Il “peggioramento” della qualità dell’ambiente riguarda in
modo estremamente diverso sia le classi sociali che i paesi. Alcuni
godono i vantaggi del possesso di più merci e sono più responsabili
degli inquinamenti, altri non riescono a soddisfare neanche i loro
bisogni essenziali e sono danneggiati dal peggioramento dell’ambiente.
Il dominio del denaro fa in modo che le cose buone vadano dai paesi
poveri a quelli ricchi e le nocività dai paesi ricchi a quelli
poveri. Il caso più emblematico è quello dei mutamenti climatici: i
paesi ricchi, con i loro elevati consumi di combustibili fossili,
immettono nell’atmosfera grandi quantità di gas serra; i paesi poveri,
pur avendo bassi consumi energetici, subiscono gravi danni a causa delle
piogge improvvise che allagano i campi o della siccità che asciuga le
limitate riserve idriche
La politica ha (dovrebbe avere) la funzione di soddisfare i bisogni delle persone:
bisogni di cibo, di acqua, di abitazione, bisogno di respirare aria
pulita, di salute, di informazione e istruzione, di mobilità, di dignità
e libertà, eccetera. Per soddisfare questi bisogni, anche quelli apparentemente immateriali, occorrono cose materiali:
frumento e mulini, acquedotti e gabinetti, cemento e vetro per le
finestre, libri e banchi di scuola, letti di ospedale, veicoli e strade,
eccetera.
Tali cose materiali possono essere ottenute soltanto trasformando, col lavoro, delle materie naturali:
i raccolti dei campi diventano pasta alimentare o conserva di pomodoro e
queste vengono trasportate nei negozi e poi arrivano alle famiglie; i
minerali vengono trasformati in acciaio e questo diventa lattine per
alimenti, o tondino per le costruzioni di edifici; gli alberi vengono
trasformati in carta e questa in giornali o libri.
In ciascuna di queste trasformazioni delle materie naturali in
oggetti utili, capaci di soddisfare, appunto, bisogni umani, i campi
perdono una parte delle loro sostanze nutritive minerali, i mezzi di
trasporto immettono nell’atmosfera gas nocivi, si formano scorie e
rifiuti solidi, liquidi, gassosi che finiscono nel suolo o nei fiumi o
nell’aria. Una circolazione natura-merci-natura alla fine della quale i
campi risultano meno fertili, le acque e l’aria più inquinate. Il “peggioramento” della qualità dell’ambiente riguarda però molto diversamente le diverse classi sociali e i diversi paesi. Alcuni
godono i vantaggi del possesso di più merci, e sono maggiormente
responsabili degli inquinamenti, altri non riescono a soddisfare neanche
i loro bisogni essenziali e sono danneggiati dal peggioramento
dell’ambiente.
Il caso più emblematico è rappresentato dai mutamenti climatici: i
paesi ricchi, con i loro elevati consumi di combustibili fossili,
immettono nell’atmosfera grandi quantità di gas serra; i paesi poveri,
pur avendo bassi consumi energetici, subiscono gravi danni a causa delle
piogge improvvise che allagano i campi o della siccità che asciuga le
limitate riserve idriche. I paesi
ricchi possono disporre di grandi quantità di alimenti di buona qualità
importandoli dai paesi poveri che li ottengono da monocolture che hanno
sostituito la loro agricoltura di sussistenza.
I paesi ricchi importano
minerali e fonti energetiche per le loro industrie da paesi poveri a cui
restano terre desolate e inquinate. Molti rifiuti
solidi e inquinanti dei paesi ricchi vengono smaltiti, con processi
dannosi e pericolosi, nei paesi poveri. E’ la globalizzazione
capitalistica: per denaro le cose buone vanno dai paesi poveri a quelli
ricchi e le nocività vanno dai paesi ricchi a quelli poveri. Il degrado
dell’ambiente ha dato vita a movimenti di protesta, ma anche la protesta
ambientalista può assumere diversi colori. Ad esempio davanti ad una
acciaieria inquinante alcuni chiedono di chiuderla; altri riconoscono
che l’acciaio è essenziale per tanti altri settori della vita umana, può
essere fatto con processi alternativi, meno inquinanti, che consentono
di salvare l’occupazione.
Alla contestazione ecologica ci sono due reazioni; il
potere economico si sforza di minimizzare la portata umana dei danni
ambientali esaltando i vantaggi per l’economia e la gioia che viene
assicurata dal possesso di crescenti quantità di merci, del superfluo e
del lusso. D’altra parte talvolta
le organizzazioni dei lavoratori, davanti al pericolo che più rigorose
norme ambientali possano compromettere il loro posto di lavoro, sono
disposte ad accettare i danni ambientali che compromettono la salute
loro, dentro la fabbrica, e quella delle loro famiglie, fuori dal
cancello della fabbrica.
Per superare gli atteggiamenti populistici ed egoistici di quelli che
vogliono i benefici della tecnica purché i disturbi e le nocività
danneggino qualcun altro, altrove, una
sinistra ha (avrebbe) di fronte una sfida che richiede la
collaborazione e la solidarietà dei popoli inquinati e dei lavoratori.
Una rivoluzione che parta dall’analisi dei bisogni umani, di quelli
essenziali da soddisfare anche con un costo ambientale, e dei processi e
materie e mezzi con cui soddisfarli tenendo conto dei vincoli fisici
imposti dal carattere limitato delle risorse della natura e della
limitata capacità dei corpi della natura di ricevere le scorie delle
attività umane.
Un processo difficile perché il
capitale finanziario, dopo aver saziato le domande delle classi e dei
paesi più abbienti, per dilatarsi inventa sempre nuovi bisogni da far
credere essenziali anche alle classi meno abbienti. Ha
inventato macchine che invecchiano rapidamente, che devono essere
sostituite con sempre “più perfetti” aggeggi, per la cui conquista le
classi povere sono disposte a svendere il proprio lavoro e talvolta
anche la propria dignità. Una situazione che Marx aveva lucidamente
descritto già un secolo e mezzo fa nel terzo dei manoscritti del 1844,
spiegando che nell’ambito della proprietà privata ogni uomo s’ingegna di
procurare all’altro uomo un nuovo bisogno; con la massa degli oggetti
cresce la sfera degli esseri ostili, a cui l’uomo è soggiogato.
Ma spiegando anche che il socialismo è l’unico sistema capace di
riconoscere quali bisogni sono essenziali per liberare “l’uomo” dalla
miseria e dall’ignoranza, e i processi e le materie che sono in grado di
soddisfarli. La difesa
dell’ambiente — un altro volto della lotta di classe — non passa quindi
da un rifiuto della tecnica ma dal rifiuto della tecnica asservita al
capitale per il quale le merci non servono a soddisfare
bisogni umani ma solo a generare denaro per alcuni (pochi) e nocività
per altri (tanti).
Alcune nocività ambientali
generate in un paese, infatti, danneggiano coloro che abitano vicino,
coloro che abitano al di là degli oceani e addirittura coloro che
abiteranno il pianeta nel futuro; si pensi all’eredità
che l’avventura nucleare militare e commerciale di cui hanno “goduto”
(si fa per dire) alcuni paesi nell’ultimo mezzo secolo, lascia alle
generazioni che verranno nei prossimi decenni e secoli costringendoli a
custodire sotto stretta sorveglianza i cumuli delle scorie radioattive.
Giorgio Nebbia
fonte: https://comune-info.net