla sopracitata direttiva Ue) e della necessità di incentivarlo concretamente: alla Camera è allo studio una pdl http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/crediti-dimposta-per-riciclo-e-riuso-ecco-cosa-prevede-la-pdl-approvata-ieri-alla-camera/ che introduce per la prima volta crediti d’imposta sia il riuso che il riciclo degli imballaggi, e sarà interessante seguirne gli sviluppi. Finora purtroppo sono sempre finiti con un buco nell’acqua.


fonte: www.greenreport.it

CONIP, cassa in plastica riciclata esempio virtuoso di economia circolare

L’innovativa cassa in plastica riciclata messa a punto dal Consorzio Nazionale Imballaggi Plastica trova il suo maggiore impiego nel settore ortofrutticolo ed è il primo esempio di closed loop in economia circolare













Una cassa in plastica riciclata certificata e riciclabile al 100% impiegata nel settore ortofrutta. È quella messa a punto dal Consorzio Nazionale Imballaggi Plastica (CONIP) che, grazie all’ideazione del meccanismo closed loop, utilizza la materia prima seconda proveniente dal riciclo dei suoi imballaggi per produrre questa particolare tipologia di cassa. Con 86.000 tonnellate di casse prodotte nel 2017, il modello CONIP, descritto nel primo Green Economy Report, realizzato in collaborazione con la Fondazione Sviluppo Sostenibile, consente ogni anno di risparmiare oltre 40 milioni di euro di importazioni di petrolio, pari al costo di 770.000 barili di greggio, e 133.000 tonnellate di materia prima vergine, pari al peso di 13 Tour Eiffel, evita l’emissione di 148.000 tonnellate di gas serra (pari all’inquinamento prodotto da 60.000 auto in un anno) e consente di risparmiare 2,2 milioni di GJ di energia 599 milioni di litri d’acqua (pari alla capienza di 240 piscine olimpioniche.
L’innovativa cassa in plastica messa a punto da CONIP trova il suo maggiore impiego nel settore ortofrutticolo, dato che le sue caratteristiche la rendono idonea a preservare le proprietà organolettiche e nutrizionali dei prodotti, assicurando tra l’altro standard igienici e ottime performance nella catena del freddo. Il Consorzio ha messo a punto oltre 400 modelli di casse, riuscendo così a coprire al meglio le esigenze del mercato a cui si rivolge. 

Il Consorzio Nazionale Imballaggi Plastica è attivo da 20 anni sul territorio nazionale e, con i numeri che riesce a generare, rappresenta una realtà affidabile che fa da esempio nell’economia circolare. Con la sua attività, il CONIP offre un beneficio economico al sistema paese che supera complessivamente 1 miliardo di euro, una somma pari al valore di 13.000 barili di petrolio. Il suo punto di forza è la capacità di mantenere un rapporto stretto e virtuoso con produttori, utilizzatori, raccoglitori, riciclatori, tutti attori coinvolti nel circuito consortile.

fonte: www.rinnovabili.it

Gelatoo è il contenitore in porcellana e sughero per il gelato takeaway.



Un alloggio prezioso, che ripensa le convenzionali modalità usa e getta legate al consumo del gelato fuori dalla gelateria. Gelatoo impiega materiali di origine naturale, sughero e porcellana, che per le loro qualità preservano freddo e gusto di questo alimento. 
L’innovativo contenitore, nato dal felice incontro tra ifi e il designer Matteo Ragni, esprime la volontà di nobilitare un’abitudine di consumo che appartiene al vissuto dei tanti amanti del gelato. 
Così, da oggi, il gelato viaggerà in un contenitore elegante e comodo, per abitare nel tempo con la sua bella presenza tavole e case, nostre e di amici, in ogni occasione conviviale che celebri il rito del gelato.












fonte: https://www.ifi.it

Nestlé annuncia l’uso di imballaggi riciclabili entro 2025



















La Nestlé userà imballaggi riciclabili o riutilizzabili per i suoi prodotti entro il 2025. Un annuncio ambizioso che punta a eliminare dal packaging le plastiche non riciclabili. I rifiuti di plastica sono “uno dei maggiori problemi di sostenibilità che il mondo affronta oggi – ha dichiarato il Ceo di Nestlé, Mark Schneider – Affrontarlo richiede un approccio collettivo. Siamo impegnati a trovare soluzioni per ridurre, riutilizzare e riciclare. La nostra ambizione è arrivare entro il 2025 ad un packaging riciclabile o riutilizzabile al 100%”.

L’annuncio della multinazionale svizzera è stato fortemente criticato dall’associazione ambientalista Greenpeace che lo ha bollato come un’iniziativa di sola facciata – indicata come “greenwashing” – “Le dichiarazioni odierne di Nestlé sugli imballaggi in plastica includono alcuni elementi di greenwashing, con cui l’azienda svizzera non affronta concretamente la crisi globale dell’inquinamento da plastica che essa stessa ha contribuito a generare – ha dichiarato Graham Forbes, responsabile della campagna oceani di Greenpeace -. Il piano di Nestlé non va verso la riduzione della plastica monouso, rischiando di stabilire uno standard di basso livello per l’intero settore. Una società delle dimensioni di Nestlé dovrebbe ridurre – e gradualmente eliminare – l’impiego di plastica usa e getta, consapevole del fatto che il riciclo della plastica non basta a proteggere i mari del Pianeta”.

La petizione di Greenpeace per eliminare gli imballaggi di plastica – Proprio poco tempo fa Greenpeace aveva lanciato una petizione con la quale chiedeva alle multinazionali di eliminare l’uso del packaging inquinante:

“Le grandi aziende devono smettere di vendere prodotti, confezioni e imballaggi in plastica monouso… prima che la Terra diventi un Pianeta di Plastica! Unisciti a noi e chiedi a grandi aziende come Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Unilever, Starbucks, Procter & Gamble e McDonald’s di prendere le distanze dalla plastica usa-e-getta”, citava la petizione. “Per anni ci è stato detto che riciclare è la soluzione – prosegue il documento -. La verità è che oltre il 90% della plastica non è mai stata riciclata! Produciamo sempre più plastica e il riciclo da solo non basta. Riciclare è un gesto importante, ma la responsabilità di questo disastro non può essere scaricata sui cittadini: se il mare è pieno di plastica la colpa è soprattutto di chi per profitto continua a produrla, venderla e utilizzarla, anche se non necessaria”.

fonte: www.rinnovabili.it